Roodhooft su Viezzi: «Grandi potenzialità… anche a crono»

13.12.2024
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L’argomento Stefano Viezzi resta caldo. E come potrebbe essere diversamente? Siamo in piena stagione di ciclocross, lui è il campione del mondo juniores in carica e, fra tre settimane, Stefano passerà all’Alpecin-Deceuninck, nel Development Team della squadra.

Viezzi è il nostro crossista con più ampie prospettive e, grazie a questo passaggio di squadra, tali opportunità si faranno ancora più concrete. In quel team il ciclocross non è considerato una disciplina secondaria, ma è messo sullo stesso piano della strada. Mathieu Van Der Poel ne è l’esempio massimo.

Di questo passaggio abbiamo parlato direttamente con i vertici della Alpecin-Deceuninck, in particolare con Philip Roodhooft, team manager della squadra belga.

Philip Roodhooft, team manager della Alpecin-Deceuninck
Philip Roodhooft, team manager della Alpecin-Deceuninck

Parla Roodhooft

È noto che i fratelli Roodhooft, Philip e Christoph, gestiscono con grande attenzione la transizione dei talenti dalle categorie giovanili al professionismo. Il loro scouting è sempre molto mirato, con pochi acquisti ma di grande qualità. L’acquisizione di Viezzi rientra nella loro strategia di sviluppo di giovani corridori con potenziale, in questo caso sia nel ciclocross che nelle gare su strada.

«Cosa ci ha convinto a portare Viezzi all’Alpecin? Il fatto che l’anno scorso sia stato così forte in Coppa del Mondo e ai Mondiali – dice Roodhooft. Noi crediamo che Stefano possa essere un atleta di alto livello non solo nel ciclocross, ma anche su strada e nelle cronometro».

Una dichiarazione che evidenzia quanto interesse ci sia attorno al ragazzo e quanto il team sia disposto a investire su di lui. Parlando di cronometro, è significativo sottolineare che in Italia pochi team, anche tra i più importanti, lavorano su questa specialità. Tuttavia, le prove contro il tempo non sono così distanti dal ciclocross in termini di sforzo metabolico, e a Viezzi le cronometro non dispiacciono affatto.

Stefano è molto forte anche su strada anche se quest’anno, in virtù dell’infortunio all’Eroica Juniores, ha faticato un po’ più del previsto (foto Instagram)
Stefano è molto forte anche su strada anche se quest’anno, in virtù dell’infortunio all’Eroica Juniores, ha faticato un po’ più del previsto (foto Instagram)

Primi contatti

Come lo stesso Viezzi ci ha raccontato qualche giorno fa, tra pochi giorni cambieranno molte cose e inizierà a lavorare a stretto contatto con il team. Il momento cruciale sarà in Spagna, dove gli atleti dei Roodhooft parteciperanno a un campo di allenamento specifico in vista dei Mondiali, che quest’anno si terranno proprio in Spagna.

«Viezzi – riprende Roodhooft – sarà con noi da gennaio. Continuerà a vivere in Italia, ma trascorrerà alcuni periodi in Belgio. Per lui ci saranno cambiamenti significativi, soprattutto per quanto riguarda la preparazione: in Belgio si lavora in modo molto diverso rispetto all’Italia. Tuttavia, visto che resterà con la sua squadra attuale fino al 31 dicembre, il vero cambiamento per Stefano arriverà con la stagione 2025-2026».

Sin qui Viezzi ha messo nel sacco 9 gare di cross. E’ al primo anno elite (foto Billiani)
Sin qui Viezzi ha messo nel sacco 9 gare di cross. E’ al primo anno elite (foto Billiani)

Obiettivo integrazione

Philip Roodhooft guarda al futuro con un approccio ponderato, senza fretta. Questo fa ben sperare, suggerendo che il team ha in mente un progetto a lungo termine per Viezzi.

La chiave di questo approdo è il connubio tra ciclocross e strada, una novità per un atleta italiano che punta all’eccellenza in entrambe le discipline. In tempi recenti, ci aveva provato Lorenzo Masciarelli, ma l’abruzzese non ha avuto troppa fortuna.

«Abbiamo già un’idea di come integrare Viezzi – spiega Roodhooft – ma è troppo presto per condividerla nei dettagli. Dobbiamo ancora conoscere meglio Stefano. Seguire il percorso di Van der Poel? Non sarebbe un confronto realistico, ma sarà un successo se Stefano diventerà un buon crossista e un buon stradista. Noi crediamo che sia possibile. Intanto, sapete cosa voglio? Che Stefano lavori sodo per imparare l’inglese, così potrà integrarsi meglio con la nostra struttura. Il resto verrà da sé».

