Un altro anno con l’iride in casa: Tegner, come si gestisce?

04.10.2021
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Che cosa significa per una squadra, la Deceuninck-Quick Step in questo caso, aver avuto in casa il campione del mondo? E che cosa significa averlo di nuovo? In questo mondo fuori dal mondo, in cui i team non percepiscono diritti televisivi o ricavi da biglietti e gli sponsor investono cifre importanti senza alcun ritorno certificabile, fare un tuffo nel marketing di una squadra può offrire spunti nuovi. E se il responsabile di queste strategie è per giunta un amico, Alessandro Tegner, conosciuto vent’anni fa quando curava la comunicazione della Mapei e ora titolare anche di AT Communication, il viaggio finisce col trasformarsi in una lunga immersione.

«Quando hai il campione del mondo – dice Tegner, in apertura con Davide Bramati – la percezione della squadra è diversa, perché quella maglia catalizza l’attenzione. In più Julian (Alaphilippe, ndr) è un generoso e questo piace alla gente. Ma è anche un campione che deve restare concentrato, per cui cerchiamo di stressarlo il meno possibile. Pochi eventi, tre cose importanti all’anno perché possa fare bene il suo lavoro. E tutto intorno c’è invece il nostro…».

Tour 2019, Alaphilippe ancora in maglia gialla. Lefevere con lui in conferenza stampa
Tour 2019, Alaphilippe ancora in maglia gialla. Lefevere con lui in conferenza stampa
Ecco, bravo… Che lavoro fai?

Bella domanda, me lo chiedo anche io. Tanto marketing, supervisione della comunicazione e relazione con gli sponsor. E’ tutto interconnesso. I partner sono interessati alle attivazioni possibili, per cui si cerca di creare contatto fra lo sponsor e l’attività di marketing. Poi c’è Wolfpack, che è iniziato come una cosa fra noi e invece sta diventano un marchio che ci rende riconoscibili.

In Belgio il ciclismo è super popolare. E’ anche ambito dalle aziende?

Le aziende scelgono e usano la squadra per le loro campagne. Ma alle spalle, c’è un lavoro di preparazione da parte nostra perché la squadra possa diventare un traino per chi ci investe. C’è un marketing rivolto agli sponsor con asset realizzati su misura e poi c’è il marketing della squadra.

Ti ha aiutato aver lavorato prima a contatto con la stampa?

Quelli della mia età nelle squadre hanno acquisito un’infarinatura totale. Abbiamo vissuto il passaggio da analogico a digitale e la trasformazione dei team in aziende. Dal 2006 al 2014 seguivo anche le pubbliche relazioni per gli sponsor alle corse, creando campagne per valorizzare la squadra. Così ho capito come funzionava il meccansimo.

Tegner è passato dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing
Tegner è passato dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing
Ti intendi bene con Patrick Lefevere?

Come tutti i leader di carisma, lascia molta autonomia, ma in cambio ovviamente pretende risultati. Ci sentiamo quotidianamente. Quando arrivai in questo gruppo con Bettini, Guercilena, Bramati e pochi altri, non scommettevo che sarei durato sei mesi. Era una sfida. Invece fra poco festeggerò i 20 anni. L’esperienza Mapei e quegli anni di sperimentazione di come si potesse inquadrare una squadra come un’azienda, si sono rivelati preziosissimi.

E intanto hai persino imparato a parlare il fiammingo…

Mi piacciono le lingue. In squadra usiamo l’inglese, perché Patrick ha sempre voluto mantenere un tasso di internazionalità. Con lui parlo sempre in italiano. Ma capire una conversazione in fiammingo, con il meccanico o con lo sponsor, è un modo importante per entrare nel loro tessuto sociale. Creare sintonie e sinergie è da sempre il mio credo.

Belgio e Italia.

Belgio e Veneto. Trovo affinità fra le due culture del lavoro. Il tessuto economico della Silicon Valley del Belgio – fra Gand, Courtrai e Bruges – fa pensare a quello dell’area di Conegliano e Montebelluna, dove vivo. Dove la cultura del lavoro è ancora importante.

Lefevere è molto attivo nella cura degli sponsor e nelle fasi di rappresentanza. Qui è con Zdenek Bakala, proprietario del team
Lefevere qui con Zdenek Bakala, proprietario del team
Torniamo al campione del mondo.

Quest’anno ha vinto quattro corse. Una tappa alla Tirreno. La Freccia Vallone. La prima tappa del Tour con la maglia gialla. Il mondiale. Però si piazzato anche 14 volte nei primi cinque. Lo abbiamo lasciato correre libero, sapendo quanto pesi quella maglia e l’anno prossimo sarà lo stesso. Gli sponsor capiscono. Faremo le nostre sessioni di foto a gennaio e febbraio e poi lo lasceremo in pace.

Basta davvero così?

Cerchiamo di razionalizzare la promozione che lo riguarda. In più, tolti gli spazi fissi, gli chiediamo delle finestre in cui poter eventualmente fare qualcosa. A dicembre si fanno i programmi delle corse e quelli delle attività collaterali. Dopo la Liegi ad esempio facemmo due attività di marketing importantissime con Lidl e a casa di Julian con installazioni dei nostri sponsor. E poi altre due durante l’anno.

Julian si presta sempre?

Lui è come lo vedete. E’ così legato a questa squadra, che quando tagliò il traguardo della tappa del Tour, andò da Patrick e gli chiese se fosse contento.

Con la vittoria di Leuven, inizia il secondo ano da iridato di Alaphilippe
Con la vittoria di Leuven, inizia il secondo ano da iridato di Alaphilippe
La squadra ha lasciato andare parecchi corridori allettati da offerte superiori. C’è mai stato il rischio di perdere Alaphilippe?

Nel ciclismo di oggi, chi ha Pogacar, Roglic, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe difficilmente se li lascia scappare. Lui in più è anche personaggio, sa coinvolgere, viene facile tenerselo legato. E’ una grande ispirazione per gli sponsor, non si scelgono i corridori solo per il numero delle vittorie. Ha con tutti noi e con lo stesso Lefevere un rapporto bellissimo.

