Hamilton cresce, lavora e tiene Hindley nel mirino

16.10.2022
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Quanti duelli con Jay Hindley. Sin da ragazzini, il re del Giro d’Italia 2022 e Lucas Hamilton si sono sfidati in sella e vedere l’amico vestirsi di rosa nell’apoteosi di Verona è una bella spinta per il ventiseienne di Ararat, che sogna in futuro di regalare ai tifosi aussie altre soddisfazioni di questa portata. Il tredicesimo posto di quest’anno sulle nostre strade è un buon punto di partenza e chissà che non possa già scalare la classifica nel 2023. 

Lucas si sta preparando e il miglioramento a cronometro è uno dei tasselli fondamentali per proseguire nella crescita, anche perché sembra che il percorso del Giro che verrà svelato nelle prossime ore dovrebbe avere tanti chilometri in cui lottare contro le lancette. Dopo aver effettuato le visite mediche all’Istituto delle Riabilitazioni del Gruppo CIDIMU di Torino, è pronto a mettersi sotto per lasciare il segno nelle corse di tre settimane il prima possibile.

A Campo Imperatore si definì la classifica al Giro U23 del 2017: 1° Sivakov, 2° Hamilton, 3° Hindley
A Campo Imperatore si definì la classifica al Giro U23 del 2017: 1° Sivakov, 2° Hamilton, 3° Hindley
Qual è il bilancio della tua stagione?

E’ stata ricca di alti e bassi, ho fatto un buon Giro d’Italia. Per la squadra è stata una grande annata ed esserne parte è stato grandioso, anche se la Vuelta di Spagna non è andata come speravo.

Che cosa è mancato?

Credo sia stato un problema di mera tempistica, perché arrivando a fine stagione, c’era tanta stanchezza accumulata. Il percorso era durissimo, avevamo grandi ambizioni con Simon, che però ha dovuto abbandonare a causa del Covid, ma ci siamo tolti la soddisfazione della tappa vinta con Kaden (Groves, arrivato a braccia alzata sul traguardo dell’undicesima frazione con arrivo a Cabo de Gata, ndr), che è sempre un ottimo traguardo in una grande corsa a tappe.

Torniamo al Giro, vinto dal tuo “gemello” quando eravate under 23. Che effetto ti ha fatto vedere Jai Hindley sul gradino più alto?

Io e Jai abbiamo corso l’uno contro l’altro sin da quando avevo 12 anni. A essere onesti, è stato un qualcosa di surreale vederlo vincere il Giro d’Italia, per me è stato pazzesco essere presente nelle tre settimane che l’hanno incoronato in rosa

La Vuelta del team doveva essere per Yates, ritirato per Covid. Provvidenziale la vittoria di Groves
La Vuelta del team doveva essere per Yates, ritirato per Covid. Provvidenziale la vittoria di Groves
Hai brindato con lui?

Mi sono congratulato, era il minimo visto che siamo molto amici. E’ stato grandissimo e per me è anche una bella spinta, perché lui negli ultimi tre anni ha dimostrato di essere uno dei migliori corridori per i grandi Giri. Mi auguro di muovermi in quella direzione anch’io. 

Il tuo obiettivo è lasciare il segno in un grande Giro?

A essere onesti, il Giro d’Italia di quest’anno è la corsa migliore che abbia mai fatto. Vorrei continuare questa progressione, mettere insieme tre settimane costanti e riuscire a esplodere in una delle prossime grandi corse che affronterò. Non ho un risultato specifico in mente, ma voglio senza dubbio arrivare il più in alto possibile. 

Che cosa ti piace del Giro?

Per me ha un valore davvero speciale. E’ incredibile ed è stato il primo grande Giro della mia carriera nel 2019 e adesso l’ho già fatto tre volte. Poi ho vissuto per un anno e mezzo in Italia, dalle parti di Varese: è una corsa epica e non è un mistero la passione travolgente del pubblico italiano.

La crono è il suo punto debole: quella di Alicante alla Vuelta è stata per lui durissima, a 5’08” da Evenepoel
La crono è il suo punto debole: quella di Alicante alla Vuelta è stata per lui durissima, a 5’08” da Evenepoel
Su cosa devi migliorare nelle tre settimane?

Sto lavorando molto sulle cronometro e quest’anno si sono già visti i miglioramenti rispetto al 2021. Poi spero di avere un po’ più di fortuna, però già finire sia il Giro sia la Vuelta quest’anno mi ha dimostrato che riesco a tenere duro per tre settimane ed è una buona base di partenza. 

Ci racconti cosa passa nella testa di un corridore l’ultima tappa di un grande Giro?

La maggior parte dei grandi Giri che ho terminato finiva con una cronometro, come ad esempio a Verona. Arrivare all’Arena è stato qualcosa di magico, ma è stato speciale anche alla Vuelta arrivare nel cuore di Madrid e per una volta finire con una tappa in linea. Comunque, non importa come lo finisci, ma già solo tagliare il traguardo dell’ultima tappa ti regala emozioni uniche.

Hai una salita preferita?

Sulla strada per Gallarate c’è una salita, non molto conosciuta. Non so se il nome sia giusto, ma noi la chiamiamo il Betto. Ho migliorato molte volte il mio record su quelle strade, però se devo scegliere una cima epica, dico senza dubbio lo Stelvio. Ci ho fatto tantissimi ritiri ed è sempre un posto speciale. Arrivando dall’Australia, quando ti trovi di fronte una montagna così, resti a bocca aperta, poi si trova in un’area fantastica.

A che punto è il ciclismo nella Land Down Under?

In Australia il ciclismo non è lo sport più popolare perché deve sgomitare con tante discipline. C’è il rugby e poi, personalmente, sono cresciuto giocando a calcio australiano e sono arrivato un po’ più tardi alla bicicletta. Le vittorie dei nostri connazionali, come le ultime di Jai, stanno aiutando a far diffondere sempre di più il nostro sport, anche se non è facile fare breccia tra i giovani perché richiede tantissimi sacrifici e molto tempo lontano dalla propria famiglia e dagli affetti. Il gotha del ciclismo è in Europa, quindi lontano da casa, però difendere i colori di una squadra australiana nel WorldTour rende tutto ciò più speciale.

Negli ultimi anni, tanti specialisti delle corse a tappe stanno vincendo nelle classiche: Nibali, Pogacar, Roglic, Evenepol. Pensi anche tu di riuscire a dire la tua in una classica?

Non ho fatto tante Monumento in carriera sin qui (un Lombardia nel 2020 e una Liegi nel 2021, ndr) e mi piacerebbe farne molte di più. “Rogi” e “Pogi” sono dei fuoriclasse, credo che possano vincere su qualunque terreno

Nelle prossime settimane si scopriranno i percorsi delle diverse corse, ma tu hai già qualche idea per il 2023?

Non lo so ancora. Nei giorni scorsi a Torino abbiamo cominciato a fare le prime valutazioni, vediamo che cosa succederà. Sono arrivati tanti corridori interessanti in squadra, c’è stato un bel cambiamento ed è bello vedere facce nuove, soprattutto dopo questi ultimi due anni resi complicati dal Covid, che ad esempio lo scorso anno mi ha impedito di partecipare a questo camp.

Felice per l’amico Hindley: la sua vittoria in rosa è uno stimolo per lo stesso Hamilton
Felice per l’amico Hindley: la sua vittoria in rosa è uno stimolo per lo stesso Hamilton
In che cosa ti diletti quando non stai pedalando?

Ci sono dei campi di “pitch and patch” vicino a dove vivo, una sorta di golf. Quando torno a casa in Australia poi, ogni tanto gioco ancora a calcio australiano.

Quest’inverno che cosa farai per raggiungere il tuo “gemello” Hindley?

Proverò a farmi trovare pronto per l’inizio della stagione. Dicembre è sempre un mese delicato per trovare gli equilibri per l’anno successivo. 

Lo stacco di fine stagione: ce lo spiega Bartoli

13.10.2022
5 min
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L’autunno porta con sé tanti cambiamenti, l’aria diventa più frizzante, gli alberi cambiano d’abito, passando dal verde vivo al rosso. Le giornate si accorciano inesorabilmente, con la notte che viene ad accoglierci sempre più presto. Per i corridori l’autunno coincide con la fine della stagione agonistica, inizia il periodo di stacco. Ma come si affronta? Cosa è meglio fare?

