Karel Vacek ha detto basta. E non cerca alibi…

14.02.2025
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Proprio nel giorno in cui Mathias Vacek esordiva nella stagione aggiudicandosi la prima tappa della Volta a la Comunitat Valenciana, suo fratello Karel annunciava il suo ritiro dalle scene ciclistiche a soli 24 anni. Un contrasto che stride, considerando come Karel, più vecchio di due anni, sia stato sempre una guida per il talentuoso corridore ceko della Lidl-Trek.

Karel Vacek è uno dei quei corridori rimasto sempre sul punto di esplodere, con buoni risultati che evidentemente non sono stati sufficienti a dargli quella sicurezza per potersi garantire un’esistenza permanente e tranquilla nell’ambiente e questo l’ha convinto a un passo indietro doloroso ma vissuto con consapevolezza.

Il terzo posto nella tappa dell’Iztulia Basque Country, vinta da Meintjes è il miglior risultato 2024
Il terzo posto nella tappa dell’Iztulia Basque Country, vinta da Meintjes è il miglior risultato 2024

«La decisione l’avevo già in animo a fine stagione, poi a Natale sono giunto alla conclusione che era la cosa giusta da fare. Che cosa mi ha portato a questo? Il vivere una carriera in continuo saliscendi, precaria, dovendo cambiare tutto a ogni fine anno. Le ultime due stagioni sono state positive, con molti buoni risultati, ma vedevo che non salivo di livello, che non tornavo a quel WorldTour che era il mio obiettivo. Alla Burgos potevo rimanere un altro anno ma non me la sono sentita».

Come hai vissuto una decisione così difficile?

In maniera consapevole e matura. Mi sono messo davanti alla realtà, mi sono accorto che il ciclismo non mi restituiva abbastanza per quanto ci ho investito sopra e mi sono trovato davanti a un bivio: continuare in questo logorante tira e molla oppure trovare la forza per girare pagina. La mia età mi consente di fare una scelta e cambiare mettendoci tutto me stesso in qualcosa di nuovo, cambiare strada era la scelta migliore in questo momento.

Sul Gran Sasso il grande giorno di Karel Vacek al Giro 2023, secondo dietro Davide Bais
Sul Gran Sasso il grande giorno di Karel Vacek al Giro 2023, secondo dietro Davide Bais
Se ti guardi indietro, che cosa ti ha impedito di diventare quel che speravi?

Difficile dirlo, ma su un concetto voglio essere ben chiaro: non posso dare la colpa a nessuno, le cose sono semplicemente andate così. Molti dicono che la mia generazione sia stata penalizzata dal Covid, da quelle due annate (2020-2021, ndr) stravolte nel loro calendario, ma rendiamoci conto che per molti versi è solo un alibi e che proprio quel periodo così diverso dal solito ha contribuito fortemente a cambiare il ciclismo, a renderlo quello che è ora, molto diverso da quello del decennio precedente.

C’era però meno spazio per emergere, meno opportunità per affrontare l’attività in maniera canonica…

Ripeto, secondo me è un alibi al quale non voglio fare ricorso. Ci si allenava comunque, si andava comunque alle corse. Il ciclismo è questo, non tutti arrivano a quella fatidica soglia, sono tanti i fattori che contribuiscono a cogliere l’opportunità o meno. Serve talento, serve fortuna. I momenti buoni ci sono stati anche per me, ma proprio allora le cose non hanno girato nella maniera giusta.

Alla Qhubeka Vacek aveva trovato la porta del WorldTour, ma il sogno è durato un solo anno
Alla Qhubeka Vacek aveva trovato la porta del WorldTour, ma il sogno è durato un solo anno
C’è un momento specifico che identifichi come decisivo nella tua carriera?

Probabilmente l’anno alla Qhubeka, il 2021: avevo in tasca un biennale, ero nel WorldTour e il primo anno era andato bene. Ero under 23 ma già svolgevo attività da professionista a tutti gli effetti. Poi però tutti sanno come sono andate le cose, la squadra si è sciolta e io mi sono ritrovato al Tirol KTM, un team continental. Era un passo indietro a tutti gli effetti, dovevo ricominciare tutto da capo. Ci ho provato, ma senza successo.

Il fatto di aver dovuto cambiare squadra ogni anno ti ha penalizzato?

Probabilmente non mi ha aiutato, non trovavo stabilità, ma non per questo posso lamentarmi, anzi era già tanto trovare sempre un team dove correre. Alla Burgos, l’ultimo team, stavo anche bene e il team mi aveva garantito la permanenza, ma sono io che non mi sentivo più di poter dare il 100 per cento. Soprattutto non mi vedevo più per quello che avrei potuto essere.

Un anno alla Tirol, tornando indietro dal WorldTour. Bisognava ripartire quasi da zero…
Un anno alla Tirol, tornando indietro dal WorldTour. Bisognava ripartire quasi da zero…
Che cosa ti aspettavi?

Quand’ero junior tutti sanno che ero considerato il numero 2 al mondo, dietro Evenepoel e mi vedevo come protagonista nei Grandi Giri. Lì forse ho commesso qualche errore, il non avere un manager di peso mi può aver penalizzato, anche se poi l’ho trovato in Carera che mi ha aiutato molto. Sono arrivato in Italia e non potrò mai dire grazie abbastanza a Giorgi che mi aveva voluto con sé, portandomi in Italia dove ho imparato tanto. Ho continuato a crescere attraverso Hagens Berman Axeon e Colpack fino alla Qhubeka, poi lì le cose si sono fermate.

Lo snodo è stato lì?

Penso di sì perché poi alla Tirol, che pure è un ottimo team, sono sparito dai radar, scendendo di categoria e conseguentemente di calendario. Non trovavo più la strada giusta. Ne ho parlato a lungo con il manager e con mio fratello, volevo smettere non da sconosciuto e il fatto di chiudere dopo una stagione nel complesso positiva mi ha aiutato nella difficile decisione.

Karel intende restare nel mondo delle due ruote, attraverso un nuovo progetto
Karel intende restare nel mondo delle due ruote, attraverso un nuovo progetto
Se ti guardi indietro qual è il momento più bello?

Ne individuo tre: il primo quando sono arrivato in Italia. Non conoscevo la lingua, dovevo abbinare il ciclismo alla scuola, era tutto nuovo per me, ma è stato un periodo molto formativo anche dal punto di vista personale. Con Giorgi sono sempre rimasto in contatto, ogni anno mi sono trovato il tempo per andarlo a trovare. Il secondo è il Giro d’Italia 2023 alla Corratec: un’esperienza magica essere in quello che era il mio sogno, conquistando anche un podio e tanti buoni risultati. Il terzo nel 2022 quando mi sono ritrovato a correre il Tour de l’Avenir con mio fratello Mathias: non siamo mai riusciti a ritrovarci in un team, condividere una corsa è stato un momento molto particolare.

E ora?

