Solo ieri aveva sgomitato con Cavendish sul traguardo di Valence ed era chiaro che non gli potesse bastare. Dove lo trovi uno che fa le volate con i velocisti e appena l’indomani va in fuga sul Ventoux? Nei giorni precedenti, Van Aert si era complimentato a bocca stretta con Van der Poel. L’olandese aveva vinto una tappa e indossato a lungo la maglia gialla e neanche questo poteva andare giù al campione belga. Poi Mathieu è andato via e della loro presenza assieme in questo Tour rischiava di rimanere soltanto la fuga verso Le Creusot, quando gli obiettivi li avevano ritratti all’attacco con il gusto della sfida nel sorriso. Ma era chiaro che anche questo non potesse bastargli. E così oggi il campione del Belgio, deputato per fare il gregario di Roglic e frenato nella preparazione da un’operazione di appendicite, si è inventato un altro giorno da gigante decidendo di sfidare il Mont Ventoux. Il gigante del Belgio contro il gigante della Provenza. E ha tirato fuori dal cilindro una giornata che non dimenticherà tanto facilmente. Che ha definito la più bella da quando corre in bici. Mettendola davanti ai mondiali di cross, le classiche e tutti gli altri successi di una carriera portentosa.
La più bella
«Sono senza parole – ha continuato a ripetere dopo la vittoria – all’inizio del Tour non avrei mai osato sognare di vincere questa tappa. Invece ieri improvvisamente ho sentito di volerci provare. Ho chiesto alla squadra se potevo infilarmi nella fuga di giornata. Sapevo di non avere le caratteristiche per sfidare una montagna come questa (Van Aert è alto 1,90 e pesa 78 chili, ndr). Invece è venuta fuori quella che potrebbe essere la mia migliore vittoria di sempre, perché il Mont Ventoux è una delle salite più iconiche del ciclismo. Ci ho creduto lungo la strada e con la fiducia tutto è possibile. Anche il supporto del pubblico è stato travolgente. E’ stato un onore salire sul Ventoux con la maglia di campione nazionale».
Vingegaard attacca e si volta, Pogacar è con lui Ma la difesa della maglia gialla dura poco: il danese si ritrova presto da solo Bentornato pubblico: tifosi corretti che hanno fatto un gran tifo e riparato anche dal vento…
Pogacar in difesa
Doveva essere la tappa dei ribaltoni, eppure l’unico che ha provato a fare qualcosa è un altro ragazzino terribile, che avevamo scoperto alla Settimana Coppi e Bartali. Quando il Team Ineos ha finito il lavoro e Carapaz ha capito di non avere le gambe per dare un senso alla fatica dei compagni, Vingegaard ha fatto quello che ci si aspetta da un corridore di 24 anni in buona condizione. Ha attaccato, incurante delle conseguenze. E almeno in salita ha fatto il vuoto.
Pogacar ha ceduto. Va bene che aveva ed ha ancora un vantaggio pazzesco. Va bene che dice di non essersi stupito per l’attacco del danese, che segue con interesse da tutto l’anno. Eppure per qualche chilometro ha provato il gusto amaro della fatica e quello più sottile dell’ansia.
«Non ho potuto seguirlo – ha detto a caldo – è partito super forte. Ha messo il rapportone, troppo anche per me. Ho ceduto negli ultimi chilometri, per cui ho cercato di arrivare il più velocemente possibile in cima, ma visto anche il caldo è stata davvero una giornata durissima. Per cui alla fine sono soddisfatto. Quanto alla Ineos, credo che volessero la vittoria di tappa, ma la fuga aveva ancora troppo vantaggio per sperare di prenderli».
Appendicite galeotta
La fuga era Van Aert, che per questa giornata sul filo della follia le ha studiate davvero tutte, compreso l’uso di una coppia di ruote non autorizzate, come del resto aveva fatto anche Van der Poel per salvare la maglia gialla a cronometro. E così, facendo girare molto in fretta la coppia di ruote Metron by Vision, il belga ha staccato anche Elissonde e nonostante la sua stazza, ha addentato il Ventoux con una cadenza prossima alle 85 pedalate.
«E’ stato difficile per me iniziare questo Tour ai massimi livelli – ha raccontato quando l’emozione lo ha in parte mollato – a causa dell’operazione all’appendicite (l’intervento si è svolto a metà maggio e gli ha impedito di correre il Delfinato, ndr). Inoltre nella prima settimana abbiamo avuto davvero tanta sfortuna. Con Primoz Roglic abbiamo perso il nostro leader e con Robert Gesink il nostro super gregario. Oggi purtroppo abbiamo perso anche Tony Martin. Per fortuna in finale tutto è andato a posto. E’ una questione di andare avanti ed essere in grado di individuare nuovi obiettivi ogni volta. Questo mi motiva di più. Continuerò ad aiutare Vingegaard, proprio come tutta la squadra. E’ molto forte, ma oggi è stato il mio giorno».
Cavendish ce l’ha fatta
Nel caldo torrido di Malaucene, anche oggi la sfida del tempo massimo ha tenuto in ansia i velocisti. Cavendish, questa volta scortato da tutta la squadra è entrato ampiamente nel limite, tagliando il traguardo con 7 minuti di anticipo. Non ce l’ha fatto invece Luke Rowe, dopo aver tirato forte per Carapaz. Altri sette si sono ritirati. E’ un Tour esigente. Chissà se Roglic è riuscito a guardare la tappa o sia ancora in casa a maledire la sfortuna che lo ha tolto di mezzo. Per la sua sfida contro Pogacar, anche senza Dumoulin, avrebbe avuto dei compagni superlativi. Lo dice Van Aert salutando. E intanto si chiede se anche Van der Poel abbia visto la corsa. A modo suo, questa vittoria è anche per il rivale di sempre.