Il raduno delle ragazze della pista a Montichiari è appena finito, per Gaia Tormena ora ci sono ore di macchina con la mamma Laura alla guida. Dovrebbe essere stanca, invece la sua voce al telefono è sempre squillante e trasmette entusiasmo.
«Sembra così – ride – ma in pista ci si stanca molto, quando l’ho affrontata per la prima volta non mi aspettavo proprio… Tenere la scia è faticosissimo, alla fine ero stravolta e le compagne fresche come rose».
Imbattibile? Quasi…
Gaia Tormena è l’esempio lampante di come la bici dovrebbe essere intesa, ma per capirlo bisogna spiegare chi è. Stiamo parlando di una ragazza valdostana che ha da poco compiuto 18 anni, ma che ha già un palmares eccezionale. Un titolo mondiale (2019), due europei e due Coppe del mondo (2019 e 2020), tre italiani (2016-17-18), ma non su pista, bensì nella Mtb, specialità eliminator. Una gara tutta di potenza e agilità, della durata di 90 secondi al massimo. Si fanno le qualificazioni a tempo e da lì si sviluppa il tabellone con sfide a 4 sino alla finale.
Gaia è stata quasi imbattibile fin da subito e il quasi è venuto quest’anno, quando l’azzurra è stata battuta ai mondiali dalla francese Isaure Medde solo per un fotofinish millimetrico.
Il salto del coniglio
Va bene, ma che cosa c’entra con la pista? Il fatto è che Gaia ama la bici a prescindere, ha praticato tutte le discipline e può passare indifferentemente da una parte all’altra senza contraccolpi. Esattamente come avviene per i grandi del ciclismo contemporaneo, da Van der Poel a Van Aert. Una caratteristica che è emersa fin da piccola.
«Ho imparato a pedalare insieme a camminare – dice – le rotelle le ho tenute pochissimo e a 5 anni già dicevo che volevo entrare in qualche squadra con altri bambini. I miei genitori ci hanno provato, ma ero troppo piccola. Ho iniziato seriamente a 12 anni alla Cicli Lucchini, facendo le prime gare nella Mtb e su strada, ma non è che la bici prima l’avevo messa da parte, anzi. Appena tornavo da scuola, la prendevo, andavo dietro casa e iniziavo a giocare. Saltare, pedalare, superavo ostacoli che mi inventavo io e altri che mi costruivo con l’aiuto di mia madre. Facevo sgommate, slalom fra gli alberi. Insomma, ero un piccolo cavallo pazzo. Ho imparato un sacco di evoluzioni, tanto che i miei compagni mi chiedevano di insegnargli come fare. Un giorno mi sono inventata un trick, una sorta di alley-hop al contrario e mia madre ha chiesto su Facebook se quel movimento aveva già un nome. L’abbiamo chiamato “salto del coniglio”».
Colpa di Celestino
La valdostana è forse il primo esempio italiano di quell’evoluzione naturale della passione per la bici, che nasce dalla più tenera età e che poi potrà avere mille sviluppi. Quello stesso principio di multidisciplinarietà sul quale Cassani batte da tempo. Ma c’è anche qualcos’altro e a spiegarlo è il Cittì della nazionale di Mtb ed ex pro’ su strada, Mirko Celestino che la conosce bene.
«Lei è brava a giocare con la bici – dice – e questo concetto è la base sulla quale costruire un corridore. Con quei giochi Gaia ha incamerato una straordinaria capacità di guida, riesce a venire fuori da qualsiasi situazione ed emerge nelle discipline veloci dove basta un errore per compromettere tutto. Con il suo fisico alto e statuario e le sue doti di potenza e agilità, ho pensato subito che la pista potesse essere ideale per lei. Per questo ho chiamato il responsabile Dino Salvoldi consigliandogli di visionarla».
«Avevo provato la pista da ragazzina – è di nuovo Gaia a parlare – grazie al mio comitato regionale e mi era piaciuta, poi non c’era stata occasione per continuare perché il velodromo più vicino era a Torino, troppo distante. Mi avevano contattato l’inverno scorso per parlarmi di un’eventuale partecipazione agli europei di categoria, poi è sopravvenuto il lockdown e non credevo se ne sarebbe fatto più nulla. Invece quest’estate mi sono ritrovata coinvolta in una bellissima avventura (nella foto di apertura è con Valentina Basilico e Sandra Fiorin, ndr). Io agli europei non avevo mai gareggiato su pista… Ho fatto la velocità a squadre e abbiamo vinto l’argento, nel keirin ho mancato la finale per 15 centimetri, nella velocità ammetto che ci ho capito poco. Lì è tutta questione di tattica e io devo imparare».
Chi fa da sé…
E’ curioso che abbia vinto l’argento in una gara a squadre, perché per Gaia il ciclismo è uno sport fortemente individuale ed è probabilmente il principale ostacolo a un suo futuro su strada.
«Ha gareggiato fra le esordienti di 2° anno e le allieve 1° anno – racconta suo papà Fabio, che da piccola le ha fatto provare una marea di sport – ma la scintilla non è scattata. Le bici da strada le usa per allenarsi, sappiamo che fa attenzione, d’altronde il rischio è dietro l’angolo qualsiasi cosa si faccia».
Il papà aveva provato a coinvolgerla nella sua passione, la corsa a piedi.
«No, non fa per me – dice Gaia – mi annoiavo. Le gare su strada non mi piacciono, odiavo dover lavorare per le altre, costruire magari la volata per far vincere un’altra. Oppure cadere perché un’altra ciclista era caduta davanti a me nel gruppo. E poi faticavo troppo a mantenere un’andatura regolare. Nella Mtb è diverso, gareggi per te stessa, sei completamente responsabile del tuo risultato e si presta meglio alle mie caratteristiche».
Il ciclismo su strada è quindi messo da parte, almeno per ora. Parliamo di una ragazza che sta ancora affrontando il mondo del pedale volando sui propri sogni.
«Vorrei tanto arrivare a un livello tale da diventare professionista – dice – ossia fare della mia passione per la bici il mio lavoro. E poi è chiaro, ho il sogno che hanno tutti: andare ai Giochi Olimpici».
Non importa in sella a quale bici…