C’è chi preferisce abbandonare subito la bici per riprenderla all’inizio di novembre. Poi c’è chi si dedica alla stagione del cross, come ad esempio Van der Poel (foto di apertura). Al contrario, c’è anche chi non vuole lasciare in cantina il mezzo troppo presto e godersi ancora qualche giorno di pedalata. “No more racing, still riding” (niente più gare, solo passeggiate, ndr) così scrive in una storia Instagram Mohoric. Per analizzare quello che lo stacco autunnale comporta è meglio però chiedere ad un esperto come Michele Bartoli.

Il consiglio di Bartoli è il riposo assoluto, fondamentale per recuperare le energie fisiche e mentali
Il consiglio di Bartoli è il riposo assoluto, fondamentale per recuperare le energie fisiche e mentali

Obiettivi diversi

Per i corridori iniziano le vacanze, ma non si potrebbe dire altrettanto per tecnici e preparatori. Loro, imperterriti nel lavoro e nella programmazione, iniziano a lavorare già sugli impegni futuri. Quando chiamiamo Bartoli, è in pieno svolgimento una riunione per i suoi ragazzi dell’Academy, Michele ci ripromette di chiamarci al più presto e noi attendiamo.

«Innanzitutto – inizia a raccontare Bartoli – dipende dal programma che un corridore ha. Ci sono atleti che ripartono dall’Australia, quindi a metà gennaio devono già essere in condizione. Questi ragazzi, di conseguenza, anticipano il termine della stagione, il riposo e anche la ripresa degli allenamenti. Anche perché in Australia ci sono gare WorldTour (il Tour DownUnder e la Cadel Evans Great Oceans Road Race, che tornano dopo la pausa Covid, ndr), quindi chi ci va ha voglia di fare bene». 

Con il ritorno delle corse in Australia la preparazione cambierà, soprattutto per gli sprinter: qui Viviani nel 2019 alla corsa di Evans
Si torna in Australia e cambia la preparazione degli sprinter: qui Viviani nel 2019 alla corsa di Evans

Consiglio: riposo assoluto

In gergo il periodo che intercorre tra la fine della stagione e l’inizio della preparazione si chiama “stacco”. Non è un caso, il senso di quei giorni è proprio quello di spegnere il motore e riposare, dimenticare la bici in box e fare altro.

«Ci sono varie metodologie – riprende – io consiglio di fare fra le tre e le quattro settimane di riposo, anzi di ozio assoluto. Se proprio uno non riesce a stare fermo, può fare un po’ di attività ma ad intensità davvero bassa. Io personalmente preferivo fermarmi completamente, anche perché poi la stagione è lunga e piena di gare, si fa fatica a fermarsi quando si è in piena attività.

«Non staccare comporta delle conseguenze negative, che magari non si vedono nell’immediato, ma hanno degli effetti negativi a lungo andare. Si deve riposare più per la mente che per il corpo, se si riparte anche al 99% non va bene. Pensate a far così stagione dopo stagione, quell’uno per cento che perdiamo si accumula fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Poi si sente dire: “E’ andato forte per 4 anni e poi si è spento”. Ma se ogni anno tiri la corda, questa prima o poi si spezza».

Il riposo è fondamentale per presentarsi con la giusta condizione e motivazione agli impegni di inizio stagione
Il riposo è fondamentale per presentarsi con la giusta condizione e motivazione agli impegni di inizio stagione

Metodo a ritroso

Le squadre ora hanno molti atleti tra le loro file, questo porta ad avere altrettanti metodi di lavoro e di allenamento. 

«Rispetto a quando correvo io – spiega Bartoli – non è cambiato il numero di gare, ma la loro distribuzione. Ora si corre tanto fuori dall’Europa, il riposo a casa, per logica conseguenza diventa minore. Per questo lo “stacco” diventa fondamentale, l’autunno è l’unico periodo dove ci si può fermare tutti. Ora le squadre fanno lunghi periodi di preparazione al caldo, negli anni ’90 era raro, io mi spostavo spesso per allenarmi, ma ero uno dei pochi. Un corridore era influenzato anche dalla zona d’Europa o del mondo nella quale viveva. Alcuni atleti spagnoli facevano fatica a fermarsi ad ottobre perché da loro faceva caldo e la voglia di pedalare rimaneva. Sfruttavano più a lungo l’autunno, ma nel tempo si è arrivati a capire che era un errore. Il segreto, dal mio punto di vista, è andare a ritroso dalla prima data di corsa, così riesci a costruire i giusti periodi di lavoro».

Stacco e bilancia

E’ inevitabile che nel periodo di pausa dall’attività agonistica i ciclisti prendano qualche chilo, d’altronde lo “stacco” passa anche dalla tavola, ma bisogna sempre avere un occhio di riguardo…

«Io stesso – conclude Michele – collaboro con dei nutrizionisti, sono dell’idea che per fare un buon lavoro ognuno debba fare il suo. Nel periodo autunnale è consigliabile prendere qualche chilo, per dare anche salute al muscolo.

«Il periodo di “stacco” alimentare va di pari passo con quello atletico, i corridori non posso pensare di mantenere la stessa dieta anche in vacanza. Il consiglio fondamentale che mi sento di dare è quello di non esagerare, è comunque il loro lavoro, va bene distrarsi ma non troppo. Anche perché, se si sforano i canonici 4-5 chili poi questo ha delle ripercussioni sulla ripresa dell’attività, portandoti a fare troppa fatica fin da subito».

Australia, ultimi appunti di viaggio. Parla Dagnoni

29.09.2022
7 min
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Prima di ripartire dall’Australia e dopo il clamore delle settimane precedenti, con il presidente federale Dagnoni abbiamo affrontato una serie di riflessioni sulla spedizione azzurra. E se da un lato era impossibile fare finta di niente, la sensazione è che lo tsunami delle provvigioni irlandesi si sia ritirato, avendo prodotto danni di immagine concreti a fronte di una vicenda i cui contorni appaiono invece sempre meno netti. La Federazione ha tardato decisamente troppo per dare delle spiegazioni, ma alla fine lo ha fatto. Mentre il punto di partenza e alcune dinamiche ricordano la vicenda che coinvolse la moralità di un tecnico azzurro senza che poi, depositato il fango sul fondo, si sia arrivati a nulla.

«Sono partito dall’Italia – dice Dagnoni – con una situazione definita e chiusa, che mi ha concesso di arrivare qua sereno perché è stato chiarito tutto. Soprattutto con le dichiarazioni a fine Giunta Coni del presidente Malagò, che ha definito la nostra Federazione virtuosa. Per rispondere, qualche errore è stato fatto, ma in assoluta buona fede. E soprattutto non ha creato, lo voglio sottolineare, nessun danno per la Federazione. Questo è un po’ il sunto di tutto un discorso che ci ha insegnato a essere più attenti a certe situazioni, per evitare che poi vengano ingigantite».

Spazio Azzurri, ecco l’hotel di Bowral in cui ha alloggiato l’Italia, assieme alla Gran Bretagna
Spazio Azzurri, ecco l’hotel di Bowral in cui ha alloggiato l’Italia, assieme alla Gran Bretagna
Che cosa le è sembrato di questo mondiale?

Si è trattato soprattutto di una trasferta impegnativa, perché comunque siamo dall’altra parte del mondo. Però è bello il clima che si è creato all’interno della nostra nazionale. Una grande sinergia tra i vari gruppi, anche a livello di staff, meccanici e massaggiatori. Ci si aiutava uno con l’altro rispetto al passato, dove ho sempre visto molte camere stagne. Adesso c’è un clima completamente diverso, ma non lo dico solo io, lo dicono anche gli addetti ai lavori che lo percepiscono. Ho visto fare riunioni di tutti i massaggiatori e di tutti i meccanici insieme. E quando c’è una partenza, sono tutti lì per aiutare. Il clima è sereno ed è quello che ho sempre auspicato. 

Quanto pesa sui conti una trasferta così?

