FRANCAVILLA – «Vengo da Miglianico – dice Cataldo – neanche dieci chilometri da qui. Se fossi stato al Giro, questa sarebbe stata la tappa di casa».
E’ appena finita la tappa di Francavilla. Milan ha vinto la seconda volata del Giro e sul palco del Processo si celebra la sua prepotenza agonistica. A un estremo del tavolo degli ospiti, Dario Cataldo assiste alla conversazione e dà il suo contributo quando c’è da parlare della condotta di Pogacar. E poi quando arriva il momento, prende la parola e annuncia quello che era nell’aria da qualche mese: questa sarà la sua ultima stagione. Ha fatto in tempo a metabolizzare la scelta, ma quando gli viene chiesto che cosa gli mancherà, il groppo in gola non tarda a tornare.
Dario Cataldo è passato professionista nel 2007 dopo aver vinto il Giro d’Italia U23 dell’anno precedente. Classe 1985, ha corso con Liquigas, Quick Step, Team Sky, Astana, Movistar Team, Trek-Segafredo e Lidl-Trek. Gregario di alto profilo per Wiggins, Nibali e Aru, ha vinto una tappa al Giro e una alla Vuelta, oltre alla maglia tricolore della crono.
Il giorno dopo
Abbiamo aspettato una giornata. Abbiamo visto Alaphilippe realizzare un’impresa magnifica verso Fano. E poi, sul far della sera, siamo tornati da Cataldo per farci raccontare quello che ci aveva già anticipato e avevamo preso come il tentativo di esorcizzare il momento: non ci avevamo creduto. Alla fine dello scorso anno, il suo impegno a rimettersi in sesto dalla caduta del 2023 al Catalunya era massimale. Invece proprio quella caduta è stata la prima pietra di una decisione ormai annunciata.
«Non credo che la squadra mi terrebbe – dice – anche se non ne abbiamo parlato. Ho 40 anni, nel ciclismo di adesso non ci sarebbero squadre WorldTour disposte a prendermi e non mi va di fare un anno in una squadra più piccola. So che un passo per volta potrei tornare ad andare bene, ma dovrei comunque dimostrarlo e adesso non sto andando come vorrei e sto correndo anche poco. La mia presenza al Giro non era prevista, perché è impegnativo e perché sarei dovuto andare forte nelle gare prima. Ma avendo l’idea di andare con una squadra per Milan, è stato giusto puntare su altri atleti».
E’ stata una decisione cui sei arrivato gradualmente o un giorno ti sei svegliato e l’hai capito?
Ci sono arrivato gradualmente. Ovviamente l’incidente mi ha dato un’ulteriore spinta e mi fa lasciare più a cuor leggero. Ormai fai fatica ad andare alle corse senza essere al 100 per cento, non è più come una volta. Non puoi andare per allenarti. Adesso se non sei pronto, vai a soffrire come un cane. Il fatto di dover recuperare da un incidente e andare alle corse consapevole di aver perso la mia capacità di performance rende tutto più complicato. La gamba sinistra, quella in cui ho rotto il femore, non ha recuperato ancora del tutto. Sento di non essere al 100 per cento neppure con la respirazione. Sia per il pneumotorace, sia per le fratture delle costole, ho perso tantissima capacità polmonare. Anche nei test fatti in ritiro a dicembre, avevo un valore nettamente inferiore agli altri anni.
L’infortunio giustifica la scelta di smettere, ma non è il modo in cui saresti voluto uscire di scena…
No, certo, questo è poco ma sicuro. Avrei voluto fare un altro Giro d’Italia, fare un altro calendario. Avrei ambito a fare altre cose chiaramente, ma un incidente così non lo scegli. Bisogna prendere quello che viene, per cui mi godo questa stagione al meglio che posso. Bisogna essere realisti e vivere quello che viene, alla fine gli incidenti fanno parte di questo sport. Se devo vederla in un altro modo, una caduta può toglierti la carriera dall’oggi al domani, senza poter fare questo processo. A me è andata bene, in qualche modo. Ne ho parlato anche con Bennati.
Cosa c’entra il cittì?
A lui sono molto legato, siamo stati compagni di squadra e compagni di camera al Giro d’Italia. L’anno scorso mi ha proposto di fare una corsa con la nazionale, perché sa che cosa significa indossare la maglia azzurra e sapeva quanto ci tenessi. Mi ha portato al Matteotti, mi ha fatto un regalo. Mi ha detto che del suo fine carriera rimpiange di non aver potuto decidere quale sarebbe stata la sua ultima gara. Ci siamo confrontati sui nostri incidenti, il recupero e il resto. Daniele è caduto, ha provato a rimettersi in sella e tornare competitivo, ma non c’è riuscito. Non è mai più tornato a correre. E’ partito per la sua ultima corsa, senza sapere che sarebbe stata l’ultima. Per me è diverso. Da qui a fine stagione possono succedere mille cose, però sto correndo consapevole che sarà la mia ultima stagione. Faccio il mio percorso, faccio le mie ultime cose…
Non farai il tuo ultimo Giro d’Italia.
Mi sarebbe piaciuto, però è andata così. Conservo un ricordo dell’ultima volta, era il 2022, si chiudeva a Verona. Quando ho finito la cronometro, mi sono preso un attimo per me. Guardavo lo spettacolo dell’Arena tutta rosa e mi sono detto: «Cavolo però, che spettacolo è il Giro d’Italia!». E dentro di me ho detto: «Tutto questo mi mancherà». Pensavo che avrei fatto un altro Giro d’Italia, non avrei mai immaginato che fosse l’ultimo. Per cui è come se con il Giro mi fossi lasciato con un arrivederci. Come un amico, cui dici «ciao» e invece non lo vedrai mai più. Gli addii non sono mai belli, sono sempre tristi. Per cui un arrivederci da un certo punto di vista è anche più facile da accettare, più amichevole. Ti lasci a cuor leggero, quello col Giro è stato un arrivederci.