Non lascio il mondo del ciclismo, questo è sicuro. Solo che voglio restarci in una maniera diversa, attraverso un progetto tutto nuovo che sta per vedere la luce e nel quale dedicherò tutto me stesso. Per ora posso dire solo una cosa: non vi libererete di me…

Il sogno di Vacek è un sentiero lastricato di pietre

13.04.2024
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Chiunque abbia seguito l’ultima Roubaix avrà avuto anche il modo di apprezzare il grande lavoro di Mathias Vacek (in apertura, foto di Sean Hardy scattata nelle docce di Roubaix, da lui pubblicata su Instagram). Ad appena 21 anni, il campione della Repubblica Ceca cresce bene. Si è caricato Pedersen sulle spalle e lo ha portato avanti finché ne ha avute le forze. Nella Lidl-Trek qualcuno non è stato brillante come si sperava, ma la gran mole di lavoro svolta da Vacek ha fatto sì che il capitano danese abbia avuto gli appoggi necessari per giocarsela. Almeno fino al momento in cui Van der Poel ha deciso di scrivere una storia diversa.

Purtroppo per lui, i giorni successivi alla Roubaix non sono stati i più simpatici da raccontare. A causa di una indisposizione, Vacek dovrà saltare l’Amstel Gold Race e rientrerà il primo maggio a Francoforte. Ugualmente il suo ruolo nella corsa del pavé merita un ritorno. Lo intercettiamo nel primo giorno di ritrovata salute, le botte e gli acciacchi sono alle spalle, ma restano nella memoria.

Quando Pedersen ha allungato nell’Arenberg, Vacek si è staccato. Poi è rientrato
Quando Pedersen ha allungato nell’Arenberg, Vacek si è staccato. Poi è rientrato
Hai fatto una Roubaix meravigliosa.

Sapevamo che saremmo andati per Mads, che era il leader più forte. C’era anche Johnny (Milan, ndr), però è caduto all’inizio della gara e a quel punto ci siamo stretti tutti attorno a Pedersen. Io ho dovuto curare il suo posizionamento sul pavé e mi sono sentito forte per tutto il giorno. Per i primi settori è sempre importante stare davanti, entrare con la posizione migliore e credo di averlo fatto molto bene. Sono stato a lungo dietro agli Alpecin, che hanno tirato per la prima metà della gara, e ho risparmiato tanto. Non ho dovuto chiudere buchi, però purtroppo nei primi settori Mads è rimasto indietro e ha dovuto fare un sforzo che magari ha pagato alla fine. Però ha fatto una bella corsa.

E’ stato anche sfortunato, giusto?

Esatto, perché quando ha bucato nel primo gruppo eravamo soltanto in tre di noi, mentre la Alpecin aveva cinque o sei corridori. E a quel punto sono andati via Kung, Politt e Vermeersch. Io gli ho chiesto che cosa potessi fare per aiutarlo e lui mi ha detto di andare a tirare, perché avevano mezzo minuto e, se li lasciavamo ancora un po’, sarebbe stato duro riprenderli. Dopo i settori di pavé, qualche volta mi staccavo. Un paio di volte sono riuscito a rientrare e ad aiutare ancora un po’ Mads. Però quando ha attaccato Van der Poel, la gara si è chiusa.

Perché tanti straordinari? Ha inciso il fatto di dover lavorare anche al posto di qualche compagno?

Penso di aver fatto più lavoro di tutti, ma non avevo in testa altro. Volevamo andare per la vittoria, quindi ho lasciato andare ogni altro pensiero. Mi sentivo molto bene, quindi non c’era tempo da perdere o pensare alle opportunità personali. Avevamo un leader, ho fatto quello che dovevo e sono felice per com’è andata.

Pedersen ha chiuso la Roubaix al terzo posto, battuto da Philipsen nella volata per il secondo posto
Pedersen ha chiuso la Roubaix al terzo posto, battuto da Philipsen nella volata per il secondo posto
Pensi che in un futuro la Roubaix potrebbe diventare una corsa per Mathias?

Sì, sicuramente. Questa è la corsa più bella, quella che mi piace di più, quindi prima o poi la voglio vincere. Penso che nei prossimi anni sarà la grande gara cui voglio puntare.

Quanto tempo rimane addosso una corsa dura come la Roubaix?

Ci vogliono due o tre giorni di riposo, perché fa male tutto ed è tutto gonfio. Ci vuole un po’ di tempo. Perciò sono stato per due giorni senza bici, anche perché nel frattempo sono stato un po’ male con lo stomaco. Sono stato a letto e ho recuperato un po’ di più. Con la squadra ci siamo detti di fare una settimana tranquilla e poi di riprendere il primo maggio a Francoforte. Per cui ho tutto il tempo per recuperare gli allenamenti persi. Ma avendo cominciato a gennaio in Australia, riuscire a staccare per qualche giorno è stato davvero importante. Per recuperare, ritrovare la motivazione ed essere nuovamente forte per le prossime gare.

Come prosegue il tuo programma?

Dopo Francoforte farò il Giro di Ungheria e poi quello della Norvegia. Il primo grande Giro della mia carriera sarà la Vuelta.

Il campione ceco ha lavorato per Pedersen, facendo il massimo per posizionarlo in testa sul pavé
Il campione ceco ha lavorato per Pedersen, facendo il massimo per posizionarlo in testa sul pavé
Sei soddisfatto di come è andata quest’anno al Nord?

Molto soddisfatto per come è andata. Abbiamo chiuso veramente bene con la Roubaix e io sono molto felice per come sia andata. Ho visto che ho la potenza e la forza per essere lì a giocarmela. Basterà accrescere ancora l’esperienza e aspettare il proprio momento. Questa volta eravamo su per Mads e come squadra secondo me abbiamo fatto un bel lavoro.

Fare una Roubaix di questo livello insegna anche come si potrebbe fare per vincerla?

Si impara sempre nelle classiche. Sicuramente mi manca un po’ di esperienza, questa Roubaix è andata com’è andata e penso che non potevo fare tanto di più. Ma nel futuro si può pensare di fare meglio. Magari confidando nel fatto (ride, ndr) che Van der Poel nel frattempo diventi un po’ più vecchio…

Karel Vacek: primo sogno realizzato, ora vuole il Giro

31.01.2023
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Avevamo lasciato Karel Vacek (in apertura foto Nucci) sotto l’acquazzone di Innsbruck. Quel giorno stava per partire l’ultima tappa del Tour of the Alps e il ceco ci raccontava della difficile situazione di suo fratello Mathias, ma anche della sua… che non era del tutto rosea. Avrebbe dovuto cambiare squadra, non sarebbe stato più un U23: in qualche modo si percepiva una certa fretta nel sistemare il suo futuro.

Karel Vacek (classe 2000) lo scorso anno al Tour of the Alps quando era ancora un corridore del Tirol Ktm Cycling Team (squadra continental)
Karel (classe 2000) lo scorso anno al Tour of the Alps quando era ancora un corridore della Tirol Ktm (squadra continental)

Ecco la Corratec

Ma adesso eccolo di nuovo col sorriso. Adesso i nuvoloni di Innsbruck sono alle spalle e Karel riparte con la maglia del Team Corratec. 

«Alla fine – racconta Vacek – ce l’ho fatta a diventare professionista a tutti gli effetti. Penso che l’anno scorso sono tornato ai livelli che mi competono, quelli per cui anche gli italiani mi conoscono da quando ero juniores. I risultati ottenuti sono stati buoni e sono contento che la Corratec mi abbia dato la possibilità di poter correre con loro quest’anno e di potermi mettere in mostra.

«Io cercherò di ripagare la squadra con risultati e un comportamento da vero professionista».

Vacek doveva andare alla Drone-Hopper in realtà, poi si sa che le cose non sono andate bene per la squadra di Savio e così i suoi manager, i Carera, lo hanno aiutato a trovare questa soluzione.

«Non è solo una soluzione, ma è un passo molto importante», tiene a chiarire Vacek.

Karel è tornato in Italia dopo l’esperienza con la squadra austriaca
Karel è tornato in Italia dopo l’esperienza con la squadra austriaca

Karel e l’Italia

Vacek è arrivato presto in Italia, aveva 16 anni. Aveva iniziato a correre da noi sin dai tempi in cui era un allievo di secondo anno. All’epoca vestiva i colori del Team Giorgi.

«Ho vissuto in Italia cinque anni – racconta Vacek – perché dopo gli allievi e gli juniores con il team Giorgi sono passato alla Colpack e anche per questo ho finito la scuola a Bergamo.

«E’ sempre stato un mio sogno correre in Italia, ma purtroppo le squadre italiane nel WorldTour non ci sono più. Io guardavo squadroni come la Lampre o la Liquigas… però penso che con questo nuovo team si possa fare bene e magari piano, piano si possa tornare ai vecchi tempi. Spero che l’Italia possa tornare ad avere squadre importanti. Intanto facciamo il Giro e questo è un bell’inizio».

«Ormai l’Italia è la mia seconda casa e mi piace tutto di questo Paese».

Mathias (a destra) e Karel sulla Sierra Nevada, non lontano dalla “loro” Malaga (foto Instagram)
Mathias (a destra) e Karel sulla Sierra Nevada, non lontano dalla “loro” Malaga (foto Instagram)

Con Mathias…

Eppure in questo momento Vacek non abita in Italia. E neanche nella sua Repubblica Ceca. Il praghese infatti è di stanza in Spagna, con suo fratello Mathias (di due anni più piccolo), pro’ in forza alla Trek-Segafredo.

«In realtà vivo un po’ dappertutto! Mi sposto anche in virtù delle squadre in cui sono per cercare di venire incontro alle loro esigenze», prosegue il boemo.

«Da un paio di anni, d’inverno, io e mio fratello prendiamo un appartamento a Malaga, nel sud della Spagna. Mi trovo alla grande, ci si allena bene… E anche questo inverno mi sono preparato con molta calma. Poi in stagione credo che verrò qui in Italia. Vorrei una zona tranquilla e lontano dal traffico… tanto più dopo le brutte notizie di questi ultimi tempi. In questo modo tutto sarà più facile per stare vicino al team, poter viaggiare con loro, andare in aeroporto…». 

«Con mio fratello? Adesso è lui l’uomo da seguire! Anche se è più giovane, ci siamo scambiati i ruoli… Il sogno sarebbe di ritrovarci un giorno insieme in squadra».

Il ceco ha iniziato la sua stagione al Saudi Tour
Il ceco ha iniziato la sua stagione al Saudi Tour

Dal Saudi al Giro

Da ieri Karel Vacek è impegnato al Saudi Tour. Come i suoi compagni lotterà per guadagnarsi un posto al Giro d’Italia, la vetrina più importante, il sogno… la corsa delle corse.

Il boemo è un buon corridore e ha tutte le carte in regola per poter fare bene. La preparazione invernale, come lui stesso ha detto, è stata buona e ora c’è “solo” da mettere a frutto i tanti chilometri macinati.

«Io nasco scalatore – dice Vacek – ma poi con il tempo ho imparato a difendermi anche su altri terreni. Nel nuovo ciclismo devi adattarti ai percorsi più veloci, anche se di certo non sono un velocista. Però nelle classiche tengo bene e tutto sommato anche le crono mi piacciono. Poi più la gara è sofferta e meglio è per me e quindi cercherò di fare il massimo nelle corse più dure».

Il “piccolo” Vacek mette Ayuso nel mirino

22.12.2022
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Lo stesso hotel dello scorso anno. A Mathias Vacek è sembrato il modo per chiudere il cerchio che l’assurda vicenda Gazprom aveva lasciato aperto. Quando viene a sedersi al tavolo nel gigantesco Hotel Diamante di Calpe, il corridore ventenne della Repubblica Ceca ha l’espressione rasserenata di chi ha ritrovato la strada. Il contratto con la Trek-Segafredo esisteva già da prima e l’annata nel team russo sarebbe servita per fare esperienza. Invece si è trasformata in una lunga attesa, infiammata da qualche lampo, come i secondi posti al campionato europeo e al mondiale U23.

Quel giorno a Wollongong, Vacek aveva lo sguardo di fuoco. Tanto che guardandolo, ricordammo quanto ci puntasse e pensammo che si fosse preparato una bella dedica per l’UCI e avrebbe ambito alla maglia iridata per poterla intonare.

Secondo a Wollongong, dopo il piazzamento agli europei: il 2022 di Vacek, senza squadra, è stato comunque di alto livello
Secondo a Wollongong, dopo il piazzamento agli europei: il 2022 di Vacek, senza squadra, è stato comunque di alto livello
Che cosa hai pensato quando sei arrivato in hotel?

Ormai lo conosco bene e anche le strade. Non è una cosa nuova per me, la differenza è che non stiamo mangiando nel buffet dell’hotel come l’anno scorso, ma abbiamo il nostro cuoco

Magie del WorldTour! Quanto è stato lungo quest’anno?

La prima parte lunghissima perché non avevo gare. Dopo i risultati che avevo fatto (Vacek aveva vinto una tappa al UAE Tour, ndr), era brutto non poter correre più. Per fortuna ho iniziato a fare le corse con la nazionale, ho fatto qualche risultato e alla fine sono contento. Quello che potevo fare, l’ho fatto.

Potevi battere Fedorov al mondiale?

Difficile. Lui arrivava dalla Vuelta e aveva più ritmo nelle gambe. Io invece avevo fatto il Tour de l’Avenir, che però era finito quasi un mese prima. Negli ultimi chilometri mi è mancata un po’ di forza: ho fatto il massimo, ma è andata così. Ho corso con tanto fair play, vedevo che era più forte, ma ho sempre fatto la mia parte. Se facevo il furbo, magari ci prendeva il gruppo e non avrei fatto neppure secondo.