Facevamo il calcolo che ci è costato il doppio di un normale mondiale in Europa. Ma per fortuna da un lato abbiamo le risorse per sostenerla e poi si è creata un’ottima intesa tra i dipendenti della Federazione, che si sono sempre occupati di queste trasferte, e Roberto Amadio che ha portato la sua esperienza WorldTour. Abbiamo avuto una gestione molto attenta a livello di ottimizzazione dei costi.

Ad esempio?

I corridori avevano 65 chili di bagaglio a testa, in modo da non dover pagare per le bici. Elite ci ha fatto avere i rulli dall’importatore in Australia. Il camper l’abbiamo trovato gratuitamente, grazie a Gerry Ryan, il proprietario della Bike Exchange che li produce. Ho avuto anche l’onore di conoscerlo e l’ho ringraziato. Un altro esempio sono i lettini dei massaggi. Portarli costava troppo come spedizione, così li abbiamo affittati in Australia a un quarto del prezzo del trasporto. Sono tutti dettagli che, messi insieme, vanno a ottimizzare i costi. I meccanici ad esempio non sono arrivati ognuno con la propria valigia, ma abbiamo fatto i bauli con pezzi meccanici e attrezzi.

Salvoldi con gli juniores ha ammesso che siamo un po’ indietro…

Il primo scopo nell’aver messo Salvoldi agli juniores era dare un metodo di lavoro. Ho avuto molti apprezzamenti dalle società per avere inserito un tecnico professionale come Dino in questa categoria. Gli ho detto subito che non era nostra intenzione vincere le medaglie, soprattutto in tempi rapidi, ma creare una cultura e degli atleti che possano sbocciare fra qualche anno, avendo un’impostazione. Mi ha detto che sulla pista riesce a lavorare in tempi più rapidi, perché ha un gruppo di lavoro a disposizione. Sulla strada invece i ragazzi sono affidati alle società per cui è un lavoro a lungo termine. Di conseguenza dovremo avere un po’ più di pazienza.

Salvoldi ha da poco iniziato la sua opera con gli juniores: per Dagnoni sarà sicuramente puntuale, ma servirà tempo
Salvoldi ha da poco iniziato con gli juniores: per Dagnoni sarà puntuale, ma servirà tempo
Pensa che ci riuscirà?

Mi fido molto della capacità di Dino, sono sicuro che porterà dei buoni risultati. Strada e pista avranno tempi diversi e sulla strada c’è da lavorare di più anche territorialmente. Bisognerà andare in giro per insegnare metodologie che ormai sono sempre più esasperate. Ormai gli juniores hanno carichi di lavoro nettamente diversi da quelli che c’erano in passato.

Intanto fra gli under 23 ha vinto un corridore WorldTour reduce dalla Vuelta.

Aveva per forza una preparazione diversa, mentre i nostri sono dilettanti veri. Poi tra l’altro siamo anche stati sfortunati perché Buratti era in gran forma, ma ha avuto la sfortuna di bucare, cambiare bicicletta e inseguire per un giro, altrimenti sarebbe stato protagonista. Però dovremo essere più attenti e valutare, magari con le squadre se ci verrà concesso. Non ci sono imposizioni o direttive su chi convocare e chi no. Dovremo ragionare con la nostra struttura tecnica e il Consiglio federale per adeguarci alle esigenze. La legge di Darwin dice che non vince il più forte, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento. Ecco, dovremo decidere come farlo in tempi rapidi.

La nazionale femminile ha una bella struttura attorno.

Sono state inserite figure professionali di alto livello. In questa trasferta c’erano Elisabetta Borgia, Tamara Rucco la massaggiatrice e Rossella Callovi. Sono professioniste serie e molto apprezzate dalle ragazze, perché svolgono al meglio il proprio lavoro. Poi è vero che una Rossella Callovi, che è stata vicecampionessa del mondo al primo anno juniores e iridata il secondo, se si trova a parlare con le ragazze, magari ha una credibilità diversa. Può trasferire delle emozioni, qualcosa che lei ha vissuto in prima persona per cui è anche più convincente. Elisabetta Borgia segue alcune ragazze anche al di fuori della nazionale, per cui ho visto per esempio che con Vittoria Guazzini la sua figura è stata importante. Come ha detto in un’intervista, lei è quella che tiene pulita l’acqua in cui nuotano i pesci. Di fatto è quella che sa dare la carica. Sono figure che abbiamo inserito e siamo molto contenti di averlo fatto.

Dagnoni spiega che Amadio (qui con Bettiol) ha gestito la trasferta iridata con una serie di soluzioni d’esperienza
Dagnoni spiega che Amadio (qui con Bettiol) ha gestito la trasferta iridata con una serie di soluzioni d’esperienza
C’è qualcosa che non le è piaciuto di questo mondiale?

Per natura sono abituato a guardare sempre i lati positivi. Per cui è vero che la trasferta di ogni giorno per andare al campo gara dall’hotel era pesante, però anche in questo caso mi piace sottolineare l’organizzazione per trovare la struttura adeguata alle nostre esigenze. Eravamo 78 persone, di conseguenza non era facile trovare un hotel che ci accogliesse tutti insieme e ci mettesse la cucina a disposizione (avevamo il nostro cuoco, anche questa è un’altra figura fondamentale per gli atleti e con un costo accettabile). Però l’abbiamo trovata, anche se era a più di un’ora di distanza. E alla fine, proprio per il clima che ho rimarcato prima, era importante essere tutti insieme e ci siamo riusciti.

Donne professioniste e corpi militari: si dovrà cambiare?

Si continua a parlarne, ma al momento non è ancora definito niente. Ho parlato con Francesco Montini, responsabile delle Fiamme Oro e ha detto: «Noi abbiamo atleti che di fatto non sono professionisti, ma hanno contratti importanti come Marcell Jacobs che continuano a stare nelle Fiamme Oro». Pertanto, se dall’UCI non arriverà una regola diversa, per me si può continuare come sempre.

A Wollongong c’era anche Mirko Sut, lo chef (a sinistra) accanto a Lorenzo Rota
A Wollongong c’era anche Mirko Sut, lo chef (a sinistra) accanto a Lorenzo Rota
Avete deciso come fare per il Giro U23 e il Giro Donne?

Dovremmo uscire a breve con un bando e cercheremo di assegnare sicuramente il Giro Under 23 che è ancora in attesa di avere una gestione. E poi probabilmente parleremo anche del Giro Donne dal 2024 in poi. Il prossimo anno infatti è ancora in mano a PMG Sport/Starlight. Stiamo lavorando e secondo me anche bene. Forse è questo che magari a qualcuno dà fastidio.

L’ultima corsa di Juraj Sagan, una vita all’ombra di Peter

28.09.2022
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L’anno scorso di questi tempi, mentre si celebravano le nozze di Peter Sagan con la Total Energies, suo fratello Juraj era ancora a piedi. Non era infatti così scontato che la squadra francese avrebbe preso anche lui, anche se alla fine l’operazione andò in porto e il grande dei due fratelli slovacchi firmò il tredicesimo contratto della sua carriera da professionista.

Per quelli che giudicano le persone sulla base dei watt e dei successi, Juraj Sagan è ben poca cosa. Chi invece guarda all’umanità delle persone, sa che stiamo parlando di un ragazzo d’oro.

Alla Okolo Slovenska prima del mondiale, corsa con la maglia della nazionale
Alla Okolo Slovenska prima del mondiale, corsa con la maglia della nazionale

Un post su Facebook

Mentre domenica scorsa si andava al foglio firma di Helensbourgh in Australia, sulla pagina Facebook di Peter è comparso un post che annunciava il mondiale come ultima corsa di Juraj.

«Non c’è dubbio che, per qualsiasi corridore – c’era scritto – il campionato del mondo sia una delle corse più importanti. E’ dove puoi guadagnarti il diritto unico e il privilegio di indossare la maglia iridata per un anno. Tuttavia, per me, oggi è un giorno emozionante per un motivo in più. Oggi è l’ultimo giorno in cui condividerò ufficialmente il percorso di una gara con un corridore che è mio fratello, il mio compagno di squadra e il mio migliore amico. Juraj si ritirerà dal ciclismo professionistico alla fine dell’anno, quindi Wollongong segnerà il suo finale ufficiale di carriera. Grazie, fratello, per essere stato sempre al mio fianco, nei giorni buoni e in quelli cattivi. Grazie per tutto quello che hai fatto per me in tutti questi anni, dentro e fuori dal ciclismo. Sono sicuro che il gruppo sentirà la tua mancanza».

E’ il 2012, si presenta la Liquigas: i fratelli Sagan con un giovanissimo Paolo Slongo
E’ il 2012, si presenta la Liquigas: i fratelli Sagan con un giovanissimo Paolo Slongo

Una vita faticosa

Nello stesso momento in cui abbiamo finito di leggere, Juray ci è passato accanto e abbiamo pensato di fermarlo per farci raccontare la sua decisione.

«Dovrei chiudere qui – ha detto con un sorriso – e sono contento di averlo potuto fare. Sono tanti anni che viaggio, questa vita è pesante ed è arrivato il momento di dire basta. Per i corridori italiani è più semplice. Ma per noi che viviamo in Slovacchia, l’inverno è pesante e questo significa doversi sempre trasferire per dei lunghi periodi in luoghi caldi. Non mi pesa dire basta, ho fatto la mia strada. Ho aiutato mio fratello nelle sue vittorie e mi sono tolto piccole soddisfazioni. Va bene così, nessun rammarico».

Juraj Sagan è stato per quattro volte campione nazionale slovacco: qui al Tour Down Under del 2020
Juraj Sagan è stato per quattro volte campione nazionale slovacco: qui al Tour Down Under del 2020

Consigliere e amico

Juraj ha iniziato a correre prima di Peter, diventandone ben presto l’ispiratore. E quando poi il fratello è diventato il campione che tutti conoscono, lui si è trasformato in consigliere, compagno di mille trasferte e allenamenti, il timone in una quotidianità nella quale a Peter servivano soprattutto riferimenti certi e fidati. Nel Team Peter, suo fratello ha sempre occupato con discrezione un posto chiave. Ecco perché, al netto dei tempi della burocrazia, lo scorso anno non avemmo dubbio alcuno che alla fine anche lui sarebbe approdato nel team francese.

«Sono stato molto contento di arrivarci – ci ha detto – è una bella squadra. Mi mancava aver provato anche il ciclismo francese. A fine mia carriera, posso dire di averle provate quasi tutte. Le arabe ancora no (ha aggiunto ridendo, ndr)».

Le vittorie di Peter

Quattro vittorie nel campionato slovacco su strada e Gp Boka nel 2009 sono state le sue uniche vittorie, ma Juraj ha sempre rivendicato con orgoglio il fatto di essere stato accanto al fratello in occasione delle vittorie più importanti.

«I momenti più belli – ha raccontato – restano quelli accanto a Peter quando ha vinto i tre mondiali, ma anche il Fiandre e la Roubaix. Queste sono storie e ricordi che mi resteranno per la vita. E anche se tanti hanno pensato che fossi solo il fratello di Sagan, io so di aver fatto la mia parte».

Lo ha detto con un sorriso orgoglioso sul volto. E ancora ridendo di gusto, quando gli abbiamo fatto notare che era arrivato al mondiale con le guance scavate, ha detto che non era condizione, ma semplicemente vecchiaia.

Juraj non ha concluso il mondiale di Wollongong: ha tirato per la sua parte, poi si è fermato
Juraj non ha concluso il mondiale di Wollongong: ha tirato per la sua parte, poi si è fermato

Il team e l’hotel

Juraj non ha concluso il mondiale in cui suo fratello ha colto il settimo posto. Si è avvicinato ai box e si è ritirato dopo aver concluso il lavoro.

«Le cose da fare non mancheranno – ha detto – ci sono la squadra e anche l’hotel che stiamo costruendo e che dovrebbe essere pronto per dicembre. Speriamo sia una bella cosa, lo potremo dire solo quando sarà pieno di gente. Peter dice che gli mancherò? Lo so e mi fa piacere che lo abbia detto lui».

Poi ha sorriso e quando è arrivato Peter i due fratelli hanno fatto una foto insieme. L’ultima in un campionato del mondo.

Arzeni, leggi qua: Bertizzolo ha qualcosa da dirti

28.09.2022
5 min
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Sofia Bertizzolo esce dal mondiale con la testa a mille e le gambe stanche. Per riconoscimento unanime, la bassanese ha corso il mondiale più bello da quando è nel giro della nazionale, dopo una serie di anni mezzi e mezzi. L’arrivo al UAE Team Adq le ha ridato motivazioni, l’arrivo di Sangalli in azzurro le ha portato entusiasmo e programmazione. E tanto è bastato. Guardandola nel quadro più ampio della squadra che Bertogliati sta costruendo, questa Bertizzolo potrebbe prendersi un ruolo di tutto rispetto, in supporto delle compagne, ma anche come leader quando se ne presenterà l’occasione.

Con lei abbiamo parlato nella notte fonda australiana, seduti accanto a una finestra, mentre si finiva di impacchettare le bici in partenza per l’Italia. Gli scatoloni di fine mondiale parlano di ritorno a casa, ma lasciano sempre una scia di malinconia.

Alla Liegi i primi contatti con Sangalli, poi da luglio è scattato il piano Wollongong
Alla Liegi i primi contatti con Sangalli, poi da luglio è scattato il piano Wollongong
Hai davvero fatto il mondiale più bello di sempre?

E’ il terzo che disputo nella categoria elite. Dopo quattro anni è stato un bel rientro, con tanta fiducia da parte del commissario tecnico. E una programmazione, cosa che non c’era mai stata. Il mondiale è sempre a fine stagione, quindi non puoi non programmarlo e questo mi ha permesso di arrivarci bene.

Quanto è stata pesante la stagione?

Ho corso il Giro, poi avrei dovuto fare il Tour e la Vuelta. Ho saltato il Tour, perché dopo il Giro non mi sentivo in forma e pronta per farlo. Già in quei giorni di luglio avevo sentito Paolo che mi parlava di questa convocazione, a cui lui teneva. E così con lui e con l’appoggio della squadra ho fatto un avvicinamento ad hoc. Con l’altura e correndo la Vuelta in preparazione. Sicché sono soddisfatta di essere rientrata un po’ nel circuito nazionale con questo nuovo ambiente molto positivo.

Dopo il Giro d’Italia, quello di Scandinavia, con tre piazzamenti fra le prime 10
Dopo il Giro d’Italia, quello di Scandinavia, con tre piazzamento fra le prime 10
Un mondiale che però ha fatto saltare i piani?

E’ stato un po’ imprevedibile. Ci aspettavamo bel tempo, ma ha cominciato a piovere ed è stato un po’ antipatico. Abbiamo diviso la corsa in due parti. Prima cercando di tutelare Elisa Balsamo, quindi facendo gli strappi regolari e qui hanno fatto un grandissimo lavoro Vittoria ed Elena, soprattutto (rispettivamente Guazzini e Cecchini, ndr). E poi, una volta che abbiamo capito che Elisa non riusciva a tenere gli strappi, abbiamo puntato su Persico e Longo Borghini, che hanno fatto entrambe una grande prova.

Spiega…

La Longo ha provato negli ultimi due giri portando via un gruppetto e stando poi con le 4-5 migliori in seconda battuta. Io sono riuscita a rientrare con Silvia (Persico, ndr) la prima volta, mentre la seconda ho dovuto gestire la situazione dell’attacco della Reusser, che sappiamo bene come corre e se prende un minuto, non la vedi più. E poi nel finale Silvia è stata veramente tanto brava con un bel lavoro di squadra che l’ha portata al posto giusto e nel momento giusto.

Sei arrivata con la forma ideale?

I primi giorni con il fuso orario ero un po’ sballottata, però è stato così per tutte. Poi invece l’ho recuperato bene e forse anche meglio di altre ragazze che non l’hanno mai assorbito del tutto, non solo fra noi. 

