Le Olimpiadi di Parigi sono meno lontane di quanto si possa immaginare. Le singole federazioni stanno già lavorando per mettere i propri atleti nelle condizioni ideali per raggiungere il massimo risultato possibile: le medaglie olimpiche. Rientra in quest’ottica l’accordo siglato nei giorni scorsi da USA Cycling con Look e Corima. Per i prossimi sette anni i due brand supporteranno la federazione ciclistica americana fino al traguardo delle Olimpiadi di Los Angeles 2028.
Dettaglio sui pedali Look Keo Blade Track Dettaglio sui pedali Look Keo Blade Track
Un programma ambizioso
L’accordo siglato con Look e Corima rientra in un programma molto importante che USA Cycling ha deciso di mettere in atto per puntare con decisione alle prossime due rassegne olimpiche. Brendan Quirk, CEO di Usa Cycling, non ha mancato di sottolineare le ambizioni della propria federazione.
«Con Look e Corima – esordisce – sappiamo di avere bici, ruote e pedali all’avanguardia che daranno ai nostri ciclisti il vantaggio decisivo di cui hanno bisogno quando sprigionano i watt incredibili che si vedono negli sprint. Siamo entusiasti di questa partnership e non vediamo l’ora di iniziare il percorso che ci attende».
La federazione americana avrà a disposizione il meglio dei prodotti marchiati Look e Corima per la pista La federazione americana avrà a disposizione il meglio dei prodotti marchiati Look e Corima per la pista
Un nuovo tecnico
L’accordo con Look e Corima è stato preceduto da quello con il tecnico Erin Hartwell chiamato a guidare i pistard americani in vista della rassegna olimpica di Parigi. Il nuovo allenatore si è dimostrato entusiasta dell’accordo raggiunto.
« Per anni – racconta – ho osservato con sincera ammirazione le squadre nazionali e gli atleti internazionali che hanno avuto il privilegio di utilizzare le biciclette Look e le ruote Corima ai massimi livelli delle varie competizione. Se mai dovessi assemblare una bicicletta per competere con i migliori del mondo, Look e Corima sarebbero sempre la mia prima scelta».
Questo è il telaio 875 che gli atleti avranno a disposizione nella madison Questo è il telaio 875 che gli atleti avranno a disposizione nella madison
Grande entusiasmo
L’accordo con Usa Cycling è stato fortemente voluto anche da Look e Corima come ci racconta Federico Musi, Ceo di Look Cycle Group: «La partnership con USA Cycling – esordisce – è una tappa importante per entrambi i brand. Siamo entusiasti di sostenere il loro programma di sviluppo. La nostra esperienza tecnica nella produzione di carbonio e nell’aerodinamica aiuterà la squadra statunitense a rincorrere le medaglie ai Giochi di Parigi e a quelli di Los Angeles».
L’obiettivo di Look e Corima è accompagnare gli atleti della federazione ciclistica americana fino alle Olimpiadi di Los Angeles 2028Look e Corima vogliono accompagnare gli atleti del tema Usa cycling fino alle Olimpiadi di Los Angeles 2028
Non solo medaglie
Look e Corima portano in dote alla federazione statunitense una dote di 18 titoli olimpici e 49 medaglie totali da Atlanta 1996 a Tokyo 2020. Cosa più importante è sicuramente la dotazione tecnica che sarà messa a disposizione dei pistard americani: il telaio Look T20, dotato di ruote anteriori Corima Monobloc a 4 e 5 razze, di ruote da corsa Disc C+ e degli esclusivi pedali Keo Blade Track. La squadra avrà a disposizione anche i telai 895 Vitesse, 875 Madison, AL464 e le ruote Corima WS-1.
Il pensiero finale è del tecnico americano Erin Hartwell: «E’ impossibile avere successo in questo sport senza un’attrezzatura di livello mondiale. Il sostegno di Look e Corima mi dà la fiducia che il nostro programma dispone ora dei mezzi tecnici necessari per costruire una squadra in grado di affrontare a testa alta l’élite mondiale del ciclismo su pista».
Che cosa succede nella mente di un atleta alle prese con un grande evento? La confessione di Eli Iserbyt, che ha ammesso di soffrire particolarmente le gare titolate, è una messa a nudo non comune fra i grandi sportivi, eppure abbiamo davanti agli occhi mille e mille casi di grandi atleti che, al momento decisivo, non riescono a cogliere quei risultati che si sono prefissi. Basta tornare alle scorse Olimpiadi, dove anche in casa italiana campioni che sembravano destinati al grande traguardo sono diventati la brutta copia di se stessi.
E’ un problema comune, tra i principali da affrontare nel mondo dello sport, non solo del ciclismo, e di non facile soluzione. Ne abbiamo voluto parlare con una psicologa specializzata in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Manuella Crini, partendo dal caso di Iserbyt come “exemplum” per sviluppare una casistica molto vasta: «Dal suo racconto si evince come lo stato d’ansia in quei casi travolga tutto il resto. E’ come l’interrogazione al liceo che assume contorni talmente ampi emotivamente da farti dimenticare tutto quello che hai studiato. L’ansia mette in moto neurotrasmettitori che possono essere positivi ma anche negativi: quando ci troviamo di fronte a un ostacolo, il nostro corpo produce maggiore cortisolo che serve ad essere maggiormente reattivi, una maggiore quantità di sangue raggiunge la corteccia della promemoria per andare oltre i propri limiti, ma non sempre questo è un bene».
La psicologa piemontese Manuella Crini ci aiuta nell’analisi del confronto con “il” grande eventoLa psicologa piemontese Manuella Crini ci aiuta nell’analisi del confronto con “il” grande evento
Perché?
L’ansia può trasformarsi in paura e la paura può avere come effetto quello di paralizzare le nostre funzioni. E’ un meccanismo animale, nel quale ci sentiamo prede. Questa paura influisce sulla prestazione fisica, ci impedisce di ottenere il massimo dal nostro corpo. Come si vince? Non è facile, ma bisogna riuscire a capire cos’è il meccanismo scatenante, spesso un trauma pregresso se parliamo di uno schema ripetitivo nel tempo. C’è poi un altro fattore inconscio che può influire.
Quale?
Se quel grande traguardo diventa il fine principale della nostra attività, posso anche lasciarlo all’orizzonte, prolungare il “viaggio” prima di arrivare alla meta e quindi perdere piuttosto che vincere per non chiudere quel capitolo, intimorito da quel che verrà dopo. Invece rimango in questa sorta di limbo, continuo a lavorare per arrivarci pensando alla prossima volta.
Eli Iserbyt ci ha confessato le sue difficoltà nelle gare con un titolo in palioEli Iserbyt ci ha confessato le sue difficoltà nelle gare con un titolo in palio
E’ anche vero che, come Iserbyt ci ha testimoniato, nella grande occasione si inizi a pensare troppo all’importanza dell’evento, alla responsabilità…
E’ assolutamente possibile. Noi siamo perfettamente in grado di agire sul nostro cervello e le sue dinamiche, possiamo produrre più o meno serotonina che serve a concentrarsi, così nel caso negativo finiamo per vanificare meno quel che dobbiamo fare per arrivare a quel famoso traguardo. Ci perdiamo. Sentiamo che quell’evento è senza appelli. Ci sentiamo addosso lo sguardo di tutti, pronti a giudicarci se raggiungeremo o meno il determinato risultato.
