Arriva il Giro d’Italia e la filiale italiana di Scott, seguendo scrupolosamente il “filo” della propria esperienza nel campo dei media, introduce e lancia uno speciale podcast quotidiano 100% dedicato alla corsa rosa. E per farlo in maniera ottimale, ha chiesto a noi di bici.PRO l’attivazione di una specifica collaborazione editoriale finalizzata a questo singolo progetto.
«Lo abbiamo chiamato “Ciak si Giro” – dice Nicola Gavardi, pr & Communication Manager Scott Italia – e il risultato è un nuovo podcast quotidiano che abbiamo voluto realizzare in collaborazione con gli inviati di bici.PRO in occasione del prossimo Giro d’Italia. In arrivo, a beneficio di tutti gli appassionati e per le tre prossime settimane di gara, da sabato 6 a domenica 28 maggio, una selezione di news, di curiosità, di cronaca dalla corsa e di focus tecnici direttamente dal cuore della carovana rosa».
Marco Aurelio Fontana, ambassador Scott, in sala registrazioneMarco Aurelio Fontana, ambassador Scott, in sala registrazione
Nicola, come nasce l’idea di seguire il Giro con un podcast quotidiano come questo?
La nostra azienda crede moltissimo nei nuovi media e nella comunicazione condivisa attraverso i social network. Pensate, i primi podcast e il canale di Scott Italia lo abbiamo attivato ben tre anni fa… nel 2020, appena usciti dall’emergenza pandemica più feroce. Nel frattempo abbiamo prodotto contenuti audio su nostri singoli prodotti legati al bike, ma anche al mondo neve e al running. Siamo un’azienda che produce, distribuisce e vende articoli sportivi, ma non vi nascondo che ci stiamo muovendo moltissimo nel creare e produrre contenuti quasi fossimo una vera e propria media company…
Il Team DSM ricoprirà il ruolo di squadra votata all’attacco durante il GiroLa Foil RC a disposizione del Team DSMIl Team DSM ricoprirà il ruolo di squadra votata all’attacco durante il GiroLa Foil RC a disposizione del Team DSM
Il Giro d’Italia: un evento importante per voi, con il team DSM in corsa…
Maggio è sinonimo di Giro. E noi non potevamo non celebrarlo alla grande, con una serie continua e costante di contenuti di qualità. Affidarci alla voce sul campo degli inviati di bici.PRO è stata una scelta facile e al tempo stesso entusiasmante. E poi quest’anno una delle tappe più belle si correrà lungo le nostre strade, quelle bergamasche… Non vediamo l’ora di seguirla e di tifare per tutto il gruppo dei corridori, non soltanto per i nostri beniamini del team DSM.
Come e dove sarà possibile seguire il podcast “Ciak si Giro”?
Semplice. Sarà presente su tutte le principali piattaforme dedicate: da Spotify a Google Podcasts, passando per Apple Podcasts. Il massimo per poter offrire agli appassionati di ciclismo la fruizione più ampia. Non vediamo l’ora di immergerci nel clima magico e coinvolgente del Giro. E questo progetto editoriale ci stimola moltissimo. In fondo, il Giro d’Italia è anche la storia del nostro Paese, e contribuire a raccontare giorno-dopo-giorno l’evento sportivo ci farà vivere la corsa come se davvero ne facessimo parte.
Nicola Gavardi (pr e Communication Manager Scott Italia)Nicola Gavardi (pr e Communication Manager Scott Italia)
Tornando al team DSM… si parte dall’Abruzzo con quali velleità?
Ho letto il roster della squadra. Si andrà sicuramente all’attacco, giorno per giorno, puntando appunto ai traguardi di giornata. Per quanto riguarda gli uomini veloci, sarebbe bellissimo se Alberto Dainese replicasse il successo dello scorso anno colto sul traguardo di Reggio Emilia. Noi siamo… di parte, e dunque facciamo il tifo per lui!
“Ciak si Giro” è un podcast di Scott Sports Italia realizzato in collaborazione con bici.PRO. La cura editoriale è di Nicola Gavardi, Enzo Vicennati, Filippo Lorenzon e Alberto Fossati. La producer e il sound design sono di Alessandra Belotti.
Alberto Dainese è stato avvertito in extremis che avrebbe fatto il Giro. Così si è ritirato dal Romandia e ha cominciato a riempire la valigia. Quando una corsa di tre settimane ce l’hai nel programma da inizio anno, sai di seguire un avvicinamento preciso, che include l’altura. Quando te lo dicono pochi giorni prima, speri sia sufficiente quello che hai.
«La cosa importante è che faccio il Giro – dice con calma e saggezza – mentre per il resto della stagione mi sono attenuto alle decisioni della squadra. Non ho iniziato come punta, però magari non ho dato le certezze che al Team DSM si aspettavano. Non ho ottenuto risultati al livello degli anni scorsi, potrebbe essere una componente».
Reggio Emilia, Giro d’Italia 2022: Dainese batte Gaviria, Consonni, Demare, Ewan e CavendishReggio Emilia, Giro d’Italia 2022: Dainese batte Gaviria, Consonni, Demare, Ewan e Cavendish
Il 2022 a due facce
Il 2022 di Alberto Dainese si è chiuso il primo settembre contro un’auto e poi all’ospedale di Lugano, da cui è uscito dopo qualche ora con un taglio nel braccio e qualche dente rotto. Fino a quel momento la stagione era stata più che positiva, con 81 giorni di corsa, fra cui spiccavano il Giro e il Tour. Nel primo, la vittoria di tappa a Reggio Emilia lo ha proiettato fra coloro che possono fare grandi cose. Nel secondo, il terzo posto nella 19ª tappa dietro Laporte e Philipsen ha evidenziato che il recupero non gli manca. Inutile dire che da quel doppio impegno, con il Giro del Belgio nel mezzo, il padovano sia uscito stanco morto. Per cui il mese di stop forzato per la caduta, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, lo ha costretto a recuperare.
Lo intercettiamo mentre finisce di preparare le ultime cose: domattina si parte. Il Giro comincerà sabato con la crono di Ortona, la prima volata è annunciata per l’indomani nella Teramo-San Salvo.
Terzo nell’ultima tappa della Tirreno: i complimenti a Philipsen che ha vinto e a Groenewegen secondoTerzo nell’ultima tappa della Tirreno: i complimenti a Philipsen che ha vinto e a Groenewegen secondo
Torniamo al 2022: ti aspettavi di vincere la tappa di Reggio Emillia?
No, non me l’aspettavo. In realtà prima del Giro ero sempre ammalato, non andavo mai, non riuscivo a trovare la quadra, quindi la vittoria è stata una sorpresa. Invece nel giorno di riposo a Pescara ho sentito di stare finalmente bene. L’indomani c’è stata la tappa che ha vinto Girmay e mi sono staccato proprio a 500 metri dalla cima dello strappo. Così ho capito di avere la gamba per fare qualcosa. E a Reggio Emilia ho vinto io.
