Hindley, non è un sogno. Due anni dopo la rosa è tua

29.05.2022
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Il 2020 lo ha seguito come un incubo per due anni, fino al momento in cui ha tagliato la riga e poi è entrato nell’Arena. Hindley continua a parlarne come di un momento davvero traumatico, che rende la conquista della maglia rosa qualcosa di speciale e anche un po’ folle.

«Al via ero nervoso – racconta – mi trovavo nella stessa situazione dell’altra volta. Avevo più confidenza con il percorso e con la bicicletta, ma continuavo a pensarci. Non volevo ripetere il 2020. Quando sono partito non pensavo alla maglia rosa né a vincere il Giro. Volevo fare la miglior crono possibile. Sapevo di dover dare tutto nella prima parte in salita e poi di scendere tranquillo, come poi ho fatto. Tagliare il traguardo ed entrare nell’Arena è stato davvero speciale».

Due anni lontano da casa

Hindley è arrivato mentre Sobrero stava ancora raccontando la sua vittoria. Lo sguardo trasognato. Le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo fisso verso l’altissimo soffitto della stanza. Poi finalmente è venuto il suo momento, che è stato pieno di umanità e gentilezza. Non è per caso che tutti i corridori del gruppo parlino bene di lui. E a chi dai microfoni della RAI ha appena finito di spiegargli che non tornare per tanto tempo a casa fa parte della bellezza del ciclismo, vale la pena far notare che Jai Hindley non vede la sua famiglia dal febbraio del 2020.

«Ho prenotato più volte dei voli – racconta – ma li hanno sempre cancellati. Passai a casa per 24 ore dopo l’Herald Sun Tour del 2020 e poi non l’ho più vista. Quando parti dall’Australia per diventare un corridore professionista, devi essere molto forte mentalmente. Non ti basta un weekend per tornare a casa. Lo scorso anno è stato duro in bici e giù dalla bici. Il Covid non ha colpito Perth e non ci sono casi da due anni, semplicemente perché sono stati chiusi gli aeroporti. E’ una situazione un po’ folle, ma è quello che ho vissuto. Da due anni sono ad Andorra, ma Perth è un bel posto in cui crescere. Sono orgoglioso delle mie origini. E penso che a fine anno finalmente tornerò laggiù».

Quanto è stato pesante lasciarsi alle spalle la sconfitta dell’ultima crono al Giro del 2020?

E’ stata una situazione surreale. Ho preso la maglia il penultimo giorno, come ieri. E il giorno dopo l’ho persa. E’ stato duro, c’è voluto parecchio tempo per superarlo. Il solo modo è stato lavorare duramente, trasformandola in una grande motivazione. Ma ammetto che smaltirla in famiglia sarebbe stato un’altra cosa.

Hai vinto il Giro il penultimo giorno e in tanti abbiamo pensato che avessi in mente di fare così sin dall’inizio…

Un grande Giro richiede di calcolare bene le energie che spendi. Ho imparato dalle occasioni precedenti che quelle che lasci sulla strada oggi, non le ritrovi domani. Siamo arrivati nell’ultima settimana con prestazioni simili tra noi. Continuavamo ad arrivare insieme, era difficile fare differenze. Non era previsto dall’inizio di attaccare a fondo sul Fedaia, ma alla fine è stato la conseguenza di come si erano messe le cose. In un Giro contano i programmi, ma anche la fortuna e la sfortuna. E alla fine ci siamo organizzati per fare l’attacco frontale nella penultima tappa.

Con un grande lavoro di squadra, concordi?

Ho avuto giorni duri, ma quello sul Fedaia per certi versi non è stato il peggiore. La squadra mi ha servito il finale su un piatto d’argento. Hanno lavorato tutti benissimo, ho avuto dei compagni fenomenali.

Hai mai avuto paura?

Non particolarmente, se non a Treviso quando ho bucato. Il gruppo stava andando fortissimo. Poi mi sono reso conto che ero entro gli ultimi tre chilometri e mi sono tranquillizzato.

E’ possibile che questo Giro sia un punto di inizio per la tua carriera?

Può darsi, ma credo di aver aperto gli occhi sulle mie possibilità come pro’ al Giro del 2020. Anche se finì male, ho scoperto che in queste corse poteva esserci un posto anche per me. E’ folle pensare che oggi ho vinto il Giro d’Italia, non riesco ancora a crederci.

Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
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Come proseguirà la tua stagione?

Esiste un programma, che credo sarà confermato. Dovrei fare sicuramente la Vuelta e poi mi piacerebbe correre i campionati del mondo in Australia. Non capita spesso di avere un mondiale nel tuo Paese, soprattutto se arrivi dall’altra parte del mondo.

Dopo la batosta del 2020 è cambiato il tuo rapporto con la crono?

Doveva cambiare per forza. La Bora-Hansgrohe ha investito tempo e risorse. Sono stato in California nella galleria del vento di Specialized per migliorare la posizione e già questo ha aiutato molto. Non posso dire di essermi specializzato, ma ci ho lavorato molto.

L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
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La tua squadra ha voltato pagina e si è votata ai grandi Giri e, al primo assalto, tu hai vinto il Giro d’Italia…

Credo sia la prima volta che questa squadra conquista un podio e devo dire che se ci sono riuscito è stato perché tutti mi hanno dato il loro appoggio, dai corridori allo staff. Quando ci siamo visti al training camp di ottobre in Austria abbiamo messo questo risultato nel mirino. Esserci riuscito e fare parte di questo progetto mi rende molto orgoglioso.