Quanto influisce l’esperienza, l’età dell’atleta?
Molto, perché per un ragazzo il peso è minore in quanto c’è meno vissuto dietro le spalle. Non c’è per così dire un excursus storico di fallimenti. Con l’andare avanti si ha sempre più il timore che quella sia l’ultima occasione e ancor più questo succede quando il traguardo non è molto ripetuto nel tempo, basti pensare all’Olimpiade che arriva ogni quattro anni. Ciò amplifica quella sensazione di situazione senza appello.
Il mondiale per molti è un peso, ma c’è ogni anno, figurarsi l’Olimpiade, vero test senza appelliIl mondiale per molti è un peso, ma c’è ogni anno, figurarsi l’Olimpiade, vero test senza appelli
Quanto può servire in questi casi la presenza del mental coach?
Tantissimo, ma è un lavoro molto delicato. Bisogna mettersi in gioco, intraprendere un cammino che non sai dove ti potrà portare. Il mental coach ti aiuta ad affrontare la tua attività, a guardare a quell’evento in maniera positiva, ci si lavora sopra ma si possono anche aprire porte delicate. Il soggetto può ad esempio rimettere in discussione tutto il cammino svolto per arrivare a quel momento, perdere la motivazione, scoprire che lo sta facendo non per se stesso ma per gli altri, non per rispondere ai propri reali bisogni. Serve un percorso motivazionale che non si sa dove porterà. Oltretutto, si può arrivare a un punto nel quale la figura del mental coach deve cedere il passo a uno psicologo specializzato: se l’atleta si trova di fronte a questa crisi motivazionale che va al di là dell’evento e mette in discussione la propria attività, avrà bisogno di un supporto personalizzato diverso.
Il mental coach nelle squadre deve lavorare con più persone, questo non rischia in alcuni casi di essere limitante, di non poter dare all’atleta quel supporto di chi avrebbe bisogno?
Rientriamo nel discorso appena fatto. Il mental coach, più che sull’individuo, lavora sul personaggio, non è un terapeuta, ma nel corso delle sedute possono venir fuori aspetti che richiedono la figura di quest’ultimo. Il mental coach può anche trovarsi di fronte a un conflitto d’interessi: è chiamato a esaltare le prestazioni sportive dell’atleta che invece può tendere verso tutt’altra direzione e a quel punto l’etica impone di passare la mano.
La figura del mental coach è ormai diffusa in tutti i team, ma quanto incide sulla prestazione?La figura del mental coach è ormai diffusa in tutti i team, ma quanto incide sulla prestazione?
Il grande evento può diventare un ostacolo anche in corso d’opera? Prendendo sempre Iserbyt come esempio, in fin dei conti pur essendo ancora molto giovane le sue gare titolate e le sue medaglie le ha vinte, soprattutto nelle categorie giovanili…
Sicuramente, può avvenire all’improvviso, nel corso del tempo può anche cambiare la percezione della propria prestazione. Quel che da giovane, nelle categorie avveniva quasi con facilità può diventare difficilissimo fra gli “adulti” e questo accresce l’insicurezza, ci si sente piccoli di fronte a qualcosa di troppo grande. Essere al top è molto stressante, la capacità di gestire questa condizione può fare una grande differenza.
Marino Rosti torna all'Astana per occuparsi di postura, recupero e mental training. Ecco come lavora un mental coach in ritiro. E cosa propone agli atleti
La notizia l’aveva data Tommaso Lupi: sta per nascere la nazionale femminile di Bmx e in squadra ci sarà Gaia Tormena, la “vincitutto” dell’Mtb Eliminator, la specialista della velocità su pista, la ragazza che si divide fra Mtb e strada. Una ciclista dalle mille vite a dispetto della giovanissima età, ma che sta ancora cercando la sua via e chissà che questa non passi per la bici che solitamente si usa agli inizi, ma che lei non conosceva ancora, prima che Lupi gliene parlasse.
«L’idea è nata parlando con lei al Giro d’Onore – ricorda Lupi – e la ragazza l’ha subito accettata con entusiasmo. La sua presenza ha due motivi fondanti: il suo livello tecnico di prim’ordine e la carenza assoluta di praticanti. Avevamo bisogno di un cardine per fondare un nuovo gruppo e lei potrebbe fare al caso nostro».
Gaia, valdostana del 2002, vanta già 2 titoli mondiali e 3 europei nell’eliminator e un europeo junior nella velocità a squadreGaia, valdostana del 2002, vanta 2 titoli mondiali e 3 europei nell’eliminator e un europeo junior nella velocità a squadre
Una bici mai vista prima
C’è solo un piccolo problema: Gaia prima del raduno di febbraio non era mai salita su una Bmx.
«E’ una bici difficile da gestire – è consapevole Lupi – servono ore di pratica per “addomesticarla”, ha una rigidità che non perdona nulla, ma lei lo sa e anzi questo la incuriosisce e motiva ancor di più. E’ chiaro che è un esperimento, non possiamo fare pronostici su come e quando potrà gareggiare, su dove potrà arrivare. Sarà un continuo work in progress, ma noi dobbiamo guardare a un progetto più ampio. Costruire un gruppo solido con il quale puntare alle Olimpiadi, presumibilmente quelle di Los Angeles 2028. Gaia potrebbe essere il riferimento, ma vorrei coinvolgere anche Camilla Zampese, grande talento da giovanissima, che non avendo avversarie era costretta a gareggiare con i maschi fino a perdere motivazione e ritirarsi anzitempo. E’ rimasta ad allenare, sarà utile al progetto».
Già, le Olimpiadi. Per certi versi sono il tormento di Gaia. Considerando la sua giovane età, stiamo parlando di una delle atlete più vincenti dello sport italiano, il problema è che l’eliminator non è disciplina olimpica e non lo sarà (almeno a breve) quindi per coronare il suo sogno bisogna intraprendere un’altra strada e da questo nasce l’idea di provare ogni disciplina.
«Dalle mie parti c’è una pista da Bmx – racconta la campionessa mondiale – ma io l’ho sempre affrontata con la Mtb da cross country. Era divertente, ma so che la Bmx è un’altra cosa».
A Graz (AUT) la Tormena si è ripresa il titolo mondiale perso al fotofinish nel 2020 (foto Uci)A Graz (AUT) la Tormena si è ripresa il titolo mondiale perso al fotofinish nel 2020 (foto Uci)
Solitamente è una bici con la quale si acquisisce confidenza da bambini…
Infatti inizio molto tardi, ma a me piacciono le sfide impossibili, mi butto abbastanza. Dicono che bisogna vincere la paura nell’affrontare quelle piste, ma a me non spaventano. Dovrò prendere la mano con le fasi di volo. Servirà pratica, tanta pratica…
Hai mai visto le gare di Bmx?
In Tv, non dal vivo. Sono spettacolari, ma rispondono abbastanza alle mie caratteristiche, devi essere esplosivo, capace di rilanciare e guidare di continuo. Con l’eliminator i punti in comune non sono poi tantissimi, le gare di Bmx durano molto meno.
Quanto tempo ti sei riproposta di impiegare per prendere confidenza?
Difficile a dirsi, credo che un paio d’anni di pratica, crescendo passo passo, siano necessari, ma questo potrò saperlo solo provando.
Al primo raduno 2022 della Bmx a Vigevano, la Tormena ha fatto le sue prime esperienze (foto Fci)Al primo raduno 2022 della Bmx a Vigevano, la Tormena ha fatto le sue prime esperienze (foto Fci)
E’ una strada nuova verso il tuo sogno olimpico…
Di Olimpiadi mi parlano almeno una volta a settimana… Sicuramente è un sogno, ma non è per questo che non ho ancora trovato la mia strada. Il fatto è che ottengo risultati in tante discipline e questo mi impedisce di scegliere. E’ come se fossi alla stazione, dove ci sono tanti treni in partenza e non so quale prendere…. Devo capire qual è quello giusto per il mio futuro. Quel che è certo è che io voglio correre in bici perché so di farlo bene.
C’è anche la pista…
Sì e non l’abbandono, sia perché mi piace moltissimo, sia perché in questo momento è una strada primaria per coronare il mio sogno olimpico. Ma se devo guardare più lontano, se voglio che il ciclismo sia un mestiere è chiaro che devo pensare alla strada.
Riesci a inserirla nella tua agenda così fitta d’impegni?
Sì, anzi penso che nel 2022 la praticherò di più. A lungo termine solo la strada può garantire un lavoro. Per continuare il mio percorso ho inserito qualche prova italiana, per capire come me la cavo. Su strada ho già corso fino alla categoria allieve 1° anno, dovrò rispolverare le mie reminiscenze su come si sta in gruppo. Penso che inizialmente affronterò qualche gara amatoriale per riprendere confidenza, a fine stagione mi butterò nelle competizioni vere e proprie.
La Tormena fra Lupi e, alla sua sinistra, i collaboratori Juan Diego Quintero e Sebastiano Costa (foto Instagram)La Tormena fra Lupi e, alla sua sinistra, i collaboratori Juan Diego Quintero e Sebastiano Costa (foto Instagram)
Senza dimenticare la “tua” specialità, l’eliminator…
Non potrei mai, è quella che mi ha dato le maggiori soddisfazioni, mi ha fatto conoscere e permesso di girare il mondo. Devo difendere i miei titoli. La riconquista del titolo mondiale è stata una soddisfazione immensa, volevo riprendermi la maglia perché ha un sapore particolare indossarla, sai quanto è bella e quello che rappresenta. Quando ce l’ho indosso sento di contare qualcosa, di dare lustro al mio Paese.
Gaia cerca la sua strada, quella giusta che possa portarla verso i cinque cerchi olimpici. Servirà tempo e pazienza, anche se tutti già sognano di vederla protagonista a Parigi 2024. Il tempo però è tiranno e Lupi getta acqua sul fuoco.
«Alle Olimpiadi si corre nel Supercross, a un livello ancora più alto, con salti di 12 metri… Serve molto tempo per fare pratica e le qualificazioni olimpiche non aspettano. Le capacità tecniche di Gaia non si discutono, ma non dimentichiamo mai che si tratta di un esperimento. Diamole tempo…».
Uno degli aspetti più belli dell’andare in bicicletta è sicuramente rappresentato dal poter pedalare insieme a tutte quelle persone che condividono con noi la nostra stessa passione. Nasce spesso così il desiderio di poter appartenere ad un team con una divisa in grado di unire fra loro persone che magari non si conoscono e renderle parte di una comunità. Con questo spirito è stato creato il Look Club Italia, la community di ciclisti voluta dalla filiale italiana del brand Look.
Look ha creato il “Look Club Italia” una community per tutti gli appassionati di ciclismo Look ha creato il “Look Club Italia” una community per tutti gli appassionati di ciclismo
Tanti vantaggi
Per poter entrare nel Club è necessario possedere una bicicletta Look. Non importa che si tratti di un top di gamma o di una ultima novità. Gli iscritti al club, oltre a sentirsi parte di una vera famiglia sportiva, potranno conoscere in anteprima le novità di prodotto targate Look ed ottenere diversi vantaggi a partire dalla tessera annuale Acsi e al pettorale per la prossima edizione della Gran Fondo Riccione. Gli iscritti potranno inoltre partecipare alle Look Ride, ossia alle pedalate di gruppo che verranno organizzate a partire dalla prossima primavera. In quelle occasioni sarà possibile pedalare con gli ambassador Look. Tra questi troviamo Alice Betto, capace di conquistare il settimo posto alle Olimpiadi di Tokyo 2020 nel Triathlon. Per i membri del club è inoltre previsto un codice sconto personale per poter effettuare acquisti sull’e-commerce di Look.
L’unica prerogativa per entrare nella community è possedere una bicicletta Look L’unica prerogativa per entrare nella community è possedere una bicicletta Look
Un kit speciale
Tra i tanti vantaggi che ci sono nel diventare membro del Look Club Italia va sicuramente segnalata la possibilità di poter usufruire di uno sconto del 50% nell’acquisto della divisa ufficiale del team. Il kit è composto dalla maglia Mondrian, dal pantaloncino Radar e dalla borraccia Look Ride Your Dream.
La maglia è ispirata ad un dipinto ad olio su tela realizzato nel 1919 dal pittore olandese Pier Mondrian. Per gli appassionati di ciclismo la mente va subito alla divisa de La Vie Claire, la formazione voluta a metà anni ottanta da Bernard Tapie con alla guida Bernard Hinault e Greg Lemond. La maglia è stata realizzata con un tessuto morbido ed elastico che si adatta perfettamente al corpo. La presenza di una cucitura termolegata nella parte anteriore del corpo impedisce fastidiosi sfregamenti.
La community è anche social, con i canali Instragram e Facebook La community è anche social, con i canali Instragram e Facebook
Alla maglia è abbinata la salopette Radar di colore nero, progettata per garantire il massimo del comfort. La pelle scamosciata ad alta densità e memoria di forma assicura una posizione in sella sempre confortevole. Il tessuto microforato è traspirante per mantenere fresco il corpo durante tutta l’uscita. Le cuciture ridotte al minimo e il taglio laser aiutano a prevenire sfregamenti o irritazioni della pelle.
Per i membri del Look Club Italia, il costo dell’intero kit, comprensivo della borraccia dedicata “Ride Your Dream”, è di 180euro.
Dopo 9 anni di collaborazione con Colnago, il Team Gazprom RusVelo passa alle bici Look. Ci sono i freni a disco, tanta tecnologia e ampia scelta di materiali
Si chiamano Apollo 15, e rappresentano uno dei modelli di punta della gamma di occhiali sportivi proposti sul mercato da Cosmonauts. Considerando le caratteristiche e la funzionalità di questo prodotto – “in gara” anche alle recenti Olimpiadi di Tokyo 2020, in quanto indossati dalla bella pentatleta della nazionale russa Ulyana Batashova – possiamo affermare con certezza che la gamma Cosmonauts rivolta in modo particolare a chi pratica ciclismo è adesso davvero completa.
La campionessa russa Ulyana Batashova ha sfoggiato gli Apollo 15 nelle recenti olimpiadi di ToykoLa campionessa russa Ulyana Batashova ha sfoggiato gli Apollo 15 nelle recenti olimpiadi di Tokyo
Montatura performante
Apollo 15 rappresentano un modello di occhiale decisamente innovativo, la cui montatura è realizzata mediante l’impiego di materiale ecosostenibile TR90 Grilamid che conferisce all’occhiale stesso sia leggerezza che resistenza. Questo risultato rappresenta un connubio speciale dal quale si ottiene sicuramente sia una preziosa flessibilità, che garantisce agli Apollo 15 la massima sicurezza, quanto una grande resistenza anche in caso di caduta. Un’altra caratteristica tecnica che da subito ha attirato la nostra attenzione è il sistema di fissaggio delle lenti che è a calamita. Questo espediente è estremamente facile da mettere in pratica e consente di sostituire molto comodamente le lenti.
Nasello confortevole e lenti top per una visibilità senza eguali
La montatura realizzata in TR90 Grilamid garantisce leggerezza e resistenza
Nasello confortevole e lenti top per una visibilità senza eguali
La montatura realizzata in TR90 Grilamid garantisce leggerezza e resistenza
Lente top
Proprio la lente, denominata Flash e dalla forma cilindrica, è realizzata in policarbonato e rappresenta il vero punto di forza degli Apollo 15. Quest’ultima è un vero e proprio concentrato di tecnologia e di innovazione. Proprio l’incredibile resistenza agli urti e al calore è la dimostrazione palese di quanto impegno si celi nella realizzazione di questa lente. Ma non finisce qui, tra le altre caratteristiche degne di nota di questo occhiale sportivo riscontriamo anche aspetti importanti quali l’alto indice di rifrazione ed il trattamento “antiscratch” che aumenta sensibilmente la vita della lente. Molto elevata è anche la qualità ottica che garantisce una visibilità ampia e nitida in qualsiasi condizione meteorologica. E per proteggere gli occhi dalle radiazioni nocive, Cosmonauts ha pensato bene anche di applicare alla lente un filtro anti raggi UV.
Nasello grippante
“Last but not least” direbbero gli inglesi, anche il comfort rappresenta un’altra caratteristica di cui tener doverosamente conto parlando degli Apollo 15. Quest’ultimo è garantito innanzitutto dall’alta qualità dei materiali citati in precedenza, ma anche dal nasello realizzato mediante materiale grippante per così poter conferire a questi occhiali la massima aderenza, evitando spiacevoli scivolamenti verso la punta del naso, e permettendo così all’atleta di rimanere concentrato in qualsiasi frangente dell’attività in sella.
Il prezzo consigliato al pubblico degli occhiali Cosmonauts Apollo 15 è di 139 euro, mentre il peso (piuma) complessivo è di appena 33 grammi.
Sarebbe cambiato qualcosa se Annemiek Van Vleuten avesse saputo che là davanti c’era ancora Anna Kiesenhofer? Avrebbero inseguito in modo più organizzato ed incisivo? Probabilmente sì. Quando corri senza radioline e se le lavagne in strada non sono infallibili o tu non ci presti attenzione, cose del genere possono succedere. Nella corsa scombinata delle olandesi, a ben vedere l’errore più marchiano è stato non rendersi conto che là davanti fosse rimasta proprio l’atleta della prima fuga. Colei che l’aveva ispirata in partenza e di lì a 137 chilometri l’avrebbe portata vittoriosamente a temine.
«Non lo sapevo – ha detto l’olandese rendendosi conto che il suo festeggiare sulla riga entrerà nella gallery delle gaffe – ho sbagliato. Non lo sapevo».
Le ha fatto eco di lì a poco la collega di nazionale Anna Van der Breggen, campionessa uscente: «Non lo sapevo neppure io – ha detto – quando Plichta e Shapira sono state riprese, pensavo stessimo correndo per l’oro».
Questo l’arrivo… giusto di Anna Kiesenhofer…
E questo quello… sbagliato di Annemiek Van Vleuten
Questo l’arrivo… giusto di Anna Kiesenhofer…
E questo quello… sbagliato di Annemiek Van Vleuten
Olanda confusa
Tutte aspettavano loro, non c’è da meravigliarsi che le abbiano lasciate fare. Con la fuga di Kiesenhofer, Carla Oberholzer, Vera Looser, Omer Shapira e Anna Plichta che è arrivata ad avere anche 11 minuti di vantaggio, le arancioni si sono messe a fare un’insolita melina. Quando però è stato chiaro che il rischio si stesse facendo troppo alto, Anna Van der Breggen ha dato il primo segnale di risveglio, anche se per aspettare la Van Vleuten caduta, la squadra dei Paesi Bassi ha dovuto rialzarsi. I successivi 13 chilometri di stanca hanno dato probabilmente la prima svolta alla corsa. E se davanti la fuga si andava assottigliando, non sono stati gli scatti di Vollering, poi ancora Van der Breggen e infine di Van Vleuten a darle il colpo di grazia. Con il risultato che Anna Kiesenhofer è transitata sul traguardo sfinita e incredula, mentre Annemiek Van Vleuten e la splendida Elisa Longo Borghini si sono aggiudicate argento e bronzo. Avrebbero corso diversamente le ragazze olandesi, sapendo che davanti c’era ancora l’austriaca? Probabilmente sì.
Anna Kiesenhofer ha portato via la fuga e l’ha condotta al traguardo: oro olimpico
Nella fuga del mattino viaggiavano Kiesenhofer, qui davanti, Oberholzer, Looser, Shapira e Plichta
Anna Kiesenhofer ha portato via la fuga e l’ha condotta al traguardo: oro olimpico
Nella fuga del mattino viaggiavano Kiesenhofer, qui davanti, Oberholzer, Looser, Shapira e Plichta
Grande cuore Longo
Elisa si è mossa quando ha capito che stavolta l’affondo della Van Vleuten era giusto per andare al traguardo. Mentre le ragazze erano impegnate nel Giro d’Italia Donne, vinto il Fiandre e la Valenciana, Annemiek era uscita dai radar. Veniva però avvistata quotidianamente sullo Stelvio, con tanto di allenamenti assieme ai professionisti che le capitava di incontrare. I racconti da Livigno avevano prodotto il fondato timore che a Tokyo sarebbe stata imprendibile.