Hai battuto Gaviria, Consonni, Demare, Ewan e Cavendish. Che effetto fa?
Ti dà un po’ di consapevolezza, ma anche no. Sai che puoi farlo, ma anche che puoi non rifarlo più. Devi sperare che vada tutto bene un’altra volta. La cosa principale è partire per fare le volate, quella è la cosa principale. Ad esempio alla Tirreno, ero convinto di poter vincere l’ultima tappa, ma anche quel giorno non ero io l’incaricato dello sprint. L’ho saputo negli ultimi chilometri, l’ho fatto e ci sono andato vicino. Però fra vincere e fare lo sprint dalla ventesima posizione arrivando terzo, c’è una bella differenza. Le volate sono così. Può andarti di fortuna e vinci anche se non sei il più forte o magari puoi avere la giornata super e non vincere perché non ti va di fortuna.
Dainese ha corso il Giro di Romandia fino alla seconda tappa. Poi, dirottato sul Giro, si è ritiratoDainese ha corso il Giro di Romandia fino alla seconda tappa. Poi, dirottato sul Giro, si è ritirato
Fare la volata dalla ventesima posizione significa non aver avuto la squadra?
C’è stata una concomitanza di eventi, che mi ha portato a fare gli ultimi chilometri da solo, ma non è stata colpa di nessuno. Era un arrivo un po’ strano che conoscevo. Ho preso come riferimento Girmay, che nelle volate precedenti aveva avuto il treno migliore, invece quel giorno ha fatto diciottesimo. Ho puntato su quello sbagliato (ride, ndr).
Com’è andare alla partenza del Giro senza averlo preparato nei dettagli?
Paradossalmente, con la chiamata all’ultimo momento, magari vado meglio. Sono stato riserva al Tour of the Alps e al Romandia, però non mi sono ammalato e magari ho fatto la preparazione migliore. Sono riuscito a fare allenamenti costanti per mesi, senza interruzioni per la febbre, come invece era stato l’anno scorso. Poi è chiaro che se fossi stato un corridore da classifica, avrei fatto l’altura e poi il Romandia. Per fare bene al Giro un velocista deve essere parecchio resistente, perché c’è una sola tappa piatta, ma non può neanche perdere la componente esplosiva. Quindi c’è da lavorare su entrambe le cose ed è quello che ho fatto. Insomma, anche se non sapevo di fare il Giro, ci arrivo abbastanza preparato.
Dainese ha partecipato alla Roubaix, chiusa con un 77° postoIl pavé non è stata una novità, lo aveva già assaggiato al Tour 2022Dainese ha partecipato alla Roubaix, chiusa con un 77° postoIl pavé non è stata una novità, lo aveva già assaggiato al Tour 2022
Quali tappe hai cerchiato di rosso?
E’ una bella domanda, perché dipende molto da come si fanno le salite, da chi controlla e se c’è controllo. Ci sono volate sporche, diciamo così, da fatica, che devi guadagnarti. Però ci sono anche corridori adatti per quelle giornate, come Magnus Cort che sta andando fortissimo in salita, oppure Pedersen. Può essere che si infilino in prima persona in una fuga, come ha fatto Pedersen quando ha vinto la tappa al Tour del 2022. Penso alla quinta, che sembra facile, ma non lo è. Anche la terza è impegnativa, idem quella di Napoli. Quella che sembra scontata è la tappa di Caorle, se non altro perché è tutta in discesa. Sarebbe stupido perdere un’occasione del genere però l’anno scorso una tappa identica, quella di Treviso, siamo riusciti a perderla lasciando arrivare la fuga.
La tappa di Cassano Magnago ha il Sempione in partenza, cosa si può fare?
C’era una tappa simile l’anno scorso a Messina, mi sembra (in mezzo c’era da scalare la salita di Portella Mandrazzi, vittoria di Demare, ndr). Il Sempione ha la pendenza media del 6 per cento, devi tenere botta nella parte iniziale perché c’è un tratto parecchio pendente, poi si riesce a salire. Dalla cima ci sono quasi 140 chilometri all’arrivo, quindi ci sta che ti organizzi e rientri. Se invece uno come Pedersen sta bene e si infila nella fuga, diventa un massacro, col gruppo dietro che tira e quelli davanti che non mollano.
Nella 19ª tappa del Tuor 2022, si è piazzato terzo. Primo Laporte in fga, a un secondo Philipsen e DaineseNella 19ª tappa del Tuor 2022, si è piazzato terzo. Primo Laporte in fga, a un secondo Philipsen e Dainese
Si parte per vincerne un’altra?
Sarebbe stupido non pensare di farlo. Poi bisogna vedere se faccio io le volate, perché ci divideremo i compiti con Marius Mayrhofer che ha vinto a inizio anno in Australia (Cadel Evans Great Ocean Road Race, ndr). Anche quella era una corsa impegnativa con il finale in volata, quindi potrebbe fare bene a sua volta in certi arrivi. Per me l’obiettivo è vincere, non lo nego. Anche per me stesso, per dire che la vittoria dell’anno scorso non è stata per un colpo di fortuna.
Il Covid prima del rientro e un 5° posto al Saudi Tour. Alberto Dainese si lancia verso le prossime volate con più appoggio dal team e la preparazione mirata
Subito dopo la fine della Parigi-Roubaix, John Degenkolb si è eclissato. Al team ha fatto sapere che avrebbe trascorso un periodo a casa per recuperare dalle fatiche delle classiche, ma soprattutto per smaltire l’immensa delusione di un sogno svanito certamente non per colpa sua. Sarebbe stato davvero un colpo a sensazione, il suo nuovo successo nel velodromo, a 8 anni di distanza. Nel “suo” velodromo, perché quella è un po’ diventata la sua corsa e non è un caso se proprio su quelle pietre è avvenuta la sua resurrezione, tanto da fargli attribuire, da qualche appassionato sui social, il soprannome di “immortale”.
Tanto è successo rispetto a quella vittoria di 8 anni fa. Curiosamente, anche lui era riuscito nella clamorosa doppietta Sanremo-Roubaix, solo altri due l’avevano centrata (il belga Van Hauwaert prima della Grande Guerra e Sean Kelly nel 1986) prima di lui, Van Der Poel lo avrebbe eguagliato proprio in quest’occasione, ma dopo essere stato causa (involontaria?) dell’infrangersi delle sue aspirazioni.
La volata vincente alla Sanremo 2015, battendo Kristoff e MatthewsPoi la vittoria alla Roubaix 2015, su Stybar e Van AvermaetLa volata vincente alla Sanremo 2015, battendo Kristoff e MatthewsPoi la vittoria alla Roubaix 2015, su Stybar e Van Avermaet
Il Grande Slam delle volate
Prima di quella Pasqua di “quasi” resurrezione, Degenkolb era quasi un desaparecido. Per capire bene la portata di quel che stava facendo, bisogna ripercorrere per sommi capi la sua carriera. Nel 2015 aveva completato una sorta di Grande Slam delle classiche adatte ai velocisti, aggiudicandosi nello spazio di 3 stagioni la Cyclassic di Amburgo, la Parigi-Tours e le due Monumento già citate. Nel gennaio 2016 però tutto sembrava cancellato a fronte di un terribile incidente.