Sesto alla Veneto Classic e 22° alla Serenissima Gravel, qui con Simone Velasco
Sesto alla Veneto Classic e 22° alla Serenissima Gravel, qui con Simone Velasco
Quale sarà il tuo cammino in questa squadra, cosa ti aspetti dal primo anno?

Inizio a correre abbastanza presto. Voglio far vedere che ho già la mentalità del leader e loro mi daranno l’opportunità di provarci in qualche gara minore. Vediamo come va, mi sento bene: adesso dobbiamo solo lavorare e vedremo fin dove si potrà arrivare.

Quali sono le corse più adatte?

Le corse a tappe di una settimana, poi magari qualche gara in Belgio. Con il mio allenatore Markel Irizar stiamo lavorando tanto per arrivare a fare un grande step. Un gradino credo di averlo salito fra il 2021 e il 2022. Adesso vogliamo andare ancora più su, ma continuando una progressione graduale.

E’ più un fatto di quantità o di qualità? 

Nelle ultime tre settimane di quantità, adesso invece iniziamo a lavorare sulla qualità, perché tra un mese inizio con le corse. Comincio dall’Argentina alla Vuelta San Juan (22-29 gennaio, ndr), manca poco.

Ai primi di novembre a Praga organizzato un evento per raccontare la sua stagione (foto Sportegy.cz)
Ai primi di novembre a Praga organizzato un evento per raccontare la sua stagione (foto Sportegy.cz)
Quanta voglia hai di farti vedere?

Tanta voglia soprattutto di lavorare bene. Vedo i miei avversari di sempre come Ayuso, che hanno la stessa età e stanno già andando forte. Devo lavorare tanto e duro se voglio arrivare al loro livello. C’è ancora tanto da migliorare: lo so io e lo sa la squadra. Ci sono vari aspetti come la nutrizione. Cose che non avevo prima alla Gazprom. Qui è tutto molto più professionale, c’è tanta gente sa fare il suo lavoro. Però penso che la Gazprom fosse una buona esperienza prima di salire nel WorldTour. Sarebbe stato un salto troppo grande arrivarci dagli juniores. Quindi sono contento del cammino che avevamo impostato.

Dovrai conquistarti lo spazio che ti daranno?

Non voglio dimostrare niente in allenamento. Non mi piace mettermi in mostra. Io faccio il lavoro quando c’è da farlo, quindi alle gare. Ho già provato a essere leader nella Veneto Classic, dove ho fatto un risultato abbastanza buono (sesto, ndr). Vediamo come andrà il prossimo anno, però con i compagni mi trovo molto bene e sicuramente faremo qualcosa di buono.

All’inizio del 2022, la vittoria di Vacek al UAE Tour, poco prima che l’UCI fermasse la Gazprom
All’inizio del 2022, la vittoria di Vacek al UAE Tour, poco prima che l’UCI fermasse la Gazprom
Qual è il bello di essere un corridore?

E’ un lavoro ogni giorno diverso. Ti alleni, hai la sensazione di essere libero, mentre alla stessa ora qualcuno è seduto alla sua scrivania e non vede il sole. E’ anche un divertimento, soprattutto quando sei in gruppo con i compagni. Per me è passione e la corsa è anche divertimento.

Qual è il lavoro che ti piace di più?

Mi piace tutto. Se c’è da tirare per il compagno che sappiamo può vincere, vado a tirare anche due ore a tutta e poi sono felice che uno di noi ha fatto risultato. Se una volta invece sono io il leader, allora sono concentrato al 100 per cento. Magari ci sono giornate di allenamento più pesanti, ma spesso le divido con mio fratello Karel, che correrà con la Corratec.

Si canta e si festeggia il fine stagione al party A&J Allsports, con Pogacar e lo stesso Vacek
Si canta e si festeggia il fine stagione al party A&J Allsports, con Pogacar e lo stesso Vacek
Com’è fatta la vittoria perfetta?

Dipende. Mi piace vincere in volata, però quando ho la gamba è molto bello anche andare via da solo. Quando si vince è bello sempre. E io voglio confrontarmi con tutti quei ragazzi con cui duellavo negli juniores. Penso che ho già battuto questa gente, quindi c’è la possibilità e la fiducia di batterli ancora.

Da Vacek al mondiale U23 per Tiberi: il no di Guercilena

01.10.2022
6 min
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Alle spalle dell’iridato Fedorov, sul podio degli under 23 di Wollongong è salito Mathias Vacek, corridore della Repubblica Ceca, che nel 2022 è rimasto fermo per 4 mesi a causa del caso Gazprom. Si sapeva già che fosse promesso alla Trek-Segafredo, ma l’annuncio è stato dato solo alla metà di agosto. La sua presenza nella gara australiana, ci offre lo spunto per affrontare il tema dei giovani con Luca Guercilena, team manager della squadra americana. Probabilmente infatti, se Vacek fosse stato già un corridore WorldTour non avrebbe partecipato al mondiale, come pure è successo con Antonio Tiberi.

Luca Guercilena ha 49 anni ed è il team manager della Trek-Segafredo
Luca Guercilena ha 49 anni ed è il team manager della Trek-Segafredo
Come siete arrivati a Vacek?

Da quasi tre anni, abbiamo iniziato un programma di scouting con Markel Irizar, nostro ex corridore. Vacek ce l’aveva segnalato già da tempo, già dagli juniores. Avevamo trovato l’accordo l’anno scorso, con l’idea di farlo crescere con più tranquillità. Per questo era andato alla Gazprom, per starci nel 2022 e poi avremmo parlato anche del 2023. L’idea era che rimanesse per un paio d’anni e poi passasse con noi. Quello che è successo ci ha portato a inserirlo prima.

Questo progetto di scouting su che numeri si muove?

Cerchiamo di non fare cose esagerate. L’indicazione è di stare sui 10 atleti, perché comunque non puoi inserirne troppi. L’idea è di avere un gruppo ristretto di ragazzi di età differenti. Li segui, gli dai la bicicletta e un minimo di assistenza, li porti in ritiro, vai a vederli quando fanno le gare internazionali. Sapendo che di 10, magari quelli che possono passare sono un paio e quindi ci focalizziamo su quelli. E’ stato così con Skjelmose, Simmons, Tiberi e lo stesso Baroncini. 

Che cosa cercate?

Il lavoro che stiamo cercando di fare è quello di avere atleti che abbiano già un curriculum valido dal punto di vista del talento e dal punto di vista fisiologico. E poi che abbiano capacità fisiche in gara, quindi anche un curriculum di risultati in crescita. Irizar fa queste valutazioni. Li va a vedere. Li conosce. Va in ritiro. Parla con i direttori sportivi delle squadre dilettanti. In modo che quando passano, sia gente che si inserisce bene nel gruppo e già un po’ in linea con le aspettative della squadra. 

Mondiali U23 crono del 2021: Baroncini parla di bici con Irizar e De Kort, osservatori della Trek-Segafredo
Mondiali U23 crono del 2021: Baroncini parla di bici con Irizar e De Kort, osservatori della Trek-Segafredo
Avete seguito Vacek durante i mesi senza correre?

