Bennati un mese dopo, bilancio e sassolini nelle scarpe

28.10.2022
8 min
Salva

«Devo essere sincero – dice Bennati dopo una breve pausa – non per sminuire l’europeo, però quello che ho provato quando sono salito sull’ammiraglia al campionato del mondo, quando ho passato il chilometro zero, è stato veramente tutta un’altra cosa. A livello di emozioni, l’ho sentito molto di più. E’ stata una sensazione strana, che rivivo anche adesso nel raccontarla. In quel momento lì, ho detto: “Cavoli, sto veramente guidando la nazionale italiana!”. Mi sono sentito orgoglioso».

E’ passato un mese dai mondiali di Wollongong e quasi un anno dalla nomina di Bennati a guida dell’ammiraglia azzurra (in apertura, il toscano segue i passaggi fra uno schermo e la transenna, non potendo comunicare con i corridori via radio). Ieri sera Daniele ha parlato per quasi un’ora in videoconferenza con l’Università di Medellin, in Colombia, nell’ambito di un incontro chiamato “L’esperienza italiana nel ciclismo”. I colombiani si sono rivolti al CONI e da qui la palla è passata alla Federazione che ha chiesto al tecnico azzurro se fosse disponibile. E Bennati, forte degli anni alla Movistar, ha raccontato la sua esperienza in un ottimo spagnolo.

Ieri pomeriggio, Bennati è rimasto a lungo in una videoconferenza: inizio alle 9, ora di Medellin
Ieri pomeriggio, Bennati è rimasto a lungo in una videoconferenza: inizio alle 9, ora di Medellin

Tempo di bilanci

La stagione è finita. Ieri è stato presentato il Tour de France, per una volta in ritardo rispetto al Giro. E mentre i corridori recuperano dalle fatiche della stagione, fare il punto con Bennati è un buon modo per mettere i puntini sulle i e semmai togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Come quando hanno scritto che fosse sull’orlo delle dimissioni oppure hanno sottolineato la sua assenza al record dell’Ora di Ganna, per quel gusto di inventare scoop che poi come boomerang ti arrivano giustamente in faccia.

E’ il momento dei bilanci: che anno è stato per te?

E’ stato un anno intenso, perché comunque era la prima esperienza. Alla fine, se faccio rewind, non manca niente. Fondamentalmente sono contento. Insomma, si lavora un anno per andare a fare il campionato del mondo, che era l’appuntamento più importante. Diciamo che sono passato dall’antipasto dell’europeo, che però purtroppo aveva un disegno e un percorso che con noi non c’entrava molto.

Hai parlato delle sensazioni al chilometro zero…

Il mondiale è il mondiale, è proprio l’emblema, l’essenza di questo mestiere. Chiaro, c’è anche l’Olimpiade, ci mancherebbe altro. C’è anche l’europeo, però il mondiale, io l’ho sentito in quel modo. Dal punto di vista personale, è una cosa che mi porterò sempre dentro

Una stagione iniziata facendo correre in azzurro i ragazzi della Gazprom.

Indipendentemente dai motivi che hanno portato a fare quel tipo di calendario, dal punto di vista personale e tecnico mi è servito veramente tanto. Ho potuto guidare i ragazzi con la radio. Ti alleni e lavori tutto l’anno usandole, poi al mondiale non le hai più. Sono stati passaggi importanti, perché un conto è arrivare direttamente al mondiale o all’europeo senza mai aver fatto prima una riunione o una tattica, un altro è aver potuto fare esperienza in queste corse. Mettere a punto quello che poi ho attuato in Australia, cercando di sbagliare il meno possibile.

L’esperienza di corridore ai mondiali ha qualcosa in comune con quella del tecnico?

Ti metti completamente dall’altra parte e i ragazzi devono avvertire l’autorevolezza da parte di chi sta sopra di loro. Non è stato subito facile, per il fatto che la maggior parte dei corridori mi vedono ancora come uno di loro. Dalla mia parte, per certi versi mi sento anch’io vicino a loro come età, anche se con alcuni ci sono 20 anni di differenza, per questo non è stato facile creare questo tipo di distacco. Diciamo che ho trovato tutti ragazzi molto intelligenti.

Comunicare a Sobrero e Zana che non avrebbero corso è stato una prima volta impegnativa
Comunicare a Sobrero e Zana che non avrebbero corso è stato una prima volta impegnativa
I tuoi predecessori hanno sempre parlato della difficoltà di fare le scelte…

E’ chiaro che quando è arrivato quel momento, non è stato facile andare da Sobrero e Zana e dirgli che non avrebbero corso. Personalmente mi dispiace, perché so cosa significa. Ma loro almeno in Australia c’erano, difficile definirli esclusi. Mentre quando ho fatto la telefonata per dire a Pasqualon, Oldani o Albanese che non rientravano nei miei programmi, sapevo esattamente cosa provavano. Sentirsi dire quelle parole, ma anche dirle. Quello scalino è forse il lato più difficile del mio mestiere. Mi ricordo il mio rapporto con Franco (Ballerini, ndr) era di amicizia, era stato mio testimone di nozze. Ricordo quando mi chiamò alla Vuelta del 2007 e mi disse: «Guarda Daniele, preferirei togliermi il fegato, piuttosto che dirti che non ti posso portare». Diciamo che ho avuto esperienze nel bene e nel male che mi hanno fatto capire come ci si debba comportare o quale approccio si debba avere

Hai scelto in base agli ordini di arrivo?

Se fai la squadra in questo modo, non avrai mai un gruppo che abbia un senso. Devi avere un’idea di squadra. Poi è chiaro che gli ordini di arrivo contano, perché comunque sono il termometro per capire in che condizione sono i corridori. Sicuramente ho valutato tanti altri aspetti, non solo quelli tecnici o fisici, ma soprattutto il lato umano di ognuno di loro.

Rota a un passo dalla medaglia nel mondiale del debutto: sarebbe stata la ciliegina sulla torta
Rota a un passo dalla medaglia nel mondiale del debutto: sarebbe stata la ciliegina sulla torta
Poco fa hai parlato del non poter usare le radio in corsa.

L’avevo detto subito, poi qualcuno se n’è accorto e qualcun altro no. Già dall’anno scorso avvisai che l’unica nota negativa di questo mestiere è il fatto di prepararsi per un anno, poi andare a fare il campionato del mondo e sparire nel momento in cui abbassano la bandierina. Il mio lavoro finisce quando parte la corsa, perché comunque puoi dare le indicazioni in gara, fai le lavagnette e cerchi di di tappezzare il percorso con più uomini possibili, però non è mai facile comunicare, mentre i corridori passano a 50 all’ora. Avendo la radio, sarebbe cambiata la nostra corsa.

In cosa?

Sono convintissimo che Remco non avrebbe staccato Rota, per le gambe che aveva. Quando è nata l’azione di Evenepoel, ho cercato di far scrivere su tutte le lavagne e su tutti i muri che Rota non doveva mollare la sua ruota, invece quando Remco è andato via, lui era da un’altra parte. Con la radiolina gli avrei rotto talmente le scatole, che non avrebbe perso la posizione. E anche nel finale, assieme agli altri tecnici gli avrei detto alla radio di collaborare fino ai 300 metri e poi di fare la volata. C’erano due medaglie a disposizione e una poteva essere nostra. 

Dopo la corsa, il primo chiarimento con Trentin, punto di riferimento azzurro
Dopo la corsa, il primo chiarimento con Trentin, punto di riferimento azzurro
Rimpianti?