Alicante, allenamento in gruppo per il suo team. Un automobilista britannico dimentica completamente che, rispetto alle sue usanze, in Spagna si guida al contrario, quindi si butta colpevolmente a sinistra. Prende il gruppo in pieno, i corridori saltano in aria come birilli.
«Istintivamente siamo andati a sinistra – racconterà qualche tempo più tardi Degenkolb – ma sarebbe stato meglio dall’altra parte. Quando mi sono ripreso dopo qualche attimo ho vissuto il terrore, quello vero: la mano era sformata, con le dita in posizione innaturale, ma questo era il meno, neanche sentivo dolore.
Il vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosceIl vincitore 2015 ha spesso preso l’iniziativa, sui tratti che meglio conosce
Il giorno del terrore
«Vedevo i miei compagni esanimi a terra, come manichini gettati via. Ho urlato i loro nomi, ho chiesto aiuto, ho provato ad alzarmi per prestare loro soccorso. I danni fisici non erano così gravi, ma quegli attimi hanno fatto parte delle mie notti per tanto, tanto tempo».
Già, così gravi. John non ha più recuperato la piena manualità e anche per questo ciò che stava facendo verso il velodromo era qualcosa di clamoroso, di storico. Da quel giorno la ripresa è stata lenta, qualche vittoria è arrivata, ma certamente non all’altezza di quel che poteva essere e non è stato. Dentro di sé, il Degenkolb ciclista non era cambiato, la mentalità da campione era sempre lì, ma il fisico non rispondeva. Fino a domenica 9 aprile.
La sequenza della caduta costata la corsa a Degelkolb. VDP lo ha urtatoIl tedesco rotola a terra, battendo violentemente la parte sinistra del corpoDegelkolb si rialza, ma i primi sono ormai andati viaLa sequenza della caduta costata la corsa a Degelkolb. VDP lo ha urtatoIl tedesco rotola a terra, battendo violentemente la parte sinistra del corpoDegelkolb si rialza, ma i primi sono ormai andati via
Provarci, sempre e comunque
In corsa, il tedesco si è presto ritrovato a combattere con VDP e Van Aert, Ganna e Pedersen, insomma con quella ristretta pattuglia di favoriti della vigilia. E lui, da vecchio vincitore della corsa, c’era. Stava mettendo in pratica un assioma che ha sempre fatto parte della sua vita: «Ho capito molto presto che se c’è una possibilità di vincere qualcosa, devi provarci. Anche se non ti senti bene, anche se pensi di non avere buone gambe perché se credi questo hai già perso. Non puoi farti scappare l’occasione quando capita, se anche solo dentro di te accampi scuse, hai già perso. Io non sono così…».
Una forza d’animo figlia delle sue radici, da uomo della Germania Est trapiantato in Baviera a 4 anni dove il padre aveva trovato lavoro per evadere da un’esistenza economicamente difficile. Seguendo la passione del padre aveva cominciato a pedalare, poi finita la scuola prese la decisione di entrare in polizia: «Così avrei potuto gareggiare con una base d’istruzione e la sicurezza di avere un piano B se le cose non fossero andate bene. Posso rientrare quando voglio, con una famiglia alle spalle mi sento più sicuro sapendolo, anche se non avverrà».
Van Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusioneVan Der Poel e Philipsen si scusano con il tedesco, accasciato a terra in preda a dolore e delusione
Un settore a lui dedicato
Torniamo all’ultima Roubaix. Degenkolb non era in quel pregiato manipolo di campioni per caso. Poco importa quel che era avvenuto prima, non solo quest’anno. Su quelle strade il tedesco del Team DSM si sente a casa. Non è neanche un caso se nel settore 17, quello di Hoarming à Wandignies, John si è messo a tirare mettendo alla frusta i rivali: quel tratto è dedicato proprio a lui, porta il suo nome, da quando si è messo in testa di salvare la Parigi-Roubaix juniores che rischiava di sparire per mancanza di fondi. Ha speso il suo nome raccogliendo somme importanti, permettendo a molti giovani di vivere la sua esperienza. L’Aso non ha dimenticato.
Difficile dire se ce l’avrebbe fatta. Non lo sapremo mai. Forse, in un universo parallelo, Degenkolb ha evitato quel gomito di Van Der Poel che, seguendo il compagno di squadra Philipsen costretto a uno scarto improvviso, lo ha spinto a terra, forse ha anche vinto. Ma non qui, non in questa realtà. Questa lo ha visto chiudere settimo e accasciarsi sull’erba del velodromo, sentendo improvvisamente tutto il dolore della caduta sulla clavicola, con i due dell’Alpecin che si chinavano per chiedergli scusa, consci del male che gli avevano fatto, anche solo involontariamente.
Al Tour 2018, due anni dopo l’incidente spagnolo, Degenkolb vince la tappa di Roubaix al TourPer il tedesco è una rinascita, riemergere dall’infortunio alla mano è stato un calvarioAl Tour 2018, due anni dopo l’incidente spagnolo, Degenkolb vince la tappa di Roubaix al TourPer il tedesco è una rinascita, riemergere dall’infortunio alla mano è stato un calvario
Lontano, nel suo rifugio
C’era anche Laura, in quel velodromo. Sua moglie da tanti anni: «La famiglia è il mio rifugio, ha cambiato completamente la prospettiva con cui vivo il mio lavoro. Importante sì, ma non è tutto». Insieme si sono avviati verso casa, a Oberunsel, nord-ovest di Francoforte, staccando ogni contatto anche virtuale con il mondo. Per ritrovare il suo equilibrio. Per far pace con quel sogno infranto, di quel che poteva essere e non è stato (e non per colpa sua…).
Che cosa succede al rientro in gara dopo un incidente? In che modo il cervello gestisce la paura? Lo abbiamo chiesto a Erika Giambarresi: una psicologa
«Guardate quella ragazza come si muove dentro al gruppo, con quale autorità. Lo direste che è al suo primo anno nel WorldTour e che ha appena 19 anni?». Parole di un certo peso, pronunciate dal cittì Sangalli e riferite a Eleonora Ciabocco, che ha appena lasciato la categoria junior approdando nel Team DSM. Effettivamente nel corso del Trofeo Binda, la maceratese si è fatta vedere con azioni tattiche importanti, inconsuete a quell’età.
E’ il segno che la marchigiana si sta già ambientando in un ambiente tutto nuovo e soprattutto la Ciabocco lo sta facendo con umiltà, rispettando quello che le viene detto.
«A Cittiglio avevo il compito di lavorare per la squadra e rendere la gara dura. A due giri dalla fine abbiamo provato a smuovere le acque e guadagnare secondi ma la Trek-Segafredo faceva buona guardia. Nel finale poi avevo dato tutto e potevo chiudere tranquilla, ormai erano intervenute le capitane».
La Ciabocco ha tentato la fuga insieme all’olandese Swinkels. Riprese ai -20 kmLa Ciabocco ha tentato la fuga insieme all’olandese Swinkels. Riprese ai -20 km
Sei stata molto notata e apprezzata per la dimestichezza con la quale ti sei subito adattata alla nuova categoria.
Diciamo che in gruppo ho sempre saputo muovermi con disinvoltura, ma sicuramente lavorare in un gruppo così qualificato e affiatato sta influendo. Ci sono atlete esperte che non sono solo compagne di squadra ma anche maestre. Juliette Labous ad esempio non è solo una delle cicliste più forti al mondo, ma mi sta affiancando molto, insegnando quel che devo sapere. Ha una disponibilità enorme e lo apprezzo tanto.
Come ti stai trovando?
Ammetto che all’inizio non è stato semplice, soprattutto senza avere dimestichezza con l’inglese, ma piano piano sto imparando e devo dire che Francesca (Barale, ndr) è stata preziosa, mi ha aiutato tantissimo a inserirmi. Ma devo dire che anche le altre sono state tutte disponibili.
Che differenze hai notato rispetto al team dov’eri fino allo scorso anno?
E’ un altro livello. Prima ci si aiutava molto fra noi, ma non c’erano le possibilità che abbiamo ora, qui davvero devi pensare solo a correre, vieni messo nelle migliori condizioni possibili. Ti puoi concentrare solo sulla gara e così tutto è più semplice. Praticamente prevedono qualsiasi cosa, inoltre siamo sempre aggiornate su tutto. Ma le differenze non sono solo legate alla squadra.
Eleonora Ciabocco ha raggiunto il team olandese da quest’anno (foto El Toro Media/DSM)Eleonora Ciabocco ha raggiunto il team olandese da quest’anno (foto El Toro Media/DSM)
Che cosa intendi dire?
Ora partecipo a corse interpretate in maniera diversa. Prima si correva molto alla garibaldina, senza tanti artifici tattici, si partiva forte e contavano solo le gambe. Ora gli inizi di gara sono più tranquilli, ma contano molto le strategie, bisogna non solo correre ma anche pensare…
Tutto ciò quanto sta influendo su di te, considerando la tua giovane età?
Molto, è naturale. La cosa che mi colpisce di più è che sono molto più tranquilla nel mio approccio alle corse, fino allo scorso anno ero molto emotiva, certe vote faticavo a dormire la notte prima, ora invece ho un approccio diverso e questa calma non è apparente, riesco a concentrarmi maggiormente su quel che devo fare.
La grinta in gara mostrata dalla Ciabocco non è passata inosservata. Eppure ha solo 19 anniLa grinta in gara mostrata dalla Ciabocco non è passata inosservata. Eppure ha solo 19 anni
Sei appena entrata nel team ed è normale che tu sia impiegata soprattutto in supporto alle altre. Ti dà fastidio avere un ruolo di apprendistato?
No, ci mancherebbe. C’è tantissimo da imparare e d’altronde anche le più esperte, quelle che sono le cosiddette “punte” mi dicono che imparano da ogni corsa, da ogni giornata.
Ti mettono pressione?
Al contrario, non si aspettano nulla di più di quel che posso fare. Questo rappresenta qualcosa di diverso da quel che facevo prima, dovevo portare a casa il risultato, ora devo contribuire perché sia la squadra nel complesso, qualcuna di essa a ottenerlo. Quando partivo non avevo mai idea di come le corse si evolvevano, ora sono più tranquilla.
Dopo una bellissima carriera da junior, la maceratese si sta ben disimpegnando anche fra le EliteDopo una bellissima carriera da junior, la maceratese si sta ben disimpegnando anche fra le Elite
Adesso che cosa ti aspetta?
Alcune gare in Belgio e poi spazio alla scuola. Quest’anno ho la maturità e anche in squadra tengono che mi concentri sullo studio fino all’estate, quindi il programma di gare deve ancora essere strutturato in base alle esigenze scolastiche.
Ti sei mai pentita della scelta fatta?
Mai. Anche se l’inglese non so ancora parlarlo bene, quei dubbi che avevo prima di cominciare quest’avventura sono completamente svaniti. E’ stata la mossa giusta.
Romain Bardet ha iniziato la stagione non muovendosi dalle corse casalinghe. Una sorta di tributo alla sua patria: «Non è che lo scorso anno volessi boicottare la Francia – ha raccontato a Nice Matin prima del suo esordio – ma la squadra ha voluto un programma diverso, facendomi gareggiare a Giro e Vuelta. Certamente però le corse di casa mi sono mancate, come mi sta mancando altro».
E’ un Bardet diverso quello che si presenta in questo 2023. Un po’ malinconico forse. Un Bardet assolutamente competitivo, lo si è ben visto lo scorso anno con la conquista del Tour of the Alps e quel Giro che gli è rimasto sul gozzo con un ritiro quando sembrava pronto per spiccare il volo. Ma che sente su di sé il peso dei suoi 32 anni compiuti.
Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importanteIl rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante
Il più vecchio del team. Quasi…
«Intendiamoci, provo ancora lo stesso piacere di andare in bici e mettermi alla prova – sono le parole riportate da L’Equipe – ma molto è cambiato. E’ un ciclismo diverso, che consuma più in fretta. Nella mia squadra Degenkolb è l’unico più grande di me e questo mi fa pensare, mi ricorda gli ultimi anni all’Ag2R dove ho visto ragazzi lasciare la casa da giovanissimi con una voglia sfrenata di emergere, di entrare nel gruppo».
Bardet si è messo in discussione, quando nel 2021 ha cambiato squadra. Ha lasciato un team dove aveva vissuto tutta la sua carriera, ha lasciato la Francia, ma anche un modo molto più tranquillo di affrontare la sua attività per immergersi in un sistema estremamente selezionato e scientifico, quello del Team DSM.
«Durante i ritiri ogni sera – dice – vengono effettuati lunghi incontri di brainstorming, dove ognuno tira fuori i suoi pensieri e le sue sensazioni. Questo per creare uno spirito di gruppo che è alla base del team. Bisogna adattarsi, chi non lo fa ha vita breve. Prima forse era tutto molto più empirico e mi chiedo: ma se avessi affrontato prima il ciclismo da questo punto di vista, avrei vinto di più?».
Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da FroomeIl momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome
Il podio al Tour non basta più
Cambiare squadra e nazione ha avuto il suo prezzo. Pian piano il corridore di Brioude si è sentito scollato dalla sua realtà e non fatica ad ammetterlo.
«Forse i miei podi – spiega – avevano un po’ falsato la mia dimensione. In Francia tutti vogliono la vittoria del Tour, il podio non basta più. Così ogni anno mi sentivo dire: è per quest’anno. E questo mi aveva logorato, non nego di aver versato lacrime per le mie sconfitte. Ora non ci penso più, anche se al Giro ci contavo davvero sulla vittoria. Ma Hindley e Carapaz sono battibili, uno come Pogacar al massimo no».
Bardet dice che un podio al Tour è ancora possibile e che gli piacerebbe vincere una tappa al Giro per completare la sua collezione nei tre grandi Giri, ma un problema c’è e torniamo al discorso di prima: l’età che pesa in questo ciclismo che consuma tutto rapidamente. L’annuncio dell’imminente ritiro del suo avversario di mille battaglie, Thibaut Pinot lo ha molto colpito.
«E’ vero che ha avuto una carriera piena e ricca di successi – osserva – ma sapere che molla alla mia età sorprende anche perché non credo sia un caso isolato. In questo ciclismo, continuare a correre dopo i 35 anni sarà sempre più raro e non dipende da un declino fisico, quanto di testa. Essere ai vertici consuma, molto più di prima».
Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosaAl Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa
Il peso dei sacrifici
Questo influisce sulla voglia di sacrificarsi, senza la quale continuare questo mestiere, a qualsiasi livello, è pressoché impossibile: «Stare lontano dalla famiglia è sempre più difficile, ma sai che devi farlo, per questo si dice che il ciclismo è un mestiere che non fa sconti, che ti chiede di essere sul pezzo 7 giorni su 7, per 24 ore al giorno ed è sempre più difficile e logorante. Io non mi faccio programmi in testa, vado avanti anno dopo anno per rendere sempre al meglio, ma il futuro resta una pagina tutta da scrivere, sapendo che gli anni indietro sono comunque molti di più di quelli avanti in sella a una bici».
Al dopo, ci sta già pensando: «I progetti sono tanti che mi frullano nella testa, ma partono tutti da alcuni comuni denominatori, come il viaggiare sempre con la mia famiglia e il pedalare sono ed esclusivamente per divertimento, perché alla bici non rinuncerò mai».
All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioniAll’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni
Alla Parigi-Nizza per colpire duro
L’inizio non è stato neanche male: in 5 giorni di gara un podio sfiorato al Tour des Alpes Maritimes e tutte prestazioni nei quartieri alti della classifica. Ora lo attende la Parigi-Nizza.
«Mi è mancata, c’è un’atmosfera speciale – sorride – è quasi una famiglia che va riformandosi anche con organizzatori e volontari. Sono felice di aver iniziato la mia stagione a casa, era una tradizione che mi era mancata molto. La condizione mi dice che posso puntare a qualcosa d’importante, ma alla Parigi-Nizza possono capitare tante cose, ogni tappa può essere quella decisiva, nel bene e nel male…».
Abbastanza nascosta al Delfinato, salvata da Covi al Giro, la UAE Emirates sta lavorando lontana dai riflettori in vista del Tour. Ne parliamo con Matxin
Quattro giorni alla Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi. In Giappone ci sarà anche bici.PRO con Alberto Dolfin. Preparatevi per un viaggio eccezionale
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Lo si vede nel calcio, nella Formula 1 e ultimamente anche nel tennis, sport in cui storicamente la componente dell’esperienza giocava un ruolo importante, ma a quanto pare il mondo dello sport è sempre più dei giovani. L’età media in cui si arriva al top, o comunque si raggiunge un grado di competitività più che adeguato, continua ad abbassarsi.
Facendo un’analisi dei team WorldTour è emerso che la squadra più giovane è il Team Dsm. La pulce all’orecchio ce l’aveva messa Alberto Dainese che “dall’alto” dei suoi 24 anni ci aveva detto di essere il dodicesimo uomo più vecchio del team (in realtà è il 13° e ce ne sono 17 più giovani di lui!).
Negli ultimi due Giri U23 molto spesso a gestire la corsa sono state proprio i devo team di Dsm e Groupama (foto Isola Press)Negli ultimi due Giri U23 molto spesso a gestire la corsa sono state proprio i devo team di Dsm e Groupama (foto Isola Press)
La foto
Da parte nostra, vista la mole e i continui passaggi dalla squadra development alla WorldTour, credevamo che la più giovane fosse la Groupama-Fdj e invece è spuntata la DSM. La squadra francese però resta sul podio.
La classifica vede Dsm in testa con un’età media di 24,2 anni per atleta.Alle sue spalle ecco appunto la Groupama-Fdj con 25,9 anni e poi, e questa è in parte una sorpresa, c’è la Ineos-Grenadiers con 26,6 anni. Dal 2015 la società inglese è quella che più si è ringiovanita. Ma come ci aveva detto Capecchi stanno lavorando bene con i giovani.
Man mano i vecchi leader, da Wiggins a Froome e a fine stagione anche Thomas, lasciano e sono sostituiti dai Carlos Rodriguez, dagli Hayter, dai Pidcock… La differenza però è che la Dsm i suoi atleti se li cresce in casa, con i suoi metodi, i suoi tempi e la sua mentalità. Il continuum è più lineare e il ragazzo arriva nel WorldTour con meno shock.
Ultima curiosità: le stesse continental di Dsm e Fdj-Groupama sono in assoluto le squadre Uci più giovani al mondo con un’età media appena superiore ai 18 anni.
Per conoscere meglio le radici di questo primato del Team Dsm abbiamo chiesto direttamente a Rudi Kemna, direttore sportivo e capo della preparazione, del team olandese.
Rudi Kemna (classe 1967) è stato un ex corridore e oggi è uno dei coach e diesse del Team Dsm (foto Nick Dick)Rudi Kemna (classe 1967) è stato un ex corridore e oggi è uno dei coach e diesse del Team Dsm (foto Nick Dick)
Signor Kemna, siete il team WorldTour con l’età media più giovane: cosa significa per voi?
Questo dimostra il grande lavoro che stiamo facendo con il nostro programma di sviluppo negli ultimi anni. Complessivamente 18 corridori hanno già fatto il salto dal team development al nostro programma WorldTour. E il fatto che la maggior parte di loro abbia già corso insieme ai più grandi prima del passaggio è molto importante. In più, conoscendo i tempi del programma di sviluppo rende la transizione molto più facile per loro.
In effetti anche Lorenzo Milesi ci aveva detto che sapeva sin dal momento della firma che, salvo intoppi particolari, sarebbe passato in prima squadra l’anno successivo…
Ma anche l’esperienza è una parte importante per noi. Abbiamo corridori come John Degenkolb, Romain Bardet, Alex Edmondson, Patrick Bevin e Martijn Tusveld che possono essere leader ma anche mentori per il gruppo dei giovani. Crediamo di avere una bella esperienza nel nostro roster.
Questo primato è una conseguenza del team di sviluppo dunque. Fa parte di un progetto di continuità?