«Ho corso più di cuore che di gambe – racconta Longo Borghini, arrivata a 14 secondi dall’olandese – oggi ho sofferto particolarmente per il caldo. Le olandesi hanno lasciato sfuggire questa ragazza austriaca a cui vanno i miei complimenti. Non ho capito la loro tattica, ma ho pensato a fare la mia corsa. La responsabilità dell’inseguimento era delle olandesi, non certo mia o di Marta (Cavalli, ndr) che non siamo veloci. La mia continuità di rendimento? L’avevo spiegato anche alla vigilia: io lavoro, metto giù la testa e faccio sacrifici che a volte vengono ripagati. Oggi va bene così, va molto bene! Nel finale Van Vleuten ci ha provato di nuovo e io non sono riuscita a tenerla. Questo risultato è frutto del tanto lavoro, sono abituata fare così. La medaglia è per la mia mamma, il mio papà, mio fratello, i miei nipoti e il mio fidanzato. Perché abbiamo fatto tanti sacrifici insieme e loro non mi lasciano mai sola».
Marta Cavalli, 23 anni, 8ª al traguardo nel gruppetto della VosMarta Cavalli, 23 anni, 8ª al traguardo nel gruppetto della Vos
Conferma azzurra
La tattica delle italiane, che sono riuscite a piazzare Marta Cavalli fra le prime dieci, ha funzionato meglio di quella adottata ieri dagli uomini di Cassani.
«L’Italia ha gareggiato con lucidità e pazienza – ha detto il cittì Salvoldi – in una corsa particolare come l’Olimpiade. Noi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Ci sarà una squadra piuttosto rammaricata questa sera. Brava alla vincitrice Kiesenhofer che non ha rubato nulla. Noi siamo felici di esserci confermati».
Anche in questo caso, il riferimento all’Olanda è palese. Va detto che il risultato delle arancioni è stato migliore del nostro, ma certo se parti per riempire il podio, non sarà certo l’argento di van Vleuten a poterti bastare.
Cavalli fra le 10
Marta Cavalli si è divertita. Dalle sue parole traspare anche questo, come è possibile divertirsi nelle prime Olimpiadi della carriera ad appena 23 anni. Era lei, dopo la Longo, la più forte in salita e si è ben difesa.
«Correre questa gara – ha commentato – è stata un’emozione indescrivibile. La mia preparazione non è andata proprio liscia: ho avuto qualche intoppo e questo ha messo in dubbio la mia convocazione. Fortunatamente Dino Salvoldi e la nazionale hanno avuto fiducia in me, permettendomi di vivere questo sogno a 23 anni. Nonostante la mia gara non sia stata eccellente rimango soddisfatta. Aver portato a casa una medaglia con Elisa è un valore aggiunto: il livello qui è altissimo e il risultato ci ripaga di tutto. Me la sto godendo fino all’ultimo».
Sul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davani a Van Vleuten e Longo BorghiniSul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davani a Van Vleuten e Longo Borghini
Bastianelli gregaria
Marta Bastianelli è stata a lungo additata per la sua convocazione, subendo battute poco simpatiche. Lei avrebbe dovuto fare la volata in caso di arrivo di gruppetto alle spalle dell’olandese di turno. Invece ha lavorato con grande generosità per la Longo Borghini e ne rivendica il peso.
«Una bella gara – commenta – e sono veramente felice per il risultato di squadra. Visto come si era messa la corsa non pensavamo nemmeno più di riuscire a finalizzare il lavoro nel migliore dei modi. Il caldo non ha aiutato: ci ha spente un po’ nel finale dopo aver sofferto molto. Abbiamo però visto quanto Elisa stesse bene, cercando di portarla avanti verso lo strappo dove poi lei ha attaccato, dando il massimo per rimanere unite. E’ stata un’esperienza anomala, sia per quanto riguarda il contesto del Villaggio sia per come poi è andata la corsa. Siamo rimaste tutte sorprese dalla fuga, ma avevamo bene in mente che l’Olanda fosse la squadra da battere, per cui dovevamo solo rimanere unite e giocarcela nel circuito ».
Selfie time, però manca Marta Cavalli
Il momento delle feste dopo il podio, per il presidente Dagnoni, Bastianelli, Longo Borghini e Paladin
Selfie time, però manca Marta Cavalli
Il momento delle feste dopo il podio, per il presidente Dagnoni, Bastianelli, Longo Borghini e Paladin
Fatica Paladin
L’altra debuttate di casa azzurri era Soraya Paladin, che dopo la convocazione si era un po’ eclissata, al punto da farci credere che si stesse preparando al meglio lontana dai riflettori, mentre forse la rincorsa alla maglia azzurra l’aveva logorata oltremodo.
«Non stavo benissimo – ha detto – quindi ho cercato di mettermi a disposizione delle compagne, nettamente più in forma di me. Quando ho tagliato il traguardo e ho visto il terzo posto di Elisa è stata un’emozione incredibile. Se lo merita. Correre un’Olimpiade è bellissimo perché quando crei così tanto entusiasmo è sempre un onore e un orgoglio».
Stasera per Elisa Longo Borghini non mancherà un passaggio a Casa Italia, poi però sarà di nuovo tempo di rimettersi a testa bassa per cercare nuova concentrazione. La cronometro infatti bussa già alla porta.
Un podio regale per la corsa ai cinque cerchi. Con una cornice da favola come quella del Monte Fuji, che ha fatto capolino tra le nuvole proprio al termine della sfida olimpica, non poteva non essere una gara da ricordare. Non lo è stato, ahinoi, per l’Italia, ma per Richard Carapaz che si è goduto il primo boato dei Giochi di Tokyo 2020.
All’autodromo Fuji Speedway, infatti, le porte erano aperte per gli spettatori giapponesi, che hanno popolato le tribune del rettilineo finale, per gustarsi la seconda medaglia d’oro di sempre dell’Ecuador (la prima nel ciclismo) grazie all’acuto della Locomotiva del Charchi.
L’arrivo di Carapaz fra il pubblico: l’oro olimpico è il suo. Ecuador in festaL’arrivo di Carapaz fra il pubblico: l’oro olimpico è il suo. Ecuador in festa
Carapaz nella storia
Ecco la sua emozione, una volta che se l’è messa al collo: «È stata una giornata un po’ pazza. Una corsa dura, io ho avuto pazienza e aspettato il mio momento, poi ho trovato sulla mia strada un buon compagno di fuga (lo statunitense McNulty, ndr) e le gambe dei giorni migliori. Quando siamo arrivati ad avere 20” di vantaggio sugli inseguitori, sapevamo che erano in ballo le medaglie così ho dato il massimo. Una volta entrato nell’autodromo non mi sono mai voltato. C’erano tanti corridori buoni dietro, quindi ho pensato solo ad andare a tutta. In Ecuador saranno impazziti». Una festa destinata ad echeggiare fino al suo ritorno il patria.
E una festa che è già iniziata, almeno sui social. Il presidente dell’Ecuador, Guillermo Lasso, si è subito complimentato su Twitter esprimendo un senso di grande orgoglio. E anche le altre zone ecuadoriane lo hanno fatto: dal Charchi (la sua provincia) al Macará, dalle Ande all’Amazzonia e persino alle Galápagos.