Bertizzolo ha corso la Vuelta anche in preparazione ai mondiali: il risultato è stato eccellente
Bertizzolo ha corso la Vuelta anche in preparazione ai mondiali: il risultato è stato eccellente
Pensi di esserti ritrovata appieno quest’anno?

E’ stato un anno positivo, con questo nuovo innesto della UAE anche al femminile. Un bel progetto, molto ambizioso e sicuramente ci vorranno ancora 2-3 anni per realizzare veramente tutto quello che è nei loro piani. E’ stato il miglior anno da quando sono passata elite. C’è chi ha sofferto di più e chi meno l’anno del Covid. Nel mio caso ho sempre trovato corridori più veloci di me, a cui dovevo tirare la volata. E altri più scalatori di me, che dovevo tutelare prima delle salite.

Come ti troverai il prossimo anno con Arzeni in ammiraglia?

Non lo conosco per niente, per ora ne ho sentito parlare molto bene. Da lui cerco soprattutto la fiducia e la motivazione, una cosa che lui è molto capace di mettere in tutte. Da fuori gli puoi solo riconoscere che dà la possibilità a tutte le ragazze. Nel giro dell’anno, infatti lui con la Valcar ha sempre vinto e sempre con più atlete. Se guardiamo i migliori talenti di questa primavera, sono usciti dalla Valcar, perché abbiamo Elisa Balsamo, la stessa Marta Cavalli, Guazzini, Persico quest’anno formidabile. E sono tutte uscite da lui. Quindi vuol dire che a livello fisico, ma soprattutto a livello mentale, è riuscito a dare loro qualcosa di più.

Al Fiandre, Bertizzolo ha corso per Marta Bastianelli e ha centrato per sé il 16° posto
Al Fiandre, Bertizzolo ha corso per Marta Bastianelli e ha centrato per sé il 16° posto
La testa conta…

Tante volte l’atleta non ha niente in più a livello fisico degli altri, ma semplicemente ha più voglia di vincere, più convinzione. E’ questo che in poche parole al mondiale a me ha dato Paolo (Sangalli, ndr). Ha dato a tutte noi la fiducia, quindi parte tutto dalla testa. Perché alla fine gli allenamenti li fanno tutti, la nutrizione la seguono tutti, chi più chi meno. Però quando arrivi a un certo livello, la testa è fondamentale e io soffro tanto il dover mettermi a disposizione sempre, sempre, sempre. Poi forse sono anche troppo sincera e onesta a mettermi a tirare quando so che devo. Alcune non sono così e poi non sempre viene riconosciuto. E questo ti lascia un po’ di amaro in bocca perché nel ciclismo femminile ancora non esiste il gregario. A breve comparirà anche quella figura perché stiamo marciando velocissimo, però al momento sembra tutto dovuto

Mondiale e dintorni: con Sangalli nel primo anno da cittì

28.09.2022
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«A parte le junior, che comunque hanno portato a casa il quarto posto – dice Sangalli ragionando – in tutte le gare che abbiamo fatto finora è arrivata una medaglia, che sia d’oro, argento o bronzo. Quindi ci sono una continuità e un modo di lavorare che a me piace e piace alle ragazze, bene così. E volendo tornare al quarto posto della Pellegrini a Wollongong, se andiamo a vedere le prove di Nation’s Cup e gli europei, quelle che sono arrivate davanti erano sempre le stesse. Solo perché all’europeo non c’era Backstedt, sennò avrebbe vinto anche quello. Con una Ciabocco che fosse stata bene, avendone due davanti le cose un po’ cambiavano. Ma non ne farei un caso, perché davvero con le junior il risultato non deve essere un’ossessione».

Sola nel finale, la Pellegrini ha tirato fuori un ottimo quarto posto fra le junior
Sola nel finale, la Pellegrini ha tirato fuori un ottimo quarto posto fra le junior

Pochi giorni dopo la fine dei mondiali australiani, Paolo Sangalli si volta per le ultime considerazioni. Il bronzo di Silvia Persico è stato un risultato sperato e anche il frutto di un lavoro di programmazione iniziato con lei, come con tutte le altre, una volta avuto chiaro come fosse fatto il percorso. Il viaggio assieme a Bennati di metà giugno ha dato l’idea su cui lavorare.

Questo podio ci piace molto perché?

Soprattutto perché sul podio c’è una debuttante assoluta. Di base, non è venuta la corsa che ci aspettavamo. Fino a due giri dalla fine sì, perché l’obiettivo era di salvare la Balsamo non facendo troppo presto attacchi spropositati (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). E invece già ai meno tre giri, Elisa era in difficoltà e abbiamo deciso di attaccare. Invece ci hanno anticipato e quindi la Longo si è infilata nel gruppetto delle cinque. Era un attacco per andare all’arrivo. In qualche modo l’obiettivo era rimanere in meno possibile e, una volta davanti, capire cosa succedesse dietro. Il massimo sarebbe stato avere davanti la Longo Borghini e dietro un gruppetto con la Persico, ma così non è stato. Questo è quello che avevamo pensato, però ci sono di mezzo anche le altre (sorride e allarga le braccia, ndr).

Secondo Sangalli, la delusione della Longo dipende anche dal fatto che col bagnato si scattasse a fatica
Secondo Sangalli, la delusione della Longo dipende anche dal fatto che col bagnato si scattasse a fatica
Pensavate che la Van Vleuten con quel gomito rotto potesse fare un numero del genere?

Ero sicuro che per la condizione che aveva non potesse attaccare sugli strappi e sulle salite, ma doveva solo difendersi. E’ stata brava. E’ stata tutta la sua esperienza, la forza che hai dopo 170 chilometri di poter fare quel numero. Tutte l’hanno vista, ma alla fine nessuna è riuscita a stopparla.

La dinamica del finale ha anticipato quella dei pro’, con il gruppo della Longo davanti che non si accorge del gruppo di Persico e Van Vleuten…

Anche secondo me la Longo non ha visto che era rientrata la Persico. Avessimo avuto le radio, avrei detto: «Occhio che arriva. Quando rientrate una parte e tira dritto». Però non ci sono. Io ho messo una postazione a metà strappo, una in cima, una a inizio discesa e ai meno 4, quindi una comunicazione c’è stata, ma non era diretta, immediata.

L’ottimo mondiale di Silvia Persico (qui con la Van Vleuten) viene da una buona programmazione
L’ottimo mondiale di Silvia Persico (qui con la Van Vleuten) viene da una buona programmazione
A un certo punto è stata chiara l’immagine delle azzurre in testa al gruppo.

Il tirare del secondo e terzo giro era per mantenere la velocità costante. Per non far andare via nessuno, quindi lo sforzo è stato anche relativo. Il tirare vero è stato per chiudere su Sarah Roy, dove Guazzini ha fatto vedere i cavalli che ha.

Come avete gestito la gara delle under 23?

Non era gestibile. La paura era che la Van Vleuten provasse a disfare il gruppo dall’inizio, ma non è stato così. Quando siamo entrati sul circuito, la Zanardi aveva solo il compito di stare il più avanti possibile. Ha fatto quello che ha potuto, invece Vittoria (Guazzini, ndr) l’ho considerata una titolare, non ho mai pensato a lei per fare la corsa delle under 23. Anche perché non era neanche adatta a lei. Insieme a Elena Cecchini ha fatto un grandissimo lavoro.

Quando si è trattato di inseguire Sarah Roy, Guazzini ha mostrato il motore di cui dispone
Quando si è trattato di inseguire Sarah Roy, Guazzini ha mostrato il motore di cui dispone
Proprio Elena ti ha ringraziato perché se avessi scelto in base alle vittorie probabilmente avresti portato un’altra al suo posto.

Una delle prime cose che ho detto è che i risultati certo sono importanti, ovvio che li guardo. Ma ci vuole anche qualcosa d’altro.

Pensavi a una Persico così solida?

Vi dico la verità, la cosa più bella di quest’anno è stata che ho programmato ogni cosa con loro, sia con le squadre straniere, sia con le italiane. Loro l’hanno sposato e le ragazze sono arrivate in condizione al momento giusto. Io non sono il loro preparatore, però ho condiviso la mia idea e loro l’hanno accettata.

Abbiamo visto una grande Bertizzolo…

A Sofia ho detto due mesi fa che se avesse seguito un determinato percorso, avrebbe fatto il mondiale. E credo che abbia fatto una delle gare più belle in nazionale. E anche Marta Bastianelli, anche se per lei non era il percorso più adatto, ha lavorato, si è difesa. Come fai a rinunciare a una ragazza così veloce, se poi trova il giorno giusto?

Soraya Paladin, riserva, dà le informazioni di corsa alla Bertizzolo in cima allo strappo. Senza radio, Sangalli si è organizzato così
Soraya Paladin, riserva, dà le informazioni di corsa alla Bertizzolo in cima allo strappo. Senza radio si fa così
Come fai?

Non rinunci. Non è che puoi andare con tutti centravanti o tutti difensori. Capito? Bisogna amalgamarla la squadra e io credo che avessimo le atlete per gestire ogni situazione. Poi di mezzo si sono messi la Van Vleuten e il meteo. Capisco l’amarezza della Longo dopo la gara. Ci teneva. E purtroppo per lei, la difficoltà di scattare sotto la pioggia su quel muro così ripido le ha fatto perdere incisività.

Programmazione. Condivisione degli obiettivi. Nessuna valutazione preconcetta. No stress, sulle grandi e sulle juniores. Il corso di Sangalli ha già dei tratti ben definiti. Ma se ti trovi fra i piedi un fenomeno come la Van Vleuten, a un certo punto puoi solo toglierti il cappello…

Amadori: U23 da rivedere, ma Buratti poteva vincere

27.09.2022
8 min
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Due giorni dopo il mondiale degli under 23, nella notte più buia e umida vista a Bowral durante la nostra permanenza, nell’immensa stanza dei meccanici Marino Amadori vigilava affinché tutto il materiale degli under 23 venisse inscatolato a dovere. Era la classica serata da rompete le righe. Il mattino successivo, domenica, mentre i professionisti sarebbero usciti alle 7,30 per la loro corsa, tutti gli altri sarebbero andati in aeroporto per rientrare in Italia. E l’albergo si sarebbe svuotato.

Amadori certo: con la Vuelta Fedorov ha avuto un vantaggio, ma si vede che ci teneva
Amadori certo: con la Vuelta Fedorov ha avuto un vantaggio, ma si vede che ci teneva

Dritto dalla Vuelta

La corsa degli under 23 l’aveva vinta con forza da cavallo uno che di dilettante non ha più nulla. Evgenj Fedorov, kazako di 22 anni, che in tutto l’anno ha sempre corso nel WorldTour con l’Astana Qazaqstan Team e il mondiale l’ha preparato correndo la Vuelta. Si capisce che se questo è il livello in arrivo sulla categoria, il sistema italiano dei dilettanti inizia a scricchiolare. Non si tratta più di una distinzione di status professionale, ma di suddivisione per fasce di età. E’ così da anni ormai e da anni ogni volta si scatenano discussioni infinite, che nascondono quella che per ora è la verità dei fatti. I dilettanti all’italiana restano un valore aggiunto, ma rischiano di restare sempre più ai margini della scena internazionale. Ce li abbiamo solo noi, facciamone un pregiato vivaio.

«Se andiamo un po’ indietro – annuisce Amadori – c’era la regola per cui chi aveva fatto gare WorldTour non poteva fare il campionato del mondo U23. Invece da un po’ hanno tolto anche quello e comanda l’età. Ne abbiamo parlato un po’ anche con Amadio e col presidente, per capire anche noi come ci dobbiamo orientare».

Buratti, l’azzurro più brillante (per Amadori poteva vincere), tra Marcellusi e Parisini, in difficoltà per tutta la gara
Buratti, l’azzurro più brillante, tra Marcellusi e Parisini, in difficoltà per tutta la gara
Diciamo che con gli uomini giusti e la giusta programmazione si può lottare ancora?

Nel 2019 abbiamo vinto con Battistella, che era in una continental. Nel 2021 Baroncini, continental anche lui. Però il problema è che ogni anno la forbice si allarga, ne vengono sempre di più dal mondo dei pro’. Non c’era solo Fedorov ad aver fatto la Vuelta, anche altri della Spagna. Lo sapete che gamba dà una corsa di tre settimane, in confronto a noi che abbiamo fatto il Giro delle Puglie? C’è un po’ di differenza (sorride, ndr). Preparando in questo modo un avvenimento del genere, è normale che Fedorov sia stato così superiore. Ha fatto qualcosa di grande, perché se guardiamo la corsa, negli ultimi 4-5 giri andava in tutte le fughe. Saltava da una all’altra, da solo. Ha fatto delle azioni, da cui si vedeva che aveva un’altra gamba, un altro livello. 

La strada è segnata?

Il livello sta crescendo, ci sono sempre più difficoltà. In tutto questo però, facciamo una premessa: non è che portiamo un WorldTour e vinciamo il mondiale. Non è così, perché ad esempio Kooij che per me era il favoritissimo ha fatto un bel quinto posto, ma lì si è fermato. 

In Italia ci sono corridori U23 nel WorldTour…

Devi trovare chi è motivato e chi sente l’avvenimento, perché se devi portare uno tirandolo per la giacchetta, perché faccia il Tour de l’Avenir e poi il mondiale, allora non serve. Io ammiro questo ragazzo kazako, si vede che lo sentiva proprio tanto.

E se non li troviamo, cosa si fa?

Io ritengo se hai un’annata di corridori buoni e programmi e prepari il mondiale, puoi lo stesso fare risultato. Certo se adesso cominciano ad arrivare quelli che fanno la Vuelta, che finisce una decina di giorni prima, escono veramente con una grossa condizione. Se però trovi il corridore talentuoso e programmi bene, come abbiamo fatto ad esempio con Baroncini, te la cavi lo stesso. E non solo lui, perché abbiamo fatto quarti con Gazzoli e settimi con Colnaghi. Avevamo dei corridori di un certo livello e anche quelli che avevamo quest’anno potevano fare bene.

Cosa è successo invece?

Purtroppo siamo incappati in una giornata particolare. Come meteo, una delle più brutte di questo mondiale. E poi un insieme di cose, comprese la prova non eccelsa di alcuni. Abbiamo un po’ sofferto, però credo che si possa fare bene e andare avanti ancora con i corridori delle continental. Con i dilettanti si farà sempre più fatica, quello sicuramente.

Perché?

Perché purtroppo già nelle continental non fanno una grossa attività internazionale. Però con la nazionale, bene o male, abbiamo sempre dato una mano. Corse di professionisti, attività all’estero e Coppa delle Nazioni. E aggiungo una cosa di cui ho già parlato sia con il Presidente sia con Roberto Amadio. Come nazionale, più che le gare con i professionisti, vorrei cominciare a fare un’attività internazionale under 23. Andare su in Belgio, in Francia, in Olanda a fare quelle corse a tappe che fanno un po’ tutte le altre squadre. Vorrei cominciare a fare un programma diverso, cioè un calendario diverso anche con la nazionale under 23, proprio per dare un sostegno alle continental che fanno fatica a fare certe corse. Questo è un progetto che abbiamo messo in essere, vediamo un po’ se ci riusciamo.

Milesi ha corso la crono, ma su strada è andato anche meglio. Amadori sottolinea la sua prova
Milesi ha corso la crono, ma su strada è andato anche meglio. Amadori sottolinea la sua prova
Cosa si può dire della squadra di Wollongong?

I ragazzi non sono delle macchine, non è che uno si sveglia la mattina, mette in moto e va. Alcuni hanno sofferto, probabilmente la giornata, il clima e l’andatura. Siamo partiti fortissimo, nei primi due giri viaggiavamo ai 44 di media. Quindi per me hanno sofferto la partenza molto agguerrita della Germania che voleva portare via la fuga.

Ne avevi già parlato, dei tedeschi…

Infatti avevo messo due corridori per curare la Germania, ma purtroppo non sono riusciti ad andarci. Mentre tornavamo in hotel, questa cosa mi ha infastidito e gli ho chiesto come mai non fossero entrati. E mi hanno risposto, semplicemente allargando le braccia, dicendo che non avevano avuto le gambe per farlo. Capita, purtroppo. Alcuni invece non hanno reso per il loro valore. Posso dire che Milesi ha fatto una bellissima gara, anche se lui è istintivo e senza radioline corre come gli viene.

Ecco il momento in cui Buratti alza la mano per segnalare di aver bucato: rientrare sarà molto faticoso
Ecco il momento in cui Buratti alza la mano per segnalare di aver bucato: rientrare sarà molto faticoso
Invece Buratti?

Purtroppo Buratti ha avuto un grosso problema con una ruota, ha inseguito per un giro. Ha bucato, abbiamo messo sotto la ruota, ma ha avuto un altro problema. Si è fermato ancora e ha cambiato la bicicletta, poi ha inseguito per un giro tra le ammiraglie. Queste sono energie che non ti dà più indietro nessuno. I 200 metri che gli son mancati sull’ultima salita sono stati per tutto quell’inseguire. Perché sennò scommetto che sarebbe arrivato davanti e se la giocava. E se ha questi problemi il tuo uomo di punta, quello che ha la condizione migliore, è chiaro che il risultato non arriva.

Gli altri?

Anche De Pretto ha fatto una bellissima gara, mentre i due che sono stati un po’ al di sotto sono Parisini e Marcellusi. Anche loro si aspettavano di più, sono i primi ad esserne usciti delusi e questo dice che sono bravi ragazzi. Pensate che avevamo studiato di fare come la Van Vleuten. Quell’azione l’avevamo progettata a tavolino, ci eravamo detti che se fossimo arrivati in 20-30 corridori e dentro c’era un paio dei nostri, avremmo fatto quell’azione. Ho detto ai ragazzi di approfittare dello sciacquone prima dell’ultimo chilometro oppure di uno strappo. Uno parte, gli altri si allargano e si va all’arrivo

Tiberi ha corso la Vuelta, ma la Trek non avrebbe risposto alla chiamata di Amadori
Tiberi ha corso la Vuelta, ma la Trek non avrebbe risposto alla chiamata di Amadori
Tornando alle WorldTour, perché non portare Tiberi?

Alla Coppi e Bartali eravamo in albergo con quelli della Trek-Segafredo. C’erano lì Baffi e Slongo. Gli ho detto che avevo pensato a Tiberi per il Tour de l’Avenir e il mondiale. Mi hanno risposto che avevano pensato di fargli fare la Vuelta, quindi l’Avenir non si poteva. A quel punto non ho neanche più pensato di proporgli il mondiale, perché avevo percepito che anche come squadra non fossero troppo interessati. Faccio fatica a coinvolgere i professional, figurarsi con le WorldTour. Quest’anno ho provato con Zambanini, per portarlo anche al Tour de l’Avenir, come pure ho parlato con Milan, però ho visto subito che non c’era interesse.

Porta chiusa?

Mi auguro che la vittoria di Fedorov faccia riflettere le squadre WorldTour. Per i loro ragazzi più giovani è la possibilità di fare un’esperienza importante. Perché un mondiale è sempre un mondiale, un’esperienza che vivi. Respiri questo clima che ti può essere utile un domani che vai nella nazionale maggiore. Ai ragazzi ho detto che questo è un passaggio, ma il loro fine è arrivare tra i professionisti. E a maggior ragione, se a un ragazzo si propone di fare un’esperienza del genere, vivere 7-8 giorni qua con dei professionisti, penso sia una cosa positiva. 

Per Longo e Balsamo, mondiale andato di traverso

26.09.2022
4 min
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Raramente ci era capitato di vedere la Longo così delusa. Quando Elisa arriva, ha lo sguardo mesto e il tono dimesso. Nel giro di pochi secondi, il suo mondiale ha cambiato faccia. E dalla speranza di arrivare da sola, si è ritrovata a remare nelle retrovie di una volata non sua. Il ricongiungimento che ha permesso a Silvia Persico di conquistare il bronzo e ad Annemiek Van Vleuten di vincere la corsa iridata ha privato Longo Borghini delle ultime chance di giocarsela. Difficile dire come sarebbe finita nella volata a cinque, ma neppure quello era lo scenario che aveva progettato. L’idea era di arrivare da sola, ma scattare con l’asfalto bagnato su quel muro così ripido ha reso impossibile fare vere accelerazioni.

«A un certo punto ho pensato di dover fare quella volata – dice – ci ho anche sperato sinceramente. Sono contenta perché alla fine l’Italia porta a casa un bel bronzo e questo è un bel successo di squadra, alla quale tengo molto. E’ ovvio, personalmente, sono un po’ dispiaciuta perché essere ripresa ai 500 metri dall’arrivo brucia sempre un po’, però l’importante è aver preso una medaglia».

Longo Borghini sul traguardo, sconfitta e triste, poi felice per il bronzo di Persico
Longo Borghini sul traguardo, sconfitta e triste, poi felice per il bronzo di Persico

Grazie alla squadra

L’attacco era previsto. Il piano di Sangalli si è realizzato quasi alla perfezione. Il difetto sta nel fatto che a vincere sia stata infine un’altra. Lo scenario vedeva la Longo andare via in salita con le 3-4 migliori e nel gruppetto alle sue spalle sarebbe dovuta entrare la Persico, pronta allo sprint in caso di ricongiungimento.

«Era tutto previsto – conferma Elisa – e sapevamo che Silvia stava molto bene. Ci tenevo molto a questo mondiale. E’ stata una stagione particolare, però è così. E’ il ciclismo e va benissimo così perché abbiamo una medaglia. Abbiamo corso veramente bene, io devo ringraziare le mie compagne e soprattutto nel finale Sofia Bertizzolo, ma tantissimo anche Vittoria Guazzini, Elena Cecchini. Tutte le mie compagne che hanno creduto tantissimo in me e spero di non averle deluse (in apertura l’abbraccio con Balsamo e Cecchini, ndr), ma credo che alla fine Silvia abbia salvato tutte e sono contenta per lei, perché quest’anno ha fatto una bellissima stagione».

Elisa Balsamo sapeva che la corsa sarebbe stata dura per lei, ma fino a due giri dalla fine era con le migliori
Elisa Balsamo sapeva che la corsa sarebbe stata dura per lei, ma fino a due giri dalla fine era con le migliori

Strappo fatale

Da un’Elisa all’altra, il mondiale dell’iridata uscente ha seguito la logica sperata fino a due giri e mezzo dalla fine. Nei giorni precedenti Balsamo è parsa concentratissima, dedita a curare ogni cosa nei minimi dettagli. Anche nel primo giorno di pioggia, mentre le compagne giravano sui rulli con apparente disinteresse, Elisa è subito parsa impegnata in una sessione di vero allenamento. Quando però si è resa conto di non riuscire a tenere sugli strappi, ha dato via libera alle compagne.

«La gara è venuta dura – racconta – ci sono anche queste giornate. L’ho capito nel penultimo giro, visto che non riuscivo a tenere il passo sullo strappo e ho capito che semplicemente non sarebbe stata la mia giornata. Succede».

Quando si è visto che Balsamo era in difficoltà, Cecchini ha fatto per lei ritmo regolare sulla salita
Quando si è visto che Balsamo era in difficoltà, Cecchini ha fatto per lei ritmo regolare sulla salita

Il freddo di colpo

Su questo percorso che ha visto al traguardo non già velocisti ma uomini e donne da classiche, la missione per Balsamo prometteva di essere impossibile. 

«Ero consapevole – conferma – del fatto che per me sarebbe stato duro. Avrei dovuto centrare una giornata davvero super e sperare magari di riuscire a rientrare da dietro e così non è stato. Silvia (Persico, ndr) comunque ha preso una medaglia, quindi penso che sia una cosa molto positiva. Diciamo che alla fine faceva freddo, quindi può essere che abbia anche condizionato la gara».

Michael Rogers, le regole, le corse e i pensieri su Ganna

26.09.2022
7 min
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Michael Rogers ha 42 anni ed è originario di Canberra, anche se fa ormai base da una vita in Svizzera, vicino al confine con l’Italia. Quando era ancora un corridore, fu il primo a vincere tre mondiali consecutivi della crono e ad approcciarsi con la specialità applicando in modo forse pionieristico le tecnologie e le teorie con cui oggi i corridori convivono. Per questa sua vivacità intellettuale, a fine carriera l’UCI lo ha coinvolto inizialmente con il ruolo di Innovation Manager e più di recente lo hanno nominato Road Manager. In poche parole, non si muove niente a livello tecnico, senza che lui lo sappia e abbia dato il suo parere.

Per questo lo abbiamo invitato a sedersi con noi su un divano della sala stampa, per fargli raccontare i mondiali australiani e il suo mondo di oggi, dopo aver vissuto le vittorie di ieri: quelle crono, ma anche tappe al Giro e al Tour e varie classifiche, dallo Svizzera al Delfinato, il Catalunya e il Deutschland Tour.

A Wollongong ha corso suo nipote Cameron: 14° nella crono, 22° su strada (foto The Canberra Times)
A Wollongong ha corso suo nipote Cameron: 14° nella crono, 22° su strada (foto The Canberra Times)
Che effetto fa un mondiale in casa, essendo però un uomo UCI?

E’ bellissimo mostrare la mia Australia al mondo del ciclismo. Però, nello stesso tempo, avendo il cappello dell’UCI, vuoi che sia tutto perfetto. Ed essendo io coinvolto a livello organizzativo, cerco e vedo le cose che si potrebbero migliorare. In ogni caso per me è stata un grande emozione. Diverso rispetto a quando il mondiale lo correvo, perché vedevo tutto dalla prospettiva del corridore. Ero molto concentrato nella mia bolla. Adesso scopri che ci sono migliaia di altre cose di cui i corridori ignorano l’esistenza, con cui invece bisogna fare i conti. 

Innovation Manager: cosa fai?

E’ un ruolo che svolgevo già dal 2020. L’UCI ha vari protocolli che riguardano ad esempio i telai. Perciò lavoriamo con i costruttori per essere sicuri che, ad esempio, rispettino i termini di sicurezza. Oppure ci occupiamo delle ruote, per verificare che superino tutte le prove. Questo è un periodo molto interessante nel ciclismo. Già da qualche anno si sta passando dai metodi di costruzione tradizionale, sui quali è stato sviluppato il vecchio regolamento, a prodotti in scocca e altri stampati in 3D. Prendiamo ad esempio il manubrio, che nel regolamento è ancora composto da attacco e curva. Adesso sono pezzi unici e spesso i giudici di gara nelle crono fanno fatica a verificarne le misure.

Ormai i manubri sono sempre più spesso integrati o stampati 3D, come quello di Ganna
Ormai i manubri sono sempre più spesso integrati o stampati 3D, come quello di Ganna
E come si fa?

Per ora si cerca di essere elastici, per stare nelle norme con le nuove tecnologie. Adoriamo l’innovazione, però ci rendiamo conto che il commissario che deve prendere le misure, in pista o piuttosto prima della partenza di una crono, si trovi in difficoltà a capire dove cominci un pezzo e dove l’altro. Per questo abbiamo elaborato il nuovo regolamento che entrerà in vigore il primo gennaio. Lo abbiamo scritto dando un po’ più di flessibilità alle aziende.

Da atleta hai mai subìto le nuove misure imposte?

Per fortuna non ho mai avuto problemi quando regolamentarono l’avanzamento della sella, perché ero sempre dietro i 5 centimetri dal movimento centrale. Ero sempre a 6-7, ma adesso sono tutti a 5, perché c’è molta più attenzione alla posizione. Sono stato uno dei primi a studiare l’aerodinamica. Il primo ad andare in galleria del vento a Milano con Luca Guercilena. Abbiamo aiutato noi a disegnare e realizzare il supporto per tenere ferma la bicicletta. Quindi c’è sempre stata grande attenzione per materiale e performance, ma adesso l’aerodinamica è preponderante. E questo porta anche conseguenze soprattutto in pista, dove ormai nell’inseguimento girano quasi a 70 all’ora. Ormai una semplice cucitura del body, in base a dove è messa, può fare la differenza.

Questo cosa c’entra col regolamento?

Non tutti hanno accesso a un body che costa 8.000 euro. Non è facile fare questo tipo di ragionamento, ma se facciamo una previsione a lungo termine, soprattutto per la  pista, dobbiamo stare attenti che l’investimento per stare in gara non comporti conseguenze pesanti. Se per essere competitivi si alza a dismisura il budget necessario, magari ci ritroviamo nel 2032 con tre sole squadre, tre Paesi.

Un’opera nel segno dell’uguaglianza?

Sarebbe triste da vedere secondo me. Triste se una nazionale fosse tagliata fuori dallo sport perché non ha gli stessi soldi di chi può investire. Diciamo che lo spirito di base è questo. Evitare le tante velocità diverse in base al budget. Tutelare o quantomeno ridurre le differenze.

Guardando nel maxischermo l’azione di Evenepoel a Wollongong
Guardando nel maxischermo l’azione di Evenepoel a Wollongong
Cosa fa invece il Road Manager?

Il Road Manager fa un po’ tutto per quanto riguarda l’organizzazione. Si occupa del calendario, per il quale collabora con le varie associazioni. Poi con il mio team seguo la registrazione di tutte le squadre, verificando che tutti i contratti siano in ordine, che ci siano le garanzie bancarie con le quali i corridori siano tutelati. E poi seguiamo le gare a livello di regolamento. Adesso non mi ricordo esattamente, ma più di 850 gare ogni anno seguono il nostro regolamento, quindi è un lavoro di 24 ore al giorno. C’è almeno un’emergenza al giorno da qualche parte del mondo….

Hai avuto un ruolo nel caso Gazprom?

In realtà non tantissimo. Quello è stato un discorso legato al management più alto. Il Comitato olimpico ha dato la sua disposizione e l’UCI l’ha recepita.

L’avviso del ricorso ai raggi X nella tenda preposta la controllo delle bici
L’avviso del ricorso ai raggi X nella tenda preposta la controllo delle bici
Vicino alla zona di arrivo c’è stato per tutto il tempo il gazebo contro le frodi tecnologiche…

Ormai vediamo tutto ricorrendo a varie tecnologie. Prima era complesso, perché c’era un apparecchio molto grande. Adesso abbiamo un sistema molto più leggero e davvero vediamo tutto, dagli spessori del telaio ai fili della trasmissione. Prima che arrivassi io, c’erano delle voci. Poi hanno trovato la ragazza del ciclocross. Dobbiamo stare attenti, per evitare che semmai qualcosa c’è stato, possa tornare. Come per l’antidoping. Ma ad ora, dai dati che raccogliamo, negli ultimi anni non abbiamo trovato niente di strano.

Tu hai vinto tre mondiali di seguito, cosa succede poi nella testa del corridore? 

E’ proprio la testa il problema. Per preparare un grande evento come una crono ci vuole tanta energia mentale, anche e soprattutto nella fase di allenamento, perché è molto specifico. Non è facile. L’abbiamo visto. Io sono stato il primo, poi è arrivato Fabian (Cancellara, ndr), e poi Tony Martin. Eravamo tutti intorno a quel podio e io ho fatto fatica al quarto mondiale.

«Ho visto Ganna dopo la crono – dice Rogers – era abbattuto. Pochi come me possono capire quel che pensava»
«Ho visto Ganna dopo la crono – dice Rogers – era abbattuto. Pochi come me possono capire quel che pensava»
Perché?

Non avevo più la concentrazione o la grinta per spingermi così tanto nella fase di allenamento, come quando lottavo per vincere. Preparando il quarto, mi accorsi subito che non avevo la fame per fare fatica. Quasi vomitavo dopo ogni ripetuta. Ecco, penso proprio che sia un fatto mentale. E la settimana scorsa ho visto proprio Ganna dopo la crono. Era rimasto male, era proprio giù. E mi sono detto: «Caspita, lo capisco, forse non ci sono tanti che ci riescono».

Come se ne esce?

E’ giovane, ha il tempo per ritrovarsi, poi magari ha solo avuto una giornata no. Non ci ho parlato. Però ricordo che lo stesso sono stato male per lui, perché sapevo esattamente quello che stava pensando.