Voeckler, la tattica folle era ben ponderata. E tutti ci sono cascati

28.09.2021
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Thomas Voeckler... ha pianto, ha gioito e soprattutto ci ha creduto… alla vittoria. E’ vero, il numero è tutto di Julian Alaphilippe, ma una bella fetta del suo successo e dell’aver demolito gli avversari chilometro dopo chilometro è del tecnico francese.

T-Blanc lo ricordiamo per le sue fughe, spesso folli e per le sue smorfie. Ma il suo modo di essere attaccante dentro lo sta riportando, con intelligenza, anche da commissario. 

Thomas Voeckler è tecnico dei galletti da due anni e ha vinto due mondiali (foto Twitter)
Thomas Voeckler è tecnico dei galletti da due anni e ha vinto due mondiali (foto Twitter)

Contro l’Italia…

La tattica della sua Francia, Voekler ce l’aveva ben in mente prima del via. Dopo il Tour de Bretagne si è ritrovato un Alaphilippe che probabilmente non si aspettava neanche lui e da quel momento la sua testa ha iniziato a mulinare la “tattica pazza”, come è stata definita, ma azzeccata. Da lì ha deciso di attaccare a 180 chilometri dall’arrivo.

«Avevo nove corridori che hanno seguito le istruzioni alla lettera. Hanno avuto fiducia nelle mie scelte tattiche fatte già tre giorni prima. Erano tutti d’accordo (persino Demare si è messo a disposizione, ndr). Ho detto ai ragazzi di non correre contro il Belgio, ma soprattutto contro l’Italia e le altre nazioni come Inghilterra e Olanda. E l’ordine d’arrivo lo dimostra».

Nella testa di Voeckler c’era l’idea di chiamare l’Italia e l’Olanda al lavoro. Non solo il Belgio…
Nella testa di Voeckler c’era l’idea di chiamare l’Italia e l’Olanda al lavoro. Non solo il Belgio…

La tattica folle

«Hanno detto che la mia azione era idiota? Bene – continua Voeckler – ma scattando così da lontano abbiamo rotto i loro piani e gli abbiamo fatto perdere uomini preziosi». E lo dimostrano sia il super lavoro a cui è stato poi chiamato Evenepoel, gli azzurri che si sono persi e al fatto che Van Aert stesso abbia ammesso che è rimasto sorpreso dall’affondo nel primo giro grande.

Ed è stato un affondo vero e improvviso. Dando un’occhiata ai dati e ai tempi di percorrenza, si nota come la prima metà del primo giro grande sia stata la più veloce. E lì sono stati i vari Cosnefroy (nella foto di apertura, ndr) e Madouas a creare scompiglio. Per trovare gli stessi valori bisogna attendere la seconda metà dello stesso circuito, ma nella tornata successiva 120 chilometri dopo. Cioè al primo attacco di Alaphilippe.

Francia sul podio prima del via. Si corre per Alaphilippe (o Senechal in caso di arrivo in volata)

Un finale diverso…

«In realtà Alaphilippe non avrebbe dovuto fare tutti quegli scatti nel finale – ammette il cittì a Cyclisme Actu – Ne avrebbe dovuti fare di più Valentin Madouas, mentre Florian Sénéchal doveva attendere lo sprint. Invece Julian mi ha fatto prendere un bello spavento! Sono molto contento per lui e per tutta la squadra. È un ottimo corridore e una persona incredibile. Attaccare Van Aert e gli altri a 15 e passa chilometri dall’arrivo è il ciclismo che amo». 

E poi ha concluso con le sue solite uscite a tinte forti. «Ho 42 anni e vorrei vivere ancora un po’! Per questo, scherzando, ho detto al presidente della federazione francese che avrei lasciato. Questi ragazzi mi faranno morire prima o poi!» ha detto a France Tv.

Vos, the Queen: benedizione per Elisa e commiato per Anna

27.09.2021
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Marianne Vos ha un’eleganza a suo modo regale. Mentre sabato le attenzioni della stampa si concentravano su Elisa Balsamo che l’aveva appena battuta, l’olandese aveva sul volto un sorriso composto e attento. E mentre seguiva le risposte della giovane azzurra, annuiva e ne approvava semmai le risposte. Forse davvero il suo palmares immenso le consente di vivere con distacco anche le sconfitte cocenti. Ma se ti fermi a pensare che quello di Leuven è stato il quarto mondiale perso per mano di un’azzurra, la sua calma assume contorni quasi mitologici. Marianne ha conquistato 2 ori olimpici, 3 mondiali su strada e 2 su pista, oltre ai 7 nel ciclocross (più altre 10 medaglie fra argento e bronzo).

«Non ho perso la corsa a causa del treno – dice – l’ho persa quando non sono riuscita a superare Elisa. Dispiace arrivare così vicina a una grande vittoria e doversi arrendere, ma quando ho lanciato la volata, dopo le prime pedalate ho capito che non potevo tenere la sua velocità. Sapevo che il finale sarebbe stato duro e che io sarei dovuta restare in attesa fino alla fine. Ero sulla ruota giusta, ma lei è stata più giusta di me».

Nel finale, Marianne Vos ha dovuto chiudere da sé un paio di buchi, lasciata sola dal team
Nel finale, Marianne Vos ha dovuto chiudere da sé un paio di buchi, lasciata sola dal team

Balsamo predestinata

Le ragazze di classe imparano a riconoscersi, probabilmente facendo parte dello stesso club in cui si insegnano il talento e il modo migliore di educarlo. E così se grande e motivata è l’ammirazione di Elisa Balsamo per l’olandese, a Marianne non erano sfuggite le prove dell’azzurra. Lo ammette con onestà.

«Nei giorni di vigilia – racconta – ho detto a tanti che mi chiedevano di fare un nome, di stare attenti al suo. L’avevo vista molto concentrata nelle corse di avvicinamento e mi ero accorta di quanto fosse a suo agio nelle classiche, sulle stradine di qui. Soprattutto il quarto posto alla Gand e il terzo alla Freccia del Brabante su queste stesse strade. L’Italia arriva ai mondiali sempre con delle belle squadre e nel finale anche questa volta sono state in grado di fare un grande treno. Qualcosa che a me è mancato. Gli attacchi nel finale sono stati fiacchi, erano tutte stanche. Tanto che nonostante dovessi restare coperta per la volata, per riprendere Mavi Garcia ho dovuto lavorare anche io».

Agli europei di Trento, Marianne Vos aveva lavorato per la vittoria di Van Dijk e si era poi fermata
Agli europei di Trento, Marianne Vos aveva lavorato per la vittoria di Van Dijk e si era poi fermata

Saluto ad Anna

L’ultimo pensiero di sua maestà Marianne, 34 anni, è stato per Anna Van der Breggen, 31 compiuti ad aprile. L’ha vista arrivare e diventare professionista. Ha partecipato alle sue vittorie e ne ha avuto anche l’aiuto. E ora che l’iridata di Imola è a un passo dal ritiro, il saluto è sincero.

«E’ una grande campionessa, ma anche una grande persona – ha detto – ed è strano parlare come non ci fosse già più. E’ sempre stata molto concentrata e insieme rilassata, trovando il miglior equilibrio. Ha raccolto i frutti che meritava, ma non si è mai comportata come la regina del ciclismo, anche se negli ultimi anni lo è stata. Anna è sempre stata Anna e resterà ancora Anna. Abbiamo avuto una grande campionessa e un grande modello per il ciclismo, ora si trasformerà in un grande tecnico».

Sorrideva davvero e dopo l’ultima… benedizione alla connazionale, Marianne se ne è andata portando la sua eleganza fuori dalla stanza. Dopo i suoi anni bui, lei al ritiro non pensa. Del resto, se arrivi seconda al mondiale, perché non pensare di poterlo vincere ancora?

EDITORIALE / Con Argentin a Leuven, parlando al futuro

27.09.2021
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Ieri sera tardi la Muntstraaat, una delle strade di locali di Leuven, sembrava il red carpet del ciclismo. Con campioni, figure di spicco, tifosi e giornalisti alla fine di un mondiale splendido per cornice e risultati. Così dopo il passaggio di Enrico Della Casa (presidente della Uec e vicepresidente dell’Uci), di John Lelangue (tecnico della Lotto Soudal), di Czeslaw Lang (organizzatore del Giro di Polonia) e di Fabian Cancellara inseguito dai fans, è stata la volta di Moreno Argentin. Il veneziano, invitato dall’Uci al Galà dei campioni del mondo di sabato sera, si è seduto con noi e ci siamo messi a parlare al futuro.

Dal cittì ai bambini

Del futuro cittì, ad esempio: chi sarà? Chi fra i personaggi tirati in ballo ha il carisma necessario per mettere d’accordo i corridori? Si è parlato del fatto che nessun esponente della Fci fosse presente alla serata di gala (era la sera della Balsamo iridata, ma in effetti un vicepresidente poteva anche andare). E alla fine il discorso è andato sui mondiali appena conclusi e quanta gente li abbia seguiti, mentre a tratti tifosi con le bandiere sulle spalle portavano la loro allegria rumorosa verso la birra successiva.

«Si parla di un milione e mezzo di presenze – diceva Argentin – ma si vede che qui la bicicletta non è uno sport fine a se stesso, fa parte della loro cultura. I centri storici sono quasi tutti pedonali. Le vie sono piene di ciclabili. I bambini iniziano a sentirne parlare all’asilo. Le maestre gli spiegano le regole del pedalare e del traffico. Credo che con tanto pedalare spendano meno anche per la sanità, sembrano tutti in forma. Così quando crescono, seguire le corse è una cosa vicina alla loro quotidianità. Avete visto quanti giovani e quanti bambini c’erano sulle strade? Da noi invece i ciclisti sono una presenza fastidiosa. E se nelle città storiche proponi di chiudere il centro, scoppia il pandemonio. Hanno speso davvero 21 milioni di euro per questi mondiali? Una bella fetta sarà finita nelle tasche dell’Uci, ma vista la riuscita, credo siano stati soldi ben investiti».

Con il centro delle cità totalmente chiuso al traffico, sin da bambini ci si muove liberamente in bici
Con il centro delle cità totalmente chiuso al traffico, sin da bambini ci si muove liberamente in bici

Un progetto a San Donà

Strade già pulite e piene di biciclette. Programmi cicloturistici abbinati alle corse. Tifosi che inneggiavano a Van Aert dai giorni precedenti e ancora ieri sera. Perché vincere è bello. Pregustare la vittoria è il motivo per stare insieme e brindare. Ma combattere per il proprio Paese, giocarsela sino in fondo, accettare la sconfitta e scusarsi se va male, non lo puoi raccontare come una sconfitta. E mentre si ragionava su questo, Argentin ha cominciato a parlare di quel che sta facendo con il sindaco di San Donà di Piave, che casualmente è un amico comune e si chiama Andrea Cereser.

«C’è un’area molto ampia – racconta Argentin – che prima ospitava una discarica ed è stata bonificata. Vorremmo fare una sorta di parco in cui si insegnano l’educazione stradale e l’educazione ambientale. Con dei percorsi ciclabili, delle aule e dei laboratori in cui gli insegnanti possano portare i ragazzi per fare le loro lezioni. Sto martellando Cereser da tanto tempo e sono fortunato, perché lui è appassionato della bicicletta e ci sostiene. Si tratta di vincere il bando, ma è un bel progetto. E se poi il bambino che viene dentro con la scuola, vede il percorso e le bici e se ne innamora? Se convivi con la bici sin da piccolo, quando cresci avrai un approccio diverso».

Ripartire dal futuro

Bisogna partire dai bambini, il futuro sono loro. Rcs ha avuto dei fondi dal Governo per il progetto Biciscuola, ma trattandosi di iniziative private, dipendono dalla libera iniziativa degli insegnanti e non tutti gli insegnanti hanno aderito (sarebbe meglio chiedersi quanti lo abbiano fatto). Serve qualcosa di più organico e strutturato.