Van Aert è stato colui che più di tutti ha lavorato per chiudere su Carapaz e McNultyIl belga Van Aert ha lavorato più di tutti per chiudere su Carapaz e McNulty
Van Aert, ancora secondo
Al traguardo della prova in linea, situato nella prefettura di Shizuoka, si è respirata finalmente aria olimpica, dopo giorni in cui il pubblico era stato costretto a vedere le competizioni solamente in tv. In questa zona, infatti, il numero di contagi è decisamente più basso rispetto all’area di Tokyo e così si sono potute aprire le porte agli spettatori locali. Sorrisi nascosti dalle mascherine, bambini che corrono felici nel lungo corridoio antistante alle tribune: immagini che restituiscono uno sprazzo di normalità in questa situazione d’incertezza che ormai ci avvolge da più di un anno e mezzo. Un regalo del ciclismo all’Olimpiade.
Applausi per tutti, anche per i corridori più attardati, anche a meritare le urla più calorose, insieme, al trionfatore in solitaria, sono stati altri due grandi protagonisti del Tour de France, che si sono dati battaglia fino all’ultimo millimetro, a suon di colpi di reni. A spuntarla è stato il belga Wout Van Aert, arrabbiatissimo al traguardo per un altro argento proprio come lo scorso anno al Mondiale vinto da Julian Alaphilippe.
«Corro sempre per vincere – ha detto il belga – ma sono molto più felice che a Imola. Ho sempre un argento al collo, ma una medaglia olimpica ha un peso decisamente più importante di una mondiale. Oggi ho trovato sulla mia strada un ragazzo più forte, io ho fatto del mio meglio, fino allo sprint finale».
Ci riproverà tra tre anni a Parigi, qualunque sarà il percorso, considerata la sua poliedricità. D’altronde, Wout ha già dimostrato che la capitale francese e i suoi Campi Elisi gli piacciono proprio. Prima però l’attende la prova contro le lancette: «Per mercoledì penso di avere buone possibilità. Dopo il Tour de France, ho recuperato, mi sono adattato al fuso orario e al caldo, quindi anche nella prova contro il tempo punto al massimo risultato possibile». Top Ganna è avvisato.
Al termine della volata, Pogacar allunga il braccio verso Van Aert (che risponde all’abbraccio). Sono stati i più attiviAl termine della volata, Pogacar allunga il braccio verso Van Aert (che risponde all’abbraccio). Sono stati i più attivi
Dal giallo al bronzo
Si è arreso al fotofinish, ma era contento del bronzo conquistato, invece, il padrone degli ultimi due Tour, Tadej Pogacar. L’incredibile sloveno ha corso come sempre all’attacco, dando spettacolo ed è stato ripagato, dimostrando di essere sempre più anche un uomo da corse di un giorno.
«Sono felicissimo per il terzo il posto – ha detto Pogacar – perché ho dato il massimo. Sono super, super contento di essere stato in grado di salire sul podio dei Giochi Olimpici. Ho attaccato da lontano perché mi sentivo bene, sono scattato senza pensarci troppo e un attimo dopo mi sono pentito. Ho pensato: ma quando finisce questa salita? Ad ogni modo non ho rimpianti, con il mio forcing ho selezionato il gruppo dei migliori con cui me la sono giocata fino alla fine, quindi va bene così».
Cavendish con il record delle vittorie. Evenepoel spinto dalla stampa e dati tifosi belgi. Tutti vogliono essere come Merckx. Ma lui "apre" solo a Pogacar
Era il 2 agosto del 1992. Annalisa era ferma con sua mamma, i suoceri e la banda di Albese ai 200 metri dal traguardo. Fabio si era infilato nella fuga con Dekker e Ozols e alla ragazza bastò uno sguardo per capire che avrebbe vinto lui. Barcellona riardeva di un caldo africano. I tre azzurri portati da Zenoni indossavano un completo celeste fatto proprio per respingere i raggi del sole. Mancavano pochi chilometri alla fine delle Olimpiadi di Barcellona e per l’ultima volta nella storia del ciclismo, erano in corsa i dilettanti.
Adesso fai un bel respiro e dimenticati del resto. Il Tour del 1995 è lontano dal venire, scaccia via quelle immagini e torna a quando Fabio era un ragazzo di 22 anni in un gioco così grande da fargli tremare i polsi. Sarà meglio chiudere gli occhi, c’è troppa luce oggi in questa stanza.
Prima della partenza con il cittì Zenoni. Nell’Italia corrono anche Gualdi e Rebellin. Barcellona dista 20 chilometriPrima della partenza con il cittì Zenoni. Nell’Italia corrono anche Gualdi e Rebellin
«Per dirgli che lo avevano convocato – ricorda – lo chiamarono a casa mia. Era venuto giù per la corsa di Sant’Ermete, la Coppa della Pace, e l’aveva vinta. Probabilmente lo chiamarono a casa sua e i genitori diedero il nostro numero. Delle Olimpiadi si parlava dall’inizio dell’anno, ma sembravano lontane e irraggiungibili. Poi cominciò a vincere, ma continuava a dirmi che tanto avrebbero portato Bartoli…».
Una gran bella persona
Annalisa racconta. I quasi trent’anni per certi versi sono stati pesanti come un supplizio, perché la vita ha presentato un conto pesante e ingiusto, ma adesso voltandosi sembra che siano volati.
«Chi era Fabio? Per me era una gran bella persona – dice – l’ho conosciuto a vent’anni. Non mi va più di tanto di santificarlo, perché abbiamo tutti i nostri difetti e allora ne avevamo anche di più, legati alla nostra età. Ma era una gran bella persona. Insomma, era l’amore mio…».
Casartelli entra nella fuga e la alimenta: in caso di volata è il favoritoCasartelli entra nella fuga e la alimenta: in caso di volata è il favorito
Tre azzurri in ritiro
Il 1992 era iniziato a suon di vittorie, dalla Montecarlo-Alassio a Soprazocco, passando per Trieste. Impossibile lasciarlo a casa e Zenoni non si pose affatto il problema. A Barcellona sarebbero andati Gualdi, Rebellin e Casartelli. Per l’esclusione di Bartoli saltò l’ammiraglia di Daniele Tortoli, ma questa è un’altra storia e ancora una volta si tratterebbe di parlare di amici che non ci sono più.
I tre ragazzi volarono a Igualada, una cittadina a 70 chilometri da Barcellona e a 20 dal circuito olimpico. Zenoni li raggiunse assieme a Peron, una volta disputata la 100 Chilometri che vide la vittoria della Germania e l’argento degli azzurri, con Anastasia, Contri, Colombo e il varesino che avrebbe fatto la riserva su strada.
«Fabio era in camera con Rebellin – ricorda Gualdi – io ero da solo, ma era più il tempo che eravamo tutti e tre sullo stesso letto a chiacchierare, di quello che passavamo separati. Eravamo tranquilli, con il massaggiatore Benazzi e Fossa il meccanico. Zenoni era solito farci fare la dieta dissociata. Quattro giorni senza carboidrati, poi l’inversione e tre giorni di carico. Ricordo che nel giorno dell’inversione eravamo in allenamento e Fabio andò in crisi di fame e io con lui. Passammo dall’avere sensazioni fantastiche al non andare avanti. Mi ricordai che la stessa cosa mi era successa due anni prima quando vinsi il mondiale in Giappone. E così cominciai a dirgli di non preoccuparsi, di buttare via i pensieri cattivi».
Quando i due tornarono in hotel, Zenoni quasi li festeggiò per essere riusciti a svuotarsi così bene da ogni zucchero e poi raccomandò loro di darci dentro con i carboidrati. Quando Fabio si infilò nella fuga con quei due, benedisse quel carico di carboidrati e si mise a pensare al modo per vincere la corsa.
Fabio vinse facilmente in volata su Dekker e OzolsFabio vinse facilmente in volata su dekker e Ozols
Sotto al podio
Adesso fai un bel respiro e dimenticati del resto. Il Tour del 1995 è lontano dal venire, scaccia via quelle immagini e torna a quando Fabio era un ragazzo di 22 anni in un gioco così grande da fargli tremare i polsi. Sarà meglio chiudere gli occhi, c’è troppa luce oggi in questa stanza.
«Ero partita da Albese con la mia mamma – ricorda Annalisa – e con i tifosi, tutti sullo stesso pullman. Mi ricordo che la mattina della corsa, riuscii a vederlo prima che partisse. Mi ero portata un televisorino con l’antenna, mi sentivo una privilegiata, anche se perdeva sempre il segnale. Ero ai 200 metri e quando vinse feci di tutto per scavalcare le transenne, ma non volevano lasciarmi passare. Continuavo a dire di essere la morosa, ma quelli in spagnolo cosa volevate che capissero? Finché in qualche modo riuscii a raggiungerlo. Fabio mi abbracciò. Mi guardò. E mi disse: “Hai visto cosa ho combinato?”. Ridevo e piangevo, non capivo…».
Fabio salì sul podio con la maglia di Gualdi, perché la sua si era strappata. In quelle Olimpiadi a pane e salame, il podio si fece subito dopo la gara, senza neppure dare ai corridori l’occasione di cambiarsi.
Sul podio di Barcellona, il suo bellissimo sorriso di sempreSul podio di Barcellona, il suo bellissimo sorriso di sempre
Il biglietto di Rebellin
Il segno dei tempi. Immaginate ora la compagna del campione olimpico che scavalca le transenne e lo raggiunge prima del podio. Ma successe di peggio…
«Dopo la premiazione andai in albergo -ricorda – e venne fuori il discorso di come sarei tornata a casa. Il pullman stava per ripartire e siccome Rebellin sarebbe tornato con i suoi, avrei potuto prendere il suo biglietto. Vi immaginate a farla oggi una cosa del genere? Io sono una attenta alle regole, Fabio invece diceva che se ci avessero fatto storie, avrebbe tirato fuori la medaglia d’oro e ci avrebbero fatto passare, ma nessuno ci chiese niente. Insomma, dovevo restare su per pochi giorni e rimasi più a lungo con lui. Non avevo vestiti di ricambio. E quando sbarcammo all’aeroporto, indossavo i suoi pantaloncini corti e la maglietta della nazionale. Pensate come mi sentii quando si aprirono le porte e ci trovammo davanti giornalisti e fotografi. Già ero timida in modo imbarazzante, immaginate come mi sia potuta sentire. In realtà era timido anche Fabio e tutto questo essere chiamato alle feste, per le interviste e le foto, inizialmente gli piaceva. Poi in autunno un giorno sbottò e cominciò a dire basta».
La città di Forlì nel 2016 ha dedicato a Fabio una pista ciclabile. Sul pannello la foto di Barcellona 1992. Nella foto, Annalisa e MarcoLa città di Forlì nel 2016 ha dedicato a Fabio una ciclabile. Nella foto, Annalisa e Marco
Matrimonio nel 1993
Un giorno si ritrovarono ospiti del Pavarotti & Friends, a tavola fra il Maestro e sua moglie. «Dio che imbarazzo – ricorda Annalisa – non riuscivo neanche a divertirmi, anche se mi resi conto che Pavarotti era una persona normale con cui parlare. Quando eravamo soli però ci divertivamo come matti. La vittoria non lo aveva cambiato, è sempre rimasto lui. Io a dire il vero cominciai a pensare che con tutte quelle miss intorno, sarebbe finito tutto e glielo dissi. Mi guardò e mi disse: “Sei matta?”. L’anno dopo ci sposammo e non perché fossi incinta, come disse qualcuno. Ma solo perché lui era ad Albese e io a Forlì, troppo lontano per continuare a viaggiare. L’ho imparato a mie spese quanto sia cattivo il chiacchiericcio delle persone. Così come mi resi conto di quanti migliori amici saltarono fuori dopo la vittoria delle Olimpiadi. Gente che magari non avevamo mai visto e veniva a raccontare chissà cosa…».
Il 29 giugno 2021, laurea con lode per Marco Casartelli, a destraIl 29 giugno 2021, laurea con lode per Marco Casartelli, a destra
Gli eroi son tutti giovani e belli
Fabio se ne è andato il 18 luglio del 1995, ma in qualche modo è come se fosse ancora con noi. Rivive ogni volta che incrociamo lo sguardo o le parole di Annalisa e rivive nelle espressioni di suo figlio Marco che quel giorno non aveva che pochi mesi, mentre oggi si è laureato ed è un giovane uomo pieno di vita e di sogni. Il mondo è cambiato, le Olimpiadi sono cambiate e gli eroi di adesso fanno sembrare quelli di ieri come personaggi di film in bianco e nero. Eppure a noi piace pensare che Fabio sia ancora vivo. E anche se Annalisa è grande fan di Ligabue e grazie a Ligabue è riuscita a lasciarsi indietro grossi pezzi di dolore, pensando a Fabio a noi piace pensare alla strofa di un altro grande emiliano, più serio, con la barba e la erre moscia.
Fai un bel respiro e dimenticati del resto. Scaccia via quelle immagini e torna a quando Fabio era un ragazzo di 22 anni. Chiudi gli occhi, c’è troppa luce oggi in questa stanza. Ascolta la chitarra. «Ma nella fantasia ho l’immagine sua, gli eroi son tutti giovani e belli, gli eroi son tutti giovani e belli, gli eroi son tutti giovani e belli».
Pochi giorni, anzi poche ore e si assegnerà il titolo olimpico della prova su strada. Alcuni favoriti e molti outsider: Tokyo è pronta. Il percorso giapponese si annuncia molto duro: 234 chilometri e 4.800 metri di dislivello.
Messa così si potrebbe dire: “scalatori avanti”. Ma poi si è visto come spesso percorsi che sembrano tanto impegnativi tendano a bloccare la corsa e di fatto a rimescolare le carte. Questo per dire che in una gara di un giorno tutto può succedere e sì, ci può essere una lista di favoriti, ma questa può essere ampia. E allora andiamoli a vedere chi sono questi “favoriti”. Partiamo dalle squadre che, oltre all’Italia, possono schierare cinque atleti. Parliamo di Spagna, Francia, Belgio, Olanda.
