Pianeta giovani. Nell’ultimo editoriale abbiamo parlato del ciclismo che cambia e dei nuovi metodi anche tra i giovani. Oggi vi proponiamo un esempio concreto, che passa soprattutto attraverso le corse a tappe. E lo facciamo con Eros Capecchi, responsabile dei ragazzi del Comitato Regionale dell’Umbria. Insomma il cittì dell’Umbria.
Un esempio concreto che ci riporta a questa estate quando l’ex pro’ della Bahrain-Victorious ha preparato con gli juniores il campionato italiano e il Giro della Lunigiana. Una storia che in parte vi avevamo accennato, ma che Capecchi ci ha raccontato ancora meglio, soprattutto per quel che riguarda le corse a tappe e ciò che ne consegue.
Test tricolore
Questa estate Capecchi ha fatto fare ai ragazzi un piccolo ritiro prima del campionato italiano. E glielo ha fatto fare con metodologie “nuove”, nuove almeno per quei giovani atleti. I ragazzi erano stimolati e gasati. Tanto che dopo questo miniraduno non volevano più tornare a casa. Si sono divertiti. «E mi sono divertito anche io. C’era bisogno di usare sistemi nuovi», ha detto Capecchi.
Nuovi sistemi dunque, ecco di cosa parla Eros. «Di quelli usati dai pro’… riadattati agli juniores. Il presidente regionale mi ha chiesto cosa volessi fare. Io gli ho risposto che avrei avuto piacere di vederli, di conoscerli prima del tricolore, anche al di fuori delle corse. Volevo starci a contatto. Anche perché poi avevo chiamato quasi tutti ragazzi di primo anno e me li sarei ritrovati in futuro.
«Il mio intento era di vedere cosa facevano, come si allenavano, come si alimentavano. Così il presidente regionale mi ha dato una carta di credito e la fiducia nel mio operato. Ricordo i 200 euro per la spesa per la prima colazione… ma abbiamo allestito un menu idoneo e di qualità».
In quella manciata di giorni, Capecchi ha dato ai ragazzi un vero boost di novità. Sveglia tutti insieme, subito una camminata di una mezz’oretta a digiuno, quindi colazione, esercizi… «Ho contribuito ad apparecchiare la tavola con il cuoco, con il quale avevo parlato, per avere delle omelette, del pane tostato… e subito ho capito che si alimentavano male.
«E oggi, anche in base alla mia esperienza da pro’ posso dire che l’alimentazione è la cosa che conta di più in questo ciclismo. E infatti mi piacerebbe fare degli incontri con la nutrizionista Erica Lombardi per esempio, anche per le categorie più piccole. Per dargli un’infarinata sin da subito».
In sella da pro’
Capecchi ha impostato il suo mini-ritiro facendo quella che in gergo viene chiamata una tripletta mascherata, vale a dire due giorni di carico e uno di “scarico”. «Volevo vedere come rispondevano anche in vista delle corse a tappe».
La storia vuole che con qualche aggiustamento e con metodi di lavoro provenienti dal WorldTour, ma come detto adattati alla categoria, le cose abbiano subito preso una piega diversa. E infatti un buon atleta come Edoardo Burani è giunto secondo agli italiani. E parliamo di un corridore che sin lì non aveva colto grossi risultati. Mentre nel resto della stagione è stato uno dei più costanti.
«Giancarlo Montedori, il suo direttore sportivo – spiega Capecchi – mi ha detto che è un ragazzo che tiene molto alla scuola e sin lì non aveva fatto troppo. Così appena finita la scuola l’ho portato in ritiro. Ma sempre il suo diesse, mi ha poi chiesto se poteva portarlo via un giorno prima in quanto voleva portare i suoi ragazzi ad una corsa a tappe, il Giro della Valdera.
«Io gli ho detto subito di sì. Sai che gamba avrebbe avuto dopo il ritiro e tre giorni di corsa consecutivi? E infatti è andata bene».
Metodi da pro’
E qui si entra nel nocciolo della questione. Le corse a tappe servono per la crescita e al tempo stesso per la preparazione? Il racconto di Capecchi continua…
«Dopo questo risultato all’italiano, Massimo Alunni, il presidente del comitato mi dice: “Eros e per il Lunigiana cosa si fa?”. Dopo l’italiano era gasato anche lui (segno che serve a tutti un certo modo di lavorare, ndr)! Io gli ho risposto che bisognava fare corse di livello internazionale o comunque più alto perché poi è con quello standard che ci si va a misurare. Così ho programmato un ritiro a Livigno di 11 giorni e una serie di corse importanti a seguire».
«Ho sentito un massaggiatore e ho chiesto una mano alle squadre. Il resto lo ha pagato il Comitato regionale. Undici giorni in altura, con massaggiatore al seguito… come i grandi.
«Finito il ritiro ho cercato un hotel in Versilia, tramite un amico. Siamo stati lì 3-4 giorni, nei quali abbiamo visionato le tappe del Lunigiana. E anche lì avevamo il massaggiatore. Insomma ho cercato di fare una cosa fatta bene, da pro’… che infondesse nei ragazzi un certo metodo di lavoro. Ci è mancata la vittoria, ma è questione di tempo».
Corse a tappe: sì
«Se servono dunque le corse a tappe per gli juniores? Certo che servono – spiega Capecchi – Premessa: io sarei per il lato romantico secondo cui i ragazzi andrebbero lasciati tranquilli, senza pressioni e quant’altro. Poi però c’è da fare i conti con il momento storico che viviamo, con la realtà. E la realtà è che lo sport non aspetta più i ragazzi. E quindi se mi chiedete se servono le corse a tappe rispondo come ho detto a Salvoldi: «Dino, servono eccome. Ci sono juniores che hanno fatto esperienze alla Ineos-Grenadiers prima del Lunigiana. Hanno 4-5 corse a tappe nelle gambe. Io ne avevo solo uno che aveva preso parte al Valdera, di appena tre giorni».
«La corsa a tappe ti fa fare uno step in più… Contano come per i pro’, solo che a 17 anni sono ancora più ricettivi».
«Io credo che la nostra nazionale sia ancora un riferimento con le nostre conoscenze, solo che viviamo ancora di questa cosa che noi siamo italiani e abbiamo la nostra tradizione inamovibile. E’ un bene, ma al tempo stesso un male. Sento dire: “Dobbiamo aspettare il talento anche noi. Gli altri hanno i campioni, noi no”. Io non credo sia così. I corridori li abbiamo anche in Italia. Ci sono allievi anche da noi che nei test sviluppano 6 watt/chilo, quindi il talento c’è. Sta a noi tirarglielo fuori facendoli lavorare in un certo modo».
«Non è che i nostri ragazzi non crescono bene, crescono lentamente. E oggi uno juniores, che piaccia o no, si deve allenare in un certo modo visto che poi passa pro’ direttamente o al massimo dopo un anno tra gli under 23. E se non ha certe basi il rischio è che si demoralizzi».