E serve che la Federazione ciclistica cominci a guardare con attenzione cosa accade nei comitati provinciali. Sta a loro agire sul territorio, entrare nelle scuole, promuovere il ciclismo, mentre la sensazione è che in molti casi si tratti dei primi avamposti per la raccolta dei voti e lì si fermino. Sta alla Federazione e alla stampa. Perché è vero che le medaglie sono arrivate, ma facciamoci qualche domanda. Sono venute per l’attività capillare sul territorio o per l’opera appassionata e competente di pochi tecnici e alcuni atleti di talento? Raccontare la punta dell’iceberg non porta tanto lontano.

Oggi si riparte dalle Fiandre, il luogo in cui vivere se si è appassionati di ciclismo, e si farà nuovamente rotta sull’Italia. Porteremo negli occhi ancora per un po’ il bello di questi giorni e ben annotato sul taccuino un altro filone da seguire. Ci piacciono i campioni, è bello raccontarne le gesta e le emozioni. Ma come stiamo già facendo con gli juniores, adesso andiamo a vedere cosa c’è sotto.

Emozioni e analisi tecniche con Plebani e Bronzini

27.09.2021
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Il bagno di emozioni, di racconti e anche di analisi tecniche non si ferma più. Anche a distanza di un paio di giorni. Nel dopogara del mondiale delle donne elite, abbiamo incontrato Davide Plebani, pistard e fidanzato di Elisa Balsamo, la star del sabato di Leuven.

Davide se ne sta seduto su un muretto a bordo strada a rispondere ai messaggi. I tanti messaggi che gli sono arrivati dalle 16:35 in poi.

Davide Plebani: dopo la vittoria di Elisa il suo telefonino è stato sommerso dai messaggi
Davide Plebani: dopo la vittoria di Elisa il suo telefonino è stato sommerso dai messaggi

Il telefonino impazzito

Lui era in macchina con Davide Arzeni e alla fine sono riusciti a raggiungere il percorso per gustarsi giusto in tempo il finale di gara. Ma non erano proprio sul traguardo.

«No, ero ai 500 metri – racconta Plebani ancora “scioccato” dal trionfo – Ho fatto in tempo a vederle uscire dall’ultima curva, ma non sapevo nulla. Lo speaker continuava a nominare la Longo Borghini, ma non sapevo poi chi avesse visto. C’era una telecamera fissa vicino a me e ho provato a vedere dallo schermo di quest’ultima, ma non si vedeva bene. Poi ho sentito il boato… e all’improvviso mi sono arrivati centinaia di messaggi. Allora ho capito che aveva vinto Elisa. Mi sono buttato per terra, ho iniziato a urlare a rotolare… la gente mi guardava male!».

Sono emozioni fortissime. Soprattutto se oltre ad essere legato sentimentalmente ad una persona, come lei sei un atleta. Sai cosa fa per essere a quel livello, cosa mangia, come vive, quanto viaggia…

La Balsamo ai campionati italiani a metà settembre. E’ qui che ha ritrovato la brillantezza giusta secondo Plebani
La Balsamo ai campionati italiani a Dalmine. E’ qui che ha ritrovato la brillantezza giusta secondo Plebani

Il tanto lavoro alle spalle 

«La gente magari non si immagina che lavoro ci sia dietro – riprende Plebani – Se lo merita proprio Elisa, ma anche la nazionale. Tutta. Un mondiale inizi a prepararlo mesi e mesi prima. Anni forse. Hanno fatto ogni cosa, ogni allenamento in modo mirato. Senza contare come hanno corso.

«Ma avete visto la volata? In pratica Elisa è ripartita da ferma. Ma è stato perfetto anche questo gesto. Un gesto figlio di un’ottima preparazione. E del lavoro su pista.

«Elisa non era uscita al meglio dai Giochi. Sono stati bravi Arzeni e Salvoldi. Quindi l’hanno fatta lavorare molto sulla distanza. Ai campionati italiani su pista. La vedevo che non era lei. Era lenta. Ma quelle volate, le ripartenze… le sono servite. E infatti già all’europeo di Trento stava benissimo. Le hanno dato spunto. E la volata iridata si è vista.. Aveva questa opportunità enorme. E l’ha colta».

Giorgia Bronzini si complimenta con una commossa Elisa Balsamo
Giorgia Bronzini si complimenta con una commossa Elisa Balsamo

L’analisi della Bronzini

E anche Giorgia Bronzini interviene sulla volata. L’ex iridata fa un’analisi tecnica, visto che è stata un po’ anomala. Un’analisi da ex velocista e pistard. Come ha detto Plebani: è stata quasi una partenza da fermo. Ad un tratto, dopo che si era spostata la Longo, la Balsamo non è scattata subito. Si è quasi rialzata.

«E’ stata un tira e molla. La Longo era un po’ lunga e la Balsamo non l’ha seguita. E’ stata calma, molto calma. Non si è lasciata prendere dal panico, fidandosi nettamente della Longo. Elisa, Longo Borghini intendo, si è trovata spesso in questa situazione quindi ha gestito la sua progressione in modo esemplare. La Balsamo ha creduto nella ruota che aveva davanti e ha aspettato il momento giusto. E poi chiaramente aveva le energie».

«E poi credo – riprende col sorriso la Bronzini – che Marianne abbia subito ancora una volta il fatto di avere davanti una maglia blu! Penso sia una cosa mentale perché la Vos aveva reagito già in diversi attacchi quindi la gamba ce l’aveva. Se mi ricordo una mia volata così? No perché non sono mai stata davanti alla Vos! A prescindere da questa cosa tremenda, io ho quasi sempre fatto le volate di rimonta e mai di testa».

Sorpresa? Non tanto, il profumo del bis era nell’aria

27.09.2021
4 min
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E’ notte fonda quando il telefono squilla e Davide Bramati riemerge da una cena con gli altri tecnici della Deceuninck-Quick Step. Erano anche loro a Leuven e hanno brindato alla vittoria iridata di Alaphilippe (in apertura con la compagna Marion Rousse) e alle prestazioni più che soddisfacenti del resto dei corridori. La squadra belga aveva il record dei convocati al mondiale, con 13 elementi. Al punto che nel gruppo che si è giocato la corsa, trasversalmente alle varie nazionali ma con lo stesso casco e le stesse bici, si riconoscevano Evenepoel, Bagioli, Senechal, Alaphilippe e Stybar. Ma il focus questa volta è soltanto sul francese che si è portato a casa il bis iridato in due anni.

Bis iridato: sul traguardo ha avuto la ricompensa per i tanti piazzamenti del 2021
Bis iridato: sul traguardo ha avuto la ricompensa per i tanti piazzamenti del 2021
Davide, pensavi avesse questa condizione?

Di sicuro al Tour of Britain aveva fatto vedere di avere una grande condizione, trovando però un Van Aert stellare che l’ha battuto in due scontri diretti. Secondo me però si trattava solo di trovare serenità, perché come ha detto anche lui quella maglia è un bel peso da portare.

Magari non è per caso che ha vinto indossandone un’altra…

E’ stato un grandissimo mondiale. Bello per il pubblico e bello per le medie subito alte. E lui ci ha messo sopra il tocco di classe. La Francia lo voleva e ha corso per prenderlo.

Pensavi che Julian potesse fare un numero del genere?

Visto il percorso e conoscendo le sue caratteristiche, una mezza idea mi era venuta. Magari non pensavo che si facesse fuori un giro e mezzo. Nella mia testa lo avrei visto fare come Baroncini, con un attacco sul penultimo muro. Ma Julian sa valutare gli avversari e deve essersi reso conto che erano in pochi davanti. E per evitare che lo anticipassero, è partito da solo.

Quasi un milione e mezzo di spettatori lungo il percorso di Leuven
Quasi un milione e mezzo di spettatori lungo il percorso di Leuven
Pesa più la vittoria di Leuven o quella di Imola 2020?

L’anno scorso fece un grande numero. Quest’anno dopo il campionato italiano l’ho detto ai ragazzi, avendo seguito la corsa dietro Masnada, praticamente lungo lo stesso percorso. Rivedendo le strade mi sono reso conto dell’impresa. Ma anche questa volta è stato da incorniciare, due grandissime azioni.

Credi che davvero la maglia iridata gli sia pesata?

Lo hanno sempre detto tutti. Pesa, tutti la vogliono e tutti vogliono batterti. Lui ha continuato a cercare le vittorie nel solito modo e sono venute una grandissima Freccia Vallone e il numero e la maglia gialla del Tour. Però ha speso di più e magari in alcune occasioni ha trovato qualcuno più fresco. Così, più che le vittorie ha contato i secondi posti. Bè, credo che questa volta si sia ripagato alla grande.

Dici che rischiava di sviluppare il complesso di Van Aert e Van der Poel che lo hanno spesso messo in mezzo?

Non credo. Ha vinto tre grandi corse e magari ne sarebbero bastate altre tre per avere una stagione eccezionale. Invece è arrivato per circa 25 volte fra i primi dieci. Con sei successi all’attivo, adesso parleremmo di altro.

Sul traguardo di Great Orme al Tour of Britain, era stato battuto da un super Van Aert
Sul traguardo di Great Orme al Tour of Britain, era stato battuto da un super Van Aert
Cassani lo ha paragonato al miglior Bettini…

Vero, me lo ha ricordato. Ha cercato sin da subito di fare la selezione nel tratto in pavé, poi ha attaccato sullo strappo in asfalto. Credo che a vederlo si siano divertiti davvero tutti, come succedeva con Paolo. E anche il Betto fece il bis di mondiali.

Due parole per altri tuoi ragazzi: Remco, ad esempio…

Ha fatto una bellissima corsa, stando al vento dal chilometro 20 fino al 250. Penso che chiunque nei giorni scorsi abbia detto che avrebbe corso per sé, dopo il mondiale avrà un’altra idea. Non è da tutti riuscire a fare il grande lavoro fatto da Evenepoel.

E Bagioli?

Anche Andrea ha fatto un grandissimo mondiale, dopo aver fatto un bell’europeo a Trento, sempre tirando. E’ entrato in un’azione importante, credo che ne sentiremo parlare a lungo. Anche lui ha appena 22 anni…

Un Alaphilippe gigante per il bis: «Non sarò mai un robot»

26.09.2021
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Il primo scatto per provare le gambe e guardarli un po’ negli occhi. Il secondo per andare via. Alaphilippe sembra stordito, di sicuro è stanco, ma ha vinto il mondiale per il secondo anno di fila. Per questa edizione, il protocollo ha subito un rimescolamento diabolico. Il tre del podio hanno ricevuto per la prima volta maglia e medaglie sul palco piccolo dopo l’arrivo. Poi sono stati portati in auto nella Ladeuzeplein, la piazza in cui si trovava il podio grande. E da qui, esaurito il secondo ciclo di premiazioni, sono tornati alla zona mista per rispondere alle domande delle televisioni. Solo dopo sono arrivati alla conferenza stampa, avendo ancora da fare il controllo antidoping. Forse per questo quando Alaphilippe ha salutato i giornalisti, ha augurato a tutti un buon Natale…

Il primo attacco di Alaphilippe per saggiare i rivali, poi a testa bassa fino al traguardo
Il primo attacco di Alaphilippe per saggiare i rivali, poi a testa bassa fino al traguardo

Un anno faticoso

Non è stato un anno facile per lui. Quel modo spavaldo di correre, con la maglia iridata addosso si è in breve trasformato in un tiro al bersaglio. Ogni cosa è diventata più complicata. Anche perché il primo anno normale dopo quello del Covid di normale ha avuto ben poco.

«L’anno scorso ero pronto per vincere – dice – il mondiale era il mio obiettivo più grande dopo il Tour. E’ stato bello riuscirci. L’anno da campione del mondo è stato bellissimo, ma essere all’altezza della maglia è stato molto faticoso. Ho appena saputo che nessun francese l’ha mai vinta per due volte di seguito, potrò raccontarlo a mio figlio. In realtà ero rassegnato a riconsegnarla e mi sono detto che fosse il momento di concentrarsi su qualcosa di diverso

«Poi sono venuto qui. Il percorso non era adatto, ma la forma era giusta. Ho lavorato duro per essere pronto. Abbiamo fatto una bella corsa con la squadra. Senechal era concentrato sullo sprint. Io ero libero, se mi fossi sentito bene, di fare la mia corsa. Così ho deciso di attaccare. Non immaginavo che sarei arrivato da solo e di fare più di un giro al comando. E’ stata dura, ma me la sono goduta di più».

