Geoghegan Hart saluta la Ineos e si prepara a un nuovo inizio

28.09.2023
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Tao Geoghegan Hart (foto Instagram in apertura) a fine stagione lascerà la sua “casa” ciclistica: la Ineos Grenadiers. Il britannico si trasferirà alla Lidl-Trek, una squadra che da quando ha cambiato nome, e sponsor, si è mossa tanto nel prendere nuovi corridori. Tao ha 28 anni, cambia squadra in quello che è sempre stato il periodo di maturazione per un ciclista professionista

Una decisione che merita un approfondimento, per questo abbiamo cercato di capire di più parlando con il suo procuratore: Joao Correia. Ex corridore portoghese che da qualche anno rappresenta alcuni dei corridori più importanti del gruppo con la sua agenzia Corso Sports, fra cui Almeida e Pedersen. Correia ha una vita “divisa” in tante parti del mondo: Stati Uniti, Portogallo e Italia. Quando si trova da noi sta in Toscana, dove ha un B&B con il quale organizza viaggi legati alla bici per i turisti stranieri, in particolare americani. 

Buongiorno Joao, innanzitutto, come procede la riabilitazione di Geoghegan Hart?

Ha terminato la settimana scorsa, è stata lunga: più di 3 mesi di lavoro per tornare in bici. A breve riprenderà a pedalare su strada e metterà nel mirino la preparazione verso la prossima stagione. Da quando abbiamo capito che nel 2023 non avrebbe più corso si è deciso di guardare al futuro. La squadra gli ha dato una grande mano, nonostante a fine stagione si saluteranno ha avuto un ottimo appoggio.

2024 che vede un grande cambiamento per l’appunto, cosa c’è dietro?

Dietro questa divisione c’è l’ambizione, che ogni corridore ha, di voler provare qualcosa di nuovo. Avere degli stimoli diversi fa bene agli atleti. In estate c’erano stati dei colloqui con la Ineos ma non tutto era chiaro, per esempio il ruolo che Tao avrebbe avuto. Lui vuole essere un uomo da grandi Giri, un leader. Non un capitano unico, perché nel ciclismo moderno è impossibile, l’abbiamo visto con la Ineos.

Ultima tappa del Giro, Almeida terzo: al centro Joao Correia, a destra il suo socio Ken Sommer (foto Fizza/UAE Emirates)
Ultima tappa del Giro, Almeida terzo: al centro Joao Correia, a destra il suo socio Ken Sommer (foto Fizza/UAE Emirates)
Quando è caduto al Giro, fratturandosi il femore, la Ineos aveva Thomas come “seconda punta”.

Esatto. Si sono invertite le parti rispetto al 2020, quando Geoghegan Hart vinse il Giro. A quell’epoca cadde Thomas e lui fu l’uomo di classifica, quest’anno è stato il contrario.

Allora com’è si è arrivati alla volontà di cambiare?

Tao ha un obiettivo: il Tour de France. Gara che ha disputato solamente una volta, nel 2021, in supporto a Carapaz e Thomas. Ormai è arrivato ad un’età in cui deve dire “ho vinto un grande Giro, ora ci voglio puntare in alto”.

Il cammino è proseguito lineare fino al Tour of the Alps, vinto da Tao
Il cammino è proseguito lineare fino al Tour of the Alps, vinto da Tao
Pensi che sia maturo per farlo?

Quest’anno al Giro d’Italia stava davvero bene, lo si è visto alla cronometro di Cesena. Lui è uno scalatore, quando un corridore del suo tipo fa una cronometro a quel livello vuol dire che sta molto bene. 

Com’è nato il contatto con la Lidl-Trek?

Ho un grande rapporto con Luca Guercilena, grazie al fatto che un mio corridore, Mads Pedersen, corre per loro. Così parlando con lui è uscita questa occasione ed è stato tutto molto veloce. La Lidl-Trek stava cercando un uomo per fare classifica nei grandi Giri e l’occasione era importante. Ci sono anche altri profili (Ciccone su tutti, come detto dallo stesso Guercilena, ndr). 

Al Giro, Geoghegan Hart aveva sorpreso tutti a crono fin dal primo giorno di Giro a Ortona
Al Giro, Geoghegan Hart aveva sorpreso tutti a crono fin dal primo giorno di Giro a Ortona
Geoghegan Hart ha corso sette anni con la Ineos: un corridore britannico in una squadra britannica, il cambiamento si farà sentire?

Non penso proprio. Tao è un ragazzo che sa stare molto bene in contesti internazionali, si trova a proprio agio a contatto con culture e lingue diverse. Quando è in Spagna parla spagnolo con grande disinvoltura e ha una speciale connessione con l’Italia. Ha un modo di pensare multidimensionale. 

Il cambiamento gli farà bene quindi?

Quando si cambia si assumono nuove responsabilità. Ora deve focalizzarsi sul recupero e fare un buon inverno, poi vedremo dal 2024 cosa succederà.

Venturelli: le conferme della pista, le sorprese della strada

28.09.2023
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Prima è finita la scuola e questo ha permesso a Federica Venturelli di pensare soltanto allo sport. Ora che invece è finita la stagione e ha portato con sé il consueto carico di medaglie, la cremonese ha appeso la bici al chiodo e si è rifugiata sulle montagne della Valtellina, a Campodolcino sulla strada dello Spluga, dove ha casa sua nonna. Non si può dire che l’estate non sia stata intensa e che, al netto delle tante tutele di cui ha parlato il suo tecnico Daniele Fiorin, l’attività di Federica non sia stata pesante. Forse anche troppo da un certo punto di vista, quello dei suoi 19 anni, ma questo sarà semmai la storia a raccontarlo nel modo giusto.

Intanto il 16 ottobre inizieranno i corsi all’Università, facoltà di Farmacia, anche per raccogliere un domani il mestiere di suo padre. Sarà un inverno meno infuocato del solito, con meno impegni nel ciclocross, alla vigilia della prima stagione da under 23. Federica si racconta, le parole confermano i piedi per terra, anche se i risultati delle ultime settimane potrebbero far girare la testa. Tre ori agli europei juniores su pista. Il bronzo ai mondiali della crono e i due ori su pista. E poi l’oro e l’argento, a crono e su strada, ai campionati europei. Più sei vittorie su strada.

L’oro nella crono degli europei è stata un passo avanti rispetto al bronzo mondiale
L’oro nella crono degli europei è stata un passo avanti rispetto al bronzo mondiale
E’ stata una stagione di grandi sorprese o di grandi conferme?

Sono state grandi conferme per quanto riguarda la pista, grandi sorprese per le gare su strada. Dopo aver vinto i mondiali dell’inseguimento individuale l’anno scorso, quest’anno speravo di replicare il titolo. Invece è stata una sorpresa la madison (in coppia con Vittoria Grassi, ndr), perché è una specialità in cui agli europei ho fatto per due anni quarta, quindi vincere il mondiale è stato qualcosa di incredibile.

Invece su strada?

Sono state delle belle sorprese. Ho imparato ad adattarmi a diversi tipi di percorsi e quindi sono felice di come sono andate le gare, sia il mondiale che l’europeo e anche le altre gare internazionali, come quelle di Nations Cup, in cui sono riuscita a raccogliere delle vittorie internazionali.

La vittoria della crono agli europei nasce dal bronzo dei mondiali?

Sicuramente sono cambiate le avversarie. La prima e la seconda classificata dei mondiali non hanno partecipato all’europeo, dato che erano un’australiana e una britannica. Però secondo me c’è stato anche un salto di qualità grazie agli allenamenti specifici che ho fatto per arrivare in forma all’appuntamento e soprattutto nella gestione dello sforzo. Al mondiale ho sbagliato la gestione della gara: ero partita troppo forte e poi avevo finito in calando. Invece all’europeo, sapevo che la gestione sarebbe stata più difficile perché era una crono lunga e proprio per questo mi sono convinta di dover partire più piano, per avere energia nel finale. Per questo sono riuscita a gestire meglio lo sforzo.

La crono dei mondiali (gestita forse non al meglio) ha portato il bronzo in casa Venturelli, buon viatico per l’europeo
La crono dei mondiali (gestita forse non al meglio) ha portato il bronzo, buon viatico per l’europeo
Si impara molto dalle gare che si fanno?

Alla fine forse è il solo modo, soprattutto quando si perde. La volta dopo ci si ricorda di gestirsi un po’ meglio o comunque di giocarsela in modo diverso.

Perché il secondo posto nella gara su strada degli europei è stato una sorpresa?

Più che un discorso fisico, sapevo di avere la squadra giusta per arrivare davanti. Però ovviamente arrivare lì, riuscire a fare la differenza su uno strappo così corto e portare via appunto la fuga di due negli ultimi 500 metri è stato qualcosa che non mi aspettavo. Poi è andata così, però sono contenta della mia prestazione. E’ quello che ho detto a tutti: non sono andata piano io, ma è la belga (Fleur Moors, ndr) che è andata forte. Quindi sono comunque soddisfatta, non ho rimpianti.

Ai mondiali ti sei detta serena perché lo staff della nazionale continuerà a seguirti anche nel passaggio di categoria e di squadra.

Avere delle persone di riferimento, che sono sempre vicine quando serve e a cui chiedere semmai consiglio, è qualcosa di importante nella crescita. Cambiare squadra (andrà nel devo team del UAE Team ADQ, ndr) può sballare molto, magari anche cambiare preparazione. Invece di avere degli obiettivi comuni serve a organizzare la stagione e anche a sentirsi fermi mentalmente.

Dopo la gara su strada degli europei, Federica Venturelli è franata a terra, per recuperare
Dopo la gara su strada degli europei, Federica Venturelli è franata a terra, per recuperare
A livello psicologico tutte queste competizioni di altissimo livello pesano? C’è una componente di ansia, di pressione che va gestita?

Diciamo che in questi due anni ho imparato abbastanza a gestire l’ansia. Prima di questi campionati europei ero abbastanza tranquilla, più di com’era la Federica di due anni fa. Più che ansia, parlerei di tensione nell’essere sempre a tutta, sempre sotto sforzo. Non poter mai mollare di testa per la presenza di tanti appuntamenti, però ci ho quasi fatto l’abitudine. Però adesso è arrivato il momento di staccare e ricaricare le pile per i prossimi appuntamenti.

Hai mai pensato, davanti al troppo stress, di mollare tutto?

No, mai. Anche se sono sotto stress o stanca, la bici rimane qualcosa che mi fa sentire bene, quindi abbandonarlo non sarebbe una soluzione per nulla. Se anche la mettessi via, dopo un paio di giorni cambierei subito idea e mi prometterei di continuare. Dopo i momenti difficili, c’è sempre qualcosa che funge da ricompensa per gli sforzi che faccio.

Il momento di mollare, significa davvero che sacrificherai il ciclocross?

Non mi sono sentita di accantonarlo completamente, ma il programma prevede una stagione ridotta solo a un paio di mesi: dicembre e gennaio. Dopo le vacanze riprenderò ad allenarmi in vista della prima stagione da under 23 su strada, voglio farmi trovare pronta a questo grande salto. Lavorerò già anche per quello, non solo per il ciclocross, che sarà un modo per divertirmi e rimanere in forma in inverno. E anche per avere obiettivi a breve termine che mi permettano di valorizzare la preparazione che starò facendo.

Labella, Toniolli, Venturelli: per la staffetta mista giovanile, è arrivato l’oro europeo
Labella, Toniolli, Venturelli: per la staffetta mista giovanile, è arrivato l’oro europeo
In cosa consistono le tue vacanze?

Farò tre settimane senza toccare la bici. Ho iniziato con cinque giorni in montagna in provincia di Sondrio, a casa della nonna, e poi dieci giorni al mare, in Egitto, sul Mar Rosso.

E a Campodolcino un giro in bici non si fa? Magari in mountain bike?

No (ride, ndr), neanche la mountain bike. Un po’ di camminate in montagna, oggi abbiamo fatto quattro ore e mezza. Riposo dalla bici, mettiamola così. Non starò tre settimane sul divano senza fare niente, però questo stacco dalla bici serve soprattutto a livello mentale, per non stare 365 giorni all’anno facendo sempre la stessa cosa.

Stagione agli sgoccioli, come cambiano i carichi di lavoro?

28.09.2023
4 min
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Siamo a fine stagione e nel vasto campo della preparazione qualcosa inizia a cambiare. E cambia per due motivi principali. Il primo, più fisiologico, è che a fine anno ormai le condizioni tendono a livellarsi. Altrimenti se così non fosse la crescita dei valori sarebbe infinita. Il secondo motivo, è che i fisici mediamente sono più stanchi, pertanto “meno propensi alla fatica”, per dirla in modo molto spicciolo.

Di questo aspetto della preparazione autunnale ne parliamo con Giacomo Notari, coach dell’Astana Qazaqstan (in apertura foto Instagram), attualmente impegnato in Asia, per il Tour de Langkawi penultima corsa a tappe della stagione.

Giacomo Notari (classe 1988) è coach dell”Astana e ha anche un suo centro di preparazione, l’NG Training
Giacomo Notari (classe 1988) è coach dell”Astana e ha anche un suo centro di preparazione, l’NG Training
Giacomo, dunque, come cambiano i carichi di lavoro a fine stagione?

E’ una risposta ampia e difficile. Diciamo che il carico dipende soprattutto dal calendario gare dell’atleta. Dopo la Vuelta, ci sono quasi solo corse di un giorno, spesso molto fitte come quelle in Italia e in questa fase, ripeto, con l’ultimo grande Giro alle spalle, la stanchezza fisica e mentale si fa sentire. Pertanto i carichi calano un po’.

Quanto? Chiaro che ci riferiamo ad una stima e non a numeri precisi…

Io credo che diminuiscano di un 20 per cento, anche 25. Proprio perché ci sono corse di un giorno si va a ricercare la brillantezza e si è brillanti se si è freschi. E per essere freschi serve il recupero. In questa fase perciò si tende molto a sfruttare la gara e a scaricare nei giorni tra un impegno e l’altro.

Si dice, proprio in virtù della stanchezza, che i lavori più intensi vengano assimilati meno: è così? Per esempio l’altura ormai non si fa più…

Per me no, semmai questa componente dell’assimilazione è molto legata all’aspetto mentale, cioè quanto un corridore è stanco e propenso a lavorare. Perché se la testa c’è, è motivato, e chiaramente di base sta bene, il lavoro viene assimilato normalmente.

