SESTRI LEVANTE – Il tema che riguarda la categoria juniores è caldo e va affrontato con la dovuta calma e attenzione. Da un lato c’è chi ha paura di “bruciare” i ragazzi e vorrebbe preservarne il talento e le qualità. Aumentare ora i carichi di allenamento serve per vincere nel breve termine ma una carriera di un corridore prende forma e peso più avanti dei 18 anni. Vincere un Giro della Lunigiana è bello, fa piacere e riempie la bocca di chi questi ragazzi li cresce, ma poi c’è il futuro a cui pensare. Le categorie giovanili servono per formare il corridore, dargli una mano così che possa imparare a gestire determinate dinamiche.
In Italia ci sono due fazioni, chi vede l’attività odierna come un’esasperazione e chi crede sia la giusta via. Quest’ultimi spesso sono coloro che sulle vittorie dei ragazzi ci vivono, costruendo gloria personale e affermandosi come tecnici di livello. Ma se tutti coloro che gestiscono questi ragazzi pensano a tirare fuori il massimo, chi arriverà alla fine si ritroverà tra le mani solamente il nocciolo.
Cambiare obiettivi
Eros Capecchi di anni da professionista ne ha messi alle spalle ben 16, il suo primo anno con i grandi è stato il 2006, nelle fila della Liquigas, a soli 20 anni. Il punto su cui ci si deve concentrare non è l’età in cui si diventa professionisti, anche se un minimo di attenzione non guasta mai, ma l’attività proposta.
«A mio modo di vedere stiamo faticando a fare un cambio di mentalità – dice il tecnico del CR Umbria – dal punto di vista delle preparazioni. Siamo molto conservativi, non “spremiamo” troppo i ragazzi. Ma secondo me quello che stiamo facendo non è spremerli troppo, bensì spremerli male.
«Se li si prepara atleticamente e fisicamente a quello che ora trovano in corsa non c’è il rischio di finirli. Questo accade se vanno in gara e non vedono mai l’arrivo, perché allenarsi diventa sempre più un sacrificio e fare la vita da corridore pesa ancora di più. Si potrebbe rivedere la programmazione dei calendari, come fanno all’estero».
Quindi periodo di gare e poi riposo e allenamento, una calendarizzazione degli impegni.
Sarebbe importante anche con chi delibera le corse, i comitati o anche più in alto la Federazione stessa, dire: «Facciamo sei o sette corse organizzate bene in un periodo limitato, un mese ad esempio, e poi un mese di riposo». In modo tale che chi deve preparare i ragazzi riesce a lavorare e dare quelle ore di cui hanno bisogno. In questo modo si aumenta il livello generale degli juniores, consegnando al cittì della nazionale corridori che sanno reggere determinati carichi di lavoro.
Per avere una maggiore concentrazione degli impegni servirebbero più corse a tappe, che fanno tanto per la crescita dei ragazzi.
Ce ne siamo resi conto lo scorso anno, un nostro ragazzo è andato in fuga all’ultimo giorno dopo quattro tappe. La domenica successiva ha vinto. Il lavoro che fai in una corsa di più giorni è impagabile, ne parlavo con lo stesso Salvoldi. Se si riuscissero a unire le diverse gare di un giorno in appuntamenti unici, faremmo un grande passo in avanti.
Senza però eccedere nel lavoro a casa…
Ormai gli juniores che vanno forte si allenano 23-25 ore alla settimana, quindi se si vuole raggiungere quel livello l’impegno da mettere è questo. La nazionale che va in ritiro a Livigno e mette insieme 25 ore di allenamento a settimana è per arrivare a una condizione pari rispetto a chi vince ora. Se quattro ragazzi lavorano così tanto, purtroppo, bisogna adeguarsi per essere competitivi. E’ brutto da dire ma se si pensa al bene dei ragazzi, si rischia di non farli diventare corridori, perché il trend è questo e ormai è partito.
Da noi è Finn quello che fa un’attività del genere, a livello di programmazione.
Lui è il riferimento del ciclismo giovanile e lavora in un modo intelligente, meticoloso e impostando gli allenamenti mese per mese. E’ la dimostrazione che si può migliorare allenando bene i ragazzi, senza bruciarli. Questo accade se noi non li mettiamo nelle condizioni, fisiche e atletiche, di confrontarsi a livello nazionale e internazionale con i migliori.
Però se si parla di livello internazionale, si deve anche fare attività all’estero allora…
Intanto noi dobbiamo alzare il livello nazionale. Questo dà un beneficio interno alla categoria perché tutti migliorano, bisogna farlo però con gare da 120-130 corridori, non da 50. Se si riesce a organizzare bene il calendario, si dà alle squadre il modo di muoversi contenendo le spese perché glielo si fa fare una volta sola e non tutte le settimane.
Perché entra in gioco anche il discorso dei budget che sono estremamente limitati.
Qui appena metti in moto il furgone e due ammiraglie spendi 500 o 600 euro. Reperire il personale non è così facile, io posso muovermi perché ho un’azienda di famiglia e riesco a ritagliarmi dei giorni per seguire i ragazzi. Ma altri rinunciano. Le leggi fatte sui contributi legati a chi collabora con le attività sportive sta ammazzando i team. Anche per un niente si arriva a tassazioni maggiori e allora la gente preferisce tirarsi indietro perché non conviene.
L’intervista rilasciata qualche settimana fa da Eros Capecchi ha destato scalpore nell’ambiente ciclistico umbro e non solo. L’ex pro, referente del settore tecnico giovanile del comitato regionale ha affermato senza mezzi termini come i cali di budget da parte della federazione abbiano inficiato non poco il suo lavoro. Il presidente del Comitato Massimo Alunni non voleva lasciar sedimentare troppo i riferimenti del tecnico e ci ha chiesto di poter dire la sua. Un’occasione per parlare di come una struttura periferica, in una regione dalla tradizione poco legata al ciclismo su strada (l’Umbria è, anche per costituzione geografica, terreno ideale per la mtb) riesca a lavorare oggigiorno.
«I nostri risultati sono sotto gli occhi di tutti – esordisce Alunni – soprattutto se li raffrontiamo alle dimensioni del nostro movimento. I due titoli italiani nel ciclocross sono la punta dell’iceberg di una serie di ottimi riscontri e vorrei sottolineare i piazzamenti ottenuti su pista, considerando che non abbiamo un nostro impianto. Abbiamo ricevuto molti complimenti anche da altre realtà regionali e questo andamento è frutto del lavoro delle società e dei loro tecnici, noi possiamo solo dare possibilità di sviluppo a tutti i settori nelle nostre possibilità».
Quanto ha influito nell’evoluzione del settore giovanile in questo breve quadriennio, considerando che il covid ha tolto un anno di attività, l’apporto di Eros Capecchi?
Moltissimo, perché ha cambiato le aspettative dei ragazzi, sicuramente impressionati dall’avere a disposizione il prestigio e la sapienza di un ex professionista che ha chiuso l’attività da poco. E’ stato un valore aggiunto, come anche Monia Bacaille alla guida del settore pista. I risultati sono l’espressione del loro lavoro, è un vantaggio avere simili modelli da seguire. Non è un caso se abbiamo una leva 2004-2005 così valida e soprattutto numerosa considerando l’esiguità del movimento. Anche noi abbiamo avuto un calo, ma se ce l’ha la Lombardia con il suo bacino è un conto, per noi anche una minima percentuale pesa.
Il problema però, come sottolineato da Capecchi, è il budget…
Lo sappiamo bene, la mia politica è investire quasi tutto quello che abbiamo verso la crescita dei ragazzi, ma se poi i soldi scarseggiano possiamo fare poco. A noi è venuto meno parte del contributo dell’Arpa che da 22 mila euro è passata a 7 mila. Considerando questi e i contributi federali, abbiamo poco margine di manovra e per questo io personalmente mi sono messo all’opera per trovare nuove risorse. Le spese dall’altra parte non mancano, noi ad esempio lavoriamo per la pista a Forano che condividiamo con il Lazio, ma non paghiamo solo l’affitto. Diamo anche un rimborso chilometrico alle società per fare attività lì e pensate quanto costa trasferirsi andata e ritorno da Città di Castello a Forano…
Capecchi nella sua intervista lamentava come i contributi per il suo settore siano diminuiti nel corso dei tre anni…
Purtroppo è vero, ma non è stato per mancanza di volontà. Faccio un esempio: avevamo guadagnato la possibilità di portare 25 ragazzi al Trofeo delle Regioni in Friuli, ma la trasferta tutto compreso sarebbe costata 4 mila euro, cifra che non potevamo permetterci così abbiamo dovuto a malincuore rinunciare.