Finale duro e doloroso

Il primo scatto per provare le gambe e guardarli un po’ negli occhi. Il secondo per andare via. Dice Cassani che gli è sembrato di vedere il miglior Bettini, capace di fare 3-4 scatti prima di mollarli tutti.

«Quando mi sono trovato con Colbrelli – conferma – volevo provare le gambe, per vedere chi c’era. Ho visto che Sonny era forte, ma anche che il Belgio aveva ancora due o tre corridori. Non era necessario continuare, perché ero ancora lontano dal traguardo. Poi mi sono reso conto che Evenepoel era il solo a lavorare duro sul circuito di Overijse e ho cominciato a chiedermi come mai nessuno lo aiutasse. Vuoi vedere che Van Aert non sta bene? Ho detto però a Senechal di salvare le energie e di concentrarsi sullo sprint. E’ stato utile per me avere Florian dietro. Ognuno era concentrato sulla sua corsa. Tutti sapevano che Van Aert era uno dei più veloci e dei più forti, ma anche Colbrelli e Van der Poel facevano paura. Non ero concentrato su uno solo, ma ho provato a fare la differenza. Ho smesso di pensare e sono andato a tutta. Gli ultimi 20 chilometri sono stati davvero duri e dolorosi».

Alaphilippe sul podio con Van Baarle e Valgren: il danese ha preceduto Stuyven. Belgi beffati
Alaphilippe sul podio con Van Baarle e Valgren: il danese ha preceduto Stuyven. Belgi beffati

Con cuore e fantasia

Le domande si succedono e lui un paio di volte svia il discorso. Come quando gli chiedono che cosa significherà correre il prossimo anno ancora da iridato e lui risponde che non lo sa. 

«Ragazzi – spiega – io quasi non mi rendo conto di essere davanti a voi con questa maglia. Ho bisogno di tempo, è un’emozione speciale. C’era grande tifo oggi. E’ stato bello vedere tanta gente, anche se nell’ultimo giro tanti belgi mi dicevano di rallentare. A uno ho fatto cenno che non potevo, ma li capisco. In ogni caso mi hanno dato grande motivazioni. In qualche modo sono un po’ belga anche io, la mia squadra è belga e fra agosto e settembre sono venuto a correre qui. E’ stato importante, come quando fai le ricognizioni delle tappe. Capisci dove correrai e io ero pronto per queste strade. Abbiamo avuto un grande spirito. L’ho visto sulle facce dei miei compagni dopo l’arrivo, che erano più felici di me.

«Ora però ho bisogno di tempo per capire e dire cosa farò. Se mi conoscete, sapete che spreco molte energie quando corro. Ma quando hai questa maglia, tutti ti guardano, tutti ti distruggono perché devi vincere. Io sono sempre lo stesso corridore dal 2014, provo sempre lo stesso piacere nel correre e per me è importante rimanere così. Non voglio diventare un robot, voglio continuare con questa grinta, sempre provare a vincere con il cuore e farlo con la maglia iridata sarà anche più bello. Buonasera a tutti, amici. E buon Natale…».

Mondiale compromesso dalla maledetta caduta

26.09.2021
5 min
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Il tempo di capire che i due per terra fossero Trentin e Ballerini e si è capito che stavolta sul mondiale degli azzurri avrebbe brillato una stella nera come la pece. Nella corsa impazzita voluta dai francesi e dai belgi, con la prima ora a 46,6 di media e quella finale di 45,137, trovarsi senza due uomini di quel peso poteva significare essere scoperti quando i fuochi di artificio avessero lasciato spazio ai colpi di cannone. E così è stato.

«Sono dispiaciuto per il risultato perché stavo bene – dice Sonny Colbrelli La caduta all’inizio si è fatta sentire nel finale, perché sicuramente Trentin e Ballerini potevano essere lì con me e quando Alaphilippe e gli altri sono partiti, potevano entrare loro. Io avevo Bagioli e Nizzolo, però avevano già lavorato prima. Nizzolo ha detto che lavorava per me perché non aveva grandissime sensazioni. Ho provato sul primo strappo a seguire Alaphilippe, però ho visto che dietro tirava sempre il Belgio. Allora ho fatto la corsa su Van Aert, invece sono andati via quelli lì e cosa ci posso fare? O guardo l’uno o guardo l’altro ed è andata così…».

Duro lavoro per Bagioli, alla fine tradito dai crampi
Duro lavoro per Bagioli, alla fine tradito dai crampi

Fregato da Van Aert

Colbrelli dice tutto d’un fiato, con il berretto calato sugli occhi, dopo aver regalato la maglia azzurra a un tifoso che l’ha subito passata a sua figlia. Lei l’ha indossata immediatamente, mentre Sonny diceva che avrebbero dovuto lavarla, perché era la maglia con cui aveva appena finito la corsa.

«Avevo già chiuso su Alaphilippe – prosegue – ma non sapevo se scattava perché non ne aveva o perché voleva anticipare. Ma visto il numero che ha fatto, ha spazzato via ogni dubbio. Avevo sensazioni buone, ero sempre davanti quando la corsa si è accesa. Ho chiuso anche io su un paio di buchi ed è stata grande la squadra a chiudere sulla prima fuga. Ma non possiamo tornare indietro. La vigilia è stata super tranquilla, ero sereno. Ero più teso all’europeo, qui siamo stati tutti insieme a ridere e scherzare. Questo gruppo è anche la nostra forza».

Trentin dolorante e deluso, si consola con i figli
Trentin dolorante e deluso, si consola con i figli

Trentin acciaccato

Nella zona dei pullman si smantellano sogni e ammiraglie. Non si dovrebbe entrare, ma grazie al cielo siamo riusciti a passare e a parlare con i corridori. Claudia e i bimbi, aspettano Trentin, che ha le movenze di un eroe azzoppato, anche se la sensazione è che a far male sia soprattutto il morale. Dice di aver picchiato parecchio forte, poi fa spallucce e va a sedersi su di un frigo.

«Non riuscivo a pedalare – ammette – per questo ho tirato. Mi faceva un male cane, ma alla fine la fuga l’abbiamo ripresa. Non ci voleva. Il mio mondiale è andato così».

Nizzolo sfinito, si è messo a disposizione di Colbrelli nel finale
Nizzolo sfinito, si è messo a disposizione di Colbrelli nel finale

Il lavorone di Remco

Bagioli e i suoi 22 anni hanno tenuto tra i denti la ruota di Evenepoel lungo i tanti chilometri di fuga, senza sapere che alle loro spalle si stavano avvicinando vanamente minacciosi gli altri corridori del Belgio.

«Il mio lavoro era più o meno quello – racconta Andrea – anche perché i nostri piani sono stati scombussolati e abbiamo dovuto reinventarci la corsa. Prima del giro grande ho visto che Madouas ha provato ad attaccare e l’ho seguito. Poi è arrivato Remco ed eravamo un bel gruppetto. Ho provato io sullo strappo e siamo rimasti in 4-5.

«Successivamente è rientrato il gruppo dei migliori e Remco ha fatto un grande lavoro. Non credo che prima sapesse che dietro c’erano i belgi. Senza radio è difficile da capire la situazione. Dal circuito grande fino in città, ha tirato lui. Io ero in seconda posizione e faticavo a stargli a ruota. Poi mi sono venuti i crampi e addio…».

Nel finale del mondiale Colbrelli ha corso su Van Aert e la corsa è andata via
Nel finale del mondiale Colbrelli ha corso su Van Aert e la corsa è andata via

L’uomo mancante

E poi c’è Cassani, che avrebbe immaginato e meritato un finale diverso, mentre il presidente Dagnoni rimanda tutti i discorsi all’incontro che avranno mercoledì al Vigorelli e ribadisce che non si sarebbe mai sognato di augurare ai nostri una prestazione scialba per poter legittimare l’allontanamento del cittì.

«La sfortuna è stata grande – dice Davide – perché abbiamo perso presto Ballerini e Trentin, che ci sono mancati nel finale. Tra l’altro sono caduti proprio nel settore di gara in cui è andata via l’azione e per fortuna siamo riusciti a rimediare. Anzi, ci sono riusciti loro due. Perché stavano male, non riuscivano a pedalare, ma si sono messi a disposizione e ci hanno permesso di riaprire la corsa. Su 17 uomini in testa, tre erano i nostri. Abbiamo cercato di fare il massimo, ma Alaphilippe è stato incredibile. Niente da dire, oggi ha vinto il più forte».

Cassani ha chiuso con i brividi il suo ultimo mondiale: «Non ho rimpianti, a parte la sfortuna»
Cassani ha chiuso con i brividi il suo ultimo mondiale: «Non ho rimpianti, a parte la sfortuna»

I brividi di Nizzolo

Il dubbio resta sulla corsa del Belgio, che ha incastrato Colbrelli e forse ha costretto il gruppo ad attendere l’attacco di Van Aert che in realtà non aveva le gambe per farlo.

«Abbiamo subito visto che Evenepoel – riprende Cassani – si era messo a disposizione e ha tirato fortissimo. Alla fine Sonny ha tergiversato un pochino, ha perso l’attimo o forse ha cercato di dare un’occhiata a Van Aert e Van der Poel. Loro avevano due uomini, a noi ne è mancato uno nel finale, nonostante Nizzolo sia stato grande, si sia sacrificato e abbia cercato di rimediare».

«Non ho rimpianti, se non maledire la sfortuna. Senza la caduta, invece di tre uomini davanti, ne avremmo avuti cinque e forse la corsa poteva avere una piega diversa. Con i se ed i ma non si fa niente, per cui onore ad Alaphilippe. E’ sembrato di vedere il miglior Bettini, in grado di fare due, tre, quattro scatti. Sapevamo che era forte. Sabato prima della corsa ha fatto 60 chilometri, aveva puntato deciso a questo mondiale. Quanto a me… Me ne vado con la pelle d’oca. Finire la mia avventura qui a Leuven, dove c’erano migliaia di persone è stato comunque speciale. Si parla di un milione e mezzo di persone? Li abbiamo sentiti tutti. Pensate che Giacomo Nizzolo mi ha detto grazie di averlo portato qui, perché oggi anche in corsa ha avuto anche lui i brividi».

Van Aert, sfinito e deluso: «Chiedo scusa al Belgio»

26.09.2021
5 min
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Ancora una volta Wout Van Aert si conferma un grande signore. Era l’uomo più atteso, è diventato il grande sconfitto. Nonostante tutto, nonostante fosse deluso (il suo volto parlava chiaro), è tra i primi a presentarsi ai giornalisti. E mentre attacca a parlare si sente in lontananza l’inno francese. A quel punto il campione della Jumbo-Visma si lascia andare ad una smorfia, tra le guance impolverate. Sorseggia di tanto in tanto una Coca e racconta…

Van Aert si concede ai microfoni a fine gara. La sua delusione è tanta
Van Aert si concede ai microfoni a fine gara. La sua delusione è tanta

Van Aert senza gambe

«Ho capito che le cose non erano al meglio sul primo attacco di Alaphilippe nel circuito grande – dice Van Aert – Ci ho messo un po’ a rispondere al suo affondo e soprattutto non me la sono sentita. E questo non era un buon segno. Però poi la corsa tutto sommato si era messa bene. Siamo andati via in 17 e in 3 eravamo del Belgio. Potevamo vincere. E ci abbiamo anche provato. Remco (Evenepoel, ndr) ha fatto un lavoro egregio. Andava talmente forte che mi ha permesso tutto sommato di essere tranquillo dal punto di vista tattico. Perché nessuno poteva scattare con quel ritmo.