Hai la tua agenzia, sei un pezzo importante della squadra, cosa manca ad Alessandro Tegner?

Se devo dirvi la verità, mi manca il rapporto coi giornalisti, che negli anni mi ha permesso di avere con alcuni di loro delle relazioni umane importanti. Ma faccio un lavoro bellissimo. Sono fiero della mia AT Communication e dei miei collaboratori. Ci vediamo sabato al Lombardia. La stagione non è ancora finita e già quasi si pensa a come ricominciare.

Ai mondiali l’Eritrea vestiva Pella. Una bella storia

04.10.2021
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L’argento dell’eritreo Biniam Ghirmay Hailu ottenuto nella gara su strada degli under 23 vinta dal nostro Baroncini è stata una delle più belle storie che i mondiali di Leuven hanno saputo raccontare. Nel corso della conferenza stampa post gara il giovane eritreo, oltre a dedicare un pensiero alla propria famiglia, ha voluto espressamente ringraziare l’azienda Pella Sportswear di Valdengo in provincia di Biella, per aver permesso alla sua nazionale di gareggiare fornendo le divise da gara. La storia ci ha incuriosito e abbiamo deciso di approfondirla interpellando direttamente Andrea Fortolan, Amministratore Delegato dell’azienda biellese.

Biniam Ghirmay Hailu sul podio del campionato del mondo vinto dal nostro Filippo Baroncini
Biniam Ghirmay Hailu sul podio del campionato del mondo vinto dal nostro Filippo Baroncini
Allora Andrea, come è andata esattamente?

Qualche mese fa siamo stati contattati direttamente da Alex Carera, procuratore di Biniam, che ci ha chiesto la nostra disponibilità nel realizzare la divisa della nazionale dell’Eritrea in vista dei campionati del mondo in programma nelle Fiandre. L’idea ci piaceva e abbiamo dato subito la nostra disponibilità. Tutto però si era fermato a quella prima telefonata.

La programmazione della divisa utilizzata dalla nazionale Eritrea ai mondiali di Leuven
La programmazione della divisa utilizzata dalla nazionale Eritrea ai mondiali di Leuven
…e poi cosa è successo?

Ad agosto siamo stati nuovamente contattati da Alex che ci segnalava che il fornitore con il quale erano stati presi in precedenza gli accordi per realizzare la divisa dell’Eritrea aveva dei problemi e non poteva quindi tenere fede agli impegni presi. A noi faceva piacere poter aiutare Biniam e i suoi compagni, quindi ci siamo resi nuovamente disponibili. Sorgeva però un problema. Eravamo in agosto, la nostra azienda era chiusa e riapriva il 6 settembre, proprio il giorno in cui ci veniva chiesto di consegnare le divise.

Un passaggio nella lavorazione della divisa. Presto sarà pronta
Un passaggio nella lavorazione della divisa. Presto sarà pronta
Come avete risolto il problema?

Per prima cosa siamo riusciti a posticipare di una settimana la consegna del materiale. Appena riaperta l’azienda, ci siamo messi subito a lavorare per realizzare le divise a tempo di record. Abbiamo fatto tutto in 5 giorni lavorando a tutta birra…anzi, visto che parliamo di ciclismo, a tutta velocità!

Quando le avete consegate?

Il sabato mi sono messo in macchina prestissimo perché volevo consegnare le divise di persona. Alle 7,50 mi sono presentato a Lucca alla porta dell’appartamento che Biniam e compagni condividono. Nel vedermi sono rimasti a bocca aperta… Forse anche per questo lo stesso Biniam ha voluto ringraziare di persona noi di Pella Sportswear per quanto siamo riusciti a fare in pochissimo tempo.

I ragazzi dell’Eritrea che hanno gareggiato ai mondiali di Leuven hanno ricevuto da Pella Sportswear un kit completo composto da maglia a maniche corte e pantaloncini estivi, maglia a manica lunga, giacca antipioggia, maglia con manica 3⁄4 antivento e antipioggia, manicotti, guantini e il body per la gara a cronometro.

Una curiosità. Nel destino di Biniam sembra esserci il marchio Pella. Il giovane atleta eritreo ha iniziato la sua stagione con il Team Delko. Nel corso dell’estate è passato all’Intermarché-Wanty-Gobert che proprio da quest’anno ha deciso di affidarsi a Pella Sportswear per la realizzazione di alcuni capi altamente tecnici.

pellasportswear.com

Lappartient, i nuovi scanner, l’Africa e i mondiali riuniti

03.10.2021
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A margine delle vittorie, delle imprese e delle delusioni, i mondiali di Leuven hanno segnato alcuni importanti momenti nella vita politica del ciclismo. La conferma di David Lappartient al comando dell’Uci e alcune elezioni e incarichi hanno cominciato a tracciare la via verso Parigi.

Eletto a Bergen nel 2017, il primo iridato premiato da Lappartient fu Sagan
Eletto a Bergen nel 2017, il primo iridato premiato da Lappartient fu Sagan

Professione politico

Il francese riuscì con un’abile spallata a buttare giù il monopolio anglosassone di Brian Cookson a Bergen, in Norvegia. Non era favorito, seppure la sua presidenza della Federazione francese e poi quella della Uec lo avessero segnalato come un politico competente e abile. Aveva alle spalle vari incarichi nel suo territorio, il Morbihan, come sindaco e capo del consiglio dipartimentale (eletto nelle ultime elezioni) in quota al Partito Repubblicano. Alla vigilia del Congresso di Bergen, con l’aiuto del russo Makarov e di Renato Di Rocco, riunì alcuni elettori in un ristorante del porto norvegese e alla fine divenne presidente.

A Leuven Di Rocco è stato nominato vicepresidente onorario dell’Uci: un segno di riconoscenza
A Leuven Di Rocco è stato nominato vicepresidente onorario dell’Uci: un segno di riconoscenza

Parità di genere

Lappartient ha annunciato che andrà avanti con il programma che, a suo dire, ha realizzato al 90 per cento. Ha ammesso di aver fallito (finora) soltanto nella riforma del modello economico del WorldTour, per le resistenze dei team e degli organizzatori e il Covid che ha reso tutto più difficile.

