EDITORIALE / Ha davvero senso vietare le radio così?

26.09.2022
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Scatenando il solito putiferio, rimettiamo mano al ben noto discorso delle radio in corsa, tema a questo punto di grande complessità e attualità, a giudicare dalle parole appena sentite da Samuele Battistella.

La base ideologica sulla quale siamo cresciuti vuole che se ne dovrebbe fare sempre a meno. Ma le ideologie si evolvono, il mondo ha preso questa strada e bisogna adattarsi per evitare di rimanere indietro. Il ciclismo è cambiato e cambierà ancora. Ci stiamo spingendo verso limiti di prestazione inimmaginabili, su strade per contro sempre meno accoglienti. Per cui anche sul tema delle radio, in termini di sicurezza e supporto alla performance, bisogna fare una bella riflessione.

Rota ha ammesso che non sapeva che il gruppo stava rientrando forte alle loro spalle
Rota ha ammesso che non sapeva che il gruppo stava rientrando forte alle loro spalle

Azzurri in gara

Se ieri al mondiale i nostri corridori le avessero avute, l’ammiraglia avrebbe potuto avvisare i tre leader che i francesi stavano spaccando il gruppo, portando con sé anche Evenepoel e magari uno di loro (in base alle decisioni della riunione pre-gara) avrebbe fatto la sua mossa. Oppure Rota si sarebbe sentito ripetere di restare per tutto il tempo attaccato ad Evenepoel e successivamente avrebbe saputo che da dietro stavano rientrando e, anziché fermarsi a fare melina, si sarebbe giocato il podio insieme agli altri tre.

Se ieri in gruppo ci fossero state le radio, la corsa avrebbe avuto un altro svolgimento. Evenepoel non avrebbe vinto? Uno dei nostri lo avrebbe imbrigliato? Non possiamo dirlo, ma siamo certi che non tutte le dinamiche viste si sarebbero verificate.

Se per i cronometraggi si è passati ai transponder, l’evoluzione deve riguardare anche le comunicazioni
Se per i cronometraggi si è passati ai transponder, l’evoluzione deve riguardare anche le comunicazioni

Gli altri sport

Il problema delle radio è che si usano tutto l’anno, tranne per europei, mondiali e Olimpiadi. Non trovate che sia un controsenso? E’ come far correre i velocisti con le moltipliche libere, costringendoli però al 53 nella corsa più importante. Oppure negare ai cronoman il manubrio speciale solo nel giorno del mondiale. Perché mai?

Allargando il discorso, è difficile trovare un’altra disciplina olimpica in cui il tecnico non possa comunicare con la squadra. Nel calcio è a bordo campo con vari analisti in tribuna che sviluppano sistemi complessi e riferiscono alla panchina. Nel volley e nel basket stessa cosa, con la facoltà di poter fermare il gioco. Nel tennis suggerisce cose a ogni cambio campo. Perché nel ciclismo questo viene proibito nei giorni più importanti? E perché privare gli atleti di un supporto per loro decisivo? 

L’uso della radio in corsa è di uso comune anche per le comunicazioni fra atleti. Ha senso negarla per un paio di giorni all’anno?
L’uso della radio in corsa è di uso comune anche per le comunicazioni fra atleti: ha senso negarla?

L’azione di Evenepoel

Occorre sgombrare il campo da vecchi retaggi. Il ciclismo è lo sport dell’uomo contro l’uomo, dell’uomo contro la natura, questo non cambia. Se si vogliono vietare le radio, lo si faccia fino alla categoria juniores, dove è necessario imparare a correre davanti e sperimentarsi anche nelle situazioni più inattese per imparare a conoscersi. Poi permettiamo a corridori e tecnici dei livelli più alti di fare quello per cui sono pagati. 

A questo punto il tecnico di Evenepoel (Sven Vanthourenhout, con lui in apertura, ndr) potrebbe dire che si tratta di chiacchiere vuote, perché Remco non ne ha avuto bisogno e che sarebbe bastato che gli altri leader fossero stati davanti per vederlo partire. Avrebbe ragione, ma aprirebbe la porta su un altro tema molto delicato. Perché Remco è riuscito a fare senza?

L’abilità di fare la corsa nel finale discende dalla pratica e non sempre i nostri talenti (qui Bagioli) ne hanno l’occasione
L’abilità di fare la corsa nel finale discende dalla pratica e non sempre i nostri talenti (qui Bagioli) ne hanno l’occasione

Abitudine a fare la corsa

E’ emerso nell’avvicinamento al mondiale che anche i nostri corridori più forti sono tenuti quasi quotidianamente a fare la corsa per altri leader. Pur essendo talenti assoluti, riescono a sperimentare solo raramente le loro capacità di leadership. Non devono studiare il modo per vincere la corsa, perché tocca ad altri. E casomai fosse il loro turno, hanno chi nell’auricolare gli spiega cosa fare.

Corridori così non sanno cosa fare se devono giocarsi una grande corsa senza qualcuno che li supporti. E’ un fatto di attitudine e consuetudine. Non hanno quasi più l’abitudine di guardare le lavagne sulle moto e comunque, abituati ai messaggi in tempo reale, le trovano inadeguate. E’ indubbio che lo siano: ieri al mondiale il servizio informazioni è parso piuttosto approssimativo, anche perché gli organizzatori, dando per scontata la presenza delle radio, neppure gli dedicano troppa attenzione. E’ come ritrovarsi per un giorno senza il cellulare in un mondo che ha eliminato quasi del tutto le cabine telefoniche e quelle che ci sono neppure funzionano bene.

L’apporto dei tecnici (qui Velo e Sangalli) è minimo: poco più dell’assistenza tecnica
L’apporto dei tecnici (qui Velo e Sangalli) è minimo: poco più dell’assistenza tecnica

Direttori spogliati

Vietare le radio per tre giorni all’anno è una delle scombinate regole dell’UCI, che non portano al miglioramento dello sport ma incrementano la confusione. Se proprio qualcosa si vuole vietare, si tolgano i misuratori di potenza in gara. In questo caso non si tratterebbe di fermare il progresso, perché se ne consentirebbe l’uso in allenamento, mantenendo al ciclismo le sue prerogative di uomo contro uomo e uomo contro la natura, non di uomo contro quei numeri.

Vietare le radio per tre giorni all’anno, oltre che incoerente, significa spogliare i tecnici delle loro prerogative. E ci chiediamo se in questa continua ricerca del meglio, si tratti di una cosa tanto intelligente.