«Piuttosto ci ha sorpreso l’attacco dei francesi al primo giro nel circuito esterno, quando hanno cercato metterci pressione con Cosnefroy. Io non me lo aspettavo. Lì si è rotta la corsa – come a dire che sia stato il momento chiave – mancavano 180 chilometri. Abbiamo fatto un’ora folle. Io l’attacco me lo aspettavo al secondo passaggio».

Stuyven, stanchissimo, ha perso il podio in volata
Stuyven, stanchissimo, ha perso il podio in volata

Quella voce a Stuyven

Van Aert però continua a difendere la squadra. E in effetti il Belgio il suo lavoro lo ha fatto.

«La tattica – riprende Wout – era giusta, non credo che abbiamo commesso errori. Nel finale eravamo in tre e con me e Jasper (Stuyven, ndr), cioè coloro che dovevano esserci. Il problema è che nessuno di noi aveva le gambe per le medaglie.

«Forse l’unico errore l’ho fatto io e me ne prendo la responsabilità: e cioè non avere detto un po’ prima a Stuyven che non ero al massimo, magari poteva fare qualcosa di diverso. Però è anche vero che in quella situazione eravamo ancora in tre. Più che altro se glielo avessi detto prima, al momento dello scatto decisivo di Alaphilippe poteva stargli dietro. Magari gli avrei dovuto dire proprio io: “vacci Jasper”. Non credo che avrebbe vinto, ma magari avrebbe preso una medaglia, cosa che sarebbe stata una ricompensa per lui, per la squadra, per la sua città…».

Scuse al Belgio

Waout “porta la croce” dunque. Forse si dà sin troppe colpe. Una cosa è certa: il pubblico era tutto per lui. Anche ieri sera le strade e le piazze di Leuven inneggiavano a lui. E chi lo conosce ci dice che non è questione di pressione. Ci è abituato. Ogni domenica nel cross, in ogni grande evento Wout è chiamato a vincere.

A questo punto ci si chiede perché, essendo Van Aert così veloce, il Belgio non abbia addormentato la corsa e puntato alla volata. Un po’ come hanno fatto le olandesi ieri.

«Perché non abbiamo aspettato il gruppo con i compagni dopo l’attacco di Alaphilippe? Perché meglio essere in 3 su 17 che in sei nel gruppo – ribatte lui – Tanto più che quei tre erano i nomi previsti. E poi una volta nel circuito la corsa si sarebbe rotta di nuovo. No, quella era la situazione giusta.

«Sono deluso chiaramente, per me e per la squadra. Chiedo scusa al Belgio. Ero preparato e non so perché non ero in forma. Però non ho rimpianti. Sarebbe stato peggio se avessi fatto secondo. O se avessi perso per aver commesso errori tattici. La verità è che alla fine ha vinto il corridore più forte».

Con i suoi attacchi, Evenepoel ha decimato le altre nazionali. Anche se la Francia ha tenuto botta, per sua stessa ammissione
Con i suoi attacchi, Evenepoel ha decimato le altre nazionali. Anche se la Francia ha tenuto botta, per sua stessa ammissione

Evenepoel uomo squadra

E a proposito di Evenepoel. Il folletto della Deceuninck-Quick Step dopo l’arrivo è stato molto chiaro. Si è lasciato andare anche a qualche sorriso distensivo. Prima del via era finito nel tritacarne mediatico di colui che non avrebbe corso per la squadra, ma solo per sé stesso. Invece…

«Stamattina prima del chilometro zero – racconta Remco – ho ripetuto a Wout che nel finale se ci fossero stati tutti e due avrei lavorato per loro. E’ successo che mi sia ritrovato davanti molto prima del previsto, ma a quel punto ho spinto per far lavorare gli altri. E infatti l’Italia soprattutto e anche l’Olanda hanno perso dei corridori.

«Io ho dato il massimo. E credo che abbiamo corso bene. Purtroppo c’è chi è andato più forte, ma noi siamo arrivati nel finale esattamente come volevamo e con chi volevamo».

La storia di Biniam, che sognava di essere Sagan

26.09.2021
6 min
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Sul podio piccolo dopo l’arrivo degli under, accanto a Baroncini che sprizzava entusiasmo e addentava la medaglia, Biniam Ghirmay Hailu sembrava fin troppo serio. Per essere il primo eritreo su un podio mondiale, ci saremmo aspettati tutti che saltasse di gioia. Ma a volte la gioia ha altri modi per manifestarsi e la sua già dopo l’arrivo aveva iniziato a scavargli dentro.

«La sera prima avevo sentito la mia famiglia – ricorda – e ci siamo ricordati di quando ero piccolo e mio padre mi seguiva. Mi hanno detto che potevo farcela a realizzare i miei sogni. E ritrovarmi sul podio in un mondiale, fra i più grandi atleti del mondo è quello che sognavo. Là sopra pensavo a tutti loro. Mi hanno dato grandi motivazioni per tutto il giorno. E così quando è iniziato lo sprint ero nervoso, ma non pensavo che avrei perso. Ho corso per vincere. Questo è stato uno dei giorni più importanti della mia vita».

Al Polonia per Ghirmay l’ottavo posto nella prima tappa a Lublin
Al Polonia per Ghirmay l’ottavo posto nella prima tappa a Lublin

Nervoso in corsa

Biniam è del 2000, ma come accade spesso con i ragazzi delle sue parti, dimostra più anni. Aveva cominciato la stagione con la Delko-Marseille, ma alla fine di maggio è passato alla Intermarché Wanty Gobert. Un po’ perché l’assetto della Delko non lasciava presagire un grande futuro. E un po’ perché se ti vuole una WorldTour, l’occasione va colta. E lui che aveva all’attivo vari piazzamenti e anche qualche vittoria, l’occasione non se l’è fatta sfuggire.

