Le scelte per un mondo che cambia. Questa frase mutuata dal mondo scout continua a risuonarmi nella testa davanti ai cambiamenti che stanno investendo il ciclismo, in nome dei quali forse è il caso di rivedere qualche idea.
Le nostre radici
Abbiamo salutato Gimondi, Baldini e Adorni, perdendo riferimenti preziosi della nostra storia. Ci hanno preso per mano migliaia di volte, tramandando la magia di uno sport che prima di loro era stato raccontato da Coppi e Bartali, in una sorta di staffetta fra leggende. Sulla loro esperienza si sono formate le generazioni successive, da cui sono nati i direttori sportivi che portano avanti le squadre del ciclismo giovanile.
Per anni la loro bussola è stata l’esperienza, codificata con gli anni e il passa parola. Mangiare poco per essere magri, fare tante ore e tutto il resto del campionario. E mentre da noi si andava avanti così, mietendo per anni successi, all’estero si formavano tecnici che, non avendo alle spalle tanti campioni, a un certo punto hanno cominciato a chiedersi se quelle esperienze fossero migliorabili con l’apporto della scienza.
Lo scetticismo di chi non capisce
Inizialmente sono stati guardati con lo scetticismo di chi non capisce. Ricordiamo le battute fra corridori verso quelli del Team Sky e il loro modo di mangiare, cui ora si sono tutti adeguati. Infatti a un certo punto è iniziata la ricorsa per riprendere il tempo perso. Purtroppo però, come in tutti gli inseguimenti, si sono spese le forze migliori per agganciare quelli davanti, che nel frattempo hanno avuto il tempo per mangiare, recuperare e rilanciare.
Poco abbiamo ascoltato le parole di Alfredo Martini: «I corridori giovani – diceva – vogliono sapere quello che succederà, non quello che succedeva ai nostri tempi!».
Il mestiere del corridore
Il lavoro del corridore è cambiato radicalmente e attaccarsi agli schemi del passato per riportarlo indietro è una battaglia di retroguardia, animata da una logica comprensibile, ma improponibile.
«Quando ci sono dei cambiamenti generazionali – ha detto ieri Maurizio Mazzoleni – si fa sempre il confronto con la propria generazione. Però in realtà ogni generazione ha le sue prerogative».
Eliminare le radio e i misuratori di potenza in gara (fra i professionisti) sono le contromisure richieste con maggiore insistenza: non nego di averlo fatto anche io, soltanto perché per anni ci siamo trovati davanti all’appiattimento di atleti, nati nel vecchio mondo e incapaci di emanciparsi di fronte alle novità tecnologiche.
Che cosa mi ha fatto cambiare idea? L’osservazione del mondo che cambia. L’intervista a Prudhomme pubblicata ieri ha confermato che le cose stanno cambiando, quantomeno nel professionismo.
«La corsa la fanno i corridori – ha detto il capo del Tour ad Alberto Dolfin – per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani».
La passione resta
Torniamo all’intervista con Mazzoleni. Il lavoro dei corridori è cambiato, ma continua a basarsi sulla stessa passione che animò Gimondi, Baldini e Adorni. La differenza è che oltre a dover andare in bicicletta, al corridore sono richieste concentrazione e competenza. Per contro, essendo nato e cresciuto nel contesto moderno, userà le tecnologie per dare il meglio e non per sentirsene limitato. Vi sembra che Evenepoel, Pogacar, Van der Poel, Ayuso, Van Aert e Vingegaard abbiano un modo di correre limitato dagli strumenti di cui dispongono?
Se questo succede ancora in casa nostra, forse è perché chi guida i ragazzi – soprattutto allievi e juniores – viene da quel passato e non è riuscito a cambiare atteggiamento.
«Si è tutto modernizzato – ha detto qualche tempo da Giovanni Visconti – ma il vero cambiamento si avrà quando lo stesso ricambio ci sarà fra i tecnici delle categorie giovanili, dove ci sono ancora anziani che vanno ringraziati per il loro impegno, ma che non riescono a stare al passo con i tempi».
Alcuni hanno capito la necessità di aggiornarsi e hanno aperto la porta a contributi più qualificati, come si raccontava parlando di Adriano Malori e della sua collaborazione con Primo Borghi, suo mentore di un tempo, ma il problema resta, come confermava Diego Bragato durante il ritiro della nazionale a Noto.
«I direttori sportivi che escono dalla Scuola Tecnici – ha detto – sono ex atleti con una laurea in Scienze Motorie. Quando escono dai corsi sono preparatissimi, poi arrivano nelle società e trovano vecchi dirigenti che non escono dai vecchi schemi».
Curiosità e studio
Saper fare le scelte per un mondo che cambia, ad esempio, significa essere capaci di guardare con curiosità e senza paraocchi all’arrivo di corridori dal mondo dalla Zwift Academy. Bisognerebbe essere grati a ogni sistema che permetta di valorizzare il talento: tanto poi l’ultima parola spetterà sempre alla strada!
Se si chiude la porta e ci si trincera dietro commenti scettici e sarcastici, come si fece a suo tempo con l’alimentazione del Team Sky, si evidenziano semplicemente la propria insicurezza e l’ammissione implicita di non essere all’altezza del nuovo corso. Per due atleti che escono da un’accademia virtuale, quanti ne abbiamo fatti smettere nel nome delle vecchie regole e dei passaggi poco seguiti?
Non facciamo come a Roma, in cui non è possibile costruire strade nuove per difendere le vestigia di coccio e pietra dell’Impero. Guardiamo avanti, facciamo stare bene chi c’è. Vigiliamo con severità che non venga tradito lo spirito del ciclismo. E ricordiamo chi c’era, senza per questo rinunciare a crescere.