Anche in questo periodo della stagione la fase intensa dei lavori è molto importante
Anche in questo periodo della stagione la fase intensa dei lavori è molto importante
E quali sono i lavori più intensi che si fanno?

Si tende a fare qualche sessione dei classici 30”-30”, 40”-20” o 15′ in sessioni di 5′ di Vo2Max con recuperi completi. O ancora una salita lunga partendo dal medio e facendo il finale fuori soglia..

E per il resto?

Dipende anche quanto tempo si ha a disposizione tra una gara e l’altra, se si deve arrivare al Giro di Lombardia o si stacca prima. Nel caso si faccia “la classica delle foglie morte” ci sta che si facciano un paio di allenamenti lunghi, curando ancora un po’ la parte aerobica, e poi si passa a qualche lavoro di brillantezza. Ma per il resto in questa fase sono soprattutto le sgambate a tenere banco. Considerando che ci sono parecchie corse come accennato.

Dopo lo stacco estivo Lutsenko (qui primo al Memorial Pantani) ha inanellato una serie di corse di un giorno e sarà così fino a fine stagione
Dopo lo stacco estivo Lutsenko (qui primo al Memorial Pantani) ha inanellato una serie di corse di un giorno e sarà così fino a fine stagione


E invece il metodo del preparatore cambia o è sempre lo stesso? Per esempio, come inviate i programmi durante questo periodo?

Questo dipende da team a team. Noi per esempio inviamo i programmi in Pdf, come nel resto della stagione. TrainingPeaks lo utilizziamo per analizzare i file di gare e allenamenti. Quel che cambia è che rispetto ad inizio stagione il programma va rivisto più spesso, si tende a parlare molto più anche con il corridore per sentire come sta. Il programma lo devi adattare, rimodulare. E infatti nel pieno della stagione di solito inviamo programmi di due settimane, in questa fase di una sola settimana.

Rispetto al passato, in linea di massima, in questa fase si affronta l’autunno in un altro modo?

Di base direi di no, ma come è ormai noto essendo cambiato il modo di correre, oggi in allenamento, anche in questo periodo, si tende a fare più intensità. E questo perché non puoi più permetterti di andare alle corse per allenarti. Il livello è alto anche nelle gare più piccole e quindi ci devi arrivare ben preparato.

Fratelli Fisher-Black, il 2023 in prima linea come da piccoli

27.09.2023
8 min
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Il 2023 che sta facendo scorrere i titoli di coda ha mandato in scena anche i primi ruoli da protagonisti di due fratelli che arrivano da molto lontano. Quelli di Finn e Niamh Fisher-Black sono copioni ancora agli albori per farne diventare un colossal, ma intanto quest’anno si sono tolti entrambi la soddisfazione di essere protagonisti per un giorno, tagliando il traguardo in solitaria per la loro prima vittoria da pro’.

I due Fisher-Black sono figli del nuovo millennio (Niamh è del 2000, Finn più giovane di un anno) ma soprattutto sono figli di un mondo agli antipodi dal nostro. Nascono in Nuova Zelanda poi crescono corridori in Europa, dove stanno trovando l’affermazione. Tra aprile e giugno – nello spazio di 70 giorni – hanno timbrato il proprio cartellino. Finn, forse un po’ a sorpresa, ha conquistato la prima tappa del Giro di Sicilia illuminando la Valle dei Templi di Agrigento con una stoccata da perfetto finisseur. Niamh ha replicato al fratello due mesi dopo cogliendo la quarta frazione del Tour de Suisse sulle alte colline di Ebnat-Kappel grazie ad un allungo poderoso negli ultimi metri di gara. Tuttavia il loro nome non è una novità nel panorama internazionale. Anche se Niamh l’abbiamo conosciuta da vicino al Giro Donne 2022, abbiamo provato a ripercorrere il percorso dei due giovani neozelandesi.

Le prime pedalate da rivali

I fratelli Fisher-Black hanno iniziato a pedalare molto giovani in sella ad una Mtb disputando gare su una pista di cemento di cinquecento metri che circondava un campo da rugby (sport nazionale) nella loro città natale di Nelson, a nord dell’Isola del Sud della Nuova Zelanda. Finn fu il primo a partecipare e Niamh riavvolge il nastro della memoria.

«Ero un po’ spaventata per correre – ricorda la sorella – quindi ho preferito guardare la sua corsa. Quando però ho visto che aveva vinto una sorta di medaglia sono stata un po’ invidiosa e così mi sono detta che la settimana dopo avrei corso anch’io. A quel punto non ho potuto più tornare indietro nella decisione. La competizione fra fratelli può creare dipendenza e abbiamo scoperto che potevamo esserlo fra noi, migliorandoci. All’epoca volevo ottenere un premio prima di lui o addirittura batterlo. In pratica questo è ciò che ci ha motivato col passare degli anni».

Finn e Niamh (che si pronuncia “Niif”) sono molto legati anche se si vedono poco durante la stagione (foto instagram)
Finn e Niamh (che si pronuncia “Niif”) sono molto legati anche se si vedono poco durante la stagione (foto instagram)

«E’ verissimo ciò che racconta lei – le fa eco Finn sorridendo – qualunque cosa facesse lei, io avrei voluta farla meglio. E’ stato fantastico perché ci spingevamo davvero a vicenda cercando di essere uno migliore dell’altra. Niamh per un breve periodo è stata più veloce di me però so che lei ricorda poco volentieri il periodo in cui ho iniziato ad essere più forte io. Lei dice che era frustrante ma abbiamo imparato da giovanissimi che lavorando assieme in gara potevamo avere la meglio sugli avversari. Oggi mi sento di dire che la nostra rivalità da bambini si è trasformata in rispetto e sostegno reciproci».

Ammirazione fraterna

La storia di Niamh e Finn Fisher-Black è simile a quella di tanti fratelli che gareggiano e vincono nel medesimo sport. Adesso sono atleti di formazioni al top che credono fortemente in loro. Niamh corre per la SD-Worx, Finn per la UAE Emirates. Entrambi sono in rampa di lancio e l’uno è orgoglioso dell’altra quando arrivano i grandi risultati.

«Ho sempre ammirato il mio fratellino (come lo chiama confidenzialmente ancora oggi, ndr) – dice Niamh – ed anche se sono io ad aver vinto il primo titolo internazionale su strada prima di lui (il mondiale U23 a Wollongong nel 2022, ndr), gli chiedo sempre consigli. In verità è lui quello che è sempre stato bravo a vincere le gare. Gliel’ho visto fare in tante corse, perché lo guardo sempre se non sono alle corse anch’io. Però è anche vero che Finn spesso mi fa domande. Anche questo nostro continuo confronto è un vantaggio per le nostre rispettive carriere».

«Durante l’anno – prosegue la sorella – siamo entrambi molto lontano da casa. Se attraverso un momento difficile oppure ho nostalgia della nostra terra, so che lui capisce quella sensazione. E’ bello avere qualcuno con cui relazionarsi e quindi tirarsi su di morale».

«Mia sorella – ribatte Finn virando l’argomento sul piano tecnico – è una persona che si adatta bene alle giornate difficili in corsa e alle gare a tappe. I suoi progressi in queste gare sono evidenti. Benché fisicamente sia piuttosto minuta, l’esatto contrario mio (Niamh è alta 1,60 metri, Finn invece 1,90, ndr), è un’atleta molto potente e forse più di una semplice scalatrice».

Finn “olandese”

Ben prima del titolo iridato di Niamh nel 2022, Finn era stato campione del mondo juniores nell’inseguimento a squadre ad Aigle nel 2018. La Nuova Zelanda d’altronde è sempre stata una Nazione con grande tradizione in pista. E’ stato però nel 2020 che hanno vissuto un paio di giorni di festa assieme. Finn vince il campionato nazionale U23 a crono, Niamh centra il titolo elite su strada.

«E’ stato davvero speciale – racconta il fratello – perché ricordo di aver tagliato il traguardo ed aver sentito che anche Niamh aveva vinto. Entrambi eravamo al nostro primo anno in Europa. Io ero stato preso dal Devo Team della Jumbo-Visma, lei dalla Bigla. Quindi è stato bello conquistare e indossare le maglie nazionali durante quella stagione».

«Personalmente – continua Finn – anche in pista ho passato belle giornate. Come quando ho battuto il record mondiale juniores dell’inseguimento individuale ai campionati neozelandesi nel 2019. Quella mattina non me lo sarei mai aspettato. E’ stato proprio quel risultato a dare una svolta alla mia carriera visto che un mese dopo ero su un aereo per andare a correre in Europa».

Fu preso infatti dal team Willebrord Vil Vooruit, una sorta di vivaio antesignano del Devo Team Jumbo-Visma, dove alcuni suoi compagni furono Kooij, Tulett, Van Sintmaartensdijk.

Niamh globetrotter

Nel 2019 anche Niamh era su quel volo primaverile verso l’Europa. Lei lasciava il Team Mike Greer Homes con cui comunque aveva corso il Thuringen Tour, mentre Finn salutava il Team Skoda Racing. La destinazione della sorella era la Bigla Pro Cycling, con cui farà l’esordio al Giro delle Marche vinto da Paladin su Cavalli. L’anno successivo un altro debutto “italiano”, quello in una gara WorldTour alle Strade Bianche.

«Sono stati anni importanti quelli – spiega Niamh – nonostante di mezzo ci sia stato il Covid. Correndo in Europa con la mia squadra neozelandese mi sono fatta vedere dalla Bigla, con la quale mi sono messa in mostra fino a guadagnarmi la chiamata dalla SD Worx nel 2021. E’ stato un sogno per me correre assieme ad una super campionessa come Anna Van der Breggen, che oggi è la mia diesse. Quell’anno ho avuto le mie possibilità, e le sto avendo tuttora, fino ad arrivare ad indossare le maglie di leader in una corsa WorldTour come la Vuelta a Burgos».

«Non capita spesso – chiude Niamh – di poter vincere un mondiale, così come giocarsi le proprie carte in una gara importante come il Giro Donne (dove ha vinto la classifica giovani nel 2021 e 2002, ndr). Non lo avevo mai fatto prima ma lavorare con questo tipo di pressione addosso mi ha aperto gli occhi su una parte nuova di me nel ciclismo. Mi piace decisamente quel tipo di pressione. I miei obiettivi restano le classiche delle Ardenne e la generale nei grandi giri. Spero di crescere di livello ogni giorno che passa».

Il resto è storia dei giorni nostri. Finn ha dato seguito al centro in Sicilia disputando una bella Vuelta e sfiorando la vittoria nella sedicesima tappa, battuto solo dal suo amico ed ex compagno Vingegaard. Le sue caratteristiche sono adatte per le classiche mosse ed il suo nome è da segnare per i prossimi anni. Niamh, anche grazie al supporto di Cecchini, sta studiando da leader e quello al Tour de Suisse è il successo che ci voleva per consapevolizzarla ancora di più.

Van Der Meulen: tappa al CTF e il 2025 alla Bahrain

27.09.2023
5 min
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Renzo Boscolo sotto questo sole d’autunno, che colora tutto di arancione, corre da una parte all’altra. Riunioni, decisioni, progetti e tanto altro bolle in pentola in casa CTF Friuli: novità che rendono frenetico questo finale di stagione.

«Quello che stiamo decidendo in questi giorni – racconta Boscolo in uno dei brevi momenti di pausa – è tutto in vista del 2024. L’attività del 2023 va avanti da sola fino a metà ottobre e terminerà così come sta andando. Per il futuro abbiamo parecchie idee e un po’ di cose da guardare, vogliamo fare un altro significativo passo in avanti».

Max Van Der Meulen ha corso negli juniores con la Willebrord Wil Vooruit (foto DirectVelo)
Max Van Der Meulen ha corso negli juniores con la Willebrord Wil Vooruit (foto DirectVelo)

Arrivo dall’Olanda

Una novità, proprio in vista della stagione 2024, è l’arrivo al CTF Friuli del corridore olandese Max Van Der Meulen. Il giovane, classe 2004 ha corso quest’anno con il Development Team della DSM-Firmenich. Van Der Meulen nel 2024 farà un passaggio al CTF Friuli, per poi andare in Bahrain Victorious nel 2025. Un percorso simile a quello fatto da Alberto Bruttomesso. 

«E’ un grande prospetto – ci dice Boscolo – da junior ha avuto un ruolino di marcia davvero impressionante. Ha vinto tre corse a tappe, tra cui due appuntamenti di Nations Cup, La Classique des Alpes Junior e poi è arrivato quarto al Giro delle Fiandre. E’ un ragazzo che arriva dal progetto Bahrain, una cosa che stanno facendo già altri atleti. Lui ha già il contratto con il team WorldTour ma ha bisogno di un anno intermedio, di ulteriore apprendimento e formazione».

Ha vinto tante corse importanti, tra cui la Classique des Alpes Juniors (foto DirectVelo)
Ha vinto tante corse importanti, tra cui la Classique des Alpes Juniors (foto DirectVelo)

Legame continuo

Tra CTF Friuli e Bahrain Victorious c’è un legame continuo che porta tanti ragazzi a fare questo passaggio. D’altronde la continental friulana ha dimostrato di saper lavorare bene con i giovani fin da subito. Questo è semplicemente un continuo di questo percorso. 

«Tra noi e la Bahrain – spiega ancora Boscolo – c’è un legame continuo e un passaggio di informazioni costante. Fusaz è il nostro collante tra noi e loro, ha un ottimo occhio per vedere le opportunità future, ovvero corridori della categoria inferiore (juniores, ndr) che hanno prospettive di crescita importanti.

«Nel caso di Van Der Meulen – prosegue – l’interesse della Bahrain era noto da tempo, poi il ragazzo ha corso nel Devo Team della DSM, ma qualcosa non ha funzionato. Rispetto ai suoi risultati da junior non ha performato quanto ci si potesse aspettare. Il ragazzo arrivava da un team juniores di grande tradizione: il Willebrord Wil Vooruit, che ha formato corridori come Dylan Groenewegen e Niky Terpstra. Non sempre nelle squadre devo i corridori trovano la loro giusta dimensione».

Il passaggio al Development Team DSM-Firmenich non è andato come sperato (foto DirectVelo)
Il passaggio al Development Team DSM-Firmenich non è andato come sperato (foto DirectVelo)

Più autonomia

Il CTF Friuli rimane una squadra fedele alle proprie idee e con un accordo con un team WorldTour, ma non è un Devo Team. Quella dei friulani è una scelta che permette anche di salvaguardare la propria identità.

«Ho letto la vostra intervista ad Axel Merckx – dice Boscolo – e condivido pienamente le sue parole. Lui con la sua Hagens Berman ha effettuato la nostra stessa scelta, che per noi si è rivelata vincente e positiva. Secondo me le nostre due squadre (CTF e Hagens Berman, ndr) hanno la stessa idea, ovvero che i team continental devono essere un’accademia per far crescere i giovani corridori.

«Un esempio – spiega nuovamente – è quello che abbiamo fatto con Bruttomesso, che per certi versi può anticipare quello che farà Van Der Meulen. Se si guarda ai numeri Bruttomesso ha vinto di meno, ma se si guarda alla prestazioni è cresciuto tantissimo. Ha corso molte gare a tappe, portandole tutte a termine e conquistando almeno un podio in qualche tappa. E’ un corridore più resistente, questa formazione è quella che ci chiede la Bahrain. In realtà è ciò che abbiamo sempre fatto anche quando non lavoravamo con loro: i fratelli Bais, Milan e Pietrobon ne sono degli esempi. 

Uno sprazzo di talento è arrivato alla Parigi-Roubaix U23, conclusa al sesto posto (foto DirectVelo)
Uno sprazzo di talento è arrivato alla Parigi-Roubaix U23, conclusa al sesto posto (foto DirectVelo)

Progetti e crescita

Cosa aspettarsi l’anno prossimo da Van Der Meulen è una domanda che non ha risposta, però si può capire il percorso che il ragazzo deve fare e quali punti migliorare per arrivare pronto al mondo dei professionisti. 

«La prima cosa – riprende Boscolo – è stata vedere i suoi valori ed il suo storico, poi più avanti faremo un progetto più approfondito. Verrà da noi nei nostri laboratori e capiremo tutto quello che dovremo fare con lui e in che campi migliorare. Probabilmente, guardandolo da fuori, dovremo lavorare sulla personalità e sulla stabilità delle prestazioni. E’ una cosa che abbiamo notato quest’anno con Bruttomesso e gli altri ragazzi, lui è partito da gare nazionali per poi aumentare sempre di più il livello. Infatti, non è un caso che a fine stagione abbia corso contro corridori del WorldTour facendo bene».

Il CTF Friuli ha corso tanto anche al Nord, su percorsi dove Van Der Meulen ha già fatto vedere cose promettenti fin dagli juniores. 

«E’ vero – conclude il diesse – tra Alsace, Gent-Wevelgem e Youngster Coster Challenge abbiamo messo piede parecchio al Nord. Noi cerchiamo di avere un ventaglio di corse che permette ai nostri ragazzi di misurarsi con i più forti e di crescere. Un’altra importante responsabilità ce l’hanno le varie nazionali di riferimento, perché tanti appuntamenti come le tappe di Nations Cup e il Tour de l’Avenir sono fondamentali per i corridori».

Viviani ha ancora fame: prima di Parigi, vuole il Giro

27.09.2023
7 min
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La vittoria è tornata un anno dopo. L’ultima volta per Elia Viviani era stata ugualmente alla CRO Race, sul traguardo di Zagabria nel 2022. Nel mezzo, una stagione da 55 giorni di corsa (più la pista), che hanno dipinto del veronese un ritratto di luci e ombre, a metà fra l’ambizione che resta alta e la necessità di incastrarsi in un programma che non sempre ha avuto la forma da lui desiderata.

Il 7 febbraio, le candeline sulla torta sono state 34 e per la prima volta Viviani ha festeggiato il compleanno da uomo sposato. Tutto nella sua storia di uomo e di atleta fa pensare a una dimensione ormai stabile, con il prossimo obiettivo olimpico al centro di una carriera che di medaglie olimpiche ne ha già due, accanto alle 88 vittorie su strada. Eppure la sensazione è che nei suoi occhi ci sia ancora l’inquietudine di chi ha altro da dimostrare.

Ieri a Sinj, prima tappa della CRO Race, Viviani ha vinto la prima del 2023. Non esultava dalla CRO Race 2022
Ieri alla CRO Race, Viviani ha vinto la prima del 2023. Non esultava dalla stessa corsa del 2022
Partiamo da ieri, che effetto fa vincere dopo un anno di digiuno? 

Quando vinci a settembre, un po’ di paura di passare l’anno a digiuno ti viene. Sapevo che era un buon periodo, perché guardando indietro dopo qualche anno sono tornato competitivo ad Amburgo e Plouay. Insomma, erano segnali sul fatto di essere in condizione e competitivo con gli altri. Questo era già un bel punto per me, con il programma di fine stagione che potrebbe permettermi di risollevare il bilancio. Adesso c’è il Croazia e mi hanno aggiunto il Gree-Tour of Guanxi, in Cina, perché evidentemente la squadra vede delle possibilità per me.

Neppure quest’anno hai corso un grande Giro: in qualche misura questo ha inciso sulle prestazioni e sui risultati?

Sono due anni che non ne faccio, un po’ conta. Al Giro, Cavendish ha dimostrato di aver saputo vincere una tappa e per giunta quella di Roma. Saltare una grande corsa a tappe ti fa mancare qualcosa a livello fisico, ma ti toglie anche delle belle occasioni, che i corridori con qualche anno di corsa nelle gambe riescono a cogliere. Le cose sono due. Può esserci un dominatore e allora le vince tutte lui. Oppure c’è il momento in cui le volate non sono più così caotiche e i corridoi che le fanno sono quei 4-5 che sono arrivati in fondo e quelle diventano occasioni per centrare vittorie prestigiose.

Ai mondiali hai detto di voler fare più corse in pista. Questo significa che nel 2024 la strada sarà in secondo piano?

Il punto di quello che ho detto al mondiale riguardava il fatto tattico. Mi sono reso conto che faccio tanti errori nelle prove di gruppo. E’ vero che con le gambe puoi raddrizzare un buon omnium nella corsa a punti finale. Però è vero che se lasci troppi punti per strada, puoi lottare per una medaglia arrivando da dietro. Oppure, come è successo a me quest’anno, magari non la prendi. Quindi non si tratta di un fatto di preparazione, perché ormai abbiamo un buon sistema per arrivare pronti alle gare. Invece devo correre per leggere meglio i movimenti, gli attacchi, questi aspetti qua.

Glasgow, mondiali pista. Viviani si avvia al bronzo dell’eliminazione: la bici gliela porta Bettiol
Glasgow, mondiali pista. Viviani si avvia al bronzo dell’eliminazione: la bici gliela porta Bettiol
Andranno bene le Sei Giorni?

No, in realtà. Le Sei Giorni danno la gamba, ma si fanno prove diverse. Devo correre degli omnium, per cui stiamo guardando qualche gara di Classe 1, come quella di Grenchen a dicembre. E poi probabilmente nell’anno olimpico, per me sarà meglio fare tutte le Coppe del mondo e le gare di livello per arrivare bene a Parigi. L’obiettivo è arrivare pronto per la stagione su strada e quella su pista, fra marzo e aprile.

Ti aspetta un inverno molto intenso?

Finendo tardi e con la previsione di cominciare presto, l’inverno passa veloce. Torno dalla Cina il 18 ottobre. Probabilmente ridurrò lo stacco, perché ho visto che con gli anni le quattro settimane cominciano a essere troppe da ricostruire. Per cui ne farò due senza far niente, ma già nella terza qualcosina riprenderò. Quindi sarà un inverno corto, mettiamola così.

Sfogliando l’album delle tue foto, ultimamente sono più quelle in maglia azzurra che in maglia Ineos: come mai?

La verità è che anche agli europei, c’è stato un gruppo che ha girato bene. Tra le nazionali di pista e strada riesco sempre a dare qualcosa in più, a trovare me stesso. Qualcuno dice anche che essere andato all’europeo mi ha permesso di vincere subito qua al Croazia. Forse è vero. Vestire la maglia azzurra è speciale e quando non si portano risultati, anche se hai corso bene come domenica, ci rimaniamo male anche noi. La maglia azzurra è sempre stata qualcosa di speciale per me, una seconda squadra. Quando ho bisogno di correre, come è successo al Matteotti, so che posso chiamare e loro sono pronti. Questo per me è una certezza.

Agli europei di Drenthe, per spiegazione di Bennati, Viviani ha corso come riferimento per Ganna
Agli europei di Drenthe, per spiegazione di Bennati, Viviani ha corso come riferimento per Ganna
Sei stato con Villa l’artefice del rilancio della pista, sei andato agli europei per supportare Ganna. ti senti un po’ il… papà del gruppo azzurro?

Un po’ sì. Ho visto ragazzi con cui durante la stagione non ho tanto a che fare, come Mozzato e Sobrero, che apprezzavano che io fossi lì. Abbiamo parlato tanto: della stagione, di qualche gara, di diversi aspetti. Non solo Pippo, che è come un fratello, ma anche gli altri. Mi ha fatto piacere vedere che erano contenti, che in quei tre giorni di ritiro hanno cercato di prendere qualcosa da me. E’ bello essere un punto di riferimento, far capire cosa vuol dire vestire la maglia azzurra ed essere tutti per uno. Perché comunque per essere convocato fai dei risultati, quindi è normale che l’ambizione personale ce l’abbiamo tutti. Eppure in quei giorni tutti devono essere a disposizione di uno o due. Ovvio che non sia facile, quindi è una cosa che mi rende orgoglioso.

I giovani ascoltano?

Non sono così rari quelli che lo fanno, ma non sono neanche tanti. Alcuni arrivano e sono loro a spiegarti come vanno le cose. Non ricevono molto, forse non gli interessa. Invece ci sono delle eccezioni e mi fa piacere vederle anche in squadra. Tarling ad esempio è uno di quelli curiosi, vuole imparare, è un bambinone. Ad altri non interessa.

Hai parlato delle tue ambizioni. Dopo gli anni d’oro alla Quick Step alla Cofidis non ha funzionato e sembra che tu le abbia riposte da qualche parte. Non vorresti più un Morkov a tirarti le volate?

Ho provato a prendere Morkov fino a pochi giorni fa, l’ambizione c’è assolutamente. La questione è che è tutta una catena. Vincere fa ritrovare confidenza a me, ma fa anche capire al team e ai corridori che sono con me che valgo ancora un aiuto. Vincere significa che so ancora fare il mio e questo porta ad aumentare gli obiettivi. Se il prossimo anno parto dall’Australia, dalla corsa di Cadel Evans che per me è sempre stata una bella gara, potrei già avere un cerchiolino rosso a inizio stagione. E da lì, è tutta una catena che ti porta a puntare più in alto. Come Amburgo…

Sui social, Viviani ha commentato il tanto tempo dall’ultima vittoria. Intanto è salito a quota 88
Sui social, Viviani ha commentato il tanto tempo dall’ultima vittoria. Intanto è salito a quota 88
Non ti ha stupito?

Per tanti è stata una sorpresa, ma non per me. Per me Amburgo era un obiettivo, così pure Plouay, che mi sono sempre piaciute. Plouay era un po’ proibitiva con 4.000 metri di dislivello, eppure sono arrivato nei dieci. E’ stato un segnale. Quindi le ambizioni ci sono e sono alte. Devo essere sicuro di avere un buon programma. Vorrei assolutamente essere al Giro d’Italia, per me è importante anche per Parigi. Prima delle Olimpiadi ho sempre fatto il Giro e so che è qualcosa in più a livello fisico. Ma non lo farei solo per Parigi, ma anche perché mi manca correre una corsa a tappe di tre settimane, sia fisicamente che come ambizione. Vincere al Giro sarebbe qualcosa di più speciale ancora.

Forse in questa nuova Ineos, che non si capisce quale mercato stia facendo, potrebbero aprirsi un po’ di spazi anche per il velocista al Giro, no?

Sicuramente la Ineos Grenadiers è in un momento di costruzione e il lavoro è incentrato sul cercare l’uomo che vince il Tour. L’obiettivo rimane quello di qualche anno fa, quindi andare al Tour con i migliori e provare a vincere. Riuscirci è una questione abbastanza complicata, per cui se si decide di andare in Francia con tutti i più forti, al Giro più che alla Vuelta ci sarà spazio per il velocista. In Spagna si va con il pieno di scalatori per correre ai ripari. Sì, sono convinto, il Giro per me sarebbe l’opportunità migliore.

Amadori tra l’europeo amaro e le prospettive per il 2024

27.09.2023
5 min
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L’europeo di Drenthe è ormai alle spalle, ma la rassegna continentale spostata a fine settembre ha dimostrato una volta di più come il calendario internazionale sia davvero lunghissimo, forse troppo. Un concetto che viene spesso ripetuto per le ragazze, ma se guardiamo a quanto avviene per i giovani, lo stridere è ancora più forte, basti pensare agli junior che abbinano l’attività su strada a quella su pista.

Il problema è emerso ad esempio guardando la prova degli under 23: era evidente nel finale come gli azzurri (ma anche altre squadre hanno evidenziato lo stesso problema) fossero con le energie ridotte al lumicino e anzi aver piazzato due elementi nei primi 10 (7° Busatto, 9° De Pretto) è già motivo per sorridere. Il cittì Amadori nel suo bilancio parte proprio da questa considerazione, fattagli presente da molti addetti ai lavori subito dopo la conclusione della gara olandese.

Per Marino Amadori una stagione positiva, con la perla della vittoria nella Nations Cup
Per Marino Amadori una stagione positiva, con la perla della vittoria nella Nations Cup

«Le corse sono tante – spiega Amadori – soprattutto abbinando il calendario nazionale a quello internazionale. I ragazzi assommano numeri di giornate di corsa che non hanno nulla da invidiare ai professionisti. La differenza la fa la programmazione: noi abbiamo cercato di lavorare in tal senso, senza così invadere il campo ai team. Nel complesso ha funzionato, poi non tutto può andare perfettamente».

Le gare internazionali dimostrano che c’è ormai un plurilivello nella categoria, con chi è nei team Devo che ha un motore diverso dagli altri.

Vero, ma secondo me la differenziazione è ancora maggiore, perché chi corre più spesso fra i professionisti è ancora più avvantaggiato. Noi come nazionale, con il fondamentale ausilio della Federazione, abbiamo cercato di colmare questo gap il più possibile, ma il nostro impegno non basta. Busatto, tanto per fare un esempio, prima dell’europeo ha fatto ben 6 gare in 8 giorni, tra Francia e Italia, è chiaro che alla lunga il serbatoio di energie si è svuotato.

Per Busatto, qui al Trofeo Matteotti, un surplus di gare che ha pesato sulla prova continentale
Per Busatto, qui al Trofeo Matteotti, un surplus di gare che ha pesato sulla prova continentale
Secondo te quindi c’è un diverso livello anche fra chi fa attività internazionale?

Sicuramente. Chi è arrivato secondo all’europeo di categoria, lo spagnolo Ivan Romeo è a tutti gli effetti un corridore della Movistar, che ha fatto tutta la stagione nelle gare professionistiche, dal Fiandre alla Roubaix, dal Romandia alla Clasica di San Sebastian. E come lui altri, non dimentichiamo poi che nella gara elite terzo e quarto (l’olandese Kooij e il belga De Lie, ndr) avrebbero potuto per età competere nella categoria inferiore.

Questo cosa significa?

Che i regolamenti dell’Uci hanno determinato degli scalini nella stessa categoria che fanno confusione e non ci dovrebbero essere. Una volta c’era un vincolo: se fai gare WorldTour non puoi competere nelle prove di categoria, titolate o meno. Ora questa differenza non c’è più e gli atleti scelgono dove partecipare, ma questo non è un bene.

Il gruppo azzurro a Hoogeveen. Il cittì azzurro ha rilevato qualche errore di strategia
Il gruppo azzurro a Hoogeveen. Il cittì azzurro ha rilevato qualche errore di strategia
Dopo l’europeo che bilancio trai dalla stagione?

C’è stato un innalzamento del nostro livello, questo è indubbio e il fatto di aver vinto la Nations Cup davanti alla Francia lo dimostra. Noi abbiamo fatto un’attenta programmazione per preparare gli eventi dell’estate, programmando tre settimane di altura, lavorando con molto profitto al Tour de l’Avenir con il podio di Piganzoli e Pellizzari, i mondiali del trionfo di Milesi nella cronometro e la sua bellissima prestazione anche in linea. L’amaro in bocca mi è rimasto solo per l’europeo.

Perché?

Direi che qualche errore nella condotta tattica della corsa c’è stato, ma anche quello è dettato proprio dalla stanchezza, fisica e forse ancor di più mentale. Ma un episodio ci può anche stare, non inficia una stagione che è stata davvero buona.

Un buon 9° posto finale per Davide De Pretto, anche lui ha pagato la lunghezza della stagione

Un buon 9° posto finale per Davide De Pretto, anche lui ha pagato la lunghezza della stagione
Come interpreti il fatto che sempre più ragazzi approdano nei team Devo?

Significa che in Italia si lavora ancora bene alla base, ma mancano passaggi fondamentali. Per i ragazzi, tanti che hanno fatto questo salto non solo ciclistico ma di vita e cultura, quello è il riferimento, la possibilità di correre al fianco dei professionisti, avere una preparazione come la loro, acquisire quella mentalità. Sono tutti strumenti decisivi per avere un futuro. Il livello si è alzato, resta solo quel problema di cui accennavo prima, un mischiume regolamentare del quale i ragazzi pagano poi il prezzo.

Molti ora faranno il salto, non solo in base all’età ma anche alle scelte approdando direttamente fra i “grandi”. Molti però arrivano anche dagli juniores…

Infatti in questi giorni sto continuando a girare, per assistere ad alcune classiche come Ruota d’Oro, Piccolo Lombardia, Trofeo San Daniele. Voglio parlare con le società e vedere i ragazzi più interessanti con i miei stessi occhi, in modo da fare una prima rosa di elementi sui quali contare per il prossimo anno, per inserirli in un contesto adeguato, considerando, come giustamente si diceva, che alcuni faranno già il salto fra i pro. L’importante è comunque avere un ampio spettro di corridori per programmare la stagione 2024 e continuare in questo cammino di crescita.

Qual è la vera dimensione di Hirschi? Risponde Marcato

27.09.2023
5 min
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Marc Hirschi è tra i plurivittoriosi dell’anno. Lo svizzero della UAE Emirates si sta rendendo autore di una stagione a dir poco positiva. Non ultimi i successi alla Coppa Sabatini e al Giro del Lussemburgo. Tuttavia nelle grandi corse non riesce a primeggiare. Il suo ultimo successo nel WorldTour risale al 2020, una tappa del Tour de France.

E dire che Marc era arrivato a giocarsi i mondiali. Ha vinto anche una Freccia Vallone. Come da nostra abitudine, per saperne di più abbiamo coinvolto Marco Marcato, direttore sportivo della squadra araba, che lo ha diretto anche nella breve corsa a tappe lussemburghese.

Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco, partiamo da questo 2023 di Hirschi…

Direi una stagione positiva. E’ un po’ tutto l’anno che ogni corsa che fa parte per vincere. E ci riesce o ci va vicino, come un cecchino. Nelle gare dove ha la possibilità di fare la corsa, difficilmente sbaglia.

E’ il miglior Hirschi?

Lo abbiamo gestito bene, mi sento di dire. E’ questa la strada per il miglior Hirschi. Lo scorso anno aveva subito questo intervento all’anca nella prima parte di stagione. Era rientrato alla Per Sempre Alfredo e l’aveva vinta. Però nelle corse WorldTour faceva più fatica.

Ora va meglio?

Sì, ora va meglio. Lo scorso anno fu convocato all’ultimo minuto per il Tour, in sostituzione di Trentin e non ci arrivò bene. Soffrì. Non era in condizione e quel Tour non gli ha permesso di esprimersi al top nel finale di stagione, nonostante abbia poi vinto l’ultima corsa dell’anno, la Veneto Classic. Ha dimostrato il suo valore nelle corse di un giorno e anche nelle brevi corse a tappe. E i risultati si vedono: sette vittorie solo quest’anno.

Vi aspettavate questa vittoria in Lussemburgo?

Hirschi aveva corso tanto e qualche dubbio ce l’avevamo anche noi. Sapete, a questi livelli quando sei un po’ stanco, una settimana voli, quella dopo non sei più brillantissimo. Lui invece ha colto il risultato pieno.

Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Lussemburgo, Peccioli, Appennino… ma è questa la dimensione di Hirschi?

Marc, come ho detto, è arrivato da noi con questo problema all’anca che si portava dietro da un po’. E in tutta la passata stagione piano, piano è tornato ai suoi livelli. Quest’anno c’è stata una conferma. Un miglioramento. E’ un corridore di primo piano.

Ci rendiamo conto che ci sono anche tanti campioni in UAE, questo gli complica le cose?

Logico che considerando i campioni che abbiamo, se lo porti a un Tour de France difficilmente troverà lo spazio per vincere una tappa o per fare la sua corsa. Ad un vincente come Marc devi dare le sue opportunità. Altrimenti lo perdi. E il corridore perde il suo istinto. Guardando all’anno prossimo, l’idea era di fargli fare queste gare che ha fatto, prendere sicurezza. E credo ne sia soddisfatto.

Letta in quest’ottica non fargli fare il grande Giro è stata una tutela nei suoi confronti dunque?

Noi abbiamo tanti campioni e dovevamo trovare appunto il modo di tutelarlo e al tempo stesso di dargli le sue possibilità ed essere protagonista. Il calendario internazionale non è fatto solo di Grand Tour ma di tante corse e questo ha consentito a Marc e alla squadra di raccogliere tanti punti. Quindi direi di sì: l’assenza di un GT lo ha tutelato.

Un calendario ad hoc dunque, basato su corse “minori”. Lui lo ha accettato?

Sì, sì…ha appoggiato la nostra scelta lo scorso inverno. Marc è un ragazzo intelligente. E’ consapevole e ha sposato questa linea. Una linea che ha dato ragione a tutti: sette vittorie, tra cui il titolo nazionale, e una classifica UCI che lo vede tra i top corridori al mondo.

Grande classe e potenza per lo svizzero
Grande classe e potenza per lo svizzero
Un Hirschi che torna Hirschi fa sì che vi ritroviate un altro capitano per le classiche del Nord?

Assolutamente sì, Marc va bene in quelle gare, soprattutto per quelle delle Ardenne. Può essere una seconda punta di tutto rispetto.

E per un Fiandre?

Lui è leggero, corre bene ma dipende dalla corsa che viene fuori. Meglio su percorsi come Amstel, Freccia e Liegi… il Fiandre sarebbe più un rischio mettiamola così.

Qual è l’obiettivo da qui a fine stagione per Hirschi? Ha molte gare in programma…

La sua voglia di correre è alta. Ed è alta proprio perché è motivato. A fine stagione il 50 per cento del gruppo non ha più voglia, tra chi guarda già alla stagione successiva e chi è davvero stanco, pertanto spesso è la motivazione a fare la differenza. Marc ha vinto, il suo morale è alto e ci sono parecchie corse adatte a lui.

Quindi si punta anche al Lombardia? Tanto più quest’anno che il finale non è durissimo e lui è veloce?

Non è certa la sua partecipazione, però è un tracciato che gli si addice. Di contro il tanto dislivello e le salite lunghe potrebbero svantaggiarlo, specie guardando la starting list. Ci sono tanti scalatori di primo ordine che potrebbero avere qualcosa in più di lui.

Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Ma lui lo vorrebbe fare questo Lombardia?

Conosce i suoi limiti, i suoi valori e dove può arrivare. Sa che per un Lombardia è al limite. Stiamo valutando la formazione, cosa che a fine stagione non è mai facile: bisogna fare la conta delle energie. Se dovessimo portare anche Adam Yates, allora potremmo dare la priorità ad un altro corridore che lavori per Tadej e Adam.

A proposito di Tadej, a Peccioli abbiamo visto un buon feeling con Pogacar, che tipo è Hirschi con i compagni?

Va d’accordo con tutti. E’ ben voluto e sa stare in gruppo. Ride e scherza. Da fuori può sembrare di poche parole, ma a tavola la battuta non gli manca. E’ un uomo squadra.

Alla Vuelta sboccia Groves che un po’ ricorda Greipel

26.09.2023
5 min
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Con tre tappe vinte alla Vuelta e in precedenza quella di Salerno al Giro d’Italia, Kaden Groves è stato la rivelazione dei velocisti del 2023 o quantomeno una delle voci emergenti cui prestare più attenzione. Quello che sembra interessante (e che la corsa spagnola ha amplificato) è stata la sua tenuta sui percorsi più duri. Siamo certi, si sono chiesti alla Alpecin-Deceuninck, che questo australiano sia soltanto uno sprinter?

«Non ho ancora capito del tutto che tipo di corridore sono. I miei migliori risultati arrivano dagli sprint di gruppo dopo tappe difficili e collinari, quindi mi considero un velocista che può sopravvivere a un certo tipo di salite».

A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna
A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna

Velocista atipico

Queste parole profetiche, Groves le pronunciò nel 2019 alla fine del suo percorso fra gli under 23, dopo aver fatto tappa nella Seg Academy Racing e da lì aver spiccato il volo verso il WorldTour con la maglia della Mitchelton-Scott. «Non c’è dubbio – ricorda oggi – che il 2019 sia stato un punto di svolta, con due tappe al Triptyque des Ardennes e altre due al Circuit des Ardennes».

Vinse anche una tappa alla Ronde de l’Isard e si piazzò nei dieci alla Liegi U23. In Australia, dove è nato il 23 dicembre del 1998, era un corridore già molto apprezzato, ma dopo la prima stagione completa in Europa, è stato chiaro che la sua caratura fosse da scoprire.

«La sua seconda vittoria al Catalogna – ha raccontato di recente il suo diesse Gianni Meersman – comprendeva una salita di quasi otto chilometri, al sette per cento. Dei 150 corridori al via, ne erano rimasti in testa circa cinquanta. Non c’erano più velocisti in giro. Kaden era lì in mezzo a corridori che pesavano meno di 65 chili. E bastava guardare le sue gambe per capire che lui fosse ben più pesante (Groves è alto 1,76 e pesa 70 chili, ndr)».

La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde
La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde

Australiano con la valigia

Il ragazzo che iniziò ad andare in bici per guarire dai danni di un infortunio nel motocross, fece il salto di qualità decisivo quando prese coraggio e decise di spostarsi in Europa. 

«Venire a vivere in Spagna – ha raccontato dopo l’ultima tappa della Vuelta – è stato un grande passo, reso più semplice grazie al supporto e agli amici che mi sono fatto nel gruppo. A Girona ho trovato strade strette e un clima più rigido. Correre in Australia è meno aggressivo, ma quando sono in Spagna e non corro, riesco a divertirmi. Ed essendoci intorno anche altri corridori australiani, mi sembra di essere quasi a casa.

«Mi hanno detto che sono il primo australiano a vincere la maglia verde alla Vuelta e questo significa molto per me. Dimostra la coerenza che abbiamo dimostrato in questa corsa, impegnandoci in tanti sprint intermedi e anche sulle montagne. Anche io sono dovuto andare in fuga nella tappa di Bejes con l’arrivo in salita. Senza quei punti, la maglia sarebbe stata impossibile».

In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite
In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite

L’amico Dainese

Nell’intreccio delle sfide dell’ultima Vuelta, non è passata inosservata quella con Alberto Dainese: un altro che quando è in condizione e la fatica si accumula, riesce a fare la differenza nel gruppo dei velocisti. Così, dopo essergli finito alle spalle nelle prime due settimane, il veneto è riuscito a vincere dopo le montagne asturiane, mentre Groves proprio in quel giorni di Sicar è caduto dovendo rinunciare alla volata.

«Alberto è sempre stato incredibilmente veloce – ha raccontato Groves – e ci siamo allenati spesso insieme quando eravamo alla Seg, soprattutto nel ritiro che facemmo in Grecia nel 2017. Allenarmi con lui ha migliorato molto il mio sprint, siamo entrambi molto competitivi e ogni volta ci spingevamo al limite. Abbiamo una grande amicizia, in corsa sapevamo muoverci insieme».

Come Greipel

Quando la Vuelta è finita e, vinta la tappa di Madrid su Ganna, Groves ha raccontato che i suoi sogni da professionista sono la Sanremo e i Campi Elisi, i tecnici che erano già usciti dal Tour con le quattro vittorie e la maglia verde di Philipsen, si sono davvero fregati le mani. Al punto che Bart Leysen, che in carriera si è diviso fra le maglie della Lotto e quella della Mapei, si è lanciato in un interessante parallelo.

«Kaden mi ricorda André Greipel – ha detto – sia in termini di statura che di personalità. Si inserisce molto bene nel gruppo e ha la fiducia di tutti. Ha fatto davvero molta strada per la sua giovane età».