Van Gils alla Red Bull non è solo una questione di stipendio

13.12.2024
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Maxim Van Gils, giovane promessa del ciclismo belga, in questi giorni è stato al centro di un importante cambiamento che ha scosso il ciclismo belga e non solo. Dopo sette anni di crescita e successi con Lotto-Dstny, il fiammingo ha deciso di intraprendere una nuova sfida, firmando con la Red Bull – Bora Hansgrohe.

Una mossa un po’ improvvisa, che in Belgio hanno fortemente imputato ai procuratori di Van Gils, i Carera, che non solo riflette le ambizioni del corridore, ma anche le dinamiche complesse di un mondo che sta cambiando tanto e rapidamente. Quali sono dunque le motivazioni dietro questa scelta? Quali le implicazioni per il futuro del corridore? E quali le possibilità anche per la Red Bull-Bora-Hansgrohe? Questo innesto non è da poco e dice di una squadra che vuole ampliare i suoi orizzonti.

Maxim Van Gils (classe 1999) quest’anno ha vinto tre corse e ha chiuso al 14° posto nel ranking UCI
Maxim Van Gils (classe 1999) quest’anno ha vinto tre corse e ha chiuso al 14° posto nel ranking UCI

Lotto-Dstny addio

Van Gils ha descritto il suo rapporto con Lotto-Dstny come una “seconda famiglia”, ma nonostante i legami personali, il richiamo di nuove opportunità è stato irresistibile. La decisione non è stata semplice: lasciare un team che l’ha cresciuto e valorizzato ha comportato un’intensa e lunga riflessione.

Anche se poi sono circa sei mesi che questa idea di cambiare aria gironzolava nella testa dell’atleta. Si erano fatte aventi Ineos Greandiers e Astana-Qazaqstan che offrendo più denaro lo avevano in qualche modo destabilizzato. La questione dell’importante aumento di stipendio (2 milioni l’anno a fronte dei 600.000, riporta sudinfo.be) è centrale in tutta questa storia.

Tuttavia Van Gils è un prodotto del settore giovanile della Lotto-Dstny come detto e anche l’atleta che più aveva portato (preziosi) punti UCI al team. Il cambiamento era possibile, specie in Belgio dove le regole in tal senso sono più flessibili, ma non scontato insomma. Chi lascerebbe andare via un prodotto del proprio vivaio, tra l’altro senza avere più la garanzia di un certo bagaglio di punti?

Van Gils si è mostrato competitivo sia alla Sanremo (4°) che alla Strade Bianche (3°) mostrando una grande duttilità
Van Gils si è mostrato competitivo sia alla Sanremo (4°) che alla Strade Bianche (3°) mostrando una grande duttilità

Approdo nel nuovo team

Ma chiaramente non ci si può limitare al solo peso del contratto. La Red Bull è una squadra molto ambiziosa, così come Van Gils. Ha messo il piede sul podio di due grandi Giri l’anno scorso: Martinez secondo al Giro e Roglic primo alla Vuelta. Ha un pacchetto scalatori come abbiamo visto molto forte e dei leader, su tutti Roglic, che danno garanzie nei grandi Giri. Ci sta che si voglia passare in un team così.

Ma mancava qualcosa: le classiche. La squadra di Denk vuole iniziare a costruire qualcosa d’importante anche sotto quel punto di vista. E a farlo in modo più strutturale, rispetto magari ai tempi di Sagan che era abbastanza isolato. Solo quest’anno sono arrivati Tratnik, Lazkano, Moscon, Meeus e Pithie: non sono nomi banali. Tra l’altro, togliendo l’italiano e lo sloveno, sono tutti piuttosto giovani. Questo è forse il risvolto tecnico più interessante di questa storia. E sarà curioso vedere come evolverà nel corso della stagione. Di certo, ora ad una Sanremo per esempio, anche la Red Bull-Bora Hansgrohe si schiererà con altre velleità.

Van Gils troverà una struttura di supporto di alto livello. La squadra ha investito su di lui non solo per il suo talento, ma anche per il potenziale di crescita a lungo termine. 

Eccolo impegnato alla Liegi, una delle classiche che preferisce
Eccolo impegnato alla Liegi, una delle classiche che preferisce

Qualcosa su cui riflettere

Maxim Van Gils incarna il cambiamento e l’ambizione nel ciclismo moderno, un ciclismo che inizia a vivere il “gigantismo” come si è letto e scritto ultimamente. Il suo caso, ma se vogliamo anche quello di Pidcock, rappresenta una riflessione sul delicato equilibrio tