Quell’allenamento in pista prima di Chauny. Bravo Consonni

29.09.2022
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«Sono davvero contento. Ci voleva. Era da tanto che ci giravo intorno», racconta Simone Consonni. Alla Paris-Chauny (in apertura foto @westcoo) Simone porta a casa il primo successo dopo diversi anni. La sua prima ed unica vittoria tra i pro’ sin qui era stata quella ottenuta nel 2018 in una tappa del Giro di Slovenia.

Ed è incredibile come un atleta delle sue qualità, della sua classe, che vince le Olimpiadi, non vanti una bacheca piena di successi. Ma questo è dovuto anche al fatto che spesso, ma tanto spesso, Consonni ha dovuto lavorare per altri velocisti. E altrettanto spesso c’è stato lo zampino della sfortuna.

Prima di Chauny tante sfortune per Simone già in primavera quando dovette lasciare la Tirreno per un problema al ginocchio destro
Prima di Chauny tante sfortune per Simone già in primavera quando dovette lasciare la Tirreno per un problema al ginocchio destro
Simone, finalmente è arrivata questa benedetta vittoria…

Era ora, quest’anno ci sono state varie sfortune… E’ la prima vittoria con la Cofidis. Avevo fatto podio al Giro, al Tour e in tante altre occasioni… è una bella spinta morale. Visto che anche quest’anno avevo avuto mio malgrado degli alti e dei bassi.

Vogliamo ricordarli?

Ho dovuto abbandonare la Tirreno per un problema al ginocchio. Poi mia nonna che non stava bene, Dopo il campionato italiano sono dovuto stare fermo per altre tre settimane, avevo una grande stanchezza. Quando ho ripreso, dopo l’argento europeo in pista ho avuto di nuovo il Covid e sono stato un’altra settimana senza bici. Però nelle ultime gare stavo sentendo che la condizione era in crescita.

Sono momenti difficili in effetti…

Sì. E infatti un pensiero è per la mia squadra, per la mia famiglia e per la mia ragazza (l’ex pro’ Alice Algisi, ndr). Lei ha sofferto più di me. Sa bene quel che significa questa vita, incastrare tutto ogni volta per vederci…

Però adesso hai vinto. Andiamo alla corsa…

Non è un corsone, ne sono consapevole. Però visto i velocisti che ho battuto – Groenewegen, Philipsen, De Lie, Demare – e per come l’ho vinta, va bene!

Tra Giro e Tour (e non solo) negli ultimi anni, Consonni spesso era stato vicino alla vittoria. Qui la volata di Parma: lui ha il casco bianco
Tra Giro e Tour (e non solo) negli ultimi anni, Consonni spesso era stato vicino alla vittoria. Qui la volata di Parma: lui ha il casco bianco
Come l’hai vinta?

Credo sia stata la seconda gara dall’inizio dell’anno in cui nella riunione si è detto che non dovevamo correre per i punti. Alla fine sono importanti. Il team ha investito ed è giusto lottare per non retrocedere. Quindi abbiamo corso per vincere. Potevamo fare il nostro treno. In realtà il capitano era Bryan Coquard. La corsa all’inizio non era dura, ma nervosa. Tanti su e giù. Abbiamo cercato noi di farla più dura. Io stavo tirando la volata a Bryan, quando dopo una spallata che ho preso ho sentito che aveva perso la mia ruota. Allora per radio mi ha detto di andare e sono partito lungo. In pratica ho fatto una volata di 300 metri. Per questo è stato un piacere vincere così. Poi quelle sono le mie corse. Percorsi dove arrivano tutti, ma senza gambe. 

Senza gambe, ma 300 metri di volata sono tanti! E comunque Coquard è stato lucido nell’avvertirti via radio in quei pochi concitati istanti…

Noi siamo usciti col treno ai 700 metri e ai 350 c’è stata questa curva nella quale Bryan ha perso la mia ruota. E mi ha detto subito: «Go, go Conso». Mi ha fatto capire di andare. Con lui ho corso poco, ma è un corridore onesto, che tiene alla squadra. Magari un altro dopo aver perso la ruota ti avrebbe fermato o non ci avrebbe pensato.

Alla vigilia come è andata? C’è stato qualche segnale, quelle cose… mistiche, che emergono a posteriori?

Una vigilia tranquilla. Venivo da un weekend di corse e da un po’ di altura a Macugnaga con Pippo (Ganna, ndr), ma di certo non era la vigilia di un mondiale. Però devo dire che uno dei miei migliori amici, Marco Capelli, alle 12 mi ha inviato una foto con lo striscione che trovai al ritorno da Tokyo. «Simone sei storia, ora baldoria», aggiungendo sotto: «Ora aspetto la prossima». Io ho visto il messaggio proprio mentre stavo per uscire dal bus. Erano le 12,08 e gli risposto: «Ce ne vorrà». E quindi sono andato perché la corsa partiva di lì a poco. Alle 17 quando ho ripreso il telefono ho ritrovato un suo messaggio: «Te lo avevo detto».

Questa estate agli Europei su pista Consonni era stato argento nell’omnium. La pista resta importante per Simone
Questa estate agli Europei su pista Consonni era stato argento nell’omnium. La pista resta importante per Simone
E il team?

Siamo stati tutti contenti, anche perché abbiamo corso davvero bene. Anche sull’ultimo strappo abbiamo tirato, ci siamo mossi da protagonisti. E poi fa piacere, non sono e non siamo una squadra da 60 vittorie l’anno.

A Simone Consonni cosa ha lasciato questa vittoria?

Sono riuscito a sbloccarmi. Sai, quando vinci una volata così ti dà fiducia. Dopo quelle tre corse in Belgio nel fine settimana precedente, ho chiamato il mio preparatore, Luca Quinti, e gli ho detto che avremmo dovuto preparare meglio gli sprint. Non mi sentivo tranquillo.

E lui era del tuo stesso parere?

Mi diceva di stare calmo, che venivo da un ennesimo rientro, che ero stato in altura. Nonostante questo abbiamo passato una giornata in pista in cui abbiamo fatto tutti lavori specifici: partenze lanciate, partenze da fermo, sprint e persino una “botta” di palestra. Magari anche questo mi ha dato qualcosa a livello mentale. Mi ha dato inconsciamente la sicurezza di farmi partire lungo. Che poi è di certo un fatto mentale, perché una singola seduta non cambia le cose. Lo devo ringraziare.

Ora cosa prevedono i tuoi programmi?

Tra poco (ieri pomeriggio, ndr) scendo in pista! Faremo delle prove del quartetto. Per quanto riguarda le gare su strada farò la Bernocchi, il Gran Piemonte, la Parigi-Tours e poi il 12 la Veneto Classic. Da lì volerò direttamente ai mondiali in pista, ma correndo il 12 ottobre su strada salterò il quartetto (che c’è proprio il 12, ndr). Vedremo Villa cosa mi farà fare.

Intanto Viviani junior prepara il ritorno alla vittoria

13.08.2022
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Mentre suo fratello Elia prepara la nuova campagna europea a Monaco, andando a caccia di altre soddisfazioni stellate su pista e sostituendo su strada l’acciaccato Nizzolo, Attilio Viviani si gode un po’ di riposo nella sua prima stagione in terra belga, alla Bingoal Pauwels Sauces WB. Tempo fa, quando ancora il contratto era da firmare (cosa avvenuta il 21 marzo), il corridore veneto aveva preferito non rispondere, sintomo di un animo travagliato dopo la inaspettata e prematura chiusura del team Cofidis nel quale aveva riposto tante speranze.

Ora la situazione è molto diversa e c’è una positiva predisposizione verso il futuro: «Devo dire che alla fine ho trovato una sistemazione ideale per le mie caratteristiche e il mio modo di intendere il ciclismo. Sono stato fortunato, ma certamente l’inverno è stato difficile, pieno di incertezze e devo dire grazie a Elia e al mio procuratore Lombardi se sono riusciti a mantenermi tranquillo e fiducioso, facendomi comunque lavorare in vista di un nuovo approdo».

A.Viviani Bingoal
Approdo in ritardo alla Bingoal, alla fine di marzo, dopo due mesi di difficile attesa per Viviani
A.Viviani Bingoal
Approdo in ritardo alla Bingoal, alla fine di marzo, dopo due mesi di difficile attesa per Viviani
Elia si è speso in prima persona per te?

Tantissimo, con molti contatti nell’ambiente, sondando la situazione, come anche Lombardi che non ha mai smesso di lavorare per trovarmi un nuovo contratto. Iniziare a fine marzo non è facile, ma nel team mi sono subito trovato bene, anche se chiaramente rispetto a chi aveva fatto il ritiro prestagionale ero in ritardo.

Come giudichi questa prima parte di stagione?

Nel complesso è stata positiva. La squadra ha il modo di correre che piace a me, sempre all’attacco, sempre in fuga, oltretutto in un tipo di corse tra Francia e Belgio che ho sempre amato. Il team mi ha dato anche abbastanza libertà soprattutto nelle occasioni dove non c’era Timothy Dupont che è il principale velocista del team.

Viviani fratelli
Attilio a destra con suo fratello Elia, importante nel trovargli un nuovo team (foto Cassandra Donne)
Viviani fratelli
Attilio a destra con suo fratello Elia, importante nel trovargli un nuovo team (foto Cassandra Donne)
Finora hai 27 giorni di gara: tanti o pochi?

Beh, direi che tra marzo e giugno il calendario è stato intenso, anche perché non c’erano mai più di 3-4 giorni di stacco e quindi non si mollava mai, dovevi stare sempre sul pezzo. Però devo dire che in questi tre mesi mi sono davvero divertito. Alla fine ero stanco, sono arrivato fino all’italiano poi ho tirato i remi in barca. Sono ripartito dal Sazka Tour dov’ero stato schierato pensando alla prima volata che poi volata non è stata. Venivo dallo stage in altura e non avevo ancora le gambe pronte per tutta la corsa a tappe, così abbiamo preferito mollare prima della tappa più dura.

Che programma hai ora?

Ci sarà il Tour Poitou-Charentes e poi a settembre tutte le classiche d’un giorno del panorama italiano. Spero che da qui alla fine della stagione si presenti l’occasione buona per lasciare il segno…

A.Viviani Grecia
La volata della quarta tappa al Giro di Grecia, con Viviani battuto solo da Nyborg Broge (DEN)
A.Viviani Grecia
La volata della quarta tappa al Giro di Grecia, con Viviani battuto solo da Nyborg Broge (DEN)
Un’occasione che avevi avuto a fine aprile in Grecia…

Sì, quel secondo posto ancora mi rode… Voglio tornare a quelle sensazioni, a rivedere la linea dell’arrivo e possibilmente a non vedere pezzi di ruote altrui tra la mia e quella sottile striscia… Sono fortemente determinato a riuscirci.

Il contratto finisce quest’anno?

Sì, non abbiamo ancora discusso del rinnovo, ma non mi pongo il problema. L’ambiente di questo team è ideale, il budget a disposizione non è molto ampio, ma non manca davvero nulla. Soprattutto mi piace la mentalità che regna nel team, è quella ideale per esprimermi al meglio.

A.Viviani Cofidis
Per il veronese tre anni alla Cofidis, con una vittoria e un periodo positivo chiuso anzitempo
A.Viviani Cofidis
Per il veronese tre anni alla Cofidis, con una vittoria e un periodo positivo chiuso anzitempo
In squadra c’è solo Tizza come altro italiano. Con gli altri ragazzi hai legato?

Molto bene, è anche questo che m’invoglia a continuare questa avventura. Spesso non ci si rende conto che una squadra si cementa non tanto in gara, quanto fuori, nei contatti al di fuori delle corse, parlando magari di ben altro. Poi i benefici si vedono con la maglia da gara indosso.

Come ti trovi a vivere in Belgio?

Bene, sarà che ho notato che i belgi sono un po’ pazzi, con una mentalità simile alla nostra. Mi sento davvero come a casa…

Cimolai, il Tour de Pologne e un rimpianto azzurro

10.08.2022
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Davide Cimolai ha ripreso a correre, dopo un buon periodo di preparazione, al Tour de Pologne, una corsa che ha premiato tanti velocisti. Nella quale, il friulano della Cofidis, ha raccolto un buon settimo posto nella tappa conclusiva di Cracovia. Punti che servono anche per la classifica WorldTour del team francese. Una ripresa non semplice, condita da tante difficoltà, ma che cosa ha trovato Cimolai in Polonia? Proprio da lui ci facciamo raccontare questa corsa. 

«Nella seconda tappa sono caduto – racconta Davide-  ero messo davvero male, non mi sono ritirato perché ho fatto davvero di tutto per andare all’europeo. Purtroppo non sono stato selezionato dal cittì Bennati, mi avrebbe fatto piacere. Ho disputato 4 europei e un mondiale, avrei potuto dare una grande mano in fase di aiuto o come ultimo uomo (al suo posto come ultimo uomo è stato portato Guarnieri, ndr). Avevo dato la mia parola a Bennati, sono andato a lavorare un mese a Livigno e sono arrivato in Polonia prendendo questa gara come preparazione. La caduta non ha aiutato, ci sono stati anche altri che sono andati forte, come Milan».

Cimolai è ripartito dal Tour de Pologne per ritrovare gamba e condizione, sperando in una chiamata per gli europei
Cimolai è ripartito dal Tour de Pologne sperando in una chiamata per gli europei

Troppe cadute

Le sette tappe del Tour de Pologne hanno visto molte cadute. Subito nella prima tappa ce n’è stata una che ha coinvolto tanti corridori, ben 8 non hanno poi preso il via il giorno seguente. 

«Sembra – dice con voce seria Cimolai – che la caduta di Jakobsen di due anni fa non abbia insegnato nulla. Anche nell’ultima tappa, con arrivo a Cracovia, nel circuito finale abbiamo attraversato molte volte le rotaie del tram. La mia domanda è se l’UCI guarda i percorsi. Alla fine in sette tappe siamo caduti ogni giorno. Ne avrei per ognuna, nella prima prima tappa c’era una discesa ad un chilometro dall’arrivo, è normale sia successo il finimondo. Anche nella quinta tappa, vinta da Bauhaus, nell’ultimo chilometro, a 700 metri dall’arrivo, c’era una curva pericolosa, tanto che sono caduti i primi, e lo sprint lo hanno fatto in 10». 