La ricollocazione delle gare 2020, unita ai progressi del ciclismo femminile sono stati raccontati come i successi più evidenti. Nel secondo caso, Lappartient ha posto l’accento sulla creazione di un calendario coerente alle ambizioni del movimento, su una gerarchia più strutturata (si punta con decisione all’aumento delle squadre WorldTour) e sull’aumento dei minimi salariali equiparati a quelli degli uomini.

Assieme a Gilbert, Winder Ruth è stata eletta nella Commissione atleti
Assieme a Gilbert, Winder Ruth è stata eletta nella Commissione atleti

Da Glasgow a Kigali

Tra le novità più interessanti, va riconosciuta la spinta a favore del ciclismo africano. Se il centro di Aigle è da anni un riferimento per molti atleti provenienti da quei Paesi (il racconto di Ghirmay è eloquente), la scelta di portare i mondiali del 2025 a Kigali è un gesto forte. Va capito se nel frattempo l’Uci spingerà per uno sviluppo del ciclismo in loco.

Su questo fronte, dopo i prossimi mondiali di Wollongong 2022, che vi abbiamo già presentato, a partire da Glasgow 2023 l’idea di Lappartient è di far svolgere nella stessa occasione le gare delle 13 discipline olimpiche del ciclismo. Quindi strada, pista, mountain bike e Bmx.

La favola di Ghirmay, primo da sinistra e secondo ai mondiali U23, parla degli sforzi dell’Uci per l’Africa
La favola di Ghirmay, primo da sinistra e secondo ai mondiali U23, parla degli sforzi dell’Uci per l’Africa

Il nuovo scanner

Altro fronte, altra storia: doping e doping tecnologico. Proprio per il secondo punto, i giorni di Leuven sono stati l’occasione per annunciare il superamento della tecnologia dei tablet, per passare alla nuova tecnologia Backscatter X-Ray: uno scanner portatile in grado di… leggere all’interno di ogni parte della bicicletta.

«I mondiali sono stati la seconda volta che l’UCI vi faceva ricorso – ha dichiarato Michael Rogers, Innovation Manager – la natura portatile dei dispositivi di retrodiffusione ha consentito al personale dell’UCI di eseguire 56 controlli sulle biciclette di tutti i vincitori e dei corridori selezionati casualmente». La bici di Julian Alaphilippe è stata punzonata a pochi secondi dall’arrivo e consegnata al controllo radiografico entro sei minuti dall’arrivo.

Quanto al doping degli atleti, durante l’assemblea Lappartient ha rivendicato la messa al bando del Tramadol dal 2019 e l’anticipo al primo gennaio 2022 il divieto definitivo dei corticosteroidi, per la scelta adottata dalla Wada proprio su pressioni dell’Uci.

Michael Rogers è il Manager Innovation dell’Uci e sovrintende ai controlli sulle bici
Micheal Rogers è il Manager Innovation dell’Uci e sovrintende ai controlli sulle bici

Quale futuro?

Questo il sunto di quattro anni di presidenza, con alcuni aspetti positivi (fra questi l’elezione di Philippe Gilbert e Ruth Winder nella Commissione atleti) e qualche svarione, come l’essersi mostrato al fianco di capi di Stato poco raccomandabili.

Quale sarà la direzione per i prossimi anni? Riforme tecniche, tecnologiche e di genere: il piatto è ricco, i bisogni moltelplici. E poi ci sarà da capire se Lappartient vorrà restare o puntare a un incarico di governo in Francia o a duna poltrona nel Cio. Di certo con i suoi 48 anni, i modi affabili e la capacità di gestire situazioni spinose, è lecito aspettarsi che abbia mire importanti.

Un abbraccio per scacciare i fantasmi di Tokyo. Saul ricorda…

01.10.2021
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Che cosa ci faccia un giocatore di pallacanestro di 1,94 nella nazionale di ciclismo femminile a volte è un mistero per lo stesso Saul Barzaghi, che del gruppo azzurro è fisioterapista dal 2007. Ammette che a volte essere lontano dalla mentalità di questo ambiente gli permette di non lasciarsi coinvolgere in tante dinamiche cui assiste perplesso. Ma del resto il suo mestiere è un altro. E a giudicare da come sia diventato un riferimento per le ragazze, lo sa fare nel modo giusto.

«Sono riuscito a creare con loro un bel rapporto – ammette sorridendo – quasi da fratello maggiore, direi anche da padre, ma mi farebbe sentire troppo vecchio, anche se per età con alcune potremmo quasi esserci. Quando arrivai, nella nazionale c’erano Vera Carrara, Monia Baccaille, Tatiana Guderzo e Noemi Cantele. Pechino sono state le prime Olimpiadi cui ho partecipato, mentre le ultime le ho passate molto vicino a Elisa Balsamo. Con lei c’è un bel rapporto perché la seguo anche alla Valcar. E a Tokyo posso garantirvi che era davvero stanca emotivamente per la pressione olimpica e per il clima che si era creato. Non c’è stata sempre la giusta serenità».

Saul ha 44 anni, gioca ancora a basket e ha il suo studio a Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo. La sua stagione è finita dopo i mondiali di Leuven e proprio per respirare assieme a lui il magico clima che ha portato all’oro di Elisa, lo abbiamo sottratto per un po’ al suo lavoro.

Dopo cena, foto di rito in hotel, con quella maglia che cancella Tokyo
Dopo cena, foto di rito in hotel, con quella maglia che cancella Tokyo
Sfinita a Tokyo, rinata a Leuven…

Nell’ultimo massaggio in Giappone la trovai tanto stanca, provata emotivamente al punto di piangere. Ma per fortuna lei ha un fortissimo rapporto con la famiglia e con Davide (Plebani, atleta azzurro e suo compagno, ndr). Per cui appena tornata si è chiusa nel suo ambiente e già quando l’ho ritrovata agli europei di Trento, aveva un’altra faccia. Ha ritrovato i suoi appoggi ed era nuovamente disposta ad integrarsi con il gruppo.

E in effetti il gruppo in Belgio è parso fortissimo.