Innanzitutto, visto il momento particolare, abbiamo cercato di capire quale potesse essere il suo calendario con la nazionale, dopodiché gli abbiamo dato bicicletta, scarpe, casco. Poi gli abbiamo offerto supporto per l’allenamento, confermandogli le nostre intenzioni. Per farlo sentire parte del gruppo, sebbene non potesse correre.

Nella conferenza stampa è parso esaltato dall’idea di passare nella squadra WorldTour…

Vacek ha sempre dimostrato talento, quest’anno sicuramente era partito col piede giusto, poi è successo quello che è successo. Ha dovuto fermarsi. E’ stato a lungo senza correre e poi ha avuto solo un calendario di dilettanti. Adesso invece passa nel WorldTour. E’ ovvio che per un ragazzo giovane sia un cambio di vita abbastanza sostanziale.

A Wollongong Vacek ha collaborato con Fedorov, per poi perdere nella volata a due
A Wollongong Vacek ha collaborato con Fedorov, per poi perdere nella volata a due
Che tipo di attività gli proporrete?

Quando passano il primo anno in World Tour, ponderiamo bene. Valutiamo in primis il numero totale di corse e quali. E poi semmai dove potranno provare a fare risultato, normalmente sempre nella seconda parte di stagione. Per cui è chiaro che si fa tutto con tranquillità. Ovvio che nel caso di Mathias, che ha già vinto una tappa al UAE Tour, si possa pensare ad un calendario leggermente più consistente rispetto a un neopro’.

E qui veniamo ai mondiali U23. Mandereste un vostro U23 a farlo?

Se c’è un’esigenza assoluta, sicuramente lo valutiamo. Però come filosofia del team, eviterei ad atleti che già sono nel WorldTour di andare al campionato mondiale under 23. Se uno corre a un determinato livello, non ha senso poi confrontarsi con i dilettanti under 23 o quelli delle continental. Però dipende sempre dal Paese che te lo chiede.

Cioè?

Se è un Paese che ha difficoltà a mettere insieme il numero minimo di corridori, se ne ragiona. Ma se parliamo di Italia o Francia, ad esempio, per me non ha senso. Perché allora in realtà il mondiale U23 lo avrebbe vinto Remco e secondo avrebbe fatto Skjelmose, quindi è un po’ un guazzabuglio di situazioni.

Vacek ha 19 anni, viene dalla Repubblica Ceka e ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour
Vacek ha 19 anni, viene dalla Repubblica Ceka e ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour
Amadori dice di aver sondato Tiberi e di aver percepito freddezza. Non credi che per lui, che non fa un mondiale dal 2019, sarebbe stato comunque il modo per imparare a gestire certe situazioni?

A mio parere no, perché corri tutto l’anno con atleti più forti di te, cercando comunque di fare risultato: Antonio ad esempio in Ungheria è riuscito a vincere. Ti ritrovi a un mondiale dove partono in 20-30 di quel livello e tutto il resto magari arriva da continental e squadre dilettantistiche vere e proprie. Alla fine secondo me ha un valore relativo, lo vedo sinceramente come qualcosa di non necessario.

Perché?

Secondo me è una questione di meritocrazia. Se il sistema valuta che sei già in grado di essere competitivo a livello superiore, non vedo perché devi andare a competere a livello inferiore. Sembra anche brutto dire così. Secondo me invece il mondiale under 23 deve dare la possibilità di progredire ai ragazzi che sono ancora in fase di crescita e non hanno ancora dimostrato il loro potenziale.

Nel calcio la nazionale U21 va alle Olimpiadi.

Se è solo per premiare i più giovani, allora che partecipino al livello elite e poi si premia il primo di loro. Fra le donne, la Guazzini ha vinto la crono e la Fisher Black la strada. Il calcio manda gli under 21 alle Olimpiadi, ma sappiamo che, per quanto importanti a livello calcistico, i Giochi vengono vissuti come una competizione minore.

L’ultimo foglio firma di un mondiale firmato da Tiberi è quello di Harrogate nel 2019, da junior
L’ultimo foglio firma di un mondiale firmato da Tiberi è quello di Harrogate nel 2019, da junior
Difficile gestire la gara nella gara…

Lo so, ma chi è il miglior under 23 al mondo? E’ Fedorov o Evenepoel, visto che hanno la stessa età? Secondo me è una scelta che andrebbe regolamentata. Io credo che a livello dilettantistico si debba ricominciare a pensare veramente ai punteggi, come si faceva ai nostri tempi. Insomma, quando avevi accumulato un determinato punteggio, non potevi più correre con la categoria inferiore e portare via le corse a chi studiava o aveva bisogno di crescere più gradualmente. Mentre se io faccio il corridore di mestiere e ho già accumulato 50 punti internazionali al 31 di gennaio, ha poco senso che poi vada ancora a correre le gare provinciali con quelli che studiano. Il sistema di punteggio era più meritocratico e secondo me tutelava la categoria.

Però resta il dubbio che a Tiberi avrebbe fatto bene essere là…

Senza dubbio, io dico solo che deve esserci una regola. Decidiamo, ad esempio, che nessun under 23 può partire con gli elite nel mondiale strada e quindi partono tutti per età. Ma nel momento in cui decidi che c’è una categoria under 23 e la gestisci come si fa oggi, allora non ha più minimamente senso. Perché, rispondendo alla domanda precedente, il miglior under 23 che c’è al mondo oggi è Evenepoel e non Fedorov.

Milesi, Buratti, De Pretto: le luci spente e la Vuelta che manca

23.09.2022
6 min
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«E’ stata veramente una gara durissima – dice Buratti con la faccia scurita come dopo una Roubaix – corsa veramente forte per tutto il giorno. La pioggia sicuramente ha contribuito a renderla ancora più impegnativa. Sono entrato in una buona azione con Milesi negli ultimi due giri e abbiamo anticipato lo strappo. Poi ci hanno ripreso e alla fine eravamo più o meno una ventina. Invece proprio sull’ultimo strappo, negli ultimi 300 metri, mi sono mancate le gambe per tenere il ritmo dei primi ed è un peccato. Perché insomma essere liì e staccarsi proprio alla fine…».

Proprio in questo momento, Fedorov si dirige verso il palco delle premiazioni per indossare la maglia iridata under 23, dieci anni dopo il connazionale Lutsenko, che sbancò Valkenburg. Dietro di lui Vacek e lo stesso Soren Wærenskjold che in settimana ha vinto la crono.

300 metri da capire

Negli ultimi chilometri ci siamo messi a spulciare il curriculum di Fedorov e quello di Vacek. E se quest’ultimo stava facendo un miracolo, dopo l’anno balordo alla Gazprom e le corse con la nazionale riprese solo a giugno, il compagno di fuga kazako è arrivato al mondiale per una via più solida. Tralasciando il fatto che ha corso Parigi-Nizza, Roubaix, Freccia Vallone, Giro di Ungheria e il Tour de Pologne, nelle ultime settimane ha fatto la Vuelta. Quante possibilità aveva Buratti di resistere in quegli ultimi 300 metri di salita? Quel distacco è l’esatta differenza fra un anno nel WorldTour e uno in continental.