Siamo stati una nazionale che si si è mossa bene. Ci siamo sempre inseriti nelle azioni che contavano e avevamo sempre due-tre uomini in ogni tentativo. Sono stati bravissimi, in tutte le situazioni che avevamo preventivato loro c’erano. Mi dispiace per la medaglia che è sfuggita. Secondo me non avremmo rubato niente a nessuno. Se avessimo fatto medaglia con Rota, sarebbe stato veramente bingo. Avremmo tirato fuori veramente il meglio da questa nazionale.

Anche perché eravate partiti fra le critiche…

Ci davano per dispersi, sarebbe stato veramente bello, ma questo non cambia il buono che abbiamo fatto. Personalmente per me, per tutto quello che è stato fatto per questo mondiale, essere riuscito a costruire un gruppo e avere dei ragazzi che hanno veramente corso uniti e soprattutto hanno dimostrato di avere un attaccamento molto forte alla maglia azzurra, è la cosa più importante. Certe critiche a oltranza sono state un fastidio, però allo stesso tempo diventano una grande motivazione. Perché alla fine quello che viene è veramente tutto di guadagnato. 

Rota, Ballerini, Bagioli: quella di Bennati è stata una delle nazionali azzurre più giovani
Rota, Ballerini, Bagioli: quella di Bennati è stata una delle nazionali azzurre più giovani
La sera dopo la corsa vi siete riuniti. Al di là delle cose dette, che sono affar vostro, che clima c’era?

E’ stata una riunione molto serena e tra l’altro per me la soddisfazione più grande, si può anche scrivere, è stata quando ha preso la parola Matteo (Trentin, ndr), che comunque è il punto di riferimento per i ragazzi e per la nazionale in generale. E lui davanti a tutti, Scirea e Velo fra gli altri, mi ha fatto i complimenti, perché ho gestito molto bene questo gruppo. Tra l’altro era un gruppo molto giovane, se non il più giovane di sempre, sicuramente era una delle nazionali più giovani in assoluto. E lui ha detto che non era facile assolutamente creare un gruppo così coeso. Mi ha fatto i complimenti davanti agli altri e per me, insomma, questa per me era già una medaglia.

Ci sono stati giorni di tensione per alcune critiche uscite sui media, soprattutto su Ganna…

Viviamo in un’epoca in cui le critiche sono un po’ più gratuite che in passato. Arrivano da destra e manca. Ci sono degli atleti che ne risentono di più, altri che ne risentono di meno. Nel caso specifico di Ganna, è chiaro che quando vieni da due campionati del mondo vinti, tutti si aspettano il terzo. Ho avuto anche io la percezione che sia rimasto male per qualcosa che ha letto, ma questo credo che sia normale. Però Pippo è un tipo di atleta, un uomo che non si fa scoraggiare per una critica in più. Anzi, ha saputo prendere le critiche e le ha messe da parte con i fatti.

Le critiche dai media hanno colpito Ganna, dato per morto alla vigilia della grande Ora e dell’iride di Parigi
Le critiche dai media hanno colpito Ganna, dato per morto alla vigilia della grande Ora e dell’iride di Parigi
Ma tu a Grenchen non ci sei andato…

Fa una risata. Ne avevamo parlato poche ora dopo l’uscita della bufala. Quando scherzando disse che la prossima volta avrebbe mostrato il certificato medico per l’influenza che lo aveva costretto in casa. Come pure per le dimissioni presunte e mai neppure ipotizzate, venute fuori da qualche parte mentre era a casa di Bettiol ragionando sul mondiale. A fare la storia secondo certe fonti, in che mondo contorto vivremmo? Ma adesso è tempo di andare. L’appuntamento è a una generica prossima volta. Anche Benna si concederà qualche giorno di vacanza con Chiara e Francesco, forse durante le vacanze di Natale quando le scuole saranno chiuse. E poi si tratterà di ricominciare. La nazionale, come pure la prossima stagione, si costruisce d’inverno.

Rota si confessa e prenota un inverno di volate

07.10.2022
4 min
Salva

Lorenzo Rota sarà al via del Giro di Lombardia, ma a completo supporto di Domenico Pozzovivo. Il corridore bergamasco avrebbe dovuto correre con i gradi di capitano, ma si è beccato una brutta influenza che gli ha impedito di mantenere alta la condizione. I primi sintomi al Giro dell’Emilia, poi il ritiro alla Tre Valli Varesine. Un paio di giorni per effettuare i tamponi ed escludere l’infezione da Covid, quattro chiacchiere con la squadra, la consapevolezza di avere in “Pozzo” la solita certezza, quindi la decisione.

Lorenzo Rota ha 27 anni ed è pro’ dal 2016. Prima dell’Intermarché, è stato con Bardiani e Vini Zabù
Lorenzo Rota ha 27 anni ed è pro’ dal 2016. Prima dell’Intermarché, è stato con Bardiani e Vini Zabù

Quasi otto

Meglio così, altrimenti la sua stagione rischiava di finire a Wollongong, sul camper della nazionale. Lì, con la testa piena di rimorsi, incassata tra il palmo delle mani e il volto disperato per l’occasione persa, aveva solo una spia luminosa che ronzava nella mente: il Lombardia. Del resto quest’anno si parte dalla sua (per motivi di origini) Bergamo e arriva nella “sua” (perché quell’arrivo gli piace assai) Como.

«Mi dispiace  – ha detto il corridore della Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux – perché con la partenza nella mia città ci tenevo particolarmente ad essere protagonista, soprattutto dopo il mondiale. Quella è la mia distanza ideale, le salite del finale come Civiglio e San Fermo, si adattano alle mie caratteristiche. La mia annata è stata comunque positiva. Se dovessi darmi un voto? Tra il sette e mezzo e l’otto».

Fra Pozzovivo e Petilli, nel 2022 Rota ha conquistato il Sazka Tour
Fra Pozzovivo e Petilli, nel 2022 Rota ha conquistato il Sazka Tour

Lezioni da imparare

Una stagione in cui Rota ha seminato moltissimo e ha raccolto poco, se non il successo finale al Sazka Tour in Repubblica Ceca e un successo di tappa nella stessa corsa. Le occasioni, quelle ghiotte, se le era create mica in corse di secondo livello. Secondo nella tappa del Giro con arrivo a Genova. Secondo al campionato italiano. Fuori dalle medaglie mondiali quando a qualche centinaio di metri dal traguardo assaporava il dolce sapore che può avere un metallo. Secondo al Giro di Toscana. Oldani, Zana, il gruppo dei big, Hirschi gli avversari che lo hanno beffato. E da cui, forse, c’è qualcosa da imparare per il futuro. Lorenzo lo sa e con la voce ancora rauca si sforza di guardare all’inverno e alla prossima stagione. 

«Non ho mai corso per stare davanti a giocarmi le vittorie – ammette – quindi non mi sono mai dedicato molto alle volate. Primo mea culpa. Detto questo, viste le performance di quest’anno lavorerò duro su questo fondamentale. Ci sarà da curare sia l’aspetto tecnico e atletico, sia quello strategico. Confido anche che da queste occasioni il bagaglio della mia esperienza possa essere più ricco».