L’altimetria della gara in linea di Tokyo 2020L’altimetria della gara in linea di Tokyo 2020
Il gioiellino della Deceuninck-Quick Step ha puntato moltissimo su questo evento. Ci ha lavorato in modo meticoloso, è stato in altura a Livigno ed è stato il primo a partire del contingente di Bruxelles. E Wout… vabbé lo abbiamo lasciato che sfrecciava sui Campi Elisi. Esce da un Tour formidabile. Se riuscirà ad avere la stessa condizione… sono dolori. Anche perché abbiamo visto che il dislivello, se distribuito in un certo modo, cioè senza la salita finale, lo sa gestire benissimo a fronte della sua stazza. Sa essere competitivo. Anzi vincente. La tappa del Ventoux insegna. Forse è proprio Waut il pericolo numero uno.
Van Aert ha mostrato enormi doti anche in salita. E in volata…Van Aert ha mostrato enormi doti anche in salita. E in volata…
Olanda, quel Mollema…
I tulipani anche non se la passano male. Non sono allo stesso livello di Remco e compagni, ma c’è un corridore come Bauke Mollema che sa attaccare, sa soffrire e sa cogliere le occasioni. Certo, scappare ad un Laigueglia o in una tappa di un grande Giro non è come farlo in una corsa tanto importante, ma parliamo pur sempre di un atleta che ha vinto il Giro di Lombardia. E vedendo l’altimetria ci sembra proprio una corsa da Mollema.
I suoi compagni? Kelderman, Havik, Van Baarle e Dumoulin… Tom è sempre Tom, però lui ci è sembrato molto più concentrato sulla cronometro e dovrebbe pagare il poco ritmo gara che ha. Mentre Wilco, è un corridore di fondo, ma che non ha mai mostrato grandi acuti.
Quest’anno per Mollema due vittorie: il Laigueglia (in foto) e una tappa del TourQuest’anno per Mollema due vittorie: il Laigueglia (in foto) e una tappa del Tour
Francia, che autogoal
Qui si potrebbe fare un pezzo solo sul perché non abbiano portato Alaphilippe? E infatti lo abbiamo fatto! Tokyo 2020 era per il campione del mondo. L’identikit perfetto per questo tracciato. Ma Voekler, cittì dei galletti, suo malgrado ha incassato il due di picche da Julian. E la sua nazionale perde molto.
In Giappone ha portato Gaudu, Elissonde, Martin, Cavagna e Cosnefroy. Ad esclusone di Cavagna, tutti loro hanno disputato il Tour e sinceramente non ci sono sembrati uscirne benissimo. Ma anche per i “cugini” vale la regola della sorpresa.
Valverde si complimenta con Alaphilippe dopo la vittoria del francese della Freccia ValloneValverde si complimenta con Alaphilippe dopo la vittoria del francese della Freccia Vallone
Spagna per Valverde
Lanciamo una provocazione: se Valverde non vince i Giochi è “colpa” di Alaphilippe! Avete capito bene. Se il murciano avesse saputo mesi prima, e non a ridosso del Tour, che Julian non ci sarebbe stato probabilmente avrebbe fatto un avvicinamento alle Olimpiadi diverso, un’altra preparazione. Okay, Alejandro è un fenomeno ma a 41 anni uscire dal Tour e andare dall’altra parte del mondo magari può pesare più che ad altri. Di contro l’aver corso tantissimo può aiutarlo proprio perché ha 41 anni. Poi, mai dire mai. Valverde è uno dei favoritissimi: tiene in salita, va forte in volata e sa dare la zampata.
Una cosa è certa: la Spagna è tutta per lui. Anche se Omar Fraile, campione nazionale, si è mostrato un bel corridore e può essere l’outsider perfetto.
Tratnik in testa per la Slovenia ai mondiali di Imola 2020Tratnik in testa per la Slovenia ai mondiali di Imola 2020
Le mine vaganti
Danimarca, Svizzera e Slovenia: tra i team che possono portare quattro atleti sono le nazionali più forti. La Slovenia fa paura. Come il Belgio vanta (quasi) tutte punte: Roglic,Pogacar, Polanc e Tratnik. Sono vincenti e sanno tenere la pressione. Roglic e Pogacar non hanno bisogno di presentazioni, semmai bisognerà vedere come vanno rispettivamente le botte e la concentrazione post Tour. L’anno scorso al mondiale dopo il Tour Tadej non fu impeccabile in tal senso, anche se fu autore di un attacco. Tratnik ha sfiorato la vittoria sullo Zoncolan.
E la Danimarca non si capisce come non abbia portato Vingegaard. Fuglsang e Asgreen sanno il fatto loro, ma forse per il re del Fiandre il dislivello è un po’ troppo. Completano il team Valgren e Juul-Jensen.
E’ decisamente meglio attrezzata la Svizzera: Hirschi, Kung, Schar e Mader… Hirschi, lavorando per Pogacar in Francia si è un po’ nascosto, ma sappiamo che ha grandi doti. Kung punterà molto sulla crono ma è uscito un po’ in calando dal Tour. Gli altri due li vedremo quasi certamente in fuga, ma da qui a vincere… Okay l’effetto sorpresa, ma così è troppo! Con tutto il rispetto per questi atleti sia chiaro.
Le ultime gare di Almeida sono i stati i campionati nazionali (lui ha vinto quello a crono)Le ultime gare di Almeida sono i stati i campionati nazionali (lui ha vinto quello a crono)
Il resto del mondo
Polonia, Colombia, Regno Unito, Australia, Stati Uniti… di nomi buoni ce ne sono moltissimi, ma saranno in grado di lottare a certi livelli da soli o quasi? McNulty (Usa) per esempio non è uscito benissimo dal Tour. Porte (Australia) anche ha faticato parecchio. Forse i suoi connazionali, i gemelli Yates, potrebbero provare a fare qualcosa di più, se non altro perché vanno forte in salita e sono veloci.
Tra queste “mine vaganti” non va dimenticato Kwiatkowski il più “mina” di tutti loro. Il polacco certe gare le sa interpretare bene. E sulla falsariga dell’ex iridato mettiamo anche il tedesco Buchmann e l’austriaco Konrad, ma con molte meno probabilità di podio. Mentre la colombia senza Bernal perde molto.
Altri nomi? George Bennet per la Nuova Zelanda. Lutsenko per il Kazakistan (a destra nella foto di apertura con Van Aert, ndr). Almeida per il Portogallo un po’ uscito dai radar, ma molto pericoloso per la crono. Carapaz per l’Ecuador che magari riesce a portare a termine la fuga. Stybar per la Repubblica Ceca. Infine una curiosità. La Norvegia (occhio a Foss) schiera tra i suoi quattro atleti anche Tobias Johannessen, secondo al Giro U23. Adesso abbiamo capito perché non era presente al Giro della Valle d’Aosta. Questa sì che sarebbe una super sorpresa!
A Sydney 2000, con lo scontro fra Telekom e Mapei, cambia la storia delle Olimpiadi su strada. Il ricordo di Bartoli e Bettini di quella corsa pazzesca
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute