L’ultima volta in Australia? A Pozzato girano ancora

16.09.2022
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L’ultima volta che i mondiali si sono corsi in Australia fu nel 2010 e a Pozzato girano ancora le scatole. Il vicentino aveva 29 anni e arrivò quarto, dando però la sensazione di poter vincere. Hushovd, Breschel, Davis. E poi Filippo. Per questo, strappato per qualche minuto alla routine di organizzatore proiettato verso i mondiali gravel di ottobre, il tono di voce cambia e si inasprisce.

Fu un anno maledetto. Il 7 febbraio l’incidente si portò via Franco Ballerini, il cittì di 4 mondiali vinti e un’Olimpiade. Al suo posto fu spinto Paolo Bettini, che non riuscì a dire di no e grazie a questo avrebbe scoperto negli anni di avere qualità tecniche eccellenti. Il suo lavoro, guidato da emotività e senso del dovere, fu mantenere in nazionale lo spirito di Franco. In Australia portò Gavazzi, Nibali, Oss, Paolini, Pozzato, Tonti, Tosatto e Visconti. Pozzato ricorda, la voce adesso è bassa.

Pozzato arrivava ai mondiali di Geelong dopo la Vuelta. Sulla maglia la scritta per Ballerini
Pozzato arrivava ai mondiali di Geelong dopo la Vuelta. Sulla maglia la scritta per Ballerini

Da Madrid a Melbourne

Corse la Vuelta, quella di Nibali. Si fermò proprio alla vigilia della Bola del Mundo, con il terzo posto di Toledo nelle gambe, ad appena un secondo da Gilbert in forma smagliante e Tyler Farrar.

«Andammo via presto – ricorda – perché c’era un’altra gara il sabato prima, quindi era tutto previsto. Mi sono fermato il venerdì e ricordo di aver fatto un buon avvicinamento, sarei arrivato al mondiale come volevo io. Poi si sa, in Italia ci sono sempre stati i giornalisti che mi davano contro. Non è che ti facessero lavorare tranquillo. Dovevo sempre dimostrare qualcosa, dicevano che comunque non avevo vinto, anche se andavo forte. E si chiedevano se fossi pronto per fare il leader e cose di questo tipo».

Una settimana prima del mondiale, Pozzato vince la Herald Sun World Cycling Classic: la gamba c’è
Una settimana prima del mondiale, Pozzato vince la Herald Sun World Cycling Classic: la gamba c’è
Come andò?

Paolo, che comunque a me è sempre piaciuto molto per come ha interpretato il ruolo di cittì, forse viveva la corsa come le faceva lui, col suo modo di correre. Io invece correvo al contrario rispetto a lui e questo forse ci portò a fare una corsa un po’ troppo d’attacco. Ma la colpa per come andò il finale fu solamente mia. Era un mondiale che avrei vinto con una gamba sola o comunque abbastanza facilmente. Bastava solo partire due posizioni più avanti.

Cosa successe?

A un certo punto, verso fine corsa, mi convinsi di non avere le gambe per fare la volata. Invece quando sono partito, mi sono chiesto: come mai gli altri non vanno? Sembravano tutti fermi, piantati. E io rimontavo, rimontavo, ma non abbastanza. Un metro dopo l’arrivo ero praticamente primo. Venivo su a doppia velocità, bastava partire due posizioni davanti.

Gilbert è in gran forma e attacca a raffica per arrivare da solo: Pozzato lo segue
Gilbert è in gran forma e attacca a raffica per arrivare da solo: Pozzato lo segue
Da mangiarsi ancora le mani?

Forse Geelong è il più grosso rammarico della carriera. Io avevo due sogni. Vincere la Sanremo e il mondiale e il mondiale non sono mai riuscito a vincerlo.

Si parlò dell’ultima curva presa troppo indietro…

L’ultima curva l’ho presa indietro perché ero suonato, ero convinto di non avere le gambe. Perché comunque c’era Gilbert che volava. Attaccò cinque o sei volte e io gli sono sempre andato dentro. L’ultima volta non sono riuscito a seguirlo, perché avevo un inizio di crampi e sono andato un po’ in crisi di testa. Mi sono detto: hai i crampi, vedi che sei finito e gli altri vanno il doppio?

La volata di rimonta non basta, Hushovd iridato, Pozzato “solo” quarto
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Bastava crederci di più?

Mi sono messo in testa questa cosa qua, invece alla fine ero quello che stava meglio di tutti. Erano morti, ma il mio più grande problema è sempre stato che quando vincevo non facevo tanta fatica, quindi pretendevo di andare alle corse e arrivare sempre senza soffrire. Così, se magari sentivo una mezza cosa che non andava, era crisi.

Ci pensi ancora?

Ci penso sì. Mi girano veramente le scatole di non essere mai diventato campione del mondo. Per un motivo o per l’altro, anche se magari andavo forte, m’è sempre sfuggito, Al mondiale di Stoccarda sono stato l’ultimo a staccarmi da quelli davanti per i crampi, per una cavolata mia e vabbè… Più o meno una ti ritorna sempre indietro, ma quella in Australia è stata l’occasione che ho buttato io. Certi treni non passano più.

Come andò con il fuso?

All’andata andò bene. Anticipammo parecchio perché il sabato prima ci fu una corsa (Herald Sun World Cycling Classic, ndr) e la vinsi io. Fu la scelta giusta proprio per prendere il fuso orario. Corremmo quasi subito e io ero ancora suonato per il viaggio, però vinsi e quindi era il segno che andavo.

Com’era il clima?

Era inverno, non era caldo. C’era una bella temperatura, era freschino. Il giorno che ho vinto, avevo la maglia a maniche lunghe. Invece il mondiale lo feci a maniche corte. Saranno stati 20 gradi.

Invece in squadra?

Paolo era stato veramente bravo a costruire la squadra, essendo uno che aveva appena smesso ed era stato in gruppo fino a due anni prima. Era comunque uno di noi e creò un gran clima. Secondo me era riuscito a rimettere in piedi le stesse idee che Ballerini aveva cercato di portare in nazionale, quindi stavamo veramente bene.

Al via da Melbourne, Pozzato con il suo fan club: dietro, suo zio
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Ricordi il pubblico?

C’erano un sacco di italiani d’Australia. Tra l’altro ho anche dei parenti e mi ricordo che erano venuti anche mio papà e mia mamma. C’era gente immigrata tanto tempo prima, quindi era bello perché comunque sembrava quasi di essere a casa e loro erano orgogliosi di vederci con la maglia azzurra. Una bella sensazione, un bel modo di correre anche a livello emozionale. Un qualcosa in più.

Il pensiero a Ballerini?

Avevamo sulla maglia una scritta per Franco: “Ballero sempre con noi”. Secondo me era stata una cosa veramente bella. Diciamo che il clima non era cambiato tanto rispetto a quando c’era lui. Si sentiva la mancanza, però Paolo era stato bravissimo a rimettere in piedi l’atmosfera che Franco aveva creato negli anni. Perché Paolo è quello che l’ha vissuta meglio di tutti, ha vinto i mondiali e le Olimpiadi con lui, era quello che meglio di tutti sapeva interpretare quel suo spirito.