Il mea culpa più grosso del mondiale è per Rota non aver ascoltato Bennati e aver lasciato la ruota di Evenepoel
Il mea culpa più grosso del mondiale è per Rota non aver ascoltato Bennati e aver lasciato la ruota di Evenepoel

La ruota di Remco 

A questo punto, il bergamasco riavvolge il rullino dei ricordi e prosegue con le “penitenze” sportive, tornando alle consegne ricevute in Australia e parzialmente disattese.

«Al mondiale – confessa – ho commesso due errori: non rimanere appiccicato ad Evenepoel quando è scattato (era un tratto interlocutorio, che ho sottovalutato) e non attaccare ai piedi della salita in vista dell’arrivo per non dovermela giocare in volata. Ho aspettato lo scollinamento, ma era tardi ed una volta giunti sul rettilineo finale, ho visto i fantasmi del Giro di Toscana, quando Hirschi mi ha fatto passare avanti e mi ha messo in una condizione di svantaggio. Non volevo commettere lo stesso errore, ho aspettato, ma tutti sappiamo come è andata a finire. Sulle altre occasioni penso che siano dinamiche di corsa da rispettare, che fanno parte del gioco. Un conto è parlare seduti sul divano, un altro farlo in sella alla bicicletta dopo 6-7 ore di corsa. E poi ci sono gli avversari. Oldani, ad esempio, è più veloce di me, la sconfitta va accettata».

Secondo al Toscana, costretto da Hirschi a una volata scomoda
Secondo al Toscana, costretto da Hirschi a una volata scomoda

Mas e Pogacar

E se partire da Bergamo a fari spenti contribuisse a morigerare il suo correre così spadaccino, che potrebbe essere una delle cause di questi successi mancati proprio sul più bello? 

«Se ho gambe – spiega – mi piace ravvivare la corsa, non subirla. Anche al Lombardia avrei magari potuto pensare ad un attacco da lontano fossi stato al top. Tutto però dipende dalla condizione e dai ritmi di corsa».

Forse lui a Como avrà già tirato i remi in barca, godendosi il lungolago come si fa al termine di un duro allenamento e sperando di vedere Pozzovivo tra i big. Se così non fosse, chi sono i suoi reali favoriti? «Mas – risponde secco – e poi Pogacar». 

Rota e Trentin, due medaglie sfuggite in 200 metri

25.09.2022
4 min
Salva

«Non so cosa dire del finale – dice Lorenzo Rota con gli occhi rossi – l’ho veramente gettata via. Senza radio è difficile, non sapevamo niente. Ognuno faceva un po’ il suo gioco. Aspetta, aspetta e alla fine ci hanno preso da dietro. Mi dispiace veramente tanto perché la medaglia l’avevo davvero a portata. Era proprio lì».

Il bergamasco è il corridore italiano arrivato più spesso davanti, stringendo sempre poco fra le mani. Lui lo sa e lo sanno i compagni, ma sapevano anche che avrebbe fatto quel che gli era stato chiesto. E così quando è partita la fuga con dentro Evenepoel, Rota si è buttato dentro senza troppe domande. Con lui è andato Conci e, quando più avanti hanno ripreso Battistella, il gruppo ha preso il largo. Forse mancava un leader azzurro. Anzi, certamente mancava…

Rota ancora affranto anche un’ora dopo l’arrivo: la medaglia sfumata fa male
Rota ancora affranto anche un’ora dopo l’arrivo: la medaglia sfumata fa male

Enorme magone

E’ stato Lorenzo a inseguire sul serio Evenepoel, quando Remco ha forzato il ritmo a 37 chilometri dall’arrivo. Lo ha prima inseguito in pianura. Poi, quando il belga ha lasciato Lutsenko sui pedali, è stato ancora Rota a riportarsi sul kazako con una bella aziona in salita.

«La gamba c’era – dice il corridore della Intermarché Wanty Gobert ho attaccato sull’ultima salita. Noi non sapevamo niente di quello che succedeva dietro. Zero. Io non chiedevo, ma nessuno mi diceva niente. Veramente mi dispiace, mi dispiace tantissimo.

«Non ho idea di che volata avrei fatto, però sicuramente il terzo posto era alla portata. Mi dispiace veramente, però comunque abbiamo dimostrato di essere una squadra forte e coesa. Penso che abbiamo dimostrato a tutti che quando l’Italia corre insieme è comunque forte. Dopo 7 anni di professionismo ho indossato la maglia della nazionale. Penso di avere ripagato la fiducia del cittì…».

Prima del via, Trentin era fiducioso: obiettivo podio
Prima del via, Trentin era fiducioso: obiettivo podio

Errore sul muro

Matteo Trentin arriva dopo, anche se sulla riga c’è passato prima e con le giuste maledizioni per una volata non troppo convinta. La sensazione è che quelli dietro non sapessero che ci fossero ancora in palio due medaglie, allo stesso modo in cui quelli davanti erano totalmente al buio sulla situazione della corsa alle loro spalle. Altrimenti non si sarebbero fermati così tanto.

«Purtroppo è un quinto posto che mi rode – dice l’atleta della UAE Emirates – perché ho scelto di non dare tutto sull’ultimo strappo. Ho perso la ruota di Laporte, ero con lui e col senno di poi è stata una fesseria. Ho pensato che poi c’era lo sciacquone per rientrare, invece proprio in cima i francesi hanno dato una tirata impressionante e ci hanno lasciato lì.

«Ero venuto qua almeno per vincere (ride, ndr), sicuramente per fare bene. Sapevo che le gambe erano buone e ho dimostrato che siamo ancora là. Ok, non abbiamo preso medaglia, ma abbiamo fatto capire che tutte le critiche che ci vengono mosse dalla mattina alla sera sono ingiuste. Non abbiamo il fenomeno che ha vinto, ma siamo lì».

Volata poco convinto di Trentin (in mezzo a Laporte e Matthews), che coglie il quinto posto
Volata poco convinto di Trentin (in mezzo a Laporte e Matthews), che coglie il quinto posto

Bettiol con Remco

La sbavatura c’è stata e più passa il tempo e più appare evidente. Nel gruppo con Evenepoel non dovevano entrare soltanto Conci e Rota, ma uno dei leader.

«Sapevamo che Remco avrebbe attaccato da lontano – dice Trentin – ma non pensavamo che le altre nazionali avrebbero lasciato fare in questa maniera. Uno che fa un numero del genere probabilmente lo fa uguale. Quindi non so se entrando nella fuga con lui si poteva cambiare qualcosa. Per come ho visto io la gara, l’unico che forse poteva tenerlo oggi era Alberto (Bettiol, ndr). Ovviamente la nostra tattica era differente. L’avrebbe tenuto, non l’avrebbe tenuto? Guardando com’è andato, ha fatto veramente un numero incredibile».

Alla fine arriva il momento della chiamata a casa, in attesa di rientrare in hotel
Alla fine arriva il momento della chiamata a casa, in attesa di rientrare in hotel

Volata al buio

Probabilmente l’analisi fatta successivamente con Bennati gli farà cambiare idea. Ma così, a caldo e senza essersi confrontato con gli altri, la sua posizione si può capire. Così come è credibile che in quella volata finale tanti dei valori in campo siano saltati. E’ credibile che Van Aert perda la volata da Laporte, peraltro suo gregario, sapendo di giocarsi l’argento e il bronzo?

«Non sapevo di sprintare per una medaglia – conferma Trentin – nessuno sapeva nulla. La comunicazione della corsa era veramente oscena, non sapevamo niente. C’era la lavagnetta, però vabbè, è stato così per tutti. Siamo tutti sulla stessa barca, quindi la volata è stata fatta comunque. Era difficile capire la situazione di corsa, anche perché abbiamo passato 25 corridori in 200 metri.