Una bella squadra, in cui ho ritrovato la voglia e lo spirito della maglia azzurra. Dopo la vittoria, forse si sarà visto nelle immagini, Elisa non faceva che ringraziare le compagne. Forse perché ancora non si rendeva conto di cosa avesse fatto, ma anche per il bel clima che ha portato a quella vittoria. Se posso fare un nome, faccio quello della Mary (Maria Giulia Confalonieri, ndr), che mi ha commosso. Si è messa al servizio della squadra, vestendo la maglia azzurra che per lei non è mai stata semplice da conquistare. Mi ha commosso proprio per tutto quello che c’era dietro. Le due esclusioni di fila dalle Olimpiadi. E’ stata protagonista. Dopo che Elisa è andata ad abbracciarla, era lì da sola con i pugni stretti, con lo sguardo pieno di orgoglio. In questi casi sono contento di non capire certe dinamiche, perché mi permette di essere libero nel giudizio.

In Belgio tensioni come a Tokyo?

Neanche un po’ e neppure voglia di parlarne.

Dai racconti e osservandole, emerge che le ragazze, rispetto agli uomini, hanno un’emotività più spiccata.

Ormai ho imparato. Ci sono crolli frequenti, perché sono diversi anche gli atteggiamenti fra loro. Se io litigo con un mio compagno di squadra, dopo un po’ ci chiariamo e andiamo a prenderci una birra. Le donne se la giurano e il mio compito in questi casi è non schierarmi. Piuttosto porto l’esperienza del basket…

In che modo?

Il ciclismo è uno sport di squadra, ma non ne ha le dinamiche. Alcune capiscono, altre no. Quando Martina Fidanza a Tokyo seppe di essere venuta per farmi compagnia tutto il giorno, dato che non avrebbe mai corso, all’inizio era furiosa. Poi ha capito quello che le dicevo, che anche arrabbiandosi non avrebbe cambiato nulla e se ne è fatta una ragione.

Nel ritiro insieme sull’Etna a gennaio si giocava molto a carte.

In Belgio no, piuttosto si radunavano nella camera delle altre per guardarsi qualche serie su Neflix o programmi e reality italiani. A parte il giorno della gara, sono sempre state molto serene, anche la sera prima, quando di solito si fa fatica a dormire. Era tranquilla anche la “Guazz” (Vittoria Guazzini, ndr), che di solito è la più agitata.

Quanto ha inciso l’esperienza di Marta Bastianelli ed Elisa Longo Borghini su questo clima?

Tantissimo. Marta ha questa forte leadership, è un tipo da spogliatoio, ride, fa ridere e scherza. Dà tranquillità, perché non sembra mai agitata. La Longo è più chiusa, ma capisci che sia a disposizione del gruppo. Dopo l’europeo di Trento la ricordo andare con il suo piglio da Marta Cavalli a spiegarle in modo costruttivo in cosa avesse sbagliato e come evitarlo la volta successiva. E poi c’è Mary…

Confalonieri è un elemento chiave del gruppo azzurro, secondo Saul Barzaghi
Confalonieri è un elemento chiave del gruppo azzurro, secondo Saul Barzaghi
Hai poco da dire, è la tua preferita.

E’ una garanzia. Se c’è una che dà tranquillità, è la numero uno in assoluto. Di quei giocatori che vorresti sempre in squadra, perché sono una manna dal cielo. Se ci fosse stata lei a Tokyo, forse certe tensioni non ci sarebbero state. Ma non diciamoglielo, sennò ricomincia a starci male…

Ti crea mai imbarazzo esser un fisioterapista uomo nella nazionale femminile?

Devo dire che il rapporto che si è creato è, come dicevo, quello tra fratello e sorelle. Ma devo anche dire che c’è tanta professionalità in queste ragazze, che vanno al massaggio perché hanno bisogno dell’intervento del professionista. Poi è ovvio che si crei il rapporto confidenziale e siamo liberi di parlare di tutto, ma sempre col massimo rispetto.

Quando finisce la stagione vi perdete di vista oppure continuate a sentirvi?

Messaggini di sfottò non mancano mai, magari commentando qualche foto sui social. Quelle della Valcar continuo a seguirle. E poi il periodo di ferma è talmente breve, che adesso sono a casa, ma fra poco arriverà la prossima chiamata.

Alaphilippe a Leuven, Specialized dalla testa ai piedi

01.10.2021
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Un vecchio detto pronunciava “a buon cavallo non manca il cavaliere”. A domare la Tarmac SL7 a dir la verità c’era più un moschettiere, il suo nome Julian Alphilippe. Una doppietta centrata in simbiosi con Specialized ed il suo modello di punta che anche quest’anno ha supportato il francese nella sua prestigiosa vittoria. Sulle strade belghe di Leuven, esclusivamente per la gara, Loulou ha abbandonato l’iride sia nel vestiario sia nei colori della bici che lo hanno accompagnato per un anno. Completamente nera la sua Sl7 era li pronta a sostenere il campione nei suoi attacchi violenti all’insegna dei watt. Un bianco e nero durato per 6 ore, fino a quando il transalpino non ha deciso che fosse il momento di rimettere i colori dell’arcobaleno indosso e sul proprio gioiello a due ruote a suon di scatti e colpi di pedale. 

In controtendenza, Alaphilippe ha usato a Leuven copertoncini Turbo Cotton da 26mm
In controtendenza, Alaphilippe ha usato a Leuven copertoncini Turbo Cotton da 26mm

Tarmac SL7

Difficile trovare un modello più vincente di questo, se poi la vittoria al mondiale è consecutiva di certo non si può affidare al caso. La casa californiana con la Sl7 ha realizzato il modello più veloce e reattivo di sempre di sua produzione. Con un profilo aero e un peso ai limiti del regolamento è riuscita a creare un prodotto che rasenta la perfezione sotto ogni aspetto. Una bici senza compromessi che ottimizza le performance su ogni ambito, salita o discesa che sia. Un vero e proprio missile con una guidabilità definibile telepatica, così reattiva da sembrare che legga la mente. Caratteristiche che messe al servizio del campione del mondo non hanno lasciato speranze agli avversari. 

Le vittorie di Specialized 

Specialized rivendica un’altra piccola vittoria parallela a quella di Alaphilippe, cioè l’utilizzo dei copertoncini Turbo Cotton da 26 mm. Dimostrando che nell’era recente dove il tubolare la fa da padrona gli pneumatici lanciati dalla casa americana sono i più veloci al mondo per la gara. Un altro vanto sono le ruote Roval Rapide in carbonio, veloci rapide e resistenti combinate con i copertoncini contengono di molto il peso e sono garanzia di reattività e scorrevolezza. 

La bici ha mostrato grande guidabilità e precisione anche nei rilanci sul percorso di Leuven
La bici ha mostrato grande guidabilità e precisione anche nei rilanci sul percorso di Leuven

Ergononomia assoluta 

Ad accompagnare la conquista dell’iride, oltre al casco S-works Evade, Julian si è affidato all’attrezzatura Body Geometry. La sella S-Works Romin EVO la più performante della gamma, ideata per proteggere le parti vitali e la pressione sui tessuti molli, da indolenzimento e problemi posturali. Le scarpe S-Works Ares in grado di supportare la massima potenza espressa e trasferirla sulla trasmissione. Il tutto a creare un mix perfetto tra tecnologia, innovazione e performance firmato Specialized che ha permesso il bis mondiale a Julian Alaphilippe. 

Marco Frigo si rilancia tra l’Olanda e le prove contro il tempo

30.09.2021
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Quando abbiamo contattato Marco Frigo per fare questa intervista era la vigilia della Ronde de l’Isard (foto di apertura di La Depeche), non ci aspettavamo di commentare con lui la vittoria della prima tappa della gara francese, la prima in maglia Seg Racing Academy. Marco è partito da lontano per andare a correre in Olanda la scorsa stagione, dal suo Veneto, dove ritorna appena può.

Dice di essere freddo, di non essere uno con la lacrima facile, eppure oggi la voce un pochino gli trema. Come quella di chi si riprende qualcosa che gli era mancato per tanto tempo: la vittoria. Forse anche un po’ di fiducia, ma non nei propri mezzi, più nel destino, lo stesso che sulle strade di Rodi gli ha fatto trovare un masso sulla propria strada.

Azzurri alla partenza della prova in linea di Leuven poi vinta da Baroncini, Marco Frigo è il terzo da sinistra
Azzurri alla partenza della prova in linea di Leuven poi vinta da Baroncini, Marco Frigo è il terzo da sinistra
Come ti senti dopo questa prima tappa?

Sono contento, moderatamente, non ho fatto ancora nulla di eccezionale. Sono più felice per la squadra che per me, loro ci credono molto e mi hanno dato tanto in questo anno e mezzo.

Come mai questa scelta di andare alla Seg la scorsa stagione?

L’offerta, il programma di crescita e di allenamento era davvero molto bello e adatto a me. Poi penso che un’esperienza all’estero faccia bene, soprattutto nei paesi come l’Olanda. Impari a cavatela da solo e ad essere più autonomo. Passo molto tempo in giro tra allenamenti e ritiri tanto che a casa negli ultimi due mesi sono stato solamente tre giorni. Poi ho parlato con Dainese ed Affini e mi hanno detto: “Marco, se vuoi diventare un corridore professionista devi andare alla Seg”.

Il percorso però non è uguale per tutti

La differenza la fai tu e come vuoi affrontare le sfide. Personalmente ho scoperto dei lati di me che non conoscevo, pensavo di essere più “mammone” ed invece sto bene anche da solo.

È stato un anno e mezzo difficile in cui anche il lockdown ci ha messo lo zampino.

Il 2020 non è stato l’anno migliore per iniziare questo cammino, ho avuto modo di pensare molto alla mia scelta, mi sono fatto delle domande e mi sono dato delle risposte. Però non ho mai messo in dubbio la Seg e il mio percorso di vita.

Nel 2019, al tuo primo anno da Under hai vinto il campionato italiano ed eri alla Zalf.

Vero, ho vinto il campionato italiano ma ho vinto semplicemente una corsa. Non ero il più forte in gara e non ero il più forte neanche dopo, ho solo corso bene quel giorno.

Come dire: una rondine non fa primavera…

Esatto, non mi sono montato la testa, non sono uno che si esalta molto. Sono poco self confident, grazie a quella vittoria ho preso un po’ più di consapevolezza nei miei mezzi.

Marco Frigo in azione agli europei di Trento: ottimo rodaggio sulla via dei mondiali
Marco Frigo in azione agli europei di Trento: ottimo rodaggio sulla via dei mondiali
Questa stagione hai fatto anche le tue prime competizioni a cronometro (Campionato italiano, secondo e mondiale, trentatreesimo).

Ecco, questa disciplina ho iniziato a curarla proprio da quando corro qui, prima non l’ho mai considerata. Ho scoperto il mezzo e devo dire che mi piace molto, non ne voglio fare la mia attività principale però. I miei obiettivi poi sono altri.

Come mai non l’hai mai considerata?

Semplicemente nelle squadre in cui correvo prima non si allenava molto questa disciplina.

Quali sono quindi i tuoi obiettivi?

Io voglio diventare un corridore da corse a tappe e voglio migliorare in questo settore. A Rodi prima della caduta andavo forte e stavo sempre con i migliori.

Rodi è stato un momento difficile da superare?

Molto, ma non per i danni fisici, la clavicola in una/due settimane era a posto. Quel che mi ha frenato maggiormente è stata la paura che si potesse ripetere un episodio simile. Ho iniziato ad aver paura della velocità in discesa. Anche a causa di questo mio timore ho preso minuti in alcune tappe al Giro d’Italia Under 23 e al Tour de l’Avenir.

Hai fatto qualcosa per superarlo?

Sto ancora facendo qualcosa. Dopo il Giro, insieme alla squadra ho iniziato un percorso con una mental coach. È molto utile e stiamo facendo grandi progressi.

Come mai è così importante?

Lo è perché devi avere qualcuno di esperto con cui parlare e confrontarti. Non parlo di esperienza ciclistica ma di supporto, facciamo uno sport in cui la mente fa gran parte del lavoro. Puoi essere pronto quanto vuoi fisicamente ma se non ne sei convinto non farai mai nulla.