A livello nazionale viene ascoltata la vostra voce?
Poco. Più volte io e altri colleghi abbiamo fatto presente ai vertici che c’è una sproporzione tra quanto si spende per il ciclismo di alto livello e per la base, quando invece è questa da cui tutto dipende e che avrebbe bisogno di maggiore sostegno. Anche alcune sovvenzioni che venivano date sulla base di progetti specifici sono scemate con il venir meno di sponsor. Io mi sono messo all’opera per trovare aiuti che certe volte non sono neanche quantificabili in soldi, ma anche avere acqua, latte, coppe per le premiazioni sono spese in meno per noi.
E’ anche vero però che per le società c’è un problema di attività, di calendario troppo asciutto soprattutto se confrontato con la mountain bike…
Lo sappiamo, ma questo è frutto della congiuntura generale. Le società sono in difficoltà, quelle che allestivano gare non ce la fanno considerando che anche l’evento più semplice parte da 4-5 mila euro. Ora siamo arrivati a una gara per categoria, troppo poco. Ricordo ad esempio un grande evento che si svolgeva a Foligno, gara nazionale, ma con la morte dell’organizzatore nessuno ha preso le sue redini e la manifestazione è scomparsa. Non è un problema solo nostro: con Abruzzo, Marche, Lazio dobbiamo fare squadra, ad esempio abbiamo agito nel calendario in modo da non sovrapporci.
Nella mountain bike esistono circuiti che mettono insieme prove proprio di queste regioni. Perché non si può fare lo stesso su strada, dando magari un contributo alle società per prendere parte alle tappe di una challenge di categoria disegnata in tutta l’Italia centrale?
Sarebbe una buona idea, se questo garantisse un numero di partenti adeguato per ogni prova. A proposito della mountain bike siamo finalmente riusciti a far inserire in ogni Granfondo una prova specifica per esordienti e allievi, un progetto che avevamo da anni e considerando che quasi tutti fanno doppia attività, questo è stato un grande aiuto al settore giovanile.
Passate le Olimpiadi però inizierà la campagna elettorale, vuole andare avanti?
Forse non personalmente, ma il nostro gruppo vuole continuare per ottenere altri risultati, adeguando alle difficoltà del momento un programma nuovo. E’ chiaro però che tutto passa dal reperimento di maggiori fondi.
Che cosa c’è al di là dell’Uc Foligno? Qual è la realtà umbra nel ciclismo giovanile? Domande che sono balzate alla mente mentre affrontavamo il tema di corridori come Proietti Gagliardoni e Serangeli, punte di un iceberg regionale che ha una doppia sfaccettatura, come spiega Eros Capecchi che da tre anni segue il movimento regionale come tecnico regionale.
Una gestione difficile
Capecchi ha una lunga storia nel ciclismo professionistico, oltretutto conclusa da poco tempo. Appena appesa la bici al classico chiodo (per modo di dire perché l’amore per il ciclismo non è venuto mai meno), il ciclista di Castiglione del Lago si è messo subito a disposizione del Comitato Regionale Umbro, trovandosi però in una situazione quantomeno difficile.
«Ho accettato il ruolo senza alcun compenso – afferma – tanto che spesso ci ho rimesso di tasca mia, ma per fortuna ho un’azienda ben avviata e non lo faccio per i soldi. Diverso però è il discorso quando si parla di budget e di servizi da mettere a disposizione per i ragazzi. Io avevo accettato il ruolo con tante idee e soprattutto con l’obiettivo di un progresso costante, invece mi sono ritrovato a fare passi indietro ogni anno. Anche oggi abbiamo meno mezzi del 2023, così è davvero difficile andare avanti. Io ho preso un impegno con il presidente regionale e lo porto avanti, ma alla scadenza del mandato farò bene i miei conti».
Che cosa ti è mancato?
Quando il budget viene tagliato, i programmi che avevi messo su carta vanno a farsi benedire. Io posso prestare la mia opera gratis, ma non tutti possono fare altrettanto. Così ad esempio eravamo partiti con l’idea di avere un paio di meccanici a disposizione, non potendoli pagare avevamo trovato 3 pensionati che svolgevano questo compito, ma si sono tirati indietro anche loro. Lo stesso dicasi per un massaggiatore. Sono figure importanti se vuoi prevedere una trasferta, questo inficia il lavoro dei ragazzi.
Qual è la situazione del movimento giovanile umbro?
Di grande sofferenza, soprattutto numerica. I ragazzi che fanno attività sono sempre meno e questo chiaramente è un problema che si acuisce con le categorie maggiori, perché tanti si perdono per strada. La cosa che mi dispiace di più è che a fronte di numeri bassi, il ciclismo umbro propone sempre bei corridori. Si è parlato dei talenti dell’Uc Foligno, ma ce ne sono anche altri. Laudinel loro stesso sodalizio oppure Tommaso Brunori, Vittorio Friggi, Tommaso Alunni o anche Tommaso Francescangeli dal quale mi aspetto molto come dallo stesso Laudi. Di Serangeli si sa dell’infortunio, ma so che sta bruciando le tappe e credo che già per il campionato italiano potrà essere presente e competitivo.
Quanto è importante per i ragazzi avere una guida che è arrivato ai vertici del mondo ciclistico?
Io credo che sia importante instaurare con loro un rapporto franco – sentenzia Capecchi – spesso il tecnico diventa anche più dell’amico, quasi un confessore. Io cerco di essere uno di loro, anche se quando serve tirare le redini lo faccio senza farmi pregare. Chiedo serietà ed allegria nelle giuste proporzioni e mi ci metto anch’io, non sono certamente un musone… Il problema reale è poter preparare un vero calendario d’impegni, dagli esordienti agli juniores. Faccio un esempio…
Prego…
Il primo anno della mia permanenza avevamo organizzato un ritiro prima dei campionati italiani, lo scorso anno abbiamo dovuto cancellarlo, quest’anno non si sa. Ma se alla prima trasferta senti il dirigente che dice: «Soldi non ce ne sono…», allora mi chiedo anch’io che cosa ci sto a fare. Eppure si potrebbero fare tante cose utili. Avevamo persino allestito un paio di ritiri in altura a Livigno, con i ragazzi e le società che avevano contribuito, noi come comitato pagavamo solo il viaggio, poi ognuno provvedeva per sé ed erano state belle esperienze, che avevano fatto gruppo.
Ora che cosa è rimasto, quali occasioni avrete?
Noi saremo comunque presenti a tutte le prove previste per rappresentative regionali e io porterò con me 1-2 elementi per team. Vogliamo far fare loro attività, portarli a correre e far vedere quel che valgono. Anche per dare lustro all’attività delle società. I ragazzi di Foligno sono sicuramente in evidenza, ma ci sono anche altri gruppi che stanno lavorando bene, vedi il Team Fortebraccio da cui proviene Samuele Scappini ora alla Beltrami, oppure l’Uc Città di Castello o ancora il Gc Mocaiana. Noi vorremmo dare loro un sostegno, so che lo stesso presidente federale Massimo Alunnicerca sponsor, ma non è facile.
Si parla tanto di Proietti Gagliardoni e Serangeli perché hanno “assaggiato” la vetrina della nazionale, secondo te ci sono altri ragazzi che possono arrivare a quei livelli?
Sicuramente, ad esempio Edoardo Rulli– risponde Capecchi – che per il secondo anno corre nell’Onec Team, è stato sfortunato nel 2023 dopo che era partito fortissimo, poi quelli che ho già citato. Io con i ragazzi sono sincero: il ciclismo non ha pietà, chi va forte va avanti, chi va piano alla fine sparisce e non c’è tempo per aspettare. Ai miei tempi si facevano tutte le tappe per crescere, oggi devi emergere già da junior sennò non trovi squadra e ti fermi. Io comunque, affrontando il mio mondo ora con un altro punto di vista, credo che serva una ventata di ringiovanimento dell’ambiente, soprattutto sul piano tecnico.
E’ un tema questo che ricorre spesso, altri sport stanno crescendo proprio perché i tecnici di base stanno progredendo e aggiornando i propri credo in base a quello che viene dall’estero. Nel ciclismo avviene?
Con fatica, perché molti tecnici rimangono ancorati a vecchi schemi, alla tradizione che ormai è sorpassata. I giovani sono sicuramente più aperti mentalmente, ma bisogna dar loro modo di crescere. Io i corsi di formazione li ho fatti e sinceramente non apprendevo nulla di nuovo: sapere com’è fatta la bicicletta mi dice poco… Questo non credo sia un problema solo della mia regione, bisogna che tutto il ciclismo italiano si dia una svegliata. Non è un caso se dopo che i miei ragazzi correvano l’Eroica e si confrontavano con gli stranieri, nelle successive settimane volavano. Serve un progresso generale, altrimenti confrontarsi con le altre nazioni sarà come andare in guerra con le pistole ad acqua.
Eros Capecchi è tornato a casa, nel vivaio di famiglia, dove lavora e intanto pensa al ciclismo. Nei giorni scorsi è stato in ritiro con i ragazzi del Comitato Regionale Umbro, del quale è cittì. Il caldo nel centro Italia si fa sentire e quando gli facciamo notare che la sua regione è “bollino rosso” risponde così: «Ora capisco perché sento tutto questo caldo – ride – io al meteo ci bado poco. Tanto non è che si possa fare qualcosa se fa caldo o meno».
Il lavoro procede e le piante stanno bene, neanche loro sembrano soffrire troppo il caldo. «Di acqua ne abbiamo – dice Capecchi – la diga del Monte Doglio ha ottimi livelli e non dovrebbero esserci problemi. Poi nel nostro vivaio abbiamo tante colture a terra, che richiedono meno cure e acqua. Qualche pianta in vaso si secca, ma è normale che sia così».
I suoi ragazzi
Capecchi parla, lo fa volentieri e la telefonata diventa un motivo per affrontare tanti argomenti legati al ciclismo. La passione per la bici è tanta, e quella di coltivare i nuovi talenti del vivaio ciclistico dell’Umbria è anche di più.
«Mi piace molto lavorare con i ragazzi – conferma l’ex professionista – vedi i miglioramenti, ti ascoltano. C’è sempre chi fa un po’ di testa sua, ma è normale, una volta sbattuto il muso torna sui suoi passi. Fa parte della crescita e dell’essere adolescenti. Questa esperienza, nata per gioco, è appagante. Seguo i ragazzi da quando hanno 12 anni fino ai 18, li vedo crescere e li seguo per ogni categoria».
Che metodo utilizzi con loro?
Non ce n’è uno specifico. Li ascolto, li frequento e cerco di capire. Devi guadagnarti la loro fiducia affinché si aprano e ti parlino dei loro problemi e delle loro preoccupazioni. Riesco a fondermi con loro, mantenendo sempre dei limiti precisi che mi permettono di avere un’autorità.
Il rapporto che hai ti piace?
Tanto, ho il modo di legare insieme a loro, magari divertendoci insieme. E’ capitato di fare qualche partita a biliardino o di andare a mangiare un gelato. Se i ragazzi si sentono a loro agio, ti vengono a chiedere cose che magari non avrebbero il coraggio di domandarti. Sono esempi banali ma che costruiscono un bel rapporto, non si può sempre e solo dire “no”.
I giorni a Livigno come sono andati?
Bene. E l’ho capito dal fatto che mi seguissero in tutto e per tutto. Anzi, spesso erano loro a chiedermi di fare qualche lavoro in più. Hanno proprio dato il cuore e queste per un tecnico sono grandi soddisfazioni. Lo fanno perché sanno che poi possono chiederti di prendere un gelato o mangiare un piatto di patatine. Sono piccole cose che creano il gruppo e la fiducia reciproca.
Ora siete tornati, in che modo si lavora fino ai prossimi impegni?
Correranno domenica e andrò a vederli. Ho ancora qualche dubbio da sciogliere, ma lo farò in corsa. Per i prossimi impegni – Vertova, Paganessi e Lunigiana – dovrei scegliere sei ragazzi e portarli sempre con me. Però diventa difficile, perché qualcuno ha degli impegni con la scuola e non è sempre libero. L’idea è quella di andare a vedere le strade del Lunigiana, subito dopo il Paganessi. E’ sempre bene prendere le misure con quei percorsi, il Lunigiana in foto sembra semplice, poi vai lì e ti ammazza.
Hai tanta scelta quindi?
Sì e mi fa piacere, perché vuol dire che si è lavorato bene. Mi mettono in difficoltà, nel senso buono del termine chiaramente.
Sono curiosi delle tue esperienze passate, del corridore che sei stato?
Tutto si basa sulla fiducia, nel momento in cui si fidano di te sono loro a domandarti. Io non uso il metodo del “ai miei tempi” anche perché diventa facile che ti prendono in giro, diventi il vecchio che non vogliono ascoltare. Devi essere uno di loro, quando instauri questo tipo di rapporto si aprono e ti chiedono consigli e suggerimenti.
E’ un movimento, quello della tua regione, in continua crescita?
Mi piace davvero come stiamo lavorando. Tra quattro o cinque anni ci saranno delle grandi soddisfazioni. Alcuni ragazzi li vedo, soprattutto gli allievi, fanno risultati ma sono ancora “bambini”.
Dopo un anno di lavoro che cosa pensi del ciclismo moderno?
Posso dire che in Italia non abbiamo capito bene cos’è il ciclismo ora. Diciamo che i ragazzi vanno fatti crescere tranquillamente, poi però abbiamo degli atleti validi che da under 23 non riescono a trovare squadra. Non bisogna spremerli, ma metterli nelle condizioni di fare del loro meglio. Se continuiamo così non li facciamo crescere lentamente, ma smettere velocemente.
In questo è cambiato molto il ciclismo.
Non ci sarà più il corridore che farà 17 anni di carriera, ma che problema c’è? Il ciclismo è più veloce, non è bello da dire, ma ora hai meno possibilità di provarci. Lo vedo in una regione come la nostra, dove abbiamo buoni corridori anche senza numeri elevati di tesserati. Anche se a livello di Comitati Regionali non è semplice.
In che senso?
Ne parlavo lo scorso anno con Salvoldi, proprio al Lunigiana. L’intento è fare più corse a tappe e far crescere il movimento, per noi regioni l’interesse è alto. Il problema poi è riuscire ad organizzare la stagione quando i soldi scarseggiano. Anche il ritiro appena fatto a Livigno lo hanno pagato le squadre e in parte alcuni genitori. Senza considerare che il nostro presidente mette spesso soldi di tasca sua.
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Pianeta giovani. Nell’ultimo editoriale abbiamo parlato del ciclismo che cambia e dei nuovi metodi anche tra i giovani. Oggi vi proponiamo un esempio concreto, che passa soprattutto attraverso le corse a tappe. E lo facciamo con Eros Capecchi, responsabile dei ragazzi del Comitato Regionale dell’Umbria. Insomma il cittì dell’Umbria.
Un esempio concreto che ci riporta a questa estate quando l’ex pro’ della Bahrain-Victorious ha preparato con gli juniores il campionato italiano e il Giro della Lunigiana. Una storia che in parte vi avevamo accennato, ma che Capecchi ci ha raccontato ancora meglio, soprattutto per quel che riguarda le corse a tappe e ciò che ne consegue.
Test tricolore
Questa estate Capecchi ha fatto fare ai ragazzi un piccolo ritiro prima del campionato italiano. E glielo ha fatto fare con metodologie “nuove”, nuove almeno per quei giovani atleti. I ragazzi erano stimolati e gasati. Tanto che dopo questo miniraduno non volevano più tornare a casa. Si sono divertiti. «E mi sono divertito anche io. C’era bisogno di usare sistemi nuovi», ha detto Capecchi.
Nuovi sistemi dunque, ecco di cosa parla Eros. «Di quelli usati dai pro’… riadattati agli juniores. Il presidente regionale mi ha chiesto cosa volessi fare. Io gli ho risposto che avrei avuto piacere di vederli, di conoscerli prima del tricolore, anche al di fuori delle corse. Volevo starci a contatto. Anche perché poi avevo chiamato quasi tutti ragazzi di primo anno e me li sarei ritrovati in futuro.
«Il mio intento era di vedere cosa facevano, come si allenavano, come si alimentavano. Così il presidente regionale mi ha dato una carta di credito e la fiducia nel mio operato. Ricordo i 200 euro per la spesa per la prima colazione… ma abbiamo allestito un menu idoneo e di qualità».
In quella manciata di giorni, Capecchi ha dato ai ragazzi un vero boost di novità. Sveglia tutti insieme, subito una camminata di una mezz’oretta a digiuno, quindi colazione, esercizi… «Ho contribuito ad apparecchiare la tavola con il cuoco, con il quale avevo parlato, per avere delle omelette, del pane tostato… e subito ho capito che si alimentavano male.
«E oggi, anche in base alla mia esperienza da pro’ posso dire che l’alimentazione è la cosa che conta di più in questo ciclismo. E infatti mi piacerebbe fare degli incontri con la nutrizionista Erica Lombardi per esempio, anche per le categorie più piccole. Per dargli un’infarinata sin da subito».
In sella da pro’
Capecchi ha impostato il suo mini-ritiro facendo quella che in gergo viene chiamata una tripletta mascherata, vale a dire due giorni di carico e uno di “scarico”. «Volevo vedere come rispondevano anche in vista delle corse a tappe».
La storia vuole che con qualche aggiustamento e con metodi di lavoro provenienti dal WorldTour, ma come detto adattati alla categoria, le cose abbiano subito preso una piega diversa. E infatti un buon atleta come Edoardo Burani è giunto secondo agli italiani. E parliamo di un corridore che sin lì non aveva colto grossi risultati. Mentre nel resto della stagione è stato uno dei più costanti.
«Giancarlo Montedori, il suo direttore sportivo – spiega Capecchi – mi ha detto che è un ragazzo che tiene molto alla scuola e sin lì non aveva fatto troppo. Così appena finita la scuola l’ho portato in ritiro. Ma sempre il suo diesse, mi ha poi chiesto se poteva portarlo via un giorno prima in quanto voleva portare i suoi ragazzi ad una corsa a tappe, il Giro della Valdera.
«Io gli ho detto subito di sì. Sai che gamba avrebbe avuto dopo il ritiro e tre giorni di corsa consecutivi? E infatti è andata bene».
Metodi da pro’
E qui si entra nel nocciolo della questione. Le corse a tappe servono per la crescita e al tempo stesso per la preparazione? Il racconto di Capecchi continua…
«Dopo questo risultato all’italiano, Massimo Alunni, il presidente del comitato mi dice: “Eros e per il Lunigiana cosa si fa?”. Dopo l’italiano era gasato anche lui (segno che serve a tutti un certo modo di lavorare, ndr)! Io gli ho risposto che bisognava fare corse di livello internazionale o comunque più alto perché poi è con quello standard che ci si va a misurare. Così ho programmato un ritiro a Livigno di 11 giorni e una serie di corse importanti a seguire».
«Ho sentito un massaggiatore e ho chiesto una mano alle squadre. Il resto lo ha pagato il Comitato regionale. Undici giorni in altura, con massaggiatore al seguito… come i grandi.
«Finito il ritiro ho cercato un hotel in Versilia, tramite un amico. Siamo stati lì 3-4 giorni, nei quali abbiamo visionato le tappe del Lunigiana. E anche lì avevamo il massaggiatore. Insomma ho cercato di fare una cosa fatta bene, da pro’… che infondesse nei ragazzi un certo metodo di lavoro. Ci è mancata la vittoria, ma è questione di tempo».
Corse a tappe: sì
«Se servono dunque le corse a tappe per gli juniores? Certo che servono – spiega Capecchi – Premessa: io sarei per il lato romantico secondo cui i ragazzi andrebbero lasciati tranquilli, senza pressioni e quant’altro. Poi però c’è da fare i conti con il momento storico che viviamo, con la realtà. E la realtà è che lo sport non aspetta più i ragazzi. E quindi se mi chiedete se servono le corse a tappe rispondo come ho detto a Salvoldi: «Dino, servono eccome. Ci sono juniores che hanno fatto esperienze alla Ineos-Grenadiers prima del Lunigiana. Hanno 4-5 corse a tappe nelle gambe. Io ne avevo solo uno che aveva preso parte al Valdera, di appena tre giorni».
«La corsa a tappe ti fa fare uno step in più… Contano come per i pro’, solo che a 17 anni sono ancora più ricettivi».
«Io credo che la nostra nazionale sia ancora un riferimento con le nostre conoscenze, solo che viviamo ancora di questa cosa che noi siamo italiani e abbiamo la nostra tradizione inamovibile. E’ un bene, ma al tempo stesso un male. Sento dire: “Dobbiamo aspettare il talento anche noi. Gli altri hanno i campioni, noi no”. Io non credo sia così. I corridori li abbiamo anche in Italia. Ci sono allievi anche da noi che nei test sviluppano 6 watt/chilo, quindi il talento c’è. Sta a noi tirarglielo fuori facendoli lavorare in un certo modo».
«Non è che i nostri ragazzi non crescono bene, crescono lentamente. E oggi uno juniores, che piaccia o no, si deve allenare in un certo modo visto che poi passa pro’ direttamente o al massimo dopo un anno tra gli under 23. E se non ha certe basi il rischio è che si demoralizzi».
Per la prima volta dopo 17 anni Eros Capecchisi è goduto il ciclismo come uno spettatore normale, ammesso che normale sia un aggettivo calzante per chi è stato al vertice di questo sport per tanto tempo. Capecchi è stato tra i primissimi, se non il primo, a passare giovanissimo. Aveva 19 anni.
Dal Giro dell’Emilia 2005, fatto come stagista con la Liquigas, dove avrebbe iniziato la sua avventura ufficialmente l’anno successivo, alla Bretagne Classic 2021: nel mezzo tante gioie al fianco di altrettanti campioni e tre vittorie, su tutte quella di San Pellegrino al Giro d’Italia 2011.
Emozioni, senso critico, passione: Eros, come ha vissuto questi primi 12 mesi da ex corridore?
Partiamo dal presupposto che ho smesso di correre con la massima serenità. Ho detto basta quando voglia e stimoli non erano più gli stessi. E’ stato qualcosa di mio, come mio era il vivaio che mi attendeva. E forse questo mi ha aiutato a smettere… bene. Che poi è il problema di molti. Si chiedono: «E adesso cosa faccio?». Quindi, questa stagione da fuori me la sono goduta.
Hai seguito le corse insomma…
Sì e poi con Giada (Borgato, ndr) che commentava alla tv, tante volte mi divertivo più a sentire lei che a vedere la corsa. In più mi hanno coinvolto per una tappa del Giro-E e ho i ragazzi dell’Umbria. Insomma sono rimasto nell’ambiente. Tutti gli anni quando si ripartiva mi mettevano in camera con i giovani, gli stavo vicino, gli davo consigli. E quindi il ruolo di commissario tecnico del Comitato regionale dell’Umbria mi è venuto naturale.
Eros, se dovessi scegliere tre momenti di questa stagione vissuta “dal vivaio” quali diresti?
I primi che mi vengono in mente sono i duelli e le azioni dei due fuoriclasse: Van der Poel e Van Aert. Belli da vedere, imprevedibili… Li ho anche vissuti in prima persona e quando sei in corsa con loro sai che ti diverti, che può succedere qualcosa da un momento all’altro.
E poi?
Direi Poagacar, una super conferma, e Vingegaard: in particolare la caduta in discesa al Tour. Il danese mi ha colpito non tanto perché è andato forte, quello si sapeva, ma per i suoi valori morali e il suo comportamento quando è caduto Pogacar. Quel giorno ero con Giada a vedere la tappa e le dissi: «Ora lo aspetta». Giada la pensava diversamente.
E tu?
Io me lo sentivo. Pogacar non lo avrebbe aspettato, ma non perché è cattivo o scorretto, ma perché era lui che lo stava attaccando in discesa. E quando fai certi attacchi metti in conto anche che il tuo rivale possa avere problemi simili. Vingegaard invece ha mostrato un’altra mentalità. Ha dimostrato che le corse si vincono con onestà e con le gambe. Tra l’altro il discorso dell’onestà e dell’educazione lo ripeto spesso anche ai miei ragazzi. Se sento mezza parola fuori posto, una lamentela su un organizzatore o un albergatore, quel corridore va a casa. Anche se ha vinto 10 corse.
Manca il terzo momento o personaggio…
Remco. Sono stato contentissimo per lui. Sono stato in squadra con Evenepoel alla Quick Step. Ho ancora i messaggi scambiati con lui. Dopo il primo anno mi scrisse: “Ti vorrei nel mio gruppo”. Io gli risposi che avevo il contratto in Bahrain… Remco è un bravo ragazzo, anche se qualche volta può risultare antipatico. Ma parliamo di un atleta che a 18 anni si è ritrovato a quel livello. Per di più in Belgio dove sono scattati subito i paragoni con Merckx, le pressioni sono tante. Mi ricordo del mio ultimo anno in Quick. Ero uscito bene dal Giro. Così mi portarono al Giro del Belgio. C’era anche Sabatini. Facemmo un grande lavoro per Remco. Tirammo per tutta la settimana e lo portammo alla vittoria. A fine corsa c’erano lui, sua mamma e suo papà ad abbracciarmi e a ringraziarmi per averlo aiutato.
Ha chiuso i battenti, un campione con cui hai condiviso parecchio, Vincenzo Nibali…
E anche “Don Alejandro”!Valverde… Due grandi. Valverde è stato più competitivo di Vincenzo fino alla fine. I tifosi vorrebbero sempre che certi corridori fossero al top. E mi spiace che certe volte si sia criticato Nibali. Ma che carriera ha fatto? Quattro grandi Giri, Sanremo, due Lombardia, Tirreno, Plouay… Serviranno 100 anni per ritrovarne uno così.
Vi siete scambiati dei messaggi con lui e con Valverde?
Non sono un tipo da messaggi. Se capita, preferisco gli incontri dal vivo. Quest’anno sono venuto da spettatore alla Strade Bianche. Ero nel viale tra foglio firma e bus e in quei frangenti certi corridori non si fermano, altrimenti vengono assaliti dalla gente. Invece Valverde mi ha visto e si è fermato. La stessa cosa Alaphilippe al Giro dell’Emilia. Stavamo scendendo dal San Luca con Giada. Lo vedo passare e lo chiamo: «Loulou!». Si volta, mi vede, frena e mi dice: «Eros! Passa al bus che ci prendiamo una birra». Quando sono arrivato mi ha bussato dal vetro, c’era tanta gente, tanti francesi, magari non voleva scendere. Invece lo ha fatto lo stesso. Sono queste cose che mi fanno piacere… più dei messaggi.
Prima hai detto che Pogacar è stata una conferma. Ma perché c’è il rischio che non torni ai suoi livelli super?
Con i tanti corridori giovani che arrivano “da sotto”, sicuramente oggi confermarsi per tanto tempo è più difficile. Prima passavi e ti servivano due anni per trovare il preparatore, tre per per prendere le misure con l’ambiente e per capire quali corse erano più adatte a te. Adesso invece sono pronti. Hanno forza ed entusiasmo. E prendono gente come Pogacar a riferimento. Ma Pogacar chi vede? Per lui è impossibile trovare un riferimento. Allenarsi, migliorare è difficile per Tadej. E una volta al suo livello basta che sbaglia mezza corsa, si apre una piccola crepa e subito diventa uno squarcio.
E’ la condanna del super campione…
Io all’ultimo anno da pro’ andavo più forte che al primo. Ma 17 anni fa se eri all’80% arrivavi tra i primi, adesso se sei al 107% ti staccano in 50. Tutto è al limite, ma anche in altri sport. Se pensiamo che Marcel Jacobs fa dietro motore a piedi! E comunque non è che Pogacar debba dimostrare di tornare o che ci siano dubbi. Dopo il Tour ha vinto in Canada, ha vinto il Lombardia.
Tra le squadre invece chi ti ha colpito?
A me piace molto la Jumbo-Visma. E tra l’altro Vingegaard lo ha battuto grazie anche alla squadra. La Jumbo, dicevo, mi piace tantissimo. Conosco bene il loro nutrizionista, che era con noi ai tempi della Quick Step e so che credono molto nell’alimentazione. In più hanno una forza economica importante, comprano i corridori buoni, ma hanno il merito di saperli fare andare d’accordo. Roglic, Kuss, Vingegaard… e poi Van Aert, incontenibile, Laporte. Ecco il francese, ma che acquisto è stato? Lo hanno messo nelle condizioni di vincere e lui ci è riuscito.
Vero, il loro preparatore ci parlava proprio di questo…
E sono meriti. La Ineos-Grenadiers ha ancora più soldi, ma in questo momento non rende allo stesso modo. Vuoi perché molti corridori ce li hanno da tanti anni, sono più vecchi… Stanno però lavorando bene con i giovani. Ma, immagino, gli ci vorrà un po’. Poi magari il prossimo anno gli vengono fuori i due Hayter e saranno loro a mettere in crisi Pogacar. Perché poi in questo ciclismo è un attimo. Evoluzione fisica, materiali, alimentazione… vanno forte subito. Anche per questo mi sento di dire che il doping nel ciclismo non c’è più. Ci sono stato dentro al ciclismo e so quanto contino certe cose e il lavoro nel suo insieme. Le preparazioni sono quelle, ciò che è cambiato tanto davvero è l’alimentazione: di differenza ne fa tanta.
Un’ultima domanda Eros, Rebellin. Ti senti di dargli un saluto?
Ero in macchina quando mi è arrivato un messaggio: “Morto Rebellin”. Pensavo fosse una fake news. Così chiamo Giada e le dico di verificare. Lei mi risponde che è tutto vero. Che dire: in 17 anni non l’ho mai visto avere una discussione in gruppo. Una volta eravamo a Montecarlo e ci fermammo a parlare non ricordo con chi. Intervenne Davide e disse: «Questo è un bravo ragazzo, nei Giri può fare bene». Io rimasi colpito. “Ma come, io? E allora tu?”, pensavo tra me e me. Rebellin era l’emblema della serietà, dell’abnegazione e della gentilezza. Mi spiace che non si sia potuto godere la vita oltre la bici.
Eros Capecchi usa i social il minimo indispensabile. Per questo pochi si sono accorti dell’impegno che sta riversando nei settori giovanili della sua regione, praticamente dal momento in cui ha annunciato il ritiro. Questi sono giorni caldi per gli juniores italiani. Ieri la corsa di Vertova, oggi il Trofeo Paganessi. E poi il Giro della Lunigiana a partire da giovedì. Di conseguenza anche Capecchi, che guiderà la formazione regionale, viaggia da settimane col gas aperto.
Tenere insieme tutti i pezzi del ciclismo regionale, sia pure in una realtà così piccola, non si sta rivelando una passeggiata. A ciò si aggiunga il fatto che già prima di ritirarsi, Eros è entrato a tempo pieno nel vivaio di famiglia. Eppure le cose si stanno muovendo. E questo vale un approfondimento. Anche perché fra le brave persone conosciute in anni e anni di ciclismo, Capecchi occupa di diritto un posto sul podio (in apertura è con la compagna Giada Borgato e il cane Stiby).
Capecchi è stato pro’ dal 2005 al 2021. Al Giro del 2011, vince a Tirano, battendo PinottiDi Eros si cominciò a parlare nel 2004, quando a Lari vinse il tricolore juniores davanti a Mancuso e Modolo
Quando è nato il progetto di nominarti tecnico regionale?
Diedi l’annuncio che smettevo e dopo un paio di giorni mi contattò Enzo Amantini, un giudice di gara delle nostre parti, facendomi la proposta. Ho accettato dopo 30 secondi, chiedendo però di lavorare in modo più completo.
Cioè?
Ho sempre cercato di fare le cose al massimo o comunque in modo molto serio. Il ruolo, per com’era, era abbastanza leggero. Io invece sto cercando di trasmettere quello che ho appreso in 17 stagioni di professionismo e negli anni precedenti. Quantomeno propongo le mie idee con la massima umiltà e noto che tutti vogliono fare bene. Ho trovato disponibilità nel presidente regionale Alunni e nei direttori sportivi di quasi tutte le società.
Livigno, foto di gruppo sulla veranda dell’Alpen VillageDurante i giorni del ritiro in altura, anche esercizi a secco prima di partire in biciLivigno, foto di gruppo sulla veranda dell’Alpen VillageDurante i giorni del ritiro in altura, anche esercizi a secco prima di partire in bici
Che cosa cerchi di trasmettere?
Seguo le corse. Ho fatto un ritiro a Livigno proprio per il Lunigiana. Cerco di consigliarli sull’alimentazione e ho visto che si è creato un bel clima.
Come una vera squadra…
E’ stato utile. Ho chiamato l’Alpen Village, che mi ha sempre trattato bene sin da quando correvo. Poi abbiamo corso in preparazione al Trofeo Emozione e a Loria, facendo anche qualche piazzamento. E adesso Vertova e Trofeo Paganessi. Corse importanti, di cui il cittì Salvoldi tiene conto. Invece stasera, anziché tornare a casa, ci spostiamo direttamente in Versilia con corridori e massaggiatore, per vedere le tappe del Lunigiana.
La collaborazione delle società è mediamente buona, con qualche inevitabile ostacoloLa collaborazione delle società è mediamente buona, con qualche inevitabile ostacolo
Che effetto fa mettere mano sugli juniores?
Si fa fatica a capire l’indirizzo giusto. Ho fatto il corso da diesse e ho sentito varie correnti di pensiero. In Emilia Romagna dicono di far crescere i ragazzi senza pressione. In Toscana non sono allineati e spingono di più. Ne ho parlato in giro. Per il lato romantico del nostro ciclismo, va bene l’approccio morbido, ma allora non ha nemmeno senso parlare di power meter.
Tu cosa pensi?
Il ciclismo non è più quello di 20 anni fa, corre veloce. Si comincia a capire che non ci saranno carriere lunghe come ad esempio la mia, ma bisogna adeguarsi. Alla luce di questo si può leggere il fatto che qui in Umbria vengano fuori meno corridori. Non è che non nascono, solo va sviluppata una diversa attitudine verso lo sport. Gli juniores sono una categoria importante, perché da un lato ci sono poche squadre U23 e dall’altro ormai sono la categoria di accesso al professionismo.
Il podio finale dei tricolori di Cherasco, con Belletta davanti all’umbro Burani e Milesi (foto Ossola)Il podio finale dei tricolori di Cherasco, con Belletta davanti all’umbro Burani (foto Ossola)
Quindi il movimento umbro fa ben sperare?
Abbiamo un bel numero di ragazzi, in rapporto alla qualità. E ancora meglio va fra esordienti e allievi. Bisogna solo allargare la ricerca. Di recente la Forno Pioppi, la squadra che a suo tempo aprì le porte a Bernal, ha preso un ragazzo argentino con la fame addosso. Spero che avere a che fare con lui sia di stimolo per gli altri. Io mi sono formato nel ciclismo toscano, dove la mentalità è diversa. Qui invece si cresce più tranquilli, meno esasperati.
Quindi basterebbe poco per crescere di livello?
Abbiamo fatto dei ritiri e i ragazzi hanno visto subito i miglioramenti, senza aver fatto chissà cosa. Già basterebbe curare bene l’alimentazione per fare passi da gigante. Si parla tanto dell’incremento delle prestazioni fra i pro’, io credo che alla base di tutto ci siano gli studi sul cibo e il ricorso ai nutrizionisti. Poi ci sono i materiali e tutto il resto. E qui abbiamo tutto…
Tutto cosa?
I ragazzi hanno intorno persone perbene che li aiutano. Non mancano strade né strutture. Ci sono tecnici preparati. Uno come Massimiliano Gentili sa capirti al volo. Manca solo il fatto di crederci. Ai campionati italiani siamo arrivati secondi perché Belletta ci è scappato, sennò si poteva vincere con Burani che è arrivato secondo.
Capecchi è diventato tecnico regionale dell’Umbria pochi giorni dopo il ritiro. Qui con Burani dopo i campionati italianiCapecchi è tecnico regionale dell’Umbria. Qui con Burani dopo i campionati italiani
Che cosa ti aspetti dal Lunigiana?
Ci sono stranieri che hanno già fatto 3-4 corse a tappe. Fra i limiti che abbiamo in Italia, questo è quello che toglierei per primo, perché le corse a tappe fanno crescere. Per questo stiamo cercando di organizzare un Giro dell’Umbria Juniores per il prossimo anno. Mentre non sono a favore dell’apertura ai rapporti più lunghi. Ci sono dei ragazzini che farebbero fatica a tirare il 52×11 figurarsi il 53 o il 54. All’estero ne hanno sofferto di meno perché ci sono anche meno corridori e corrono tutti insieme.
Come si inserisce tutto questo nella tua giornata tipo?
Mi sveglio alle 5,30 e alle 6 sono in vivaio. Lavoro per sei ore e quando serve vado alle corse, di solito la domenica. I miei sono elastici, mi permettono di avere il tempo che serve. Coi ragazzi sto bene, la bici non mi manca. Da quando ho smesso l’avrò presa a dire tanto per sei volte…
Eros Capecchi racconta la ripresa dopo il lockdown. La vita nel vivaio. Le ore sui rulli. La fatica sull'Etna. La bilancia amica. E la voglia di ripartire
Sembrava lontanissimo ma alla fine questo momento è arrivato: Eros Capecchi, 35 anni, appende la bici al chiodo e lo fa dopo 17 anni di elevato professionismo. Diciassette stagioni in cui il corridore della Bahrain-Victorious ha ottenuto grandi vittorie, specie con i suoi capitani, qualche sconfitta, si è sciroppato lunghe sgroppate sulle montagne, il caldo, il freddo, si è buttato in tante fughe…
Eros passò professionista nel 2006 alla Liquigas, ma fece già lo stagista l’anno prima, a soli 19 anni. Da lì andò alla Scott, poi Fuji-Servetto di Gianetti e Maxtin (che già aveva l’occhio lungo per quel che riguarda i giovani), quindi di nuovo alla Liquigas. Poi Movistar, Astana, Quick-Step, Bahrain: sempre squadre di primo ordine.
Eros Capecchi, stagista alla Liquigas nel finale del 2005 a soli 19 anni
L’umbro sognava di vincere il Tour quando è passato pro’
Capecchi sul Ghisallo, per tre stagioni (2013-2015) ha corso nella Movistar
Eros Capecchi, stagista alla Liquigas nel finale del 2005 a soli 19 anni
L’umbro sognava di vincere il Tour quando è passato pro’
Capecchi sul Ghisallo, per tre stagioni (2013-2015) ha corso nella Movistar
Insomma Eros, è tutto vero?
Sì, è tutto vero, era il momento giusto. Un po’ di anni li abbiamo fatti, no! È giusto lasciare spazio anche ai più giovani.
Ed è stato un momento che è arrivato in modo improvviso?
No, ci sono dei periodi in cui ti sembra che puoi proseguire normalmente, ma poi ti accorgi dai dettagli che è arrivato il momento di smettere. Ad inizio stagione mai avrei detto che avrei smesso…Poi però succede che gareggi un po’ meno, fai pause più lunghe… e qualcosa cambia. Quando ho annunciato il mio ritiro qualche giorno fa era un mese che non toccavo la bici e non avevo voglia di riprenderla.
Con la Bahrain poi non avevi rinnovato…
No, con loro no. Però una squadra l’avrei trovata. E in realtà c’era. Ne ho anche parlato con il mio procuratore. Gli ho detto di cercarla, ma senza tutta questa convinzione. Non me la sentivo di prendere un impegno sapendo che non avrei magari svolto il mio mestiere al 100%. Ci sarebbe stato il rischio di prendere in giro l’eventuale nuovo team e soprattutto me stesso.
Tu sei passato giovanissimo, non hai praticamente fatto i dilettanti, in un’era in cui tutto ciò non accadeva. Adesso invece sembra essere la normalità o quasi…
Oggi è molto diverso. In quell’epoca siamo stati io e Pozzato a non aver fatto i dilettanti. Solo che Pippo andò nella Mapei Giovani, che di fatto era una sorta di continental dell’epoca, mentre io iniziai direttamente con il WorldTour (all’epoca ProTour, ndr). E questa cosa fece scalpore. Oggi è più normale, magari non ancora tantissimo in Italia, ma all’estero succede di più.
Giro 2011: a San Pellegrino Terme vince Capecchi. La perla della sua lunga carrieraGiro 2011: a San Pellegrino Terme vince Capecchi. La perla della sua lunga carriera
Vero, si tende a buttare i ragazzi nella mischia. Quali difficoltà incontrasti?
Una volta c’era sempre un qualcosa da scoprire, da imparare nel corso degli anni. E la dovevi imparare da solo. Avevi i tuoi tempi: capivi come dovevi allenarti, come dovevi mangiare, come correre, l’osteopata lo vedevi una volta all’anno… Adesso invece tutti i team hanno: nutrizionista, preparatore, osteopata, psicologo… chi dimostra, dimostra subito. Non hai tempo, non fai la gavetta che secondo me non era sbagliata. Era una necessità. E inevitabilmente qualcosa nel tempo ti viene a mancare. Oggi sono molto più preparati sin dalle categorie minori. Lavorano con il potenziometro, sanno mangiare e tutto per loro è più facile al momento del passaggio.
Cosa gli viene a mancare?
Tante piccole cose. Ogni anno inserivi qualcosa di nuovo. Io alla mia prima stagione da pro’ ho fatto 40 corse e giusto un paio di corse a tappe di tre giorni. La stagione successiva ho fatto la prima classica. Quella dopo ancora la Parigi-Nizza. Poi un grande Giro. Già solo finirle certe gare era segno di crescita. Imparavi dagli errori che facevi. Oggi sbagliano meno, ma perché è il ciclismo che va più veloce. Se fai i primi due-tre anni male non trovi più squadra neanche se hai 24 anni. Io ai ragazzi in questi ultimi periodi davo sempre un consiglio: non fidatevi di chi vi dice che siete giovani. Se avete la possibilità, battete il ferro quando è caldo.
E tu col senno del poi passeresti di nuovo così giovane?
Io non ho rimpianti della mia carriera. La mia introduzione al mondo del professionismo fu graduale, adesso l’approccio è diverso. Faccio un esempio. Al Giro del Lussemburgo 15 anni fa c’erano 10 forse 15 corridori che andavano forte. Adesso ce ne sono 160. La gradualità che ho avuto io non esiste più… a meno che non vai a correre a Taiwan o giù di lì. Perché già in Australia, che addirittura è WorldTour, vanno fortissimo e in Argentina non è da meno. In generale il livello del gruppo è più alto. Ora passa chi va davvero forte. E quando passano sono preparati bene. Prima c’era sempre qualcosa che potevi non sapere. Magari ti allenavi bene, ma mangiavi male. Poi miglioravi anche quell’aspetto, ma intanto era passato un anno. Adesso sanno tutto.
Diciassette anni da professionista, cosa ti resta addosso di questo lungo viaggio?
Tutto. Giusto qualche giorno fa mi hanno chiesto quale fosse il ricordo più bello della mia carriera: sarebbe riduttivo dire la tappa del Giro d’Italia, che comunque è la più importante. Ma io davvero dico tutto, anche le sconfitte… che sono state più delle vittorie. Ho imparato due lingue (spagnolo e inglese, ndr), ho vissuto etnie e razze differenti. C’è gente che paga per girare il mondo, a me hanno pagato.
Una grossa fetta della maglia ciclamino di Viviani al Giro 2018 fu di Capecchi
All’Astana un solo anno, il 2016, ma quante risate in quel team…
Capecchi tira per la Bahrain: uomo squadra e riferimento in corsa, specie per i più giovani
Una grossa fetta della maglia ciclamino di Viviani al Giro 2018 fu di Capecchi
All’Astana un solo anno, il 2016, ma quante risate in quel team…
Capecchi tira per la Bahrain: uomo squadra e riferimento in corsa, specie per i più giovani
In tanti anni sei stato vicino a tanti campioni, chi ti ha colpito di più?
Mi verrebbe da dire Vincenzo Nibali. Spesso si dà poco peso a quello che ha fatto e che ha vinto. Io sono cresciuto nel mito di Pantani che vinse un Giro e un Tour, ma Vincenzo ha due Giri, un Tour, una Vuelta, senza contare classiche e tante altre corse importanti. Però la classe di Valverde… La classe di quel corridore lì… E’ uno dei più vincenti di sempre e in Spagna uno così non lo ritroveranno presto. Lo vedi in bici: è stilisticamente perfetto. Vinceva a crono, in salita, in volata. Tu andavi alla Ruta del Sol, corsa piccola, lavoravi tutto il giorno ma eri sicuro di vincere. Un po’ come il Sagan degli anni migliori. Certo, lui adesso è un po’ calato ma ha fatto dieci anni fuori dal mondo. Ecco, Peter è uno di quelli che mi ha impressionato.
E com’era Valverde fuori dalle corse?
Un compagnone. Simpatico, sempre con la battuta pronta. Una brava persona. Quando sono arrivato alla Movistar è stato il primo a venirmi a salutare. E poi è un vincente. E’ spettacolare nel modo di correre. Dove lo trovi uno che vince gli arrivi con 100 corridori e i grandi Giri?
Quando sei passato cosa sognavi?
Beh, quando parti punti sempre in alto. Io sognavo due corse: il Tour de France e la Sanremo. Non le ho vinte ma le ho fatte. Qualche giorno fa parlavo con una persona e gli dicevo che spesso si dà poco valore ai corridori professionisti. Quanti siamo nel mondo, 500? Pensiamo ai calciatori: sono 25 per squadra, per categoria e per ogni nazione. Molti di più quindi rispetto al ciclismo. Pensate cosa significa essere un pro’ ed esserlo per tanti anni. Mi dicono: tu non hai reso come si sperava. Allora gli riporto l’esempio di Guti, il biondino che giocava nel Real Madrid nel quale mi rivedo. A lui dicevano sempre: con la classe che hai dovresti rendere di più. E lui rispondeva: ho fatto per dieci anni il centrocampista titolare nel Real, ho giocato con Ronaldo, con Zidane… Arrivavano altri giocatori ma io giocavo sempre. Pensate se avessi reso tanto! Per quel che mi riguarda, a parte quest’anno e un’altra volta in cui però fui io a chiamarmi fuori, ho sempre fatto almeno un grande Giro a stagione.
Ma noi non volevamo arrivare qua Eros, massima stima per i corridori come te, gregari anche vincenti. Se per tanti anni militi in una squadra WorldTour un motivo deve esserci…
Non è facile. O ti leghi ad un campione e sei il suo gregario, o è molto difficile. E’ difficile anche quando le cose vanno bene. Ricordo l’anno in cui Lefeveremi fece firmare il 21 dicembre, nonostante in quella stagione fossi andato bene e avessi dato una grossa mano (in modo palese) in molte vittorie.
In questi anni Capecchi ha messo su un vivaio. Si occuperà di questa attività che è anche una passione
Ciclismo affare di famiglia: Eros e la sua compagna Giada Borgato, ex professionista anche lei e oggi commentatrice Rai
In questi anni Capecchi ha messo su un vivaio. Si occuperà di questa attività che è anche una passione
Ciclismo affare di famiglia: Eros e la sua compagna Giada Borgato, ex professionista anche lei e oggi commentatrice Rai
Hai girato il mondo, o meglio le migliori squadre europee, però alla Liquigas eravate una forza…
Alla Liquigas siamo stati bene. Davvero un bel gruppo, personale fantastico. Ma anche alla Movistar e alla Quick Step non sono stato male. E lo stesso vale per l’Astana dove il gruppo italiano è molto grande. C’era anche Scarponi e si facevano tante risate. Poi io riesco a ridere anche col mio nemico, figuriamoci. Però se penso alla Liquigas… il mio cuore è verde, bianco, blu.
E adesso cosa farà Eros Capecchi?
Beh, ho la mia attività. Ho il vivaio che ho messo su con mia sorella e la mia famiglia. Quella delle piante era una mia passione. Mi porta via parecchio tempo, si estende su 45 ettari di terreno. Molte piante le produciamo noi, dal seme o dalle talee. E poi c’è in ballo anche un’altra cosa, ma per quella vedremo.
In bocca al lupo caro Eros, consentiteci questo finale. Consentiteci un saluto per un ragazzo che in tanti anni di professionismo si è sempre mostrato disponibile ed educato come pochissimi altri. E’ stato un corridore vero. Perché non lo è solo chi vince, ma chi sa fare e conosce il suo mestiere. Senza contare che in più di qualche occasione ci ha fatto divertire con le sue azioni.
Buitrago si trova in Colombia. Il re delle Tre Cime ha corso il Giro de Rigo. E per il 2024 sogna di andare al Tour. Senza Pogacar, la maglia bianca fa gola
Due settimane all'inizio del Tour. Dai ritiro di Andorra, Santiago Buitrago sta per coronare il suo sogno di bambino. La condizione è buona e può migliorare
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Che fine ha fatto Capecchi? La stagione va forte. Campioni e vittorie si rincorrono, aerei decollano e aerei atterrano e tu gli corri appresso. Programmi si scrivono e programmi cambiano. Finché un giorno ti fermi, fai doverosamente l’appello e ti rendi conto che dell’umbro si sono perse le tracce da un pezzo. Rare apparizioni sporadiche quest’anno, un saluto al campionato italiano, ma né Giro e tantomeno Tour e a quanto risulta nemmeno la Vuelta.
A Livigno con Giada
Eros in questi giorni è a Livigno assieme alla sua compagna Giadache, gli diciamo scherzando, ormai è diventata più famosa di lui.
«E’ brava – dice lui, facendosi serio – alla fine è una soddisfazione anche per me. La vedo felice e siamo felici tutti. Le piace e riesce bene. Lo sapete, non sono un lecchino o un dispensatore gratis di complimenti, quindi se lo dico è perché lo penso e non perché è lei. E poi a sentire la gente, la pensano tutti come me. La apprezzano tutti».
La stagione era cominciata in Spagna senza avvisaglie di problemi e con programmi ben chiari: il Giro su tuttoLa stagione era cominciata in Spagna senza avvisaglie di problemi e con programmi ben chiari: il Giro su tutto
Un bel mistero
La storia, per quello che si è capito, è che con l’avvento del nuovo corso in squadra, le azioni di Capecchi hanno cominciato a calare. Della stima reciproca con Rod Ellingworth ci aveva raccontato lui per primo all’inizio del 2020, ma adesso la musica è cambiata. E con la musica sono cambiati anche i programmi.
«Adesso perciò farò il Polonia – dice – e poi forse il Giro di Germania. Ho fatto l’italiano e poi di fatto sono stato fermo due mesi. Non so neanche io perché non ho partecipato a un grande Giro, ma di certo non ci sono stati intoppi fisici. Sto anche bene. Mi chiedo anche io che cosa sia successo. Quando a Miholjevic dissero che avrebbe preso lui il posto di Rod, chiamò noi più grandi e ci chiese di stargli accanto con la nostra esperienza. Ma da allora è cambiato tutto. E nonostante io abbia i migliori report da parte degli allenatori e dei direttori sportivi, vedo cambiare i programmi senza troppe spiegazioni».
La Liegi fuori programma, al posto del Teide per il GiroLa Liegi fuori programma, al posto del Teide per il Giro
Il Giro con Landa
Miholjevic e Capecchi si sono incrociati brevemente alla Liquigas, ma non si ha memoria di particolari amicizie o grandi tensioni. Sta di fatto che al momento la situazione di Capecchi è abbastanza complessa. Il cambiamento più insolito ad aprile. Il programma per lui prevedeva il Gp Indurain, il Giro dei Paesi Baschi e poi l’altura con Landa preparando il Giro d’Italia.
«Finché un giorno mi chiama Mikel – racconta – e mi chiede perché non vada più in altura. Io gli dico che si sbaglia, ma lui conferma che non ci sono nel gruppo di quelli che sarebbero andati sul Teide. Quando l’ho chiesto ad Artuso, mi ha detto che era stata una sorpresa anche per lui e che i programmi erano stati cambiati all’improvviso».
Ha corso il Giro di Svizzera dopo il ritiro al Giro del DelfinatoHa corso il Giro di Svizzera dopo il ritiro al Giro del Delfinato
Cambio di programma
Eros più di tanto non racconta ed è comprensibile che non voglia seccature, ma la storia in realtà ci era già giunta alle orecchie. Succede infatti che a tre tappe dalla fine dei Baschi, lo chiamano per mandarlo direttamente alla Freccia del Brabante. Lui prova a chiedere se non ci sia qualcun altro, ma il programma è irremovibile e una volta lassù, gli dicono che farà l’Amstel per sostituire un compagno infortunato, poi la Freccia e la Liegi. Un modo come un altro per fargli capire che non correrà il Giro. Però gli dicono che andrà al Delfinato, ma dalla corsa francese deve ritirarsi per un attacco di allergia nella prima tappa. Dalla Francia finisce così a fare il Giro di Svizzera e dalla Svizzera corre l’italiano di Imola, aiutando Colbrelli a vincerlo.
«Così ho chiesto di poter correre in Sardegna – dice – di fare il maggior numero di corse possibili, ma la Sardegna non l’ho fatta e se non cambia nulla, andrò invece al Polonia, che di riflesso significa niente Vuelta. Ho 35 anni, mi serve correre, perché il livello è esagerato e se non corri, non riesci a fare bene. Sia alla Quick Step che qui ero venuto per dare una mano ai giovani, ma certo se non faccio i grandi Giri e vado solo in corse in cui c’è da limare, ho anche poco da insegnare».
Ha corso il campionato italiano, poi si è fermato nuovamente. Qui con Milan e CrusoHa corso il campionato italiano, poi si è fermato nuovamente. Qui con Milan e Cruso
Ci vediamo al Polonia
E così la stagione va avanti con la sensazione che la sua permanenza nella Bahrain Victorious sia ormai agli sgoccioli ed è un peccato. Pare che Alberati, il suo procuratore, non riesca a intavolare un discorso con Miholjevic.
«Perciò – conclude – sono venuto a Livigno il 13 luglio (in apertura è con Viviani, ndr) e cercherò di prolungare il soggiorno fino al 28. Poi correrò il Polonia e il Giro di Germania, arrivandoci al meglio e facendo il meglio di cui sono capace. E poi speriamo di fare un bel calendario di qui a fine stagione. Sono anche sereno però, in pace con me stesso, perché vado d’accordo con tutti, nessuno può dire niente del mio impegno e sono soddisfatto della mia carriera. Perciò, se non cambia niente, ci vedremo al Polonia».
Dopo il debutto di Perugia, torna in gara oggi il casco Wingdream di Rudy Project. E' il caso da crono di Tiberi. Grande aerodinamica e forme futuriste