L’Alpecin non è solo Van der Poel. Trascinata dai successi classici dell’olandese, la squadra appena entrata nel WorldTour sta scalando rapidamente le gerarchie, anzi è già considerata uno dei capisaldi del movimento e a questo ha contribuito anche Kaden Groves. Australiano di 24 anni, su di lui erano cadute le attenzioni dei dirigenti del team quando era ormai certa la partenza di Tim Merlier, il velocista di punta del team.
Groves ha risposto presente, sfruttando Tour Down Under e Parigi-Nizza per prendere le misure con il nuovo treno e poi scatenandosi, con due vittorie alla Vuelta a Catalunya e il successo nella Volta Limburg Classic. Ancora poco conosciuto alle grandi folle, Groves chiarisce subito qual è stata la vittoria che gli ha fatto fare il salto di qualità e prendere in mano le redini della squadra.
«Probabilmente la prima che ho ottenuto, in Catalogna – dice – proprio perché era la prima con la nuova maglia. A dir la verità ho avuto un inizio di stagione difficile, non avevo ancora vinto e sapevo che dovevo rompere il ghiaccio, poi sarebbe stato tutto più semplice. Per questo a quella vittoria tengo molto».
Quali differenze hai trovato passando dal Team Jayco alla Alpecin?
Qualcosa è cambiato. E’ una squadra belga con un roster più internazionale della Jayco, dove c’è una maggioranza di ragazzi australiani, quindi è stata ovviamente la scelta più ovvia per alcuni anni. Era però arrivato il momento di cambiare, di cercare altre strade per affermarmi. Mi sono sistemato molto bene, mi hanno messo subito a mio agio e ho trovato la mia dimensione qui.
Hai preso il posto di uno sprinter puro come Merlier: ti ritieni anche tu un velocista o pensi di poter emergere anche in altre situazioni di corsa?
Certamente mi identifico come un velocista. Voglio dire, ho vinto un certo numero di sprint in passato, anche se penso di aver comunque dimostrato di avere la capacità di sopravvivere a giorni più difficili e forse in futuro essere bravo anche in alcune classiche. Diciamo che mi sento ancora un cantiere aperto…
Quanto influiscono nel vostro team i successi di Mathieu Van Der Poel?
Molto perché solleva lo spirito di squadra, forse togliendo un po’ di pressione a noi altri ragazzi. Ma voglio dire, personalmente, mi sto solo concentrando sulle gare a cui partecipo. Un effetto però c’è, per molti versi i suoi trionfi ci danno la carica e siamo portati a immergerci in questo feeling, a sentire le sue vittorie come nostre anche se magari in quella gara neanche c’eravamo. E questo comporta anche un certo spirito di emulazione che ci porta a dare sempre tutto per vincere. Quindi penso che faccia una differenza enorme, specialmente la stagione che sta vivendo Mathieu con due classiche Monumento già in carniere.
Tu sei stato 4 anni nel Team Jayco, della tua nazione: quanto è importante per il ciclismo australiano avere un proprio team nel WorldTour?
Penso che sia molto importante perché quella squadra è un obiettivo anche per i giovani australiani. La situazione da noi, ciclisticamente parlando, non è così rosea. Non c’è nemmeno una squadra negli under 23, quindi non è facile per i corridori diventare professionisti. Devono trovare i propri trampolini di lancio, sia attraverso l’Asia che l’Europa. Sapere di avere questo approdo è importantissimo, dà spinta a tutto il movimento.
Quanto è stata importante la vittoria alla Vuelta dello scorso anno?
Penso che probabilmente sulla carta sia il mio più grande risultato, soprattutto essendo stato il mio primo grande Giro. Ovviamente ora voglio vincere tappe in tutti e tre le massime corse. Quindi è stata una vittoria molto importante anche per finire bene la mia ultima stagione con il Team Bike Exchange. Ottenere una vittoria nella mia ultima gara con loro è stato davvero speciale, volevo dimostrare che ero ancora motivato anche alla fine della stagione.
Ora ti aspetta il Giro d’Italia…
Penso che il Giro di quest’anno mi si addica molto bene con un sacco di tappe con possibile soluzione allo sprint, ma più difficili di quel che si pensa, il che potrebbe togliere di scena nel momento clou alcuni degli altri velocisti. La squadra potrà aiutarmi molto bene in questi finali. L’obiettivo per me è ovviamente vincere: una tappa sarebbe bello, ma io non voglio accontentarmi. Quindi, non vedo l’ora di passare tre settimane buone in Italia.
Domenica hai corso la Parigi-Roubaix: come la descriveresti?
E’ stata una giornata brutale per il corpo, ma con un bel po’ di fortuna per il nostro team. Abbiamo ottenuto un risultato fantastico con Mathieu, tutti erano felici. Personalmente è stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi e non vedo l’ora che arrivi la prossima, per recitare un ruolo più importante.
Il mondiale di Glasgow può essere adatto alle tue caratteristiche?
Non se n’è ancora parlato, ovviamente, ma vorrei avere l’opportunità di farlo. Insieme a gente come Ewan e Matthews potremmo andare lì con alcune buone opzioni per portare a casa il risultato. Saremo in agosto, ma non è detto che faccia così caldo e io con il clima più freddo di solito vado abbastanza bene, quindi è qualcosa che non vedo l’ora di fare più avanti nel corso dell’anno.
C’è una gara che sembra disegnata su misura per te?
Se esiste la gara perfetta, non ne sono ancora sicuro. Dovremo vedere in futuro come posso crescere, ma il mio sogno sarebbe vincere proprio la Roubaix, come ha fatto Mathieu…