Quindi continuerai a fare questo lavoro?

Quasi sicuramente si. Fa parte della mentalità del team avere questi collaboratori, ora capisci quando ti dicevo della mentalità più professionale qui alla Seg?

Marco Frigo mette la propria firma sulla medaglia d’oro di Baroncini, i due sono stati compagni di stanza
Hai un fisico particolare (un metro e ottantotto e 65 chili).

Molti corridori con il mio tipo di fisico hanno vinto i grandi giri: Froome, Doumulin e Thomas per dirne alcuni.

Loro però vanno forte a cronometro…

Vero e per questo che sono felice del mio percorso in Seg. Mi aiutano a raggiungere i miei obiettivi e questo passa anche dalle sfide contro il tempo. Non devo guadare al secondo posto raggiunto ma al trentatresimo del mondiale. Quei due minuti presi dal corridore danese servono da monito, ho appena iniziato a lavorare e devo fare ancora molto.

Alaphilippe, il giorno dopo: il figlio e la morte del padre

29.09.2021
5 min
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«Farei vacanze più lunghe – diceva Alaphilippe – mi piace accontentare tutti, ma questa volta vorrei più tempo per me, perché ti rendi conto che un anno passa in fretta. Soprattutto, vorrei essere come prima. Ma quando hai la maglia, non è facile. Il telefono squilla sempre. Fin dal primo ritiro le richieste sono tante. Eppure, con questa pandemia, molti obblighi sono caduti nel dimenticatoio. Quello che mi ha reso più orgoglioso è aver dato felicità alle persone, ma questo mi ha tolto molta energia. Quindi se Van Aert o qualcun altro vince, gli dirò: divertiti! Divertiti!».

Al via del mondiale da Anversa, parlava già al passato come se avesse perso la maglia
Al via del mondiale da Anversa, parlava già al passato come se avesse perso la maglia

Ancora incredulo

Con queste parole alla vigilia del mondiale, Julian Alaphilippe rispondeva alla domanda su cosa avrebbe fatto qualora avesse rivinto il mondiale. E ora che la profezia si è avverata e che tutto ricomincia da capo, dal telefono che squilla alle richieste di media e sponsor, che cosa sta facendo il campione del mondo?

«Ancora non me ne rendo conto – ha detto a L’Equipeho letto i giornali il lunedì mattina ho pianto. La fatica, l’emozione. Questo sogno l’ho tenuto nella parte posteriore della mia testa, ero quasi sollevato di lasciare la maglia. Questo è molto strano…».

Maledizione ed errori

Che la maglia iridata sia un peso lo aveva detto subito, nella conferenza stampa dopo la vittoria. Eppure rendersi conto che perderla sarebbe stato quasi un sollievo lo ha sconcertato. Quasi avesse a suo modo dato una definizione della celebre maledizione della maglia iridata.

«Ho fatto di tutto – dice – per vincere. Per me e per i miei compagni, ma se l’avessi persa sarebbe stato più un sollievo che una delusione. Per un anno sono stato così desideroso di onorarla in ogni gara, che ho aggiunto pressione a me stesso, inconsciamente. E questo mi ha fatto commettere piccoli errori. Sono convinto che quella stessa tappa del Tour of Britain (persa da Van Aert a Great Orme, ndr) senza la maglia l’avrei sicuramente vinta. Ci ho pensato, ho analizzato i miei errori, le mie sconfitte».

Van Aert scricchiolava

E intanto, come nel frullare dei pensieri, la ricostruzione della corsa si intreccia con la nuova quotidianità. E il pensiero torna a quel primo scatto, seguito subito da Colbrelli, ma non da Van Aert.

«Mi ero accorto che Van Aert non sembrava brillantissimo – dice – ma non ho voluto crederci subito. Voleva fare lui il ritmo, voleva attutire gli attacchi e sul primo scatto non è rientrato così facilmente. In quel momento tutti avevano le gambe doloranti, ma io dovevo attaccare. E mi sono davvero divertito, ho corso d’istinto come quando non indossavo la maglia iridata. Non ho corso come se fosse un mondiale, dove aspetti fino all’ultimo momento. Non era il mio ruolo, volevo attaccare, provare, renderlo più duro possibile in modo che Senechal arrivasse bene allo sprint. Ma quando ho visto che eravamo agli ultimi due giri, ci ho creduto sempre di più».

Il limite del dolore

Che cosa passa per la testa di un uomo che si spinge oltre il limite del dolore? E quelle smorfie in favore di telecamera sono l’insegnamento di Voeckler (celebre per le sue facce) oppure il segno del limite alle porte?

«In quel momento ero vicino al punto di rottura, è terribile, ma è così che costruiamo le grandi vittorie. Avevo già attaccato più volte, ma nell’ultima ho messo tutto. Ho affrontato le curve il più velocemente possibile, ho cercato di prendere velocità ad ogni ripartenza, ero concentrato per essere il più efficiente, ma mi facevano male le gambe. Queste sono gare in cui deve piacere farti del male, devi essere un po’ masochista. Ho avuto dubbi fino agli ultimi due chilometri, sapevo che non erano lontani. Ma non mi sono fatto domande, ero concentrato sul mio sforzo. Ho pensato molto al mio bambino, mi ha dato molta forza ed è stato un grande momento. E’ stata un’emozione completamente diversa dall’anno scorso».

Il figlio Nino è nato il 14 giugno ed è diventato la sua ispirazione (foto Instagram)
Il figlio Nino è nato il 14 giugno ed è diventato la sua ispirazione (foto Instagram)

Le prove della vita

Il discorso si fa intimo. Questa volta la nascita del figlio, l’anno scorso la morte del padre dopo una lunga malattia. Quasi che la vita si diverta a metterlo alla prova e lui risponda ogni volta con la bici: il suo vero modo di comunicare.

«Io sono così, non mi piace parlare della mia vita privata – ammette – ma ha spesso scandito la mia carriera, con tanti alti e bassi. Ho sempre saputo riprendermi, mi sono temprato, ho sempre avuto questa rabbia dentro. Farmi male sulla bici per dare il meglio di me. La rabbia l’anno scorso l’ho presa dalla tristezza e forse quest’anno l’ho presa dalla gioia. Devi saper usare tutto questo. Avevo fame, ero motivato, ero pronto».

Evenepoel sfruttato male. Parsani la pensa come Gilbert

29.09.2021
4 min
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Serge Parsani di Belgio e di corse se ne intende. Per tanti anni è stato il diesse di grandi squadre, tra cui la mitica Mapei, fino alla Wilier Triestina di Citracca. Con lui analizziamo alcuni aspetti tattici di questo mondiale ancora effervescente.

In particolare lo chiamiamo a rispondere a Philippe Gilbert il quale ha criticato con la stampa Belga la gestione tattica dei suoi connazionali e l’utilizzo di Remco Evenepoel, che in pratica secondo lui, è stato il gregario di tutti. E a rincarare la dose ci ha pensato il giorno dopo anche Patrick Lefevere. Il team manager della Deceuninck-Quick Step ha detto: «Remco ha lavorato bene… per Alaphilippe».

Serge Parsani (69 anni) dopo un buon passato da pro’ è stato per quasi 30 anni sull’ammiraglia
Serge Parsani (69 anni) dopo un buon passato da pro’ è stato per quasi 30 anni sull’ammiraglia
Serge, come giudichi la tattica belga?

Io non so cosa avessero preventivato. Ma far muovere a 180 chilometri dall’arrivo uno come Remco è un suicidio. In un finale del genere che non è durissimo più compagni hai e meglio è. Specie un corridore come lui. E’ proprio quello che è mancato al Belgio. 

Però il suo attacco ha fiaccato molte squadre…

Ha lavorato da lontano okay, ma per cosa? Sì, ha eliminato Sagan e altri corridori simili… Sarebbe stato molto più utile che quell’azione l’avesse promossa negli ultimi 50-60 chilometri. La sua azione è stata più di disturbo che altro. E non ha creato un reale aiuto alla squadra.

Però non era uno dei leader designati…

Evenepoel non è un corridore qualsiasi. E’ comunque un leader e cosa ti muovi a fare? Doveva scattare più tardi e giocarsi il mondiale. Anche perché quando è andato via non è scappato con i più forti e poi tirava sempre lui. Insomma, io non mi sarei mosso così. Dici le radioline non servono? Servono eccome. Se fossi stato il cittì del Belgio lo avrei fermato subito. Anche perché cosa sarebbe successo? Al massimo avrebbero tirato altre nazionali per rincorrere i francesi e uno come lui poteva aspettare. Poi è anche vero che è facile parlare a posteriori però… resta il però.

Remco ha tirato per tantissimi chilometri in due fasi ben distinte della gara iridata
Remco ha tirato per tantissimi chilometri in due fasi ben distinte della gara iridata
Quindi tu lo vedevi leader? 

E’ un giovane forte e il finale era adatto alle sue caratteristiche. Correva a casa sua. E’ stato osannato e criticato. E’ stato gestito male in ogni senso, dovevano farlo stare più tranquillo. Bisognava parlarci e fargli fare un’azione che non penalizzasse Van Aert ma con la quale potesse cercare il risultato per sé stesso. E magari avrebbe davvero lavorato per il team così facendo.

Magari proprio perché è stato al centro di tante polemiche sul fatto che avrebbe corso per sé stesso, Remco ha voluto mostrare che poteva essere un uomo squadra ed è sconfinato in un eccesso di zelo…

La Deceuninck aveva non so quanti corridori in gara (17, era il team più rappresentato, ndr) e a quel punto doveva cercare alleanze con un Honorè, uno Stybar, un Senechal

Ma Senechal era uomo di Alaphilippe…

Okay, certo lui no, ma nel finale un corridore in più, al Belgio faceva comodo. Si sa come vanno certe cose. Ragazzi, un uomo che scatta da solo a 17 chilometri dall’arrivo non si lascia andare via. C’erano quei quattro a bagnomaria e dietro giravano senza convinzione. Gli unici che potevano stare a ruota erano i francesi.

Van Aert e gli altri hanno detto che non avevano abbastanza gambe per chiudere su Alaphilippe…

Non sono del tutto d’accordo. Colbrelli quando ha forzato gli ha mangiato 15” e se quello sforzo lo avessero fatto altri due o tre corridori sarebbero andati a chiudere. Okay, Julian ha fatto uno scatto che mi ha ricordato Saronni a Goodwood, però si poteva rientrare collaborando.

Le alleanze trasversali sono sempre attuali secondo Parsani. Qui l’abbraccio tra Stybar e Alaphilippe (compagni in Deceunink) a fine gara
Le alleanze trasversali sono sempre attuali secondo Parsani. Qui l’abbraccio tra Stybar e Alaphilippe (compagni in Deceunink) a fine gara
Gilbert ha ragione, insomma?

Sì! Io non capisco perché un ragazzino come Remco sia stato caricato di così troppe responsabilità. Solo perché sembrava che Van Aert avesse una marcia in più. 


Eppure i belgi erano “soddisfatti” della loro tattica: erano arrivati nel finale con chi volevano loro davanti: Stuyven e Van Aert…

Io il ragazzino, ripeto, lo avrei lasciato libero. Magari non gli avrei dato il completo appoggio della squadra nelle prime fasi della corsa, ma lo avrei tenuto più tranquillo.

Carta bianca a Remco: non ti sembra “pericoloso” pensando ai piani prestabiliti dalla squadra?

Ma se fa la sua corsa non disturba nessuno. Purtroppo la verità è che per me Remco ha paura di stare in gruppo. E in qualche modo cerca di “scappare”. E dovrà aspettare ancora un po’ prima di diventare un grandissimo. Deve imparare a stare davanti e a lottare nelle prime posizioni. Questo è il suo tallone d’Achille. Se guardate sta sempre all’esterno del gruppo o ha qualcuno che lo porta avanti. Non ha ancora una super dimestichezza con la bici. E in una gara importate come quella iridata stare davanti può fare la differenza. Ci sono state tante cadute e il top era stare nelle prime trenta posizioni… ma coperti.

Guazzini: «Io emozionata a Leuven? Sono una fan di Elisa»

29.09.2021
5 min
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Vittoria Guazzini non è certo un ragazza che nasconde le sue emozioni. Già prima di finire la sua gara, sull’arrivo di Leuven, era tra le più gasate per la vittoria di Elisa Balsamo. La “Guazz” e la Balsamo sono compagne di squadra alla Valcar e non solo in nazionale, ma il loro legame ha radici più profonde. Sono stati tanti i ritiri isieme, già nelle categorie giovanili, le gare fianco a fianco su strada e in pista (soprattutto nella Madison) che neanche la stessa Guazzini ricorda il momento preciso del loro primo incontro.

E poi se si scorre il suo profilo Instagram spesso c’è una foto o un post che inneggiano proprio alla Balsamo che vince qualche corsa.

Elisa Balsamo, Vittoria Guazzini, europei pista, madison, 2020
Una scena che si è vista spesso in pista: le due amiche si abbracciano dopo una Madison
Elisa Balsamo, Vittoria Guazzini, europei pista, madison, 2020
Una scena che si è vista spesso in pista: le due amiche si abbracciano dopo una Madison
E’ così Vittoria, un legame forte? 

Con Elisa ho un bel rapporto, siamo in squadra insieme ed è più di una compagna. E’ un’amica. Questa maglia se la meritava e col senno del poi posso dire che non avevo neanche troppi dubbi che ce la potesse fare. E poi l’emozione è stata forte anche per come è arrivata questa vittoria. Ognuna di noi ha svolto al meglio la propria parte e siamo riuscite a portare a termine il lavoro che avevamo pianificato.

Da quanto tempo correte insieme?

Tre anni. E ci siamo trovate subito bene. In particolare in quest’ultimo anno siamo state moltissimo insieme tra strada e pista, senza contare che avevamo lo stesso calendario di gare. Sono stata più tempo con lei che con qualsiasi altra persona. E dopo le Olimpiadi in cui è stata sfortunata questo è un bel riscatto.

E in questo lasso di tempo non avete mai avuto dei battibecchi? 

Ma sicuramente ci sono stati. Ma erano normali incomprensioni, magari su qualche gara che non era andata come doveva. Ma tutto nella norma. Nulla di che…

Balsamo e Guazzini (dietro) nella Madison agli Europei di Plovdiv 2020
Balsamo e Guazzini (dietro) nella Madison agli Europei di Plovdiv 2020
Come si spiega questa tua gioia?

Diciamo che un mondiale di per sé non ha bisogno di spiegazioni. Basta da solo a farti emozionare e a renderti felice. Come ho detto questo è stato un anno particolare e difficile, perché le Olimpiadi sì sono state una bella esperienza, ma anche una bella botta. Sono state sfortunate. E non è facile ritirarsi su.

E come ha fatto secondo te?

Con le persone giuste accanto e con le sue gambe.

E tra le persone giuste ci sei anche te?

Beh, io sono una sua fan! Elisa ha due anni più di me e già quando ero esordiente l’ho sempre vista come “la Balsamo”. E’ così da quando eravamo più piccole. La cosa bella è che nonostante tutto anche lei è sempre pronta a dare una mano quando serve. E non siamo solo noi che tiriamo per lei.

Prima hai detto che avete fatto il gioco di squadra che volevate: come avete fatto a radunarvi in così poco tempo nel finale di gara?

In realtà io dovevo stare attenta soprattutto nelle prime fasi della corsa. Dovevo badare alle olandesi e tenere le altre al riparo. Ho dato tutto prima e infatti sull’ultimo strappo duro nel circuito mi sono staccata. Stavamo quasi per rientrare, a dire il vero, ma in ogni caso saremmo rimaste in coda. E a quel punto l’importante era che le altre azzurre fossero davanti.

In quelle fasi sei riuscita a dirle una parola, un ultimo incitamento oppure è impossibile?

No, lì sei a tutta a testa bassa. C’erano le altre. L’unica cosa che mi viene in mente è che di solito quando Elisa vince io perdo gli occhiali. E non li avevo ancora persi. Così all’inizio dell’ultimo giro, me li sono messi in tasca quasi a far modo di perderli! Diciamo così…

La Guazzini davanti e la Balsamo a ruota nell’italiano di Breganze 2020. Qui vestono la maglia delle Fiamme Oro e non della Valcar
La Guazzini davanti e la Balsamo a ruota nell’italiano di Breganze 2020. Qui vestono la maglia delle Fiamme Oro e non della Valcar
Beh, anche per la scaramanzia serve lucidità! Ti abbiamo vista arrivare in parata con la Cecchini (foto in apertura) e gioivi. Come hai saputo che aveva vinto Elisa?

Mi ha chiamato proprio Elena e mi ha detto: ha vinto Elisa! Sono scoppiata di emozioni. Ho sentito freddo: brividi! Credo che ad Elena lo abbia detto un giudice in moto o in auto, di preciso non so.

Cosa “ruberesti” a lei? E cosa, secondo te, lei ruberebbe a te?

Io le ruberei il suo spunto veloce. E lei… – ci pensa un po’ la Guazzini – le mie menate in pianura. Non che Elisa non le dia, ma su quelle sono abbastanza sul pezzo!

Il prossimo anno entrambe cambierete squadra: tu alla Fdj e lei alla Trek: come sarà correre da rivali?

Eh – sospira un attimo la simpatica toscana – un po’ dispiace. Già l’altro giorno dopo il mondiale, mentre con il bus tornavamo in hotel con le altre ragazze della Valcar c’è stato un momento di nostalgia. Un momento in cui ci siamo rese conto che queste sarebbero state le ultime gare insieme. E per questo ce le dobbiamo godere al massimo. Ma non significa che il nostro rapporto d’amicizia debba cambiare.

Beh è comprensibile. Tanto più che voi eravate la “piccola” squadra che faceva tremare il mondo…

Sì, un po’ di nostalgia c’è. Ma si fanno delle scelte e come ho detto adesso ci sono ancora delle belle gare da fare. E da fare al massimo, a cominciare dalla Roubaix di sabato.