«Ho avuto anche una foratura più o meno a metà gara – dice l’azzurro – quindi ho sprecato un po’ di energia per rientrare fra le auto, che era meglio risparmiare. Però, insomma, va benissimo lo stesso. Sono contento della mia prestazione. I momenti per mangiare erano veramente pochi, c’era soltanto il pezzo prima dell’arrivo con lo stradone in cui si rifiatava un po’. Perché tra la pioggia, l’asfalto bagnato, le curva e i rilanci, era veramente durissimo».

Di poche parole

“Eugenio” Fedorov è passato all’Astana nel 2021, è alto 193 per 80 chili di peso. Sta seduto sul tavolo delle interviste con vicina l’interprete. Lui parla solo kazako, lei sintetizza le sue risposte stringate. E in questo connubio di poche parole, quel che richiama davvero l’attenzione è lo squillare dei colori dell’iride, che anche per questa volta si mostrerà poco, dato che il ragazzo non corre fra gli U23 ormai da due anni.

«Non riesco a credere – dice – di averlo fatto! Insieme al team abbiamo lavorato sodo per questa gara e tre settimane alla Vuelta mi hanno dato molto. Sapevo che non sarebbe stato affatto facile. Le aspettative erano alte e mi sono anche caricato di pressione.

«E’ stata una giornata difficile e sotto la pioggia. Il ritmo della gara è stato alto e io ho continuato a provare costantemente durante la parte finale: prima a 4 giri dalla fine, poi di nuovo ai meno 2. Non ha mai funzionato. Negli ultimi cinque chilometri siamo rimasti solo in due con Mathias Vacek e abbiamo lavorato sodo. Sono partito a circa 300 metri dall’arrivo e ho lanciato il mio sprint. Ho dato tutto quello che avevo».

La luce sul podio

Molto più soddisfatto e accorto nel parlare è Mathias Vacek, che si trova a fare festa nella casa dell’UCI che a inizio stagione gli ha cancellato la squadra (la Gazprom RusVelo) senza prospettare, valutare e nemmeno ritenere utile una via d’uscita. Chissà cosa c’è in quello sguardo quando gli facciamo la domanda?

«Ho avuto una stagione dura – racconta – perché mi sono trovato senza più un programma. Così mi sono messo a lavorare sodo fino alle corse fatte con la nazionale e ho visto che l’impegno viene sempre ripagato. Andrà meglio nei prossimi tre anni, grazie al contratto con la Trek-Segafredo. Non vedo l’ora di correre con loro alle prossime classiche italiane. 

«Quanto alla corsa – prosegue – è stata dura per tutti. Fedorov è stato super forte e io più di così non ho potuto fare. Ma su questo percorso entrare nella fuga giusta è la vera salvezza. Il gruppo non riesce ad andare tanto più veloce. Magari questo tornerà utile ai pro’».

Crampi sullo strappo

Anche Milesi dopo l’arrivo aveva la faccia sudicia e gli occhi rossi. Quando si è mosso sul muro e con l’aiuto di De Pretto ha guadagnato 45 secondi ai sei della prima fuga, abbiamo pensato che fosse avviato al sacrificio. Invece il bergamasco si è ritrovato davanti con Buratti anche nella fase decisiva della corsa.

«Serve fortuna – dice – per beccare l’attacco giusto. Peccato che nel finale, sull’ultimo strappo, mi siano venuti i crampi e le energie non fossero più al top. Mi dispiace perché stavo bene. Avevo dovuto ricucire dopo una caduta intorno al sesto-settimo giro. Mi sono fermato e subito è arrivata la prima fitta. Il percorso è così veloce che aiuta quelli davanti. Metteteci che nella fuga c’era gente comunque che spingeva e si capisce perché sia stato difficile prenderli. Non ho pagato la crono, stavo davvero bene. Ma non è bastato…».

Parisini e Marcellusi hanno avuto una giornata storta e si sono trovati in una corsa troppo severa per loro
Parisini e Marcellusi hanno avuto una giornata storta e si sono trovati in una corsa troppo severa per loro

Anche quei crampi, come le forze sparite di Buratti, sono la spia della differenza di attività fra i corridori in gara. L’Italia non è andata male. Certo, per loro stessa ammissione Marcellusi e Parisini hanno detto di non aver avuto una grande giornata, ma De Pretto, Milesi e Buratti hanno fatto la loro parte a testa alta. Peccato solo che nelle settimane precedenti non avessero corso la Vuelta.

Gazprom dimenticata, ora Vacek ha un sogno iridato

05.09.2022
5 min
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Un decimo posto può avere un sapore davvero speciale, se può rappresentare una rinascita. Mathias Vacek lo sa bene: in attesa di vestire la maglia della Trek Segafredo (il suo contratto è in essere dal 1° agosto) con la prestazione ottenuta al Tour de l’Avenir ha messo finalmente la parola fine a un periodo buio, per lui come per tutti quelli coinvolti dalle vicende della Gazprom RusVelo, una lunga querelle che ha messo a rischio la carriera sua e di tanti altri corridori senza che avesse colpa e soprattutto senza che l’Uci battesse ciglio.

Vacek aveva iniziato la sua stagione alla grande, culminando con la fantastica vittoria nella sesta tappa dell’Uae Tour, il che significa nel WorldTour che lasciava presagire grandi cose. Poi da un giorno all’altro si è spenta la luce e rimanere sul pezzo è stato davvero difficile.

Vacek salita
Per il corridore ceco finora 29 giorni di gara con 3 vittorie (foto Zoe Soullard)
Vacek salita
Per il corridore ceco finora 29 giorni di gara con 3 vittorie (foto Zoe Soullard)

In attività con la nazionale

Che Vacek sia un corridore di vaglia lo si capisce anche dal fatto che ogni volta che è stato chiamato in causa (lo ha fatto la sua nazionale, come la nostra ha agito nei confronti dei vari Malucelli, Conci e compagnia) si è fatto trovare pronto, conquistando il 3° posto alla Corsa della Pace dove ha anche vinto il prologo oppure il 2° ai campionati europei Under 23. Ma la corsa francese ha rappresentato qualcosa di speciale.

Non era una corsa facile e Vacek lo spiega in maniera chiara: «Io ero partito con grandi motivazioni, proprio perché mi sentivo finalmente libero, tranquillo dopo mesi davvero difficili. Ho affrontato questo periodo con la testa sempre alta, sapendo che qualcosa alla fine sarebbe successo e io dovevo farmi trovare pronto come sempre. Tanto lavoro duro doveva portare a qualcosa, non avevo niente da perdere. Tappa dopo tappa mi sono sentito sempre meglio e soprattutto notavo che stavo migliorando, per questo quel 10° posto lo vedo come qualcosa di ampiamente positivo».