«E’ andata bene che per un po’ Olanda, Belgio e Francia abbiano controllato la corsa – dice – io non dovevo muovermi. Come squadra non abbiamo grande capacità di muovere la corsa, perciò dovevamo solo stare tranquilli, aspettare lo sprint e fare il nostro meglio. Ero nervosissimo, i miei compagni mi hanno tirato fuori dai guai in un paio di occasioni. Nel finale c’era una gran lotta per le posizioni. Ho cercato di muovermi quando Baroncini ha attaccato, ma ho visto che nessuno reagiva. Così sono rimasto fermo nel mezzo e mi sono mosso solo alla fine»

Prima del mondiale, Biniam ha battuto Vendrame in volata al Classic Grand Besancon Doubs (foto JM Merlin)
Prima del mondiale, Biniam ha battuto Vendrame in volata al Classic Grand Besancon Doubs (foto JM Merlin)

Obiettivo iridato

La sua storia è simile a quella di tanti ragazzi africani che sognano di diventare corridori. Sentendolo parlare ci è parso di riascoltare le parole di Natnael Tesfatsion, che come lui viene da Asmara.

«Da noi ogni domenica ci sono corse – sorride – alla gente piace il ciclismo. Io ho cominciato a 12 anni con la Mtb e poi a 15 sono passato su strada. Sono molto orgoglioso della mia terra e sono stato davvero felice di venire a correre nelle Fiandre. I mondiali del 2025 in Rwanda saranno una grande occasione e una grande motivazione, magari per fare meglio di adesso e conquistare la maglia iridata. Il nostro futuro è splendente, ne sono sicuro. Abbiamo buon potenziale e non da poco. Stiamo facendo esperienza e progressi mentali e fisici, lavorando e combattendo nelle gare di livello WorldTour. E tanti altri sono nelle continental».

Vigilia iridata: Biniam Ghirmay è il primo da sinistra, poi Mulubrhan della Qhubeka e Testatsion dell’Androni
Vigilia iridata: Biniam Ghirmay è il primo da sinistra, poi Mulubrhan della Qhubeka e Testatsion dell’Androni

Svolta ad Aigle

Ma perché il sogno di concretizzi, occorre partire. E Ghirmai lasciò casa nel 2018, per approdare in Svizzera, nella sede di Aigle dell’Uci. Si era guadagnato la chiamata vincendo in tre giorni i campionati africani della cronosquadre, della crono individuale e su strada. Gli allenatori dell’Uci colsero le sue potenzialità. E nella prima corsa europea che disputò, la prima tappa della Aubel-Thimister-Stavelot con traguardo ad Aubel, andò in fuga con un giovane belga e lo batté in volata. Era un certo Remco Evenepoel, nel 2018 in cui avrebbe dominato in lungo e largo fra gli juniores.

«E’ stato molto importante arrivare a Aigle – ammette – prima di entrare nel grande gruppo, devi imparare tecnicamente e fisicamente. E’ stato molto importante fare quella grande esperienza da ragazzo. Ogni anno ho fatto nuovi step e nuove esperienze. Ho imparato tanto e ieri si è sommato tutto. Se fossimo arrivati tutti insieme, avrei lottato per vincere. Ho pensato per un po’ di fare il mondiale con i pro’, ma devo essere onesto. Per il momento sarebbe stato troppo duro per me correre con loro. Ho fatto corse in Belgio e Francia e mi sono visto fra i grandi corridori. Un giorno sarò come loro, adesso non sono ancora pronto».

Si piazza secondo al Laigueglia del 2020, in maglia Delko, dietro Ciccone e prima di Rosa
Si piazza secondo al Laigueglia del 2020, in maglia Delko, dietro Ciccone e prima di Rosa

Birra, no grazie

Il presente parla di un corridore dal fisico filiforme, che all’occorrenza sa buttarsi nelle volate, come quando devi organizzarti per saper fare tutto. Nell’avvicinamento al mondiale, ha battuto Andrea Vendrame nel Classic Grand Besancon Doubs e pochi giorni dopo è arrivato secondo del Nout du Doubs.

«La Intermarché mi ha dato grandi opportunità – spiega – mi ha spinto, mi ha motivato. Sono super contento di essere in questa squadra. E’ davvero una grande famiglia, non guardano solo alle corse, ma anche a noi come persone. Voglio dimostrare nei prossimi due anni di essere un grande corridore e li ringrazio per l’opportunità. Quando ero piccolo mi piacevano gli sprinter e mi piaceva molto Peter Sagan, non sono solo come ciclista, ma anche per la sua spensieratezza. Per ora guardo alle classiche con qualche salita, oppure quelle che finiscono in volata. Questo è quello che so fare e sto lavorando per questo. Però credo che non mi trasferirò in Belgio, ma rimarrò a vivere in Italia, a Lucca con gli altri amici eritrei. Perché? Perché non mi piace la birra…».

A Leuven per Biniam Ghirmay il secondo posto alle spalle di Baroncini, dopo la volata in rimonta
A Leuven per Biniam Ghirmay il secondo posto alle spalle di Baroncini, dopo la volata in rimonta

Soddisfazione Piva

Valerio Piva i mondiali li segue da casa, ma in quanto tecnico della Intermarché si frega le mani: l’acquisto è stato davvero azzeccato.

«Quando ce lo proposero – dice – era interessata anche la Deceuninck-Quick Step, ne parlavamo con Bramati. Che fosse veloce lo sapevo, soprattutto in corse selettive. Ha talento, questo è sicuro. E’ il classico corridore moderno, esplosivo sui percorsi veloci e duri di oggi. Lo avrò con me alla Tre Valli Varesine, al Giro del Veneto e poi fino al Lombardia. Siamo contenti di averlo con noi, vista l’apertura del ciclismo all’Africa e l’assegnazione dei mondiali al Rwanda».

Figli dell’altura

Ride, adesso Biniam ride. La prossima settimana riattaccherà il numero alla Route Adelie. Venerdì in corsa con la sua stessa maglia c’era anche Tesfatsion, il “Natalino” dell’Androni, ma è caduto ed è arrivato sei minuti dopo il compagno. Fra gli eritrei in corsa oggi tra i professionisti, ci sono invece Behrane e Kudus, rispettivamente corridori di Cofidis e Astana. Sono atleti forti, resistenti, nati e cresciuti oltre i duemila metri degli altipiani. Quella che sembrava una prospettiva remota, promette di farsi più concreta. I mondiali del 2025 probabilmente non sono stati assegnati a caso.