In effetti, abbiamo alcuni dei migliori corridori U23 nel nostro programma di sviluppo. Con loro stiamo lavorando sulle basi per prepararli a una carriera nel WorldTour… con noi. Il fatto che 18 di loro abbiano già fatto il salto di categoria dimostra che questo lavoro paga e che i giovani corridori trovano nel nostro team un buon ambiente per imparare e per crescere come atleti e come persone.
Ha parlato di vivaio e di un certo rifornimento al team principale, ma avere un “vivaio” che produce atleti è anche un modo per monetizzare vendendo gli stessi corridori, un po’ come succede nel calcio?
L’obiettivo è portare i corridori più promettenti al nostro programma WorldTour, dove possono costruire un nucleo solido per il successo a breve e a lungo termine. Poi a volte i corridori sono alla ricerca di una nuova sfida, il che è del tutto normale, ma l’obiettivo è rendere la nostra squadra più forte sul momento e anche per il futuro.
Con i suoi 34 anni, John Degenkolb (a sinistra) è il più vecchio del team. Il più giovane è Max Poole, inglese di 19 anniCon i suoi 34 anni, John Degenkolb (a sinistra) è il più vecchio del team. Il più giovane è Max Poole, inglese di 19 anni
Perché è così importante avere atleti giovani oggi? Ed è sempre un vantaggio?
E’ importante per il successo nel WorldTour e del nostro programma. Possiamo sviluppare corridori lungo il nostro percorso a breve termine e avere poi dei corridori a tutto tondo anche nel WorldTour. Una buona squadra è composta da un buon mix di qualità e capacità che non sono necessariamente legate all’età.
Come fate a sapere quando i ragazzi sono pronti per la prima squadra?
Il nostro programma di sviluppo ha accesso alla stessa infrastruttura dei programmi per uomini e donne. In questo modo automaticamente si preparano ad una vita come corridore da WorldTour. Hanno anche la possibilità di trascorrere del tempo con gli atleti più esperti in alcune gare e nei training camp, facendo domande, ricevendo suggerimenti e consigli e imparando osservando dai più grandi. Il momento in cui un corridore è “pronto” per il salto è abbastanza individuale. Ed è una decisione che l’intero staff prende insieme all’atleta stesso e al team delle prestazioni per vedere cosa è meglio per il suo sviluppo a lungo termine.
Un lavoro corale dunque…
Abbiamo un ottimo sistema di lavoro nel gruppo di coaching che ci aiuta a trovare il momento giusto. Lavoriamo insieme quotidianamente e cerchiamo di imparare il più possibile gli uni dagli altri. Ecco perché abbiamo una buona idea di dove dobbiamo lavorare con quale corridore e quando è pronto per quale passo.
Un altro talento da Buja: Lorenzo Ursella. Dopo 10 vittorie su strada nel 2021, passa al Team DSM Development. Vivrà in Olanda. Non vede l'ora di cominciare
Gianmarco Garofoli ora vive in Olanda. Il Team Dsm gli ha dato una villetta. Ha 18 anni e corre nella continental. E sull'ondata dei giovani ha una teoria
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Sam Welsford ha stupito il mondo intero in queste prime battute di stagione. In Argentina ha messo in fila fior fior di velocisti. E la cosa che ha colpito, oltre alla sua potenza sono state le gambe. Gambe da vero pistard qual è l’australiano.
Ma certe gambe, certe muscolature se vanno benissimo sul parquet, in certi frangenti su strada, ad esempio in salita, sono un limite. Ma il corridore della Dsm e il suo coach Roy Curvers ci stanno lavorando.
Roy Curvers (classe 1979) è stato pro’ fino al 2019. Ora è uno dei tecnici della Dsm (foto Annemiek Mommers)Roy Curvers (classe 1979) è stato pro’ fino al 2019. Ora è uno dei tecnici della Dsm (foto Annemiek Mommers)
Ciao Roy come siete andati a prendere questo pistard australiano l’anno scorso? Cosa avete visto in lui?
Sapevamo che era uno dei corridori di endurance più veloci in pista. Quindi lo abbiamo subito contattato all’inizio dell’anno olimpico, il 2021. Lo abbiamo avvicinato per chiedergli cosa ne avrebbe pensato di una sfida su strada dopo le Olimpiadi, una sfida per vedere se poteva diventare un velocista di successo anche su strada. Lui è rimasto coinvolto subito pienamente da questo progetto, tanto che questo piano è stato finalizzato già prima che Sam iniziasse i preparativi per le Olimpiadi.
Welsford è chiaramente molto potente, ma è anche pesante per via dei suoi molti muscoli: come hai lavorato per farlo “dimagrire” senza perdere potenza? E quanti chilogrammi ha perso?
Avere successo in un altro terreno ha richiesto molto adattamento per Sam sia fisicamente, sia tatticamente, ma anche mentalmente.
E come avete realizzato questo adattamento?
La chiave di questo processo è stata farlo passo dopo passo. Il primo di questi step è stato aumentare la sua capacità di resistenza e fargli provare com’è davvero correre su strada ai massimi livelli. Fino ad ora abbiamo lavorato fondamentalmente sulla sua resistenza e vediamo come potremo massimizzarla senza far soffrire il suo sprint. Questo è il nostro obiettivo principale, non intervenire sul peso corporeo.
L’australiano (classe 1996) sta lavorando molto sulla resistenza e di conseguenza sta perdendo massa muscolareL’australiano (classe 1996) sta lavorando molto sulla resistenza e di conseguenza sta perdendo massa muscolare
Sam ha anche fatto più chilometri e meno qualità in allenamento? Ha aumentato il lavoro in salita?
Combiniamo qualità e quantità, quindi per lui il grande cambiamento è stato avere l’intensità combinata con molti chilometri durante una settimana di allenamento. Ha aumentato automaticamente il lavoro in salita trasferendosi nella zona di Girona e Andorra, ma cerchiamo di anche di evitare che si arrampichi troppo! Cioè che faccia molta salita.
Per un atleta di questo genere conta molto anche la parte a secco: palestra e sprint di allenamento: cosa è cambiato?
La sua palestra è cambiata. Ora Sam si concentra principalmente sulle sessioni di base e di mantenimento durante la stagione, invece di concentrarsi sull’aumento della massa muscolare o sull’acquisizione di esplosivitàverso un unico grande obiettivo.
Su pista Welsford vanta 4 titoli mondiali (qui lo scratch nel 2019), un bronzo e un argento olimpiciSu pista Welsford vanta 4 titoli mondiali (qui lo scratch nel 2019), un bronzo e un argento olimpici
Dopo San Juan abbiamo parlato spesso di sprint, rapporti, cadenze… Welsford che è un pistard, come si è trovato con i rapporti stradali? Proprio a San Juan è stato tra i velocisti con la cadenza più alta…
Una delle qualità che prende dalla pista è che può raggiungere numeri di potenza davvero elevati pur stando seduto. Altri velocisti perdono velocità quando la loro cadenza diventa troppo alta in piedi e sono costretti a sedersi. Sam invece perde meno in un momento simile: spinge più da seduto e tiene frequenze più alte quando è in piedi.
La sua bici da strada ha qualche “elemento da pistard”?
No, nessuna soluzione specifica dalla pista. Ma credo che con la nostra Scott Foil abbiamo le migliori bici da sprint del gruppo.
Continuerà con la pista?
L’attenzione con Sam è chiaramente sulla strada. Abbiamo grandi obiettivi da raggiungere insieme nelle gare su strada e stiamo lavorando sodo per raggiungerli. La priorità è vincere le gare e abbiamo già fatto buoni passi avanti nel primo anno.
Per Welsford posizione super raccolta, ma Curvers dice: «Nessuna derivazione dalla pista»Per Welsford posizione super raccolta, ma Curvers dice: «Nessuna derivazione dalla pista»
Quali sono i suoi margini?
I suoi margini sono ancora da scoprire. A San Juan ha dimostrato di poter battere i ragazzi più veloci del gruppo. Questo ci ha motivato molto.
Sam parteciperà a un grande Giro nel 2023?
Con Sam e il resto del suo treno, come ho detto, vogliamo costruire passo dopo passo il cammino verso la vittoria ai massimi livelli. All’inizio della stagione abbiamo tenuto aperte le opzioni per la seconda parte dell’anno. Potremo aggiungere un grande Giro quando Sam e gli altri saranno pronti. Se invece per il loro processo di crescita sarà meglio continuare a puntare a gare più brevi o di livello inferiore, lo faremo. Io dico che potremo capire meglio dopo la campagna di primavera.
Alla Volta a la Comunitat Valenciana ha fatto il suo esordio tra le fila dei “Grenadiers” Thymen Arensman. Giovane e slanciato olandese che nel corso della passata stagione si è messo in mostra in più di un’occasione con il Team DSM. Dopo due anni e mezzi con la WorldTour olandese Arensman è passato alla corte britannica. Matteo Tosatto, diesse della Ineos, lo ha avuto tra le mani in questi primissimi assaggi di stagione.
Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Che cosa hai visto in lui in queste prime uscite insieme?
Già dalla scorsa stagione – racconta il tecnico veneto – avevamo visto delle belle cose. E’ sempre stato un grande avversario, molto serio e preparato. Fin dalle prime pedalate dei vari ritiri invernali ho notato una grande professionalità ed un atteggiamento molto serio.
E’ molto alto e slanciato, un fisico da corridore moderno…
Fisicamente è ottimo, si tratta di un atleta giovane e forte. La cosa più importante è che si tratta di un corridore completo, questo grazie alle sue caratteristiche. E’ molto bravo a cronometro ed in salita ha un bel passo, tant’è che ha vinto la tappa regina della Vuelta a Sierra Nevada.
Il suo arrivo fa parte di quello che è un ricambio generazionale?
Beh sì. Con la partenza di Carapaz abbiamo deciso di prendere corridori giovani sui quali lavorare. Thymen (Arensman, ndr) ha tanti anni davanti dove può crescere e fare bene.
Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Anche perché c’è il dubbio sulla ripresa di Bernal?
Lui è un punto interrogativo per tutti, fin dall’anno scorso ha lavorato molto per riprendersi e tornare ai suoi livelli. Sta facendo e farà delle corse che potranno darci delle risposte. Alla Vuelta a San Juan si è rivisto poi, vista la botta al ginocchio subita nella prima tappa, abbiamo deciso di fermarlo. Non deve avere fretta, ha davanti a sé un percorso da fare.
Tornando a Arensman, come si è ambientato nel vostro gruppo?
Sono stato un po’ di tempo con lui. Due settimane nel ritiro di dicembre e poi a quello di gennaio. Più la sua prima corsa con noi, la Valenciana appunto. Si è visto anche dalla corsa a tappe spagnola la sua voglia di mettersi in mostra dando una mano anche ai compagni, come Geoghegan Hart.
Cosa gli manca secondo te?
Un po’ di consapevolezza in più sulla sua forza, è giovane ed ha paura di sbagliare, deve trovare un po’ più di coraggio.
L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempoL’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
E’ un corridore che ha ottenuto gran parte dei suoi risultati a cronometro, voi avete una tradizione importante in quella disciplina.
Già da dicembre ha lavorato molto con dei test in pista e sulla posizione. Era presto per fare dei lavori specifici, ma ha preso dimestichezza con il mezzo ed i materiali. E’ molto contento della bici, ha trovato subito un buon feeling e questo per lui è molto importante per trovare la consapevolezza che dicevo prima.
Quando hai il due volte campione del mondo ed il detentore del record dell’Ora al tuo fianco sai già di poter contare su un grande aiuto. “Pippo” potrà essere di grande appoggio a Arensman sia per guidarlo al meglio nella scelta dei materiali ed anche per quanto riguarda la preparazione.
Su strada invece che tipo di scalatore hai trovato?
Si vede che gli piacciono le salite lunghe, anche se alla Valenciana ha fatto bene anche su distanze più brevi. Di certo lavora un po’ più sulla regolarità, non è un corridore che fa dieci scatti in due chilometri. Ma forse non esistono più scalatori di questo genere. In salita gli manca qualcosa e lavoreremo per limare qualcosa senza snaturarlo. Alla fine quel che perde in salita lo guadagna con gli interessi a cronometro.
Lavorare con Bardet gli ha dato una mano nel percorso di crescita…
Al Tour of the Alps si è messo in gran mostra, anche su salite durissime come quelle che trovi lì. E’ arrivato terzo nella generale alle spalle di Bardet e Storer, ed ha vinto la classifica dei giovani.
Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salitaArensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
L’età è un fattore.
E’ un classe ‘99, fa parte della nuova generazione. Ricordiamo che Evenepoel è del 2000, Pogacar del ‘98. E’ sulla falsariga di questi corridori ed ha a disposizione tanti anni.
Immaginiamo che l’obiettivo che avete con lui è quello di vincere.
Si tratta di un ragazzo sul quale si può fare affidamento, vincere dei Grandi Giri non è facile, soprattutto al primo anno in una nuova squadra, sarebbe sbagliato partire con questo obiettivo. Quel che giusto è prendere le misure, soprattutto quest’anno, si deve essere elastici.
Quest’anno che calendario farà?
Ora andrà alla Volta ao Algarve, poi la Tirreno-Adriatico. La Corsa dei due Mari potrà essere un primo banco di prova. Ci sono delle salite lunghe con l’arrivo a Sassotetto che potrà dire molto.
Ganna sarà un ottimo mentore per l’olandese nella scelta dei materiali per le cronometroThomas potrà insegnare tanto ad Arensman, i due faranno insieme il Giro?Ganna sarà un ottimo mentore nella scelta dei materiali per le cronometroThomas potrà insegnare tanto ad Arensman, i due faranno insieme il Giro?
Il Giro potrà essere un obiettivo al suo primo anno con la Ineos?