Al Tour de l’Avenir Vacek ha chiuso 10° a 9’28” da Uijtdebroeks, con tre Top 10 di tappa (foto Zoe Soullard)
Vacek Avenir
Al Tour de l’Avenir Vacek ha chiuso 10° a 9’28” da Uijtdebroeks, con tre Top 10 di tappa (foto Zoe Soullard)
Come hai fatto in tutti questi mesi così difficili, senza una squadra, un calendario, una garanzia per il futuro?

Ho cercato di essere forte con la testa prima ancora che con le gambe, concentrato, senza lasciarmi abbattere. Mi è costato tanto, lo ammetto, c’erano momenti in cui averi voluto maledire tutto e tutti, ma a che cosa sarebbe servito? Dovevo tenermi motivato, cercare motivi per andare avanti giorno dopo giorno. Il lavoro alla fine paga sempre.

Come saresti andato se ti fossi presentato al Tour de l’Avenir come gli altri, con un buon bagaglio di gare alle spalle?

Difficile dirlo, penso che sarei stato più competitivo, se avessi avuto un programma di avvicinamento scandito da appuntamenti agonistici sarebbe stato tutto più facile. In corsa ho notato che rispetto agli altri mi mancava il ritmo gara e si trattava di una corsa molto qualificata, dove si andava davvero forte. Comunque con i se non si va da nessuna parte, sono arrivato 10° e mi sta bene così per ora.

Vacek tifosi
Gli sforzi in terra francese sono stati duri. Mathias ha pagato l’inattività
Vacek tifosi
Gli sforzi in terra francese sono stati duri. Mathias ha pagato l’inattività
Quanto è stato utile tuo fratello in questo periodo senza una squadra?

Moltissimo, mi ha aiutato in allenamento come io ho aiutato lui. Credo che il fatto di essere sempre insieme, uno di fianco all’altro in bici e fuori sia stato importante per entrambi in questa stagione così strana. Siamo in perfetta simbiosi, io sinceramente spero tanto che prima o poi ci ritroveremo nello stesso team.

Quanto conta l’avere ora un futuro assicurato alla Trek Segafredo?

Mi dà molta più tranquillità, ho firmato un contratto triennale, posso quindi lavorare con calma per raggiungere i miei obiettivi e mettere da parte questa stagione a mezzo servizio. Non ho più nulla da perdere, devo solo essere concentrato su quel che faccio e impegnarmi al massimo.

Vacek europei 2022
La volata finale degli Europei U23, con Vacek battuto dal tedesco Engelhardt
Vacek europei 2022
La volata finale degli Europei U23, con Vacek battuto dal tedesco Engelhardt
Dove ti vedremo ora?

Il mio prossimo impegno saranno direttamente i mondiali in Australia, poi il finale di stagione in Italia con una puntatina in Croazia. Tengo molto alla trasferta iridata e voglio far bene innanzitutto nella cronometro perché penso di potermi giocare carte importanti. Mi sto infatti preparando soprattutto per quella. La gara in linea, anche per il suo percorso, sarà una sorta di lotteria dove può succedere tutto. Su quel percorso posso sicuramente fare bene, sono un corridore universale e mi trovo a mio agio sia se riuscirò a entrare nella fuga buona, sia se la soluzione arriverà in volata. Ma su questo ci sarà tempo per ragionare, prima voglio pensare alla cronometro.

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Casa Vacek. Karel ci parla dei momenti duri di Mathias

26.04.2022
4 min
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Mathias Vacek “ha la colpa” di essere un corridore della della Gazprom-RusVelo. Il ragazzo della Repubblica Ceca non può correre. Qualche giorno fa, abbiamo pubblicato la richiesta di appello degli atleti di questo team affinché si sbloccasse la situazione di stallo che si è creata. Come saprete: la squadra russa non può correre. Depennata, fatta sparire, in un lampo dall’UCI.

Più passa il tempo e più il silenzio da parte dell’UCI stessa diventa assordante. Non resta però in silenzio Karel Vacek fratello maggiore di Mathias. Lui corre al Tirol Ktm Cycling Team, unica squadra continental presente al Tour of the Alps.

Karel Vacek (classe 2000) al Tour of the Alps
Karel Vacek (classe 2000) al Tour of the Alps

Mathias deluso

Con sguardo concentrato e grande umiltà, Karel ci racconta della disavventura che suo fratello sta vivendo da un mese e mezzo ormai.

«Lui sta soffrendo – dice l’ex corridore della Colpack Ballan – non è una situazione molto buona per Mathias. Okay, ha un contratto con una WorldTour per i prossimi due anni, ma intanto è a piedi. E’ fermo. E’ a casa che pedala da solo. Ed è dura mentalmente. Adesso ci alleniamo molto insieme, proprio perché anche lui non deve andare alle gare, però non è come correre. E spesso poi manco io. E vi dirò che indirettamente è un momento difficile anche per me.

«Come posso aiutarlo? Standogli vicino – continua – ma anche facendo bene nelle corse. Quando io faccio delle buone gare, so che lui è contento. Così come sono contento io quando è lui ad andare forte».

E, aggiungiamo, anche perché se Karel centrasse un buon risultato forse, di riflesso, si creerebbe un po’ di attenzione mediatica sul fratello. Sarebbe una “scusa” per tornare a parlare di certi argomenti. Per ironia della sorte, la vittoria di Mathias all’UAE Tour arrivò proprio quando stava scoppiando la Guerra in Ucraina. E sì intuì subito un certo pericolo.

Mathias Vacek ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour
Mathias Vacek ha vinto l’ultima tappa del UAE Tour

Tante parole, pochi fatti

Momenti del genere possono segnare una carriera. Okay, Mathias Vacek è giovanissimo (è un classe 2002), però non correre è rischioso ugualmente. I treni passano veloci, specialmente di questi tempi. E magari ci si può anche disinnamorare, tanto più a questa età. L’esempio di Trainini è emblematico.

«Vero, è molto difficile – riprende Karel – io al suo posto sarei molto deluso. Deluso soprattutto da parte dell’UCI. Perché possono fermare una squadra in pochi minuti, ma non possono trovare una soluzione in tempi altrettanto ristretti? Perché ci servono mesi e mesi? Perché non dà risposte? Così si fa solo del male.

«Se l’UCI è davvero al fianco dei corridori, dovrebbe non solo avere la bocca grande, ma fare anche i fatti». La cosa più sconcertante è che atleti russi tesserati per altri team stanno correndo (giustamente).

Karel (a sinistra) e Mathias in una foto pubblicata su Instagram qualche tempo fa
Karel (a sinistra) e Mathias in una foto pubblicata su Instagram qualche tempo fa

Gioventù ed ottimismo

Karel però è ottimista, sia per Mathias che per se stesso. Sa bene che il fratello non naviga in ottime acque, ma anche per questo si allenano insieme più del solito. Gli sta vicino. E tutto sommato sapere che il prossimo anno passerà in una WorldTour è un gran bell’appiglio morale.

