Il comunicato della Trek-Segafredo è arrivato nel mattino della crono di Valdobbiadene: Ciccone non parte. Dopo una serie di esami presso l’ospedale di Bassano del Grappa, l’abruzzese si ferma. Il suo Giro finisce qui. Giulio si ferma e poi sparisce. Conoscendolo, non è difficile immaginare il fastidio di abbandonare la squadra alla vigilia delle tappe più importanti. Ma se Cicco decide di mollare, allora sta male davvero. E magari ne avrà le tasche piene di questa stagione che doveva spalancargli la porta del paradiso e si è trasformata in un baratro.
Sono passati venti giorni e di Giulio si erano perse le tracce. Era giusto lasciargli lo spazio per rielaborare la delusione, ma adesso il tempo è maturo. E il timbro di voce dell’abruzzese da Monaco è migliore di quanto si potesse immaginare, anche se la situazione non ancora del tutto superata e questo dà la misura di quanto il Covid sia materia sconosciuta.
Cicco, come va?
Mi sono curato, mi sto ancora curando. Ho dovuto fare altri accertamenti, il covid non era passato del tutto. E adesso sono totalmente fermo. Così fermo che, per passare il tempo, sto giocando con i Lego.
E’ stato incauto partire per il Giro?
I dati erano buoni, non è stata una scelta casuale. Avevo i test giusti, ma il freddo è stato più forte. Il covid non è un’influenza che passa e riparti, ma è talmente sconosciuto che fai fatica a inquadrarlo. Il Giro d’Italia non è una cosa banale. Porti il fisico al limite e te ne accorgi.
Quando te ne sei accorto?
I primi giorni facevo fatica a livello di gambe. Lo sapevo, venivo da una lunga sosta. Poi piano piano sono iniziati i segnali positivi, soprattutto a Camigliatello. Però contemporaneamente col freddo sono arrivati i primi problemi di respirazione e ogni giorno si è fatta più dura. Il primo giorno veramente negativo l’ho avuto quando ha vinto Sagan a Tortoreto. Lì ho cominciato ad accusare.
Come stavi a quel punto?
Il morale era alto, il fisico perdeva colpi. E dire che aspettavo solo la terza settimana…
E’ stato duro fermarsi ancora?
Per un verso sì, per l’altro era il modo di chiudere definitivamente questa stagione orrenda. Tolto Laigueglia, non è mai andata bene. Almeno adesso si riparte da zero. Gli accertamenti hanno detto che ne sto uscendo. Era già nei miei piani fare 20 giorni di stop, adesso mi hanno fermato completamente. Devo recuperare.
Dicono che con te in corsa, lo strapotere degli stranieri sarebbe sembrato meno importante.
Sono abbastanza critico su questa cosa degli stranieri e mi infurio. Noi italiani ci pestiamo i piedi da soli. Ci esaltiamo e ci buttiamo giù. L’anno scorso e non perché ci sia di mezzo proprio io, dopo Giro e Tour ero l’erede di Nibali, ma siccome il Giro è andato male, non esisto neanche più. Abbiamo tanti giovani forti, davanti ai quali io mi sento un po’ vecchio. Ma sono più che convinto che in una stagione normale, avrei potuto dire la mia. Invece è saltato tutto.
Con che spirito ripartirai?
Riparto arrabbiato. Non come l’anno scorso, che ero quasi senza aspettative. Ovviamente non rischierò di strafare, perché la squadra mi segue, ma sono carico a molla.
Cosa resta del primo anno ad imparare da Nibali?
Un anno zero sul piano dell’esperienza. Al ritiro di San Pellegrino abbiamo lavorato tanto e bene. Al Giro invece è stato tutto storto, l’opposto di quello che ci aspettavamo. Si è creato un bel gruppo, ma il nostro obiettivo principale si è trasformato in un calvario.
Hai seguito il resto del Giro in tivù?
Un po’, ma siccome mi giravano, guardavo solo i finali.
Come sta tua madre?
Bene, grazie. Ha finito un ciclo di terapie e adesso si riguarda.
Sei stato in Abruzzo dopo il Giro?
Sì, qualche giorno, poi sono venuto a Monaco per riprendere la stagione. Fra un paio di settimane ricomincerò ad allenarmi e vorrò il clima più caldo.