E’ un obiettivo di questa stagione. Non partiremo per vincere ma andremo alla giornata, il primo Grande Giro con una squadra nuova è sempre pieno di incognite. Credo, tuttavia, che Arensman possa fare due Grandi Giri in un anno. Non Giro e Tour, piuttosto Giro e Vuelta. Una volta prese le misure per tutta la stagione potremo alzare l’asticella in Spagna.
Sì. Sono entrambi molto forti a cronometro, se devo trovare una differenza direi che Arensman è più scalatore di Geraint. Non è un segreto che il britannico sarà al via della Corsa Rosa e farli correre insieme è un bel modo per insegnare al giovane olandese qualcosa. Non è da escludere che le cose possano cambiare nel corso di una gara di tre settimane, lo insegnano la stessa Sky e Thomas (il riferimento è al Tour de France del 2018 vinto dal britannico quando il capitano designato era Froome, ndr). Sono convinto che si trovi nella squadra giusta al momento giusto.
Tadej Pogacar vince il secondo Tour con 21 giorni da campione. Con Martinello concludiamo il viaggio francese analizzando la sua corsa e quella dei rivali
Presentata ufficialmente l’estate scorsa, l’ultima versione della Scott Foil è una bici marcatamente aerodinamica nelle forme e nel concept. Quello che sorprende però, è il fatto che viene utilizzata anche dagli scalatori del Team DSM, uno su tutti Romain Bardet, corridore attento ai dettagli tecnici, al peso e alle performances della bicicletta. L’atleta transalpino ha usato la Foil anche nel corso delle frazioni più impegnative del Tour.
Dainese al campionato europeo 2022 di MonacoDainese al campionato europeo 2022 di Monaco
Ovviamente la Scott Foil è un riferimento per i velocisti e per i passisti. Abbiamo chiesto ad Alberto Dainese di descrivere la sua bici nella versione 2023, che rispetto a quella utilizzata nella seconda parte di stagione 2022 presenta delle differenze. La famiglia Syncros/Scott fornirà anche le selle (al posto di Pro Bike Gear) e ci sarà un’impiego maggiore dei tubeless. Entriamo nel dettaglio
Quando hai iniziato ad usare l’ultima versione della Scott Foil?
Mi è stata consegnata poco prima del Tour 2022 e da quel momento non l’ho più abbandonata. In precedenza non utilizzavo la Foil, parlo della versione precedente, ma la Addict ed effettivamente le due bici sono molto differenti. Di sicuro la bici aero è più adatta alle mie caratteristiche, ma è ampiamente utilizzata anche dagli scalatori.
Il profilo ridottissimo del manubrio Syncros e gli shifters leggermente all’interno (eltoromedia.com)Il profilo ridottissimo del manubrio Syncros e gli shifters leggermente all’interno (eltoromedia.com)
Quali sono le differenze maggiori che hai notato, rispetto alla Addict?
La Foil è molto veloce, fattore che diventa un supporto notevole alle mie caratteristiche, è una di quelle biciclette che scappa via quando cambi ritmo, davvero facile da lanciare. E’ più rigida della Addict, che invece mi trasmetteva un comfort maggiore. Durante le azioni di rilancio, ad esempio negli sprint, la nuova Foil sostiene di più nella parte anteriore e il carro posteriore sembra scaricare maggiormente la potenza espressa.
La Addict non era ugualmente rigida?
Non è quello, solo che la rigidità della Foil è una delle peculiarità che ha lasciato impressionati parecchi di noi corridori. E poi il peso contenuto, anche questo un fattore che è stato considerato in maniera positiva anche dal gruppo degli scalatori del team.
Da sempre il claim del team (eltoromedia.com)L’evidente svasatura dello sterzo (eltoromedia.com)C’è l’ultima versione dell’integrato full carbon Syncros Creston (eltoromedia.com)Da sempre il claim del team (eltoromedia.com)L’evidente svasatura dello sterzo (eltoromedia.com)C’è l’ultima versione dell’integrato full carbon Syncros Creston (eltoromedia.com)
Effettivamente al Tour è stata usata anche da Bardet!
Si esatto, non solo da lui, ma come dicevo da tutti gli scalatori. Bardet argomentava proprio il fatto che non avendo una grossa differenza di peso con la Addict, ma essendo più rigida, reattiva e fluida anche intorno ai 30 all’ora, ci stava il fatto di usarla anche su ascese lunghe ed impegnative. Ormai si tengono delle andature elevate anche in salita e per lunghi tratti quando il naso è all’insù. Non sono uno scalatore, ma credo che una bici aero possa dare un aiuto e una serie di vantaggi.
Anche la versione dei tubeless N.EXT in dotazione al team (eltoromedia.com)Anche la versione dei tubeless N.EXT in dotazione al team(eltoromedia.com)
Qual’è il tuo setting preferito per le gare?
Preferisco sempre le ruote con il profilo da 50, che ormai sono da considerare intermedie. Solo in qualche occasione chiedo di usare le 60, quando le tappe sono piatte. Abbiamo i tubeless Vittoria, con sezioni comprese tra i 26 e 28 millimetri. Per i rapporti prediligo la combinazione 54-40 per le corone. Ho montato il 56 solo un paio di volte, una al Giro e una all’UAE Tour, ma onestamente preferisco sfruttare una maggiore agilità.
Hai cambiato qualcosa rispetto al 2022?
Rispetto alla stagione scorsa ho chiesto di allungare lo stem del manubrio integrato e utilizzo, quasi in controtendenza, il manubrio da 42 centimetri di larghezza. Facendo un paragone con la stagione passata, abbiamo cambiato le selle, che ora sono Syncros e io utilizzo la versione Belcarra.
La sella corta Belcarra, quella usata da Dainese (eltoromedia.com)Il seat-post della Scott Foil è una spada (eltoromedia.com)Foderi con ridotto impatto frontale e larghi lateralmente (eltoromedia.com)Il supporto del deragliatore lascia spazio anche per montare corone più grandi, senza la necessità di adattatori (eltoromedia.com)Pacchetto Dura-Ace al completo (eltoromedia.com)La sella corta Belcarra, quella usata da Dainese (eltoromedia.com)Il seat-post della Scott Foil è una spada (eltoromedia.com)Foderi con ridotto impatto frontale e larghi lateralmente (eltoromedia.com)Il supporto del deragliatore lascia spazio anche per montare corone più grandi, senza la necessità di adattatori (eltoromedia.com)Pacchetto Dura-Ace al completo (eltoromedia.com)
Per quanto riguarda i rapporti dietro?
Lo standard è 11-30, almeno per quello che mi riguarda. Poi ci sono delle situazioni in cui viene montata la scala 11-34, ma è per salvare la gamba nelle frazioni più dure e non adatte a me.
La bici da gara si discosta da quella che hai per l’allenamento?
E’ uguale, non ci sono differenze ed è un vantaggio non da poco, perché il feeling rimane quello. L’unica diversità sono gli pneumatici, in allenamento uso le camere d’aria, più che altro per una questione di abitudine.