«Posso dirvi – dice Karel – che Mathias sta andando molto forte. E anche io non sto male. Vorrei fare di più, vorrei trovare un contratto perché la Tirol è solo under 23 e a fine anno devo cambiare (Karel è un classe 2000). Per questo voglio fare molto bene al Giro Under 23 e al Valle d’Aosta e trovare una buona squadra».

Ed anche per questo nelle ultime settimane aver avuto un compagno di allenamento come Mathias gli è stato utile. Si può dire che i due fratelli si sono aiutati a vicenda. Mathias faceva i forcing per Karel e lui ne approfittava per lavorare agli alti ritmi. 

Come si dice in questi casi, una mano lava l’altra. In questo modo, aiutando il fratello, anche Mathias ha avuto dei piccoli obiettivi, degli stimoli. E soprattutto si è tenuto in forma.

Bella, ma amara: la prima da pro’ di Mathias Vacek

06.03.2022
5 min
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Il giorno più bello della sua giovane carriera è passato in fretta in secondo piano. Per Mathias Vacek – 19enne della Gazprom-RusVelonemmeno il tempo di gustarsi la gioia della prima vittoria da pro’ a Dubai, che il mondo è stato scosso dalla guerra della Russia in Ucraina. Pochi giorni appena e la sua squadra è stata fermata.

All’interno della preoccupante attualità geopolitica, vogliamo raccontarvi la favola sportiva del ragazzo ceco di Stozice (paese della Boemia Meridionale, più vicino ad Austria e Baviera che a Praga) che si allena con lo sci di fondo in inverno e che è cresciuto ciclisticamente a Torre De’ Roveri, nella bergamasca, sede del Team Giorgi.

Mathias Vacek esulta sul traguardo di Dubai nella penultima tappa del UAE Tour
Mathias Vacek esulta sul traguardo di Dubai nella penultima tappa del UAE Tour

Mathias è arrivato in Italia quattro anni fa, seguendo le orme di suo fratello Karel (classe 2000, di due anni più grande) ed ha praticamente dominato le categorie giovanili anche più di quello che aveva fatto proprio Vacek senior.

In tre stagioni – dal 2018 da allievo di secondo anno e poi nel biennio da junior – ha conquistato 41 vittorie. Numeri da predestinato che trovano conferma non solo col successo negli Emirati Arabi ma anche col contratto firmato (2023 e 2024) da poco con la Trek-Segafredo.

Mathias com’è andato lo scorso 25 febbraio, data del tuo trionfo?

E’ stata una giornata bellissima, che non scorderò mai. Mi sentivo molto bene fin da quando sono sceso dal letto. Avevo dormito molto meglio rispetto ai giorni precedenti. Era la giornata giusta per andare in fuga. Al mattino il nostro diesse durante la riunione aveva solo detto che con Malucelli doveva restare almeno un compagno per l’eventuale arrivo in volata. Tutti gli altri erano liberi di provare azioni da lontano. E così è stato. Siamo partiti al chilometro zero andando a ruota ad un Bardiani, promotore della fuga.

Sembrava che il gruppo vi dovesse riprendere da un momento all’altro, invece lo avete messo nel sacco.

Sì, è stata una mezza impresa, molto dura. Abbiamo sempre avuto lo stesso vantaggio, un minuto e mezzo. Sia a cento chilometri dal traguardo che a 25. A quel punto siamo andati ancora più a blocco perché avevamo iniziato capire che potevamo farcela. Gli ultimi 5 chilometri li abbiamo fatti senza alcuna tattica. Solo menare. Ed io ho iniziato a pensare allo sprint.

Nel finale avevi ancora due compagni di squadra e due avversari. Vi siete parlati per decidere chi avrebbe fatto la volata?

Onestamente no (ride, ndr). Col fatto che avevamo sempre il fiato sul collo del gruppo, non abbiamo mai dialogato fra noi. Zero strategia, altrimenti ci avrebbero ripreso. Solo Pavel (Kochetkov, ndr) si è sacrificato tirando l’ultimo chilometro, è stato bravissimo. In volata sapevo di essere il più veloce dei cinque e così l’ho presa in testa vincendo bene. Ha funzionato tutto giusto, anzi…

Vuoi aggiungere qualcosa?

Sì, quel giorno mi sono alimentato a dovere. Ho mangiato e bevuto con regolarità, andando all’ammiraglia nei momenti giusti. Ho capito quanto sia importante questo aspetto, visto che ogni tanto dimentico di farlo. Sto migliorando e imparando anche queste cose che a volte si danno per scontato.

Quando hai vinto era il secondo giorno di conflitto in Ucraina. Che effetto ti fa ripensarci a distanza di più di una settimana?

Fino al giorno della mia vittoria sapevamo molto poco. Poi il giorno dopo, aprendo i social, ci siamo resi conto di quello che stava succedendo. Quando corri ti estranei da tutto, ma gli ultimi sono stati giorni difficili, di riflessione. Avevo poca voglia di parlare anche per le interviste. Considerando il nostro sponsor e la nazionalità della mia squadra, penso che la mia vittoria sarebbe potuta essere più bella senza quella guerra. Alla fine noi, squadra e atleti, non c’entriamo nulla con questo. Spero che la questione della nostra licenza UCI possa risolversi in fretta e che potremo tornare presto a correre.

Nelle categorie giovanili qualcuno faceva paragoni tra te e Karel, sostenendo che fossi tu quello che avrebbe fatto più fatica. Al momento non è così. Che pensiero hai in proposito?

Sì, è vero, sentivo spesso questo confronto. Ho vinto prima io, ma anche mio fratello sta tornando sui suoi standard. Purtroppo qualche anno fa abbiamo avuto un problema familiare che lui ha patito più di me. Ci era rimasto male, si allenava e correva con meno tranquillità del solito. Ma adesso è tutto passato. Questo inverno l’ho visto allenarsi bene, con grande convinzione. Sono contento per Karel, sono convinto che farà molto bene. Seguite anche lui.

Quali sono le tue reali caratteristiche?

Nasco passista-scalatore, ma devo dire che ho un discreto spunto veloce. Non saprei ancora. Mi piacciono le classiche del Nord, quelle miste, vallonate. Ma la mia gara dei sogni è la Parigi-Roubaix.

Quali obiettivi hai per il 2022, sapendo che dall’anno prossimo andrai nel WorldTour?

Adesso, come dicevo prima, spero di poter tornare a gareggiare. Non ne ho qualcuno in particolare. Con la mia squadra voglio continuare a crescere ed essere utile ai compagni. Diciamo che i miei obiettivi personali sono più legati alla mia nazionale U23. Punto a fare risultati alla Corsa della Pace, al Tour de l’Avenir, agli europei e ai mondiali di categoria. Un successo l’ho ottenuto, ma non voglio fermarmi.