Nonostante la caduta della seconda tappa Cimolai è uscito in crescendo dal Polonia, con un buon settimo posto nella tappa conclusiva
Nonostante la caduta della seconda tappa Cimolai è uscito in crescendo dal Polonia

Un bel contorno

Nella settimana del Tour de Pologne si sono girate tante città e visti molti panorami incredibili: dalle pianure fino alle montagne al confine con la Slovacchia. Tanti colori diversi e cittadine variopinte che hanno accolto la carovana.

«D’altro canto devo dire – riprende Cimolai – che abbiamo visto tanti posti belli, come le montagne che ci circondavano durante la cronometro. Nella quarta tappa si arrivava nel centro di Sanok, la piazza era davvero bella, riuscire a godersi i posti quando si è in bici è difficile, ma quel poco che ho visto mi è piaciuto. Anche gli hotel erano molto belli ed attrezzati, avevamo dei buffet perfetti per noi ciclisti. Sapete, in queste gare è difficile avere dietro lo chef o il camion cucina. Abbiamo viaggiato tanto, ci sono stati dei trasferimenti lunghi, ma questo ormai fa parte del ciclismo moderno. Nell’ultima tappa siamo arrivati alla partenza a meno di mezz’ora dallo start. C’era molto traffico, ma questi sono inconvenienti che possono capitare».

Giovani e “spensierati”

Il Tour de Pologne è sempre stata una corsa che ha premiato e messo in luce tanti giovani. Dalla vittoria di un neo professionista Moreno Moser, alle gesta di Vingegaard, fino a quelle viste in questa edizione. 

«Tanti giovani ed anche per questo ero già pronto psicologicamente alle cadute, il Polonia è sempre stato conosciuto per questo. Però, per tornare al discorso di prima: l’UCI, rompe per tutto: misura dei calzini, magliette… Ma per le cadute nulla. Io sono caduto non perché qualcuno è scivolato e mi ha travolto, che succede e non ci puoi fare nulla, ma perché un ragazzo giovane non ha frenato e mi ha preso in pieno. Io metterei una sorta di moviola, nel mio caso ci sarebbe da squalificare questo atleta. Io il giorno dopo ho preso e parlato, a me è andata bene, ma l’altro che è caduto con noi si è rotto due costole. Mentre parlavo con lui sembrava non rendersi conto di quanto successo.

«E’ normale voler parlare di ciò, la cosa sta diventando difficile da gestire, una volta si diceva di correre davanti, ma non serve nemmeno quello. Pensate alla caduta che dicevo prima della quinta tappa: sono caduti i primi, correre davanti non basta più. E fidatevi che sarà sempre peggio, con la tecnologia le bici saranno sempre più veloci».

Cofidis e la “lotta salvezza”: Damiani tira le somme

04.08.2022
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Il Tour de Pologne è una corsa che ha tanti volti al suo interno, una gara poliedrica, potremmo definirla. Ogni corridore ed ogni squadra passa da qui con obiettivi ed ambizioni diversi. Uno dei team che affronta la corsa con particolare attenzione a quello che è successo e a quello che succederà è la Cofidis. Nella quale militano Consonni, Cimolai e Villella.

La squadra francese si trova nelle ultime zone della classifica delle squadre WolrdTour, è una di quelle che si sta giocando la “lotta salvezza” se volessimo esprimere il tutto in termini calcistici. 

«E lo è ancora – dice subito Roberto Damiani, diesse del team (nella foto di apertura a sinistra, ndr) – La situazione è chiara. Ci sono più squadre che stanno lottando in questa classifica che si è stilata nel corso delle ultime tre stagioni». 

Un buon inizio

La Cofidis aveva iniziato la stagione molto bene, con qualche vittoria e qualche certezza in più, soprattutto grazie alle volate di Thomas e Coquard. Poi però nel corso della stagione si è un po’ persa, ed ora cerca di ritrovare il bandolo della matassa.

«Come detto – prosegue Damiani – abbiamo iniziato bene, con qualche vittoria e dei bei piazzamenti. Poi siamo stati meno presenti a livello punti sui grandi Giri, fino ad ora. Questo la dice lunga su quanto sia importante il tipo di distribuzione dei punti che viene fatta nelle varie corse. C’è una seconda parte di stagione estremamente importante, abbiamo recuperato tantissimo. Ad inizio anno eravamo diciannovesimi, ora siamo sedicesimi a 5 punti dalla EF Easy Post. E’ veramente una lotta punto a punto, come in un campionato di calcio».

Consonni con Cimolai (di spalle) al Tour de Pologne, corsa di rientro per entrambi dopo un periodo di recupero
Consonni con Cimolai (di spalle) al Tour de Pologne, corsa di rientro per entrambi

Velocisti = punti

Sono i velocisti coloro che hanno maggiori possibilità di raccogliere punti. Da questo punto di vista i francesi (Thomas e Coquard) hanno dato qualcosa in più dei nostri Consonni e Cimolai. 

«Se parliamo di “Cimo” non ha raccolto in termini di quantità – riprende con voce profonda Roberto – però gli è stato chiesto di fare un certo lavoro come ultimo uomo. Di conseguenza o porti punti o fai un certo tipo di lavoro. Per quanto riguarda Consonni, in effetti, è mancata la vittoria, perché il miglior piazzamento è un secondo posto. Da questo punto di vista ne risente un po’ moralmente. Lui è arrivato da noi come “pesce pilota” di Viviani ed ora si è preso delle responsabilità e questo gli fa onore. Quando uno fa questo lavoro per passione e voglia di fare bene, sente anche una pressione interna, che da un lato dobbiamo smorzare e dall’altro incentivare nel senso positivo del termine».

Simon Geschke ha corso un buon Tour. Lottando per la maglia a pois è stato spesso in fuga: molta visibilità, ma pochi punti UCI
Simon Geschke ha corso un buon Tour. Lottando per la maglia a pois è stato spesso in fuga: molta visibilità, ma pochi punti UCI

I Grandi Giri

Nelle grandi corse a tappe la Cofidis ha avuto un po’ di luci e ombre. A volte anche la sfortuna si è messa di mezzo, e quando lotti punto a punto anche il caso gioca la sua parte.

«Nei grandi Giri abbiamo avuto due facce della stessa medaglia. Al Giro siamo anche andati bene, Consonni si è mosso bene per quel che doveva fare. Da un’altra parte Guillaume Martin ha avuto un Giro tra luci e ombre, sicuramente non è stata un’edizione facile.

«Al Tour direi che il Covid ci ha fortemente penalizzato, prima la positività di Coquard e poi quella di Martin ci hanno azzoppato. C’è stata una bellissima situazione di Geschke che ha preso la maglia a pois e ha cercato di difenderla in tutti i modi. Però in termine di punti non abbiamo raccolto molto. Ecco che però mi sento di fare un appunto, le maglie intermedie sono importanti, anche per lo spettacolo, allora si dovrebbero dare punti anche per queste cose. C’è da fare un ragionamento fondamentale sulle classifiche, per esempio: vincere una tappa al Giro ti fa prendere meno punti di una corsa 1.1 (argomento di discussione che abbiamo già trattato, ndr)».

Axel Zingle, classe 1998, è uno dei giovani che Cofidis sta facendo crescere (foto Cofidis)
Axel Zingle, classe 1998, è uno dei giovani che Cofidis sta facendo crescere (foto Cofidis)

Una gestione difficile

Conciliare le esigenze del team e quelle dei corridori è difficile ma è anche l’arduo compito del diesse. Certo che, quando si ha a che fare con i punti, la matematica purtroppo la fa da padrona. 

«I corridori fanno i corridori e noi facciamo i direttori sportivi ed è giusto che sia così – dice Damiani – però capiscono quel che sta succedendo. Tante volte vedi delle squadre che fanno risultati molto buoni con corridori che non sono nei dieci e quindi questi punti vengono persi. Io continuerò a dire che è molto meglio correre per vincere, in questo modo si fanno anche i punti.

«D’altra parte mi rendo conto che a volte è meglio fare un secondo o un terzo posto con corridori che hanno punti e non vincere con un ragazzo che non ne ha: è pazzesco dirlo ma è così. Non che i corridori non riescano ad emergere, noi abbiamo un neo professionista come Zingle che ha fatto bene, ha vinto qualche corsa ed è entrato trai i primi dieci».

Giro, Tour, Vuelta: come cambia il gruppetto? Ce lo dice Consonni

13.07.2022
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Lo abbiamo visto al Giro d’Italia. Lo vediamo in questi giorni al Tour de France e lo rivedremo alla Vuelta Espana: parliamo del gruppetto. Il mitico… salvagente dei velocisti. Ma è possibile metterli a confronto? O alla fine sono tutti uguali? Nei giorni scorsi una prima distinzione l’aveva fatta Dainese. Sprinter, apripista, passistoni, gente che non punta alla classifica che arranca (o si risparmia in salita) e spinge pancia a terra in discesa e nei fondovalle….

Simone Consonni, velocista, ha preso parte a tutti e tre i grandi Giri e tutte le volte ha avuto a che fare con il gruppetto. Indirettamente ne parlammo con lui proprio nelle tappe di montagna al Giro d’Italia e nello specifico la sera di Aprica, dopo il Mortirolo.

Simone Consonni nel Tour 2020 ha aiutato Viviani. Entrambi rischiarono di finire fuori tempo massimo in alcune tappe di salita
Simone Consonni nel Tour 2020 con Viviani, rischiando a volte di finire fuori tempo massimo
Simone, è possibile mettere a confronto il gruppetto dei tre grandi Giri?

Tutto dipende da come ci si arriva, fisicamente e mentalmente, soprattutto nella terza settimana, che solitamente è quella con più salite e ha poco da dire al velocista. Forse la terza settimana ha un po’ più di valore al Tour perché c’è l’arrivo dei Campi Elisi che tiene alta la tensione per noi uomini veloci. Quindi la soffri di più, ma con la volata finale di Parigi sei più motivato.

E ci sono delle differenze quindi?

Un po’ sì. Credo che il gruppetto del Tour sia il più duro, quello che richiede più gambe. I motivi principali sono due: tempi massimi, che sono un po’ più stretti, e perché si va più forte. Al Tour chi attacca, anche nelle tappe di salita, è gente come Van Aert, Alaphilippe… Corridori, campioni che vincono le classiche. E quando si muovono loro si sente. Come watt medi necessari per restarci, il gruppetto del Tour è il più difficile.

Quello del Giro?

E’ il gruppetto che conosco meglio, visto che ho disputato quattro volte la corsa rosa. Per un velocista è il più duro mentalmente. Tanto per tornare al Crocedomini di cui parlavamo la sera dell’Aprica: parti e ti trovi di fronte tante salite lunghe, sai che ti aspettano 6-7 ore di processione da solo con la tua bici. Anche se vicino ci sono gli altri. E peggio ancora se resti da solo davvero, se ti stacchi subito. Questo anche perché le salite tendenzialmente sono un po’ più dure. Alla fine infatti il gruppetto del Tour è un po’ più veloce. Su salite più pedalabili riesci a farti compagnia. Il gruppetto del Giro lo definirei di sfinimento.

Il problema maggiore per gli sprinter sono le lunghe salite in avvio. Soprattutto se la tappa è corta
Il problema maggiore per gli sprinter sono le lunghe salite in avvio. Soprattutto se la tappa è corta
Bella questa: gruppetto di sfinimento…

Eh sì. Pensate ai “trittici” del Giro con tappe di 4-5.000 metri ognuna in successione. A livello mentale fai fatica anche a colazione. In quel momento pensi che mangiare 30-40 grammi in meno ti possa aiutare in salita.

E quello della Vuelta? Alcuni tuoi colleghi ci hanno detto che per certi aspetti sia il peggio di tutti visti i percorsi con tante salite sin dal via…

Premesso che la Vuelta è stato il mio primo grande Giro, con poca esperienza e poche gambe, non vorrei dire falsità! Vero, in parte è così: è il peggiore. Il gruppetto della Vuelta è più altalenante. Spesso ci sono salite sin dall’inizio, ma il problema più grande è che con tante salite, in Spagna ci sono meno velocisti. Ed è un gruppetto più risicato. Quando l’ho fatta io per fortuna c’era anche Elia (Viviani, ndr) che aveva i suoi due o tre uomini di fiducia e così mi sono appoggiato a lui. Ed è stato un bel riferimento. Il gruppetto della Vuelta è più difficile da prendere. 

Cosa intendi?

In tanti, anche i corridori veloci, usano la Vuelta per preparare il mondiale, specie se è un mondiale veloce. Così succede che anziché staccarsi nelle tappe dure, provano a tenere sulle prime salite proprio per allenarsi. Quindi nel gruppetto restano in pochi e non si forma subito.

Vuelta 2021, Lagos de Covadonga: in partenza subito grande bagarre. Gli ultimi (i QuickStep di Jakobsen) hanno incassato oltre 45′
Vuelta 2021, Lagos de Covadonga: in partenza subito grande bagarre. Gli ultimi (i QuickStep di Jakobsen) hanno incassato oltre 45′
Insomma, nel gruppetto non si va a spasso…

No, no… In generale il gruppetto più duro è quando non stai bene. Se invece ci sei, se hai la gamba lo tieni benone.

E sta cambiando? Una volta si andava piano in salita e si tirava in pianura…

In linea di massima questo è ancora così. Semmai ho notato che negli ultimi anni i tre grandi Giri si stanno livellando come tipologia di percorsi. La distinzione resta, ma è sempre meno marcata. E anche i corridori sono tutti super preparati. La differenza alla fine la fanno la tua condizione e l’approccio mentale. E in tal senso il Giro è il più duro. Alla Vuelta anche se non c’è la tappa finale in volata, ma c’è la crono, pensi al mondiale. Al Tour c’è lo sprint di Parigi, ma al Giro? Tutta fatica per cosa? L’anno del Covid, che feci Tour e Giro in successione, l’ultima settimana fu devastante, tanto più sapendo che poi sarei andato in vacanza e che la tappa finale era a crono.

Prima hai detto che ti appoggiavi a Viviani. Ci si aiuta?

Al via di un grande Giro, la prima cosa che fa uno sprinter è guardare le squadre degli altri velocisti. E quando, per esempio, al Giro vede una Groupama-Fdj schierata tutta per Demare, da una parte dice: porca miseria, saranno fortissimi! Dall’altra però sa bene che per le tappe di montagna può stare a ruota.

Un velocista sul Mortirolo. La lunga giornata di Consonni

25.05.2022
8 min
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«Una delle mie peggiori giornate di sempre». Si è fatta sera e Simone Consonni dopo la Salò-Aprica è ancora “sotto shock”. Il corridore della Cofidis ha l’aria di chi ha dato tutto su queste montagne e tra queste valli.

Con Simone viviamo la giornata di un velocista sul Mortirolo e non solo… Una giornata lunga, intensa, durissima, ma anche con dei tratti di ironia e divertimento.

Consonni al via da Salò. Sempre sorridente, ma anche un filo di preoccupazione sul sul volto
Consonni al via da Salò. Sempre sorridente, ma anche un filo di preoccupazione sul sul volto

Da Salò…

Tutto era nato alla partenza di Salò, quando gli avevamo chiesto di raccontarci l’approccio a questi 5.000 e passa metri di dislivello.

Simone come si prepara, anche mentalmente, un velocista ad una frazione tanto dura?

Non si prepara – ride Consonni – né atleticamente, né mentalmente. E’ una tappa che deve vivere chilometro per chilometro. Sarà durissima, spero di solo di aver recuperato e di aver superato bene il giorno di riposo. Questo vale per me, ma anche per il gruppo, perché c’è stanchezza. Abbiamo corso per due settimane a ritmi alti. 

Che corsa ti aspetti?

Sarà una lenta e dura processione. Ho montato il 36×32 che non penso servirà, però è lì. Speriamo si formi presto il gruppetto e via. È importante non restare solo in partenza. In tappe così, quando ci troviamo alla partenza tutti noi velocisti ci guardiamo e ci diciamo: gruppetto? E iniziamo a vendere i biglietti per il treno!

Verso il Goletto di Cadino (più noto come Crocedomini) subito gruppo allungato. Si andava forte
Verso il Goletto di Cadino (più noto come Crocedomini) subito gruppo allungato. Si andava forte

All’Aprica

Passa la giornata. Dal caldo e l’afa della pianura, alla pioggia della montagna. Consonni si è lasciato alle spalle Goletto di Cadino, Mortirolo, Teglio e Santa Cristina. Per arrivare all’Aprica ci ha messo oltre 6 ore e mezza, vale a dire 53’11” più di Hirt e ha tagliato il traguardo in ultima posizione. 

Il suo racconto della sera, seduto su una poltrona dell’hotel all’Aprica, è a dir poco coinvolgente.

Simone, ci eravamo lasciati che vendevano i biglietti del treno…

Sì, sono salito su un treno con pochi passeggeri perché è partito al volo. Ho perso la coincidenza. Ho perso il primo treno dei velocisti. La verità è che ho faticato tanto e la prima salita, il Crocedomini, l’ho scollinata spendendo tantissimo. Sono riuscito ad agganciare il gruppetto dei velocisti proprio in cima.

Come mai?

Siamo rimasti in quattro praticamente da subito e quindi è stata una bella agonia. In quella situazione poteva finire molto male. Può sembrare una cosa stranissima, però sono contento di essere ancora in corsa e di ripartire domani (oggi, ndr).

Marc Cavendish era riuscito ad inserirsi nella fuga del mattino e aveva attaccato davanti il Crocedomini
Marc Cavendish era riuscito ad inserirsi nella fuga del mattino e aveva attaccato davanti il Crocedomini
Come hai vissuto dunque la tua giornata con salite così dure?

E’ stata veramente una giornata incredibile: 5.000 metri di dislivello, anzi di più se ci si mette il trasferimento, e quasi sette ore di bici per tenere il gruppetto. Non ci siamo mai fermati perché anche nelle valli abbiamo girato sempre in doppia fila. Poi nel finale ho perso ancora un po’ di tempo, ma sapevo che ormai sarei stato nel tempo massimo. 

Come mai tanta fatica in avvio? Eppure non c’era subito una salita…

No, però siamo andati subito fortissimo. E’ una costante di questo Giro. Passano le ore prima che la fuga vada via. E’ impressionante come il livello del gruppo sia alto. Quindi escono queste partenze incredibilmente veloci. Ho parlato anche con con gli altri del team e anche loro hanno detto che è stata una giornata dove c’è stato poco da rifiatare. 

Non era quindi questione di scaldarsi o meno…

No, e poi il gioco è semplice: le salite mettono ognuno al proprio posto. Quando possiamo tener duro teniamo. Possiamo scaldarci, possiamo fare quello che vuoi, ma il nostro posto è quello.

Prima hai detto: una delle giornate più brutte. Perché?

Perché comunque non sono mai il primo a staccarmi dal gruppo in salita. Invece è stato così. Non so se a causa del giorno di riposo molto blando, ma sicuramente la settimana scorsa ho speso tanto. E anche prima nella tappa di Napoli ho tenuto duro un po’ troppo a lungo. Ho provato ad andare in fuga anche verso Genova.

Cosa hai fatto nel giorno di riposo?

Uscita super tranquilla. Venti chilometri, caffè al bar con i compagni e altri 20 chilometri per tornare in hotel. Ne ho parlato anche con Guarnieri e gli avevo chiesto cosa avessero fatto loro. Jacopo mi ha detto due ore e anche con dei momenti intensi. Io sono rimasto un po’ così – fa una pausa Consonni – ma col senno del poi forse aveva ragione lui. Tutte queste cose messe insieme e il fatto che ci sono queste partenze a tutta, hanno fatto sì che oggi il mio fisico e la mia testa fossero un po’ stanchi. La cosa più rischiosa, e strana, è stato ritrovarsi in quattro. In più una volta ripreso il gruppetto, nel fondovalle dopo il Mortirolo ho anche forato e ho dovuto inseguire a tutta.

Il tempo massimo però era abbastanza ampio (un’ora e un minuto, ndr)…

E infatti sull’ultima salita mi sono staccato dal gruppetto. Anche se non l’ho fatto apposta. Nel senso che il mio limite era quello.

Anche ieri il bergamasco ci ha messo una grinta infinita (foto Getty)
Anche ieri il bergamasco ci ha messo una grinta infinita (foto Getty)
Chi erano gli altri tre che erano con te sul Crocedomini?

Van den Berg, Tagliani e Sinkeldam. Ci siamo fatti compagnia in questa “via crucis” per la prima salita.

E in questi casi come vi gestite? Vi aiutate con i computerini, spingete a tutta…

Ci aiutiamo un po’ tutti con con i potenziometri. Valutiamo i distacchi. E’ un mix di numeri e sensazioni. Nel caso del Crocedomini una volta entrati nel chilometro finale abbiamo visto che c’erano le ammiraglie del gruppo poco davanti a noi. Abbiamo anche ripreso morale e abbiamo fatto una “fiammata” per riprenderli. Se non lo avessimo fatto, nel fondovalle verso il Mortirolo saremmo rimasti soli e saremmo andati a casa. Abbiamo evitato un disastro.

Un mix di numeri e sensazioni…

Sulla prima salita non erano i miei numeri. Il mio fisico era stanco. Capivo che quando ero ad un certo ritmo non potevo andare di più. Cercavo di tenere quel ritmo, pur sapendo che non era altissimo. Ma al tempo stesso non potevo perdere troppo contatto dal gruppetto di velocisti. Le telecamere non lo fanno vedere, però ci sono queste corse nella corsa quotidianamente. Perché alla fine ognuno di noi ha l’obiettivo di giornata e quasi certamente è un obiettivo faticoso, dispendioso ma anche bello da raggiungere. Quando sono arrivato ero contento e soddisfatto di me stesso pur non avendo vinto nulla.

Però come dici te, hai vinto la tua corsa nella corsa: stare nel tempo massimo in una giornata no…

Esatto, pur avendo avuto una bruttissima giornata fisica, come sensazioni, sono riuscito a completare una tappa di 200 chilometri e 5.000 di livello, che per un velocista non è facile.

Un velocista come affronta salite ripide quali Mortirolo e Santa Cristina?

Quando stai bene, chiacchieri e ti godi anche il panorama. Oggi (ieri, ndr) è stato uno sguardo fisso sulla ruota davanti mentre ero immerso nel mio tunnel, nei miei pensieri, nel mio “ma chi me lo fa fare”, nel mio  “ma quando cavolo la finisce la salita”… 

Mentre la maglia rosa stava per scollinare il Mortirolo, il gruppetto dei velocisti con Consonni aveva appena lasciato Monno
Mentre la maglia rosa stava per scollinare il Mortirolo, il gruppetto dei velocisti con Consonni aveva appena lasciato Monno
Il gruppetto spinge forte nei fondovalle, ma anche in discesa?

Sì, sì… tutti nemici! Per fortuna che scendendo dal Mortirolo non è piovuto perché era abbastanza pericolosa, tecnica e veloce. In pianura invece si spingeva. Nel fondovalle verso il Mortirolo ho tirato anche io, mentre verso Teglio no, perché avevo forato.

E tirano tutti, o i capitani i Demare, i Gaviria che hanno i compagni, stanno a ruota?

Tirano tutti, anzi i capitani spesso tirano anche di più.

Eri nelle retrovie e da solo: avevi l’ammiraglia dietro?

No, ma in questi casi si cerca un aiuto. La nostra ammiraglia si è appoggiata a quella Groupama-Fdj. Gli hanno lasciato borracce e anche delle ruote. E infatti anche quando ho avuto il problema meccanico ho avuto l’assistenza da loro.

Quante borracce e quanto cibo hai consumato in una tappa del genere?

Ho mangiato poco a dire il vero. A livello solido solo due rice cake. E poi tanti gel, una decina credo. Quando va così hai poco tempo per mangiare, si parte a tutta, in salita… Che poi a me piace mangiare solido, ma non era possibile. Il gel è più pratico. Di borracce invece credo di averne bevute 15-18.

E il “rampichino”, il 36×32, poi lo hai usato?

Sempre! Solo sulla prima salita non l’ho messo. Anche sul Teglio. A proposito, quando siamo arrivati all’imbocco del Teglio, sulla mappa abbiamo visto il “giro dell’oca” con l’imbocco del Santa Cristina dall’altro lato. Ho pensato: ma non possiamo tagliare!

Verso l’Aprica Simone ha consumato oltre 15 borracce (foto Instagram)
Verso l’Aprica Simone ha consumato oltre 15 borracce (foto Instagram)
Senti, ma Cavendish che è andato in fuga?

Incredibile come va. Lo abbiamo preso sull’ultima salita.

E dopo l’arrivo come ti sei gestito? Cosa hai fatto?

Ho visto alcune persone che conoscevo, che volevano parlare, però è stato un ciao veloce. Infatti quando mi sono ripreso qualcuno l’ho richiamato per scusarmi. Li ho richiamati dopo che mi sono fatto una doccia di un quarto d’ora, passato a fissare il vuoto. Una doccia calda. Mi sono sdraiato mezz’ora. Dopo ho fatto quasi un’ora di massaggio e quindi sono andato a cena.

Cosa hai mangiato?

Pasta al ragù, un assaggino di pizzoccheri… dopo aver speso 6.600 calorie ci sta, coniglio con un po’ di patate e una fetta di torta di mele. E prima di andare a letto, una borraccina di proteine per la notte. Adesso ci si riposa in vista di domani (oggi, ndr).

E anche oggi non sarà facile per Consonni. Tanta salita e soprattutto il Tonale in avvio. «Per la prima volta domani farò i rulli prima del via di una gara su strada. Sarà che devo farne tanti in pista, che quando posso evito. Ma se non faccio così…».

Cofidis Italia festeggia al Giro i 25 anni del suo team

14.05.2022
4 min
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L’edizione 105 del Giro d’Italia, in pieno svolgimento in questi giorni, coincide con un momento davvero speciale nella storia sportiva del Team Cofidis. Sono infatti 25 gli anni di attività svolti ai massimi livelli da parte della formazione transalpina, una delle squadre storiche del ciclismo mondiale. 

Per festeggiare questa importante ricorrenza Cofidis Italia è presente in questi giorni al Giro con il ruolo di Official Sponsor della Corsa Rosa, ma soprattutto con tante iniziative per farsi conoscere dal grande pubblico. Rientra infatti nella filosofia aziendale l’essere vicini, in qualità di partner ufficiale, ai principali eventi ciclistici che si disputano nei Paesi dove il Gruppo è presente. Ne avevamo fatto già accenno in un nostro articolo dello scorso anno in merito al Tour de Pologne con la sponsorizzazione della gara da parte della filiale polacca.

Ricordiamo che il Gruppo Cofidis nasce nel 1982 come società finanziaria a distanza. Oggi è presente in 9 Nazioni con 30 milioni di clienti in Europa. Da oltre vent’anni è presente anche in Italia, offrendo soluzioni di credito studiate per permettere a chiunque di realizzare i propri progetti. Si tratta di soluzioni semplici, innovative e sempre disponibili anche online.

Cofidis ha festeggiato al Giro d’Italia i suoi 25 anni nel professionismo, questo lo stand montato oggi in Piazza del Plebiscito a Napoli
Cofidis festeggia al Giro d’Italia i suoi 25 anni nel professionismo, questo lo stand montato oggi in Piazza del Plebiscito a Napoli

L’importanza della fiducia

Cofidis ha lanciato di recente il payoff “La fiducia in un istante” e proprio il tema della fiducia è alla base del rapporto che instaura quotidianamente con i propri clienti. In Cofidis sono oltretutto convinti che la fiducia sia il collante che tiene unite fra loro le varie componenti di un team ciclistico: atleti, direttori sportivi, meccanici e preparatori. Si spiega anche così il forte legame con il team e più in generale con il ciclismo.

A raccontare qualcosa di più sulla presenza al Giro di Cofidis è Giulia Garlando, Responsabile P.R. e Sponsorship di Cofidis.

«Siamo orgogliosi ed emozionati – dice – di aver siglato la sponsorizzazione di un evento sportivo così importante come il Giro d’Italia. Un’occasione speciale che ci permette per la prima volta di portare il brand Cofidis in giro per l’Italia e raccontarlo dal vivo ai nostri clienti, rafforzando il legame con loro direttamente sul territorio. Un’opportunità per supportare da vicino il nostro Team e far sentire la nostra fiducia nei loro confronti».

Il team francese è presente nel ciclismo maschile quanto in quello femminile
Il team francese è presente nel ciclismo maschile quanto in quello femminile

Ecco il Giro

In questi giorni di pieno svolgimento del Giro è possibile incontrare lo staff Cofidis al villaggio di partenza e arrivo della corsa rosa dove è presente uno stand personalizzato. Qui per i più piccoli, ma non solo per loro, sono stati pensati dei giochi di animazione e la possibilità di incontrare la mascotte Raggio. Per tutti ci sono dei gadget eco-sostenibili in linea con #LikeMyPlanet, il progetto attraverso il quale il Gruppo Cofidis invita le proprie filiali e i propri collaboratori a mettere in atto iniziative finalizzate alla salvaguardia dell’ambiente.

Il tema dell’ambiente e quindi della sostenibilità è molto importante per Cofidis Italia. L’azienda è parte attiva di “Ride Green”, il progetto di sostenibilità promosso dal Giro d’Italia volto alla salvaguardia delle aree toccate dalla corsa. Nato nel 2016, “Ride Green” ha come obiettivo quello di ridurre, attraverso la raccolta differenziata, gli effetti del passaggio della Corsa Rosa sul territorio, tramite una corretta gestione dei flussi dei rifiuti prodotti, ricorrendo a un sistema di tracciabilità. Nelle cosiddette “Green Zone” del Giro è possibile vedere la presenza di Cofidis grazie a una mongolfiera brandizzata.

Simone Consonni è andato a caccia di risultati nelle prime volate di questo Giro d’Italia
Simone Consonni, Cofidis

Non solo Giro

Il Team Cofidis si è presentato al Giro con una formazione di tutto rispetto che ha in Guillaume Martin il proprio uomo di punta. A supporto del francese troviamo i nostri italiani Davide Cimolai, Simone Consonni e Davide Vilella.

Il marchio Cofidis da quest’anno è presente anche nel mondo del ciclismo femminile con un nuovo team nel quale milita la nostra Martina Alzini. Prosegue invece l’attività nel paraciclismo, un settore nel quale il Gruppo Cofidis crede molto fornendo da diverso tempo il suo sostegno concreto.

Cofidis

Corima, la lunga storia del carbonio

05.04.2022
4 min
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L’applicazione del carbonio nel ciclismo e delle materie composite in generale è un’attualità più che mai assodata. Eppure proprio le biciclette in carbonio ed i componenti conservano quella modernità che stimola interesse e curiosità. Sarà per via della leggerezza e per le forme che si ottengono. Sarà per l’evoluzione continua che riguarda proprio il settore dei compositi. Sta di fatto che per buona parte dei ciclisti, il carbonio è sinonimo di performance. Siamo stati a Loriol, nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi, nella sede di Corima, una delle primissime aziende a costruire le ruote in carbonio per la bicicletta, con cui oggi corrono i professionisti dell’Astana Qazaqstan Team e quelli della Cofidis.

Corima a Loriol, la parte produttiva dedicata al ciclismo (@BEN_BECKER)
Corima a Loriol, la parte produttiva dedicata al ciclismo (@BEN_BECKER)

Controlli severissimi

Corima nasce nel 1973, un’azienda dedicata allo sviluppo e alla creazione delle macchine per stampi e tecnologie per le materie composite. La prima ruota in carbonio per la bicicletta è costruita nel 1988. Ora Corima ha due rami d’azienda separati e uno dei due è dedicato in modo specifico al ciclismo. Gli standard produttivi sono elevatissimi e pur avendo una produzione di serie, non possiamo considerare Corima un marchio che produce dei volumi enormi.

Le lavorazioni eseguite a mano e la severità dei controlli ai quali vengono sottoposti le produzioni e i materiali, sono alla base di numeri contenuti della produzione. Anche questo fa parte di un marchio che ha un’elevata considerazione, in termini produttivi e di tecnica.

Il tessuto di carbonio viene tirato all’interno dello stampo (@BEN_BECKER)
Il tessuto di carbonio viene tirato all’interno dello stampo (@BEN_BECKER)

MCC, il fiore all’occhiello

La gamma Corima vede diversi prodotti, tutti accomunati dall’utilizzo del carbonio. L’azienda francese utilizza solo la fibra Pre-Preg, pre-impregnata. Non è utilizzata la fibra secca. Le pelli di composito utilizzate sono conservate nei freezer a circa -22°C e portate all’esterno 24 ore prima dell’utilizzo.

Sono impiegate le fibre 3K, UD e Wowen: ognuna di queste usata in maniera specifica in base alle performances che deve elargire. Basti pensare che una ruota può comprendere fino a 1.000 preparazioni di pelli, tagliate e rifinite.

La categoria MCC è l’apice del listino, non solo per il suo design, ma per la tecnologia che porta con sé. Oltre ai cerchi, sono in carbonio anche i raggi ed è tutto hand made. Per ottenere una ruota Corima MCC (processo completo) sono necessarie almeno 12 ore.

Il parere di Guillaume Martin

Se la collaborazione con il Team Astana prosegue da 12 stagioni, quella con l’Equipe Cofidis ha tempi recenti ed ha preso forma proprio in questo 2022. Siamo andati da Guillaume Martin, assiduo utilizzatore delle ruote MCC e gli abbiamo rubato alcune considerazioni tecniche.

Quale modello di Corima MCC utilizzi, clincher oppure tubolare e quale profilo?

Al Team Cofidis utilizziamo quelle con il cerchio con predisposizione tubolare. Alterno le 32 alle 47, in base al profilo altimetrico della corsa, dando comunque la preferenza alle MCC32 per le tappe di montagna con dislivelli positivi importanti.

Quando hai iniziato ad usare le Corima MCC, hai dovuto cambiare il tuo stile di guida?

Direi proprio di no, ma la grande variabile è rappresentata dal fatto che le MCC, a prescindere che siano le 32 oppure le 47, sono più rigide rispetto alle ruote di pari categoria. Questo fattore comporta inevitabilmente delle differenze quando si guida la bicicletta. Rispondono in modo perentorio alle variazioni di ritmo e sono molto sensibili ai cambi di direzione.

Quali sono le differenze più importanti tra il pedalare su una ruota con la raggiatura tradizionale e una con i raggi in carbonio tipo le MCC?

Mi rifaccio in parte alla considerazione precedente. La grossa differenza è la rigidità, ma anche la prontezza nelle risposte che coinvolgono tutta la bici. Di conseguenza la reattività, a tratti la bicicletta sembra scappare via con un’enorme scorrevolezza. Per me diventano un punto di riferimento sulle salite e nelle tappe dure di un grande giro.

beltrami

Petacchi aveva un chilo in più? Il velocista moderno no

29.03.2022
6 min
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«Per la Sanremo ero più magro, per il resto della stagione invece avevo un chilo e mezzo, due in più. Alla fine io non avevo questa esigenza di essere super tirato. E se scollinavo con un minuto di ritardo in più non mi cambiava molto. La volata della Sanremo è di gambe, non è una di quelle esplosive a 70 all’ora». Abbiamo “girato” questa frase di Alessandro Petacchi, ad un velocista attuale, e che velocista, Simone Consonni.

Consonni (Cofidis) fu terzo a Clermont Ferrand, nel Tour 2020, tappa di 194 chilometri e 2.646 metri di dislivello
Consonni (Cofidis) fu terzo a Clermont Ferrand, nel Tour 2020, tappa di 194 chilometri e 2.646 metri di dislivello

Velocisti più magri

E’ bastato ripetergli questa frase dello spezzino che il campione della Cofidis ha capito al volo l’argomento: oggi è ancora possibile per un velocista potarsi dietro una “zavorra”, benché minima come quella di AleJet?

«Credo – dice Consonni – che negli ultimi anni siano cambiate un bel po’ di cose. Io non ho mai corso con Petacchi e i velocisti della sua generazione e faccio fatica a fare un confronto. Negli ultimi anni non esistono i velocisti super puri di una volta. Oggi per vincere in volata devi andare forte in salita e l’ultima Sanremo ne è stata la dimostrazione. Ha certificato quanto sia importante andare forte in salita.

«I velocisti che sono arrivati davanti sono andati fortissimo sulla Cipressa e sul Poggio».

In effetti sono arrivati all’attacco del Poggio in 24-25 e, tolti due o tre gregari, erano tutti leader. Dentro c’era gente veloce come Demare, Nizzolo, Pedersen, Girmay, Matthews

«In più le corse sono sempre più dure per i velocisti perché gli organizzatori inseriscono sempre più salite. Ormai di veri piattoni ce ne sono uno o due nei grandi Giri. Senza contare che in corsa ci sono corridori fortissimi che fanno “casino” anche quando non te lo aspetti o da lontano. Quindi più che curare lo sprint puro, cerchi di stare attento al rapporto peso/potenza per scollinare nel miglior modo possibile, per risparmiare energie per la volata».

Lo scorso anno a Tignes Demare finì fuori tempo massimo. Essere magri è fondamentale anche per il velocista
Lo scorso anno a Tignes Demare finì fuori tempo massimo. Essere magri è fondamentale anche per il velocista

Coperta corta

«Ed è molto difficile trovare questo compromesso. Tu, velocista, puoi anche essere più magro ma non devi perdere potenza. E’ il “vaso di pandora” del ciclismo moderno… se trovi la soluzione! E non è facile. La coperta è corta: se migliori nel breve, perdi in salita.

«Io per esempio quest’anno ho lavorato di più sulla palestra per migliorare lo sprint. E alla fine nel breve, nella volata, i watt sono gli stessi, ma mi sento meglio in salita. E peso due chili in più!».

Questo a dire il vero, nel caso di Consonni un po’ ci stupisce. Una metamorfosi del genere ce la saremmo aspettata di più lo scorso anno in vista delle Olimpiadi su pista (ricordiamo che Simone fa parte del quartetto d’oro), dove serve più potenza.

«Chiaramente sono due chili di forza e in effetti questo cambiamento è iniziato dallo scorso anno proprio per la pista e poiché ho visto che pagava ho continuato. Come detto i valori sul corto sono più o meno gli stessi, ma mi esprimo meglio sui 10’».

Simone Consonni nelle ultime stagioni ha lavorato molto in palestra per cercare di rialzare lo spunto veloce
Simone Consonni nelle ultime stagioni ha lavorato molto in palestra per cercare di rialzare lo spunto veloce

Questioni tattiche 

Tornando a Petacchi e in parte anche al discorso di Consonni, quel chiletto o due in più portavano ad avere il “vecchio” velocista ad avere un certo spunto. Ma a quanto pare oggi non è possibile. La volata te la devi guadagnare.

«Esatto, te la devi guadagnare – riprende Simone mentre sta facendo i massaggi durante la campagna del Nord – oggi quasi sempre le tappe sono uguali o superiori ai 2.000 metri di dislivello. Lo scorso anno al Giro l’unico piattone fu la frazione di Verona. E questo, insieme alla mania di attaccare di questi fortissimi corridori, cambia le cose per noi. Sarà bello per lo spettacolo, ma meno per noi sprinter!

«Faccio un esempio. Alla Tirreno in una tappa per velocisti Alaphilippe e Pogacar hanno attaccato a 40 chilometri all’arrivo e per noi è stata una sofferenza. Da uno strappo insignificante ne è nata un’azione che è stata quasi da tappa di salita».

Il treno della Saeco, emblema delle volate e dei velocisti degli anni ’90-2000
Il treno della Saeco, emblema delle volate e dei velocisti degli anni ’90-2000

I chilometri finali

E poi – rilancia appassionato Consonni – c’è anche un’altro aspetto che secondo me conta: l’approccio alle volate. Si dice che oggi c’è anarchia nel preparare una volata. Non è più come una volta che i migliori 4-5 velocisti avevano il loro treno e ai meno dieci dall’arrivo tutti si mettevano in fila. Si andava forte, ma regolari (e coperti, ndr). 

«Adesso gli ultimi dieci chilometri sono molto più intensi. Passi da una ruota all’altra. Risali, prendi vento… sono dei salti, degli sprint che richiedono potenza. Sono 10′ molto dispendiosi e se spendi quei watt lì, non ne hai dopo per la volata».

Jakobsen o Cipollini?

Al netto dei percorsi più duri, della mancanza dei treni e di velocisti più magri ci si chiede se gli sprinter di un tempo fossero più forti. O meglio se avessero un picco più alto.

«Rispetto ad altri bambini – conclude Consonni – io seguivo poco il ciclismo, quindi faccio un po’ più di fatica a dare un giudizio, tuttavia da quello che mi dicono gli esperti la nostra spinta media nel corso delle ore di gara è più alta rispetto al passato. E questo toglie lucidità e potenza. Da quello che ho sentito dire una volta le corse erano più controllate e alla fine i velocisti di un tempo credo avessero più potenza nel corto».

Non è mai facile e forse neanche giusto mettere a confronto corridori di epoche diverse. Tuttavia poiché non parliamo di secoli ma di due o tre lustri azzardiamo un “paragone”. Se si mettesse su un rettilineo un Fabio Jakobsen e un Mario Cipollini di allora, quasi certamente Re Leone lo batterebbe allo sprint, ma bisogna vedere se lo stesso Cipollini di un tempo oggi sarebbe in grado di restare in gruppo. Probabilmente i Petacchi e i Cipollini di allora, oggi sarebbero più magri. E quindi con un po’ meno spunto.