«Peccato per la medaglia, l’ho buttata nel… cesso. Anche Rota dice lo stesso? Allora siamo in due a pensarla così».

Finalmente Rota! E adesso il bilancio non è più a zero

06.08.2022
5 min
Salva

Finalmente è arrivata. Lorenzo Rota ha vinto la sua prima corsa da professionista! Sembra incredibile visto il buon corridore che è, ma è proprio così. La vittoria è arrivata nella seconda frazione dello Sazka Tour, una breve corsa a tappe in Repubblica Ceca.

Avevamo lasciato Rota al limite delle lacrime in quel di Alberobello. Quel giorno pochi come lui volevano la vittoria e quel titolo. Tra i corridori delle WorldTour al via, era senza dubbio quello più affamato.

Eppure anche quella volta fu secondo.

«Ci provo da tanto tempo – ci disse il lombardo – l’ho presa bene al Giro dopo la sconfitta da Oldani, ma anche stavolta no».

Grande lavoro per la Intermarché Wanty Gobert: Pozzovivo (ieri terzo), Taaramae e Rota (in terza ruota) i capitani di giornata
Grande lavoro per la Intermarché Wanty Gobert: Pozzovivo (ieri terzo), Taaramae e Rota (in terza ruota) i capitani di giornata

Prima vittoria

Sulle rampe di Pustevny, perla delle montagne a cavallo tra Slesia e Moravia, e a due passi dal confine slovacco e più precisamente da casa di Sagan, la storia di Rota ha preso un altro corso.

«So che questa vittoria non è un italiano o un San Sebastian – dice Rota – ma vincere è… sempre vincere! E’ da tanto tempo che la cercavo. Questo zero in casella mi pesava parecchio. Che dire: sono contento!

«Spero d’ora in poi di essermi sbloccato e di non sbagliare più i finali di corsa».

«Quel giorno ad Alberobello, la mia delusione non era tanto per quella circostanza ma perché iniziavano ad essere tante le “botte”. E accumula, accumula.. ero arrivato al limite. Però adesso, a mente fredda, dico anche che ero stanco, poco lucido. E magari mi comporterei in maniera diversa».

E la sua lucidità traspare sin da subito e da come racconta il finale vittorioso di ieri.

«Qui siamo una squadra forte e volevamo la corsa dura. Avevamo lavorato tutto il giorno, specie sulle salite. Poi nel finale c’era questa scalata impegnativa di 7,5 chilometri. La tattica era che io dovessi scattare ai -4,5 dall’arrivo e così ho fatto. Ironia della sorte mi è venuto dietro Filippo Zana. A quel punto essendo noi in superiorità numerica ho mollato. Quindi è scattato Taaramae.

«Credevo vincesse lui perché aveva guadagnato 25″. Invece gli altri hanno tirato. Così ai 400 metri lo abbiamo ripreso, ai 300 sono partito e… è andata bene!».

Il finale era parecchio stretto. Ma Rota e gli altri lo conoscevano bene, anche perché ci erano passati già durante la corsa (salvo svoltare un po’ prima del traguardo) e perché era lo stesso arrivo dell’anno precedente. Il sangue freddo però non gli è mancato.

Al Wallonie Rota ha trovato tappe più veloci rispetto all’attesa, ideali però per fare ritmo (foto @cyclingmedia_agency)
Al Wallonie Rota ha trovato tappe più veloci rispetto all’attesa, ideali però per fare ritmo (foto @cyclingmedia_agency)

La rinascita

Ma facciamo un passo indietro. Torniamo laddove questa vittoria ha, molto probabilmente, la sua genesi. Ad Alberobello se ne andò con la delusione. Ma il “giorno dopo” Lorenzo aveva già il piglio di chi aveva ripreso a lavorare sodo. L’altura, il rientro alle gare, ancora dei buoni piazzamenti, il lavoro per la squadra… Fino ad oggi.

«Dopo l’italiano – riprende Rota – sono rimasto alcuni giorni in Puglia. La mia famiglia ha una casa nei pressi di Ostuni: un po’ di relax, mare… riposo assoluto. Avevo bisogno di staccare totalmente. Di azzerare tutto.

Dopo quei giorni in Puglia, Rota ha ripreso a darci sotto. Se ne è andato in altura sul Bernina dove è rimasto per 15 giorni. E da lì è rientrato alle corse.

«Sono rientrato al Tour de Wallonie, dove ho fatto quarto. Sono rimasto un po’ deluso da questa corsa: credevo che il percorso fosse un po’ più duro. Poi ho insistito per andare a San Sebastian, ma il recupero tra le due gare era poco. Senza contare che l’ultima tappa era piena di pavé. E si è fatta sentire.

«Infatti a San Sebastian non stavo benissimo, però sono riuscito ugualmente ad entrare nei primi dieci».

Rota (classe 1995) ha siglato la sua prima vittoria da pro’, nonostante sia uno dei migliori italiani nel ranking UCI. E’ anche leader della gara
Rota (classe 1995) ha siglato la sua prima vittoria da pro’, nonostante sia uno dei migliori italiani nel ranking UCI. E’ anche leader della gara

Dettagli rivisti

Rota è un professionista serio, uno che lavora sodo e cerca il dettaglio. E forse proprio questa ricerca della perfezione ha cambiato qualcosa, speriamo definitivamente.

Lui stesso ha chiesto di rivedere alcuni dettagli al suo preparatore.

«Mi segue Luca Quinti – dice Rota – me lo ha presentato Fausto Masnada. Lavoro con Luca da tre anni e devo dire che sono tre anni che sono a buoni livelli. Il merito dunque è anche suo. E della squadra (la Intermarché Wanty Gobert, ndr) che mi lascia la possibilità di avere un coach esterno.

«Non lo fanno tutti i team, ma loro hanno capito che a volte conta anche la stabilità mentale che può darti un allenatore. E io con Luca parlo molto, mi fido. Quando non sono d’accordissimo su alcune cose ci confrontiamo».

«Proprio perché lui è meticoloso, dopo l’italiano ha rivisto e analizzato i file di tutte le mie volate e ci siamo resi conto che negli ultimi anni avevamo lavorato molto sulla salita e poco per questo genere di sforzi. Quindi avevo perso un po’ di spunto. Già dall’ultimo ritiro in quota pertanto abbiamo rivisto alcune cose e siamo tornati a lavorare un po’ di più sul minuto, i due minuti a tutta».

E a quanto pare ha funzionato, caro Lorenzo. 

Rota e Petilli: il ritiro, gli obiettivi e due parole fra amici

17.07.2022
5 min
Salva

Simone Petilli e Lorenzo Rota sono in ritiro sulle montagne alpine per preparare la seconda parte di stagione. Un periodo di stacco nel quale si lavora, gli impegni sono alla porta ed è importante prepararsi al meglio. I due corridori della Intermarché Wanty Gobert arrivano da momenti diversi. Simone ha metabolizzato l’esclusione dal Giro ed è pronto ad aggredire i nuovi appuntamenti che si presenteranno. Lorenzo, invece, arriva da una prima parte di stagione ricca ma con qualche episodio sfortunato alle spalle, ed un secondo posto al campionato italiano che fa fatica ad andare giù, come un boccone troppo amaro.

L’Intermarché per questo ritiro ha messo a disposizione dei corridori i propri mezzi
L’Intermarché per questo ritiro ha messo a disposizione dei corridori i propri mezzi

Un programma “distensivo”

PETILLI: «Siamo entrambi partiti per il ritiro il 5 di luglio e torneremo il 20. Non siamo da soli, ci sono altri nostri compagni ed in più abbiamo il supporto del team, ma poi ognuno di noi ha la sua libertà per gestire le tabelle e gli allenamenti».

ROTA: «Siamo in una decina di compagni di squadra, siamo un po’ sparsi intorno alla zona di Livigno. Personalmente arrivavo da un periodo di corse molto intenso: tra Giro d’Italia, Giro del Belgio e campionato italiano ero un po’ cotto».

Livigno in questi giorni è meta di tanti corridori che si preparano per la seconda parte di stagione
Livigno in questi giorni è meta di tanti corridori che si preparano per la seconda parte di stagione

Obiettivi diversi

Se Petilli sta cercando continuità ed una seconda parte di stagione con delle certezze per riscattare l’esclusione dal Giro, Lorenzo vuole delle certezze. E queste passano dalla tanto agognata vittoria. La motivazione è alta per entrambi, gli obiettivi sono diversi, ma la strada è comune.

ROTA: « Devo ammettere, ma penso lo si sappia già ampiamente, che questa vittoria manca e inizia ad essere una situazione frustrante. Ci sto provando da diverso tempo e continua a succedere qualcosa che mi frena, una volta un po’ di sfortuna, altre un piccolo errore…»

PETILLI: «Io e Lorenzo parliamo tanto, ci confrontiamo ed il nostro rapporto è bello così. Ci conosciamo da tanto tempo che ormai sappiamo tutto l’uno dell’altro, o quasi. Quando mi dice che gli pesa questa vittoria mancata, gli dico che ha dimostrato di andare forte. A San Sebastian lo abbiamo scoperto tutti e poi si è riconfermato sempre, anche quest’anno sulle strade del Giro. Insomma, se arrivi ad andare forte su questi palcoscenici, vuol dire che la gamba c’è. Non deve stare a sentire i pareri ed i commenti di tutti, anche dopo il campionato italiano ne ho sentite tante…».

Un inno di Mameli amaro per Rota dopo il secondo posto al campionato italiano, un’occasione unica sfumata per poco
Un inno di Mameli amaro per Rota dopo il secondo posto al campionato italiano, un’occasione unica sfumata per poco

Quel Giro mancato

PETILLI: «Il Giro d’Italia era un mio obiettivo di inizio stagione e mi è mancato farlo, non ne ho fatto un dramma. La squadra prende le sue decisioni ed è giusto rispettarle, ovviamente mi sarebbe piaciuto correrlo. Di contro non dovrei correre la Vuelta, non era in calendario e non mi sto preparando per questo. Mi hanno inserito come prima riserva».

ROTA: «Quando ho scoperto che Simone non ci sarebbe stato al Giro d’Italia, mi è dispiaciuto molto. Io, con il senno di poi, l’avrei portato anche perché abbiamo portato due corridori nella top ten ma ci sarebbe servito qualcuno di maggior supporto in salita. “Pozzo” e Hirt si sono ritrovati spesso da soli e lui avrebbe potuto fare tanto. D’altro canto non credo che l’esclusione dal Giro o da altre corse a tappe crei un problema, farle fa sempre piacere ma non è fondamentale. Abbiamo entrambi una certa età e quindi siamo arrivati alla nostra maturazione ciclistica. Se devo essere sincero spero non vada alla Vuelta così corre con me (dice ridendo, ndr)».

Petilli dopo l’esclusione dal Giro si è rimboccato le maniche lavorando per farsi trovare pronto nelle gare di fine stagione
Petilli dopo l’esclusione dal Giro si è rimboccato le maniche lavorando per farsi trovare pronto nelle gare di fine stagione

Strade simili

PETILLI: «I programmi miei e di Lorenzo sono simili da qui a fine stagione, a parte per quanto riguarda l’approccio alle corse dopo questo ritiro. Io farò San Sebastian lui il Giro di Vallonia. Quando corriamo in Italia, vogliamo farlo al meglio, dando spettacolo, così come fatto al campionato italiano. Eravamo solo noi due della squadra e così abbiamo deciso di provarci, ci è mancato davvero poco».

ROTA: «Essendo lui di Como ed io di Bergamo abbiamo una corsa in comune su tutte in Italia: il Lombardia. L’anno scorso non sono andato benissimo e mi piacerebbe correrlo meglio, avendo la possibilità di rifarmi. Devo dire che mi piace molto di più l’arrivo a Como, si addice molto di più alle mie caratteristiche».

Rota e Petilli non sono soli, con loro ci sono anche gli altri che preparano la Vuelta
Rota e Petilli non sono soli, con loro ci sono anche gli atleti che preparano la Vuelta

Allenamenti e chiacchierate

ROTA: «In questi giorni di ritiro parliamo tanto, ma cerchiamo di spaziare un po’ negli argomenti. Parliamo di macchine, di belle ragazze – ride insieme a Simone – è bello anche così, pensare un po’ ad altro».

PETILLI: «Siamo sempre in bici, in questi giorni è divertente fare altro e chiacchierare anche con gli altri compagni di squadra che sono qui con noi».

ROTA: «Prima di lasciarvi propongo un gioco: quello dei “difetti” dell’altro, altrimenti dopo questa intervista sembriamo troppo amichevoli (scherza il bergamasco, che poi resta in silenzio un attimo, ndr). Ci sto pensando ma non mi vengono! Ah no, ecco, se devo dire qualcosa direi che sei troppe volte per terra!».

PETILLI : «Anche tu non scherzi – replica con una risata – questa cosa mi piace, così poi domani ci scattiamo nei denti per vendetta. In realtà siamo abbastanza affini, ci capita più spesso di discutere con qualcuno del gruppo piuttosto che tra di noi. Ciao Lore, a domani e mi raccomando, puntuale!».

Ad Alberobello non tutti ridevano. Rota secondo e deluso

27.06.2022
4 min
Salva

E poi c’è Lorenzo Rota. Torniamo al campionato italiano di ieri. Sul podio di Alberobello Lorenzo aveva la mano sul cuore al momento dell’inno. A tratti i suoi occhi erano chiusi, come quelli di Filippo Zana. Grande, anzi enorme, sportività… per aver vissuto quel momento con tanta partecipazione, ma dentro di lui l’umore era decisamente provato.

Il corridore della Intermarché Wanty Gobert è arrivato secondo. Ancora una volta battuto in uno sprint ridotto. Nella giostra dei pronostici al via il suo nome non cadeva certo nel vuoto, ma ci si aspettava di più gente veloce come Nizzolo o Albanese. Invece ancora una volta Lorenzo ha sfiorato il colpaccio e ha dimostrato che la squadra diretta da Valerio Piva è una WorldTour vera.

Zana ride, Battistella è (quasi) impassibile, Rota (a sinistra) invece è deluso
Premiazioni tricolori: Rota (classe 1995) con la mano sul petto

La teoria di Visconti

«Mi dispiace – ha commentato ancora una volta Visconti – okay, sono contento perché ha vinto Zana con il quale ero compagno di squadra fino a qualche mese fa, ma questo ragazzo corre bene. Lorenzo sa leggere la corsa».

Visconti lo chiama e gli fa un cenno di assenso. Rota scuote il capo. «Arriva, arriva… stai tranquillo che arriva», gli dice Giovanni riferendosi alla vittoria.

«Non so cosa dire – commenta sconsolato, Rota – sono veramente deluso. E’ due anni che la sto cercando questa vittoria, ma a quanto pare non arriva. Anche se eravamo solo in due, Petilli ed io, abbiamo cercato di fare la corsa dura. E… non lo so. Non so cosa dire. 

«Posso solo dire di aver dato il meglio di me stesso. Come sempre. Ma non è bastato: sono stato ancora secondo».

Rota (qui in corsa ieri) a San Sebastian cadde nell’ultima curva in discesa. Al Giro ha perso per mezza ruota e la stessa cosa è avvenuta ieri
A San Sebastian cadde nell’ultima curva in discesa. Al Giro ha perso per me ruota e la stessa cosa è avvenuta ieri

Rota deluso

Rota è un ragazzo solare. Sempre molto disponibile. Anche dopo il secondo posto a Genova, al Giro, battuto da Oldani, non si è affranto. Una pacca sulla spalla a chi era stato più veloce di lui e via verso il giorno successivo.

Con Lorenzo proviamo ad analizzare la corsa per capire se ha sbagliato qualcosa ed eventualmente cosa. Ma a mente calda e col morale sotto i tacchi non è facile.

«Non lo so – riprende Rota – do sempre il massimo, tiro fuori tutto quello che ho. Cerco di concludere ogni corsa senza rimpianti e con le gambe finite. Anche oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto così. Ma a quanto pare trovo sempre qualcuno più forte di me. Al Giro ho perso per mezza ruota, oggi la stessa storia.

«Ci puntavo a questo italiano, certo, ma c’erano tanti atleti forti. Poi noi siamo partiti in due. Abbiamo perso Pasqualon alla vigilia. Volevamo una corsa dura, ma in due non è facile farla. Io e Petilli abbiamo fatto il massimo. E alla fine è arrivato questo secondo posto. Però, vi dico la verità, questo proprio brucia».

Rota (classe 1995) ha un contratto con la Intermarché fino al 2024, prolungato quest’anno proprio per i suoi buoni piazzamenti
Rota (classe 1995) ha un contratto con la Intermarché fino al 2024, prolungato quest’anno proprio per i suoi buoni piazzamenti

Vacanza e altura

In questi casi più che mai bisogna cercare di voltare pagina e andare avanti. Lorenzo sin qui ha messo nel sacco 43 giorni di corsa. Tanti ma non tantissimi. La stagione quindi per lui non è finita.

«Adesso voglio andare in vacanza – dice Rota – perché sono stanchissimo e non ce la faccio più. Poi di certo andrò in altura e vediamo cosa riserverà il resto della stagione». Magari nei piani c’è la Vuelta. Che potrebbe essere perfetta proprio per preparare il mondiale. In fin dei conti è arrivato davanti.

Prima di recarsi all’antidoping, Lorenzo è raggiunto anche dalla sua famiglia. L’abbraccio della mamma, forse lo fa crollare ancora un po’ di più. Si nasconde nel tendone. Sono momenti delicati.

Anche Valerio Piva, il suo direttore sportivo, si avvicina. Gli dà una pacca sulla spalla. Non è certo questo il momento di analizzare la volata. Se fosse partito 20 metri dopo, se avesse tirato un briciolo in meno. Tanti se che servono a poco in senso assoluto e a nulla in quei frangenti.

«Ci abbiamo provato», allarga le braccia Piva. E se ne va anche lui.

Dagli “svincoli micidiali” spunta Oldani, gregario (anche) in fuga

19.05.2022
7 min
Salva

Tutto all’improvviso. Da che non avevamo vinto neanche una tappa, a fare una doppietta. Dopo Alberto Dainese, oggi la corona la mette Stefano Oldani. «Un corridore che non ha rubato niente», come dice Lorenzo Rota, colui che è stato battuto.

Genova è schiacciata tra mare e montagne. Francesco De Gregori parla dei suoi “svincoli micidiali”, ma oltre a svolte improbabili e agli stretti caruggi, ci sono questi grandi viali. Lunghi rettilinei ampi come boulevard parigini. Vialoni che sono belli se guidi senza traffico o se porti a spasso il cane, ma diventano infiniti se ti stai giocando una tappa del Giro d’Italia.

La profezia di Basso

Dall’ultima curva, esattamente ai mille metri, si vedeva l’arrivo. Un arrivo che tirava, come si dice in gergo. Della numerosa fuga del giorno arrivano solo in tre: Rota, Oldani e Leemreize, giovane spina olandese nel fianco.

Spina che si rivela pungente. Scatta due volte in quei mille metri. Forse aveva gambe, ma di certo non ha ancora tempi e rapporti adeguati. Quando è partito era davvero troppo duro. Oldani è un gatto e chiude subito. 

«Vince Oldani», dice secco Ivan Basso dietro l’arrivo. Sarà che lo conosce, visto che lo aveva avuto quando Stefano era alla Fundacion Kometa. 

Ma intanto i metri passano. Il rettilineo sembra non finire mai. La prima fiammata si conclude con un “nulla di fatto”. Sono ancora in tre.

Cinquecento metri. L’olandese è sulla destra. Oldani e Rota sulla sinistra. Non si tratta di più di essere velocisti, ma di avere forza. Tutti e tre hanno le mani in presa bassa, pronti ad esplodere. Leemreize guarda a sinistra, i due italiani a destra.

Trecento metri. Vanno pianissimo. E’ quasi un surplace da pistard. Di nuovo è l’olandese a prendere l’iniziativa. Ed è di nuovo Oldani a chiudere. 

Rota è stato il primo ad attaccare nella fuga dei 25… Leemreize è stato il primo a seguirlo, poi Oldani
Rota è stato il primo ad attaccare nella fuga dei 25… Leemreize è stato il primo a seguirlo, poi Oldani

Rota non molla

Rota sembra messo alla grande, a ruota di Stefano. Deve “solo” saltarlo. Il corridore della Jumbo-Visma invece è out.

«Non ho mai pensato di anticipare lo sprint – racconta Rota – eravamo tutti stanchi e poi in tre è molto difficile… e rischioso. E infatti l’olandese ci ha provato, ma è stato ripreso. Pensavo alla volata. Sapevo che Stefano è veloce, ma è così che avevo deciso di giocarmela. E anche se la velocità fosse stata più alta, non sarebbe cambiato nulla».

«Non ho rimpianti. Stefano non ha rubato niente. Sono le corse. Io non posso che essere contento. Sto crescendo. Sono stato lontano quasi due mesi dalle gare. La gamba è buona. Anche l’altro giorno avevo fatto un buon lavoro per Girmay e oggi stavo bene. Tanto che io stesso ho deciso di partire ai 60-70 chilometri dall’arrivo. Proprio perché la gamba c’era. E poiché la gamba c’è ci riproverò».

Non ha rimpianti Rota. E si percepisce. Il suo tono di voce è serio sì, ma anche pacato e sincero. Intanto arriva Taaramae che gli dà una pacca sulla spalla: «Good job, Lore», hai fatto un buon lavoro Lorenzo. Lui svolta la bici e se ne torna al bus.

Il pianto e l’urlo liberatorio dopo il traguardo. Per Oldani è la prima vittoria da pro’
Il pianto e l’urlo liberatorio dopo il traguardo. Per Oldani è la prima vittoria da pro’

Urla di gioia

Chi invece resta ancora in zona arrivo è Oldani. Dopo essersi gettato a terra lasciandosi ad urli di gioia, misti a commozione, il lombardo si rialza. Va dietro al palco per premiazioni, interviste con le tv, antidoping…

Van der Poel, arrivato a spasso e quasi ripreso dal gruppo 8′ dietro, se lo abbraccia. E’ la seconda vittoria per gli Alpecin Fenix.

«Quell’abbraccio è stata un’altra ondata di emozioni – dice Oldani – ed è bello riceverla da un campione come lui. Idem il mio urlo e il mio essermi buttato a terra dopo il traguardo. E’ stata una reazione naturale, spontanea, uno svuotarsi di emozioni. Avevo un gran voglia di arrivare. Erano quattro anni, dalla seconda stagione da under 23, che non vincevo. Mi mancava alzare le braccia al cielo».

Dalle emozioni, alla strada. Oldani ha corso in modo magistrale. Gestendo bene anche la pressione di chi è consapevole di essere il più veloce.

«Non conoscevo queste strade – racconta – ma poi, proprio all’ultimo ho riconosciuto il finale. Feci infatti il Giro Appennino con la nazionale under diversi anni fa.

«Sapevo di essere il più veloce però non ci ho pensato. Non volevo immaginarmi la volata. Poi con Lorenzo ci conosciamo bene, in gruppo parliamo spesso e gli ho detto: “Ciccio, andiamo all’arrivo, non guardiamoci. Giochiamocela in volata e che vinca il più forte. Non volevo rimorsi e neanche stare a pensare magari di dover chiudere su di lui. Immaginavo, come è stato, che l’olandese ci avrebbe provato. 

«E poi non volevo stare a pensare troppo allo sprint perché io di viaggi mentali già me ne faccio tanti per conto mio! E se mi mettevo a pensare alla vittoria o quanto sarebbe stato bello vincere una tappa al Giro e poi non ci fossi riuscito… lasciamo perdere».

Fuori programma

Come ieri per Dainese, non doveva essere Stefano “a fare la corsa”. Il leader era proprio Van der Poel.

«Il piano era di essere almeno in uno nella fuga di giornata – dice Oldani – ma se questa fosse stata numerosa dovevamo essere di più. Non volevamo ripetere l’errore di Napoli. E infatti alla fine eravamo in tre. Ovviamente Mathieu era il leader.

«Credo si sia visto che più di una volta sono andato a prendergli il ghiaccio, i gel, le borracce… E anche quando sono andato via era solo per rilanciare l’andatura e non lasciare andare Rota (per questo VdP ad un certo punto tirava mentre Oldani era davanti, ndr). Poi si è aperto un certo gap e a quel punto ci ho provato io».

Quando tutto è contro

Ma le difficoltà per Stefano non sono state solo quelle di un gregario che si ritrova in fuga. In quell’urlo post arrivo c’è anche il fatto di aver pagato a caro prezzo il passaggio nel WorldTour nell’anno del Covid e anche quello di non aver potuto andare in ritiro in Spagna con la squadra per la questione della camera ipobarica, vietata per gli atleti italiani.

«Il discorso della camera ipobarica mi lascia deluso – dice serio Stefano – deluso dal nostro movimento, perché è una questione vecchia che nessuno ha più preso in mano. Credo che solo uno o due Paesi al mondo ormai non concedano questi tipi di allenamenti. Questo mi lascia scosso e dice quanto siamo indietro su certe questioni».

«Più di tre quarti del gruppo ne fa utilizzo. Qualcuno dovrebbe rifletterci. Noi italiani siamo in svantaggio. Prima del Giro mi sono fatto due settimane di altura sull’Etna da solo, quando la mia squadra era tutta in Spagna presso questi hotel con la camera ipobarica.

«Loro oltre che allenarsi meglio insieme, facevano gruppo, avevano i meccanici, i massaggiatori… io no. E ogni volta per tornare in quota dovevo farmi un’ora di salita non avendo la macchina al seguito».

Da Genova a Sanremo

Ma è tempo di gioire, di fare dei ringraziamenti. A Basso che gli ha insegnato tanto, alla Colpack che lo ha fatto crescere, a chi lo ha sempre sostenuto e alla sua fidanzata, Lavinia… che lo fa mangiare bene! Oldani infatti, nonostante il nome da chef, in cucina dice di essere negato.

«Per fortuna che c’è lei, altrimenti mangerei solo cibo in scatola! Mi fa alimentare in modo adeguato».

E a proposito di cene e di mangiate, da quando si è trasferito da Milano a Como, non si allena più da solo e fa un po’ meno slalom nel traffico.

«Da quando sono a Como tutto è migliorato. Prima uscivo sempre da solo. Anche per la Sanremo mi feci sette ore in solitaria. Ora invece esco spesso con Cataldo, Nizzolo, Ballerini… siamo in tanti corridori. “Ballero”, che era in fuga, mi ha detto: “Oh, oggi è per te”. E io gli ho risposto: “Ma non vedi che sto facendo il gregario?”.

«Con lui ho un bellissimo rapporto. Quest’inverno siamo stati a cena insieme praticamente ogni sera. O io ero da lui, o lui era da me. Chiacchierate, giochi da tavola…».

Girmay batte Van der Poel, ma il tappo rovina la festa di Jesi

17.05.2022
5 min
Salva

La volata è magistrale, lunga, di potenza pura. A Jesi va in scena la rivincita del duello visto a Visegrad. E’ una sfida fra titani, un duello di forza. E alla fine Mathieu Van der Poel deve arrendersi a Biniam Girmay. E prima di farlo gli fa il gesto del pollice in alto come a dirgli: “Ehi amico, oggi il più forte sei stato tu”.

Il Giro d’Italia arriva a Jesi ed è un bagno di folla. L’estate è esplosa all’improvviso. I platani fanno ombra e i pioppi “fanno nevicare”. L’eritreo della Intermarché Wanty Gobert dunque ce l’ha fatta. Ha vinto la tanto desiderata tappa. E sì che è tutto il Giro d’Italia che ci prova e proprio contro di lui.

Pozzo alla Guarnieri

Nel rettilineo dietro l’arrivo si alza il boato: sono tutti contenti che Girmay abbia vinto. Uno tra i primi a superare la barriera di giornalisti e fotografi che hanno dato l’assalto all’eritreo è Domenico Pozzovivo.

«E’ stata la prima volta in carriera che tiravo una volata – dice il lucano con un sorriso grosso così – Abbiamo fatto un lavorone oggi e Biniam lo ha finalizzato. E’ stata una tappa fantastica per noi. Ce l’avevamo in mente sin dal mattino, ma anche da prima.

«Abbiamo corso compatti. Ci siamo divisi bene i compiti. Prima i passisti e poi nel finale eravamo davanti noi scalatori. Nell’ultima discesa, infatti, che era velocissima, abbiamo un po’ faticato a tenere le ruote. Però sono riuscito a risalire e agli ultimi 700 metri ho urlato a Biniam di seguirmi… ed è andata benissimo».

«La tattica era questa sin dal via: tutti per lui. Ma non era facile attuarla. Soprattutto il finale lo avevamo studiato benissimo. Un meeting molto accurato con i nostri direttori sportivi, Valerio Piva e Steven De Neef.

Biniam è un talento cristallino. Durante la gara abbiamo cercato di farlo stare tranquillo con qualche parola, standogli vicino…».

Pozzovivo è davvero felice. Il suo sorriso è sincero. E’ contento per il compagno, per la squadra, per il gruppo. E per questa nuova esperienza da ultimo uomo. Un Guarnieri in versione mini! Anche a 40 anni c’è qualcosa da imparare. 

Tappo maledetto

Nel frattempo tutti i corridori che sfilano fanno un gesto d’intesa a Girmay o danno una pacca sulla spalla ad uno dei corridori dell’Intermarché Wanty Gobert che incontrano. E’ festa… Piva ai bus abbraccia tutti i componenti dello staff che man mano arrivano a Jesi.

La festa però viene rovinata nel momento in cui dovrebbe iniziare del tutto, cioè sul palco delle premiazioni. Il tappo della bottiglia dello spumante colpisce con violenza l’occhio sinistro di Girmay. 

Poco dopo l’incidente con il tappo dello spumante, il suo occhio sinistro inizia a gonfiarsi
Poco dopo l’incidente con il tappo dello spumante, il suo occhio sinistro inizia a gonfiarsi

In ospedale

Quella che doveva essere una semplice “pizzicata”, con il passare dei minuti diventa un bel problema. E infatti dietro il palco in attesa della conferenza stampa, l’eritreo è piuttosto contrariato. Il dissenso diventa paura quando dice di non vederci più.

L’occhio si gonfia. Si siede, continua a toccarselo, gli danno dell’acqua. Ma nulla da fare. Si attende il medico che a sua volta decide di portarlo in ospedale. L’urlo di gioia viene strozzato. E la conferenza stampa annullata.

La forza del gruppo

Quel che non cambia però è il risultato. E come lo si è raggiunto. Lorenzo Rota, segue Pozzovivo ad una manciata di secondi. 

Mentre sorseggia dei sali, con la divisa più leggera e super traspirante segnata dal bianco del sudore secco, Lorenzo racconta…

«E’ stata una giornata perfetta per noi – dice il lombardo – Ieri abbiamo riposato bene e oggi… è andata così. La vittoria era nell’aria, ma non è mai facile trasformarla in realtà, specie in un grande Giro. Però verso Jesi, dal primo all’ultimo di noi abbiamo fatto un lavoro straordinario».

Anche Rota non sta nella pelle. Sarà anche perché sta tornando ai suoi livelli, dopo aver superato un virus che lo ha tenuto lontano dalle corse per due mesi.

«Sono veramente contento. Come detto, non era facile. Non si tratta di pressione, perché viviamo alla giornata, ma quando inizi a fare risultato questa cresce. Ed è normale. Abbiamo due uomini in classifica e tutte le volte siamo protagonisti con qualcuno». 

«Siamo un bellissimo gruppo. Siamo ragazzi tranquilli. In questa squadra si sta bene, siamo una famiglia… e infatti ho rinnovato con loro per diversi anni. Anche ieri, nel giorno di riposo, anziché stare davanti ai telefonini o ai videogiochi ce ne siamo stati in hotel tutti insieme a chiacchierare. A chiacchierare del più e del meno, a fare considerazioni sulla corsa, a scherzare…

«E anche Pasqualon, che sta preparando il Tour, ogni tanto si fa sentire. L’altro giorno mi ha scritto. Il Giro è ancora lungo e speriamo di toglierci altre soddisfazioni».

Nalini veste il team Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux

18.01.2022
4 min
Salva

Dopo aver comunicato ai primi di dicembre la partnership con il Team DSM, nei giorni scorsi Moa Sport ha ufficializzato la collaborazione con un altro team WorldTour. Si tratta della Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux al secondo anno nel massimo circuito del ciclismo mondiale che vestirà completi firmati Nalini.

Nalini, un brand di riferimento

Jean-François Boulart, general manager della formazione belga, non ha nascosto la sua soddisfazione per il nuovo partner tecnico.

«Sono lieto di questa nuova partnership – ha detto – Moa Sport, di cui il marchio Nalini è punta di diamante, è un punto di riferimento iconico nel mondo del ciclismo. Ha già vestito e continua a vestire molti grandi campioni. Condividiamo gli stessi valori non solo professionali e siamo mossi dal desiderio costante di migliorare. I loro designer – ha aggiunto – hanno disegnato per noi un outfit elegante ed essenziale, mantenendo i colori che consentono a Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux di distinguersi in gara. Aspetto solo di vederli per la prima volta in azione!».

Andrea Pasqualon è uno dei tre corridori italiani del team Intermarchè Wanty insieme a Lorenzo Rota e Simone Petilli
Pasqualon è uno dei tre italiani del team insieme a Rota e Petilli

La nuova divisa

La nuova divisa conferma i colori tradizionali che hanno reso facilmente riconoscibile in gruppo i corridori del team belga. Le maniche di colore giallo fluo e blu navy si fondono perfettamente con il bianco che domina il busto. Qui troviamo gli sponsor principali che danno il nome alla squadra:  Intermarché, Wanty e Gobert Matériaux. Sempre sul busto ecco apparire una novità per la stagione 2022. Si tratta della Vini Zabù, realtà italiana da quest’anno sponsor del team.

Restando alla maglia, nella parte alta ecco i loghi dei partner tecnici della stagione 2022: Cube, DMT, Force e naturalmente Nalini il cui logo è presente anche sul retro della maglia e sui pantaloncini.

Dal momento che in squadra sono presenti anche diversi campioni nazionali, le maglie del norvegese Sven Erik Bystrøm, del sudafricano Louis Meintjes, dell’ungherese Barnabás Peák e dell’estone Rein Taaramäe, richiamano i titoli nazionali conquistati in carriera. La divisa di Alexander Kristoff presenta invece un richiamo al titolo di campione europeo conquistato ad Herning nel 2017.

La foto ufficiale di presentazione della nuova divisa firmata da Nalini
Presentazione della nuova divisa firmata da Nalini

Legati al territorio

La Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux è ambasciatrice della Regione Vallone il cui logo è presente sulla maglia e sui pantaloncini. Quello del legame con la propria terra è un aspetto che ha voluto rimarcare Claudio Mantovani, titolare di Moa Sport.

«Iniziamo con entusiasmo – ha detto – questa partnership con la squadra Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux. Un team che è cresciuto molto negli ultimi anni, pur mantenendo un forte legame con il territorio. E’ una realtà importantissima del ciclismo e questa fedeltà alle proprie origini, alle radici, ci trova assolutamente in linea nei principi e negli sforzi che anche la nostra azienda porta avanti in maniera concreta. Nalini produce infatti quasi totalmente ancora in Italia, rappresentando una realtà lavorativa di primaria importanza. Ci auguriamo che questo sodalizio, che ci vede così simili e vicini nei valori, sia fruttuoso per noi e per il ciclismo in generale».

Piva 2021
Valerio Piva (62 anni) è il diesse della Intermarché Wanty Gobert, quella che sta per iniziare sarà la sua seconda stagione
Piva 2021
Piva (62 anni) è il diesse della Intermarché Wanty Gobert dal 2021

Tanta Italia

Nalini andrà a vestire una formazione che presenta al suo interno una forte matrice italiana. Nella Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux ricopre con successo il ruolo di direttore sportivo Valerio Piva. Sono italiani alcuni atleti della squadra. Si tratta di Andrea Pasqualon, Lorenzo Rota e Simone Petilli. Con loro l’obiettivo è di ripetere quanto fatto di buono nel 2021 a partire dalla vittoria di tappa al Giro d’Italia ottenuta da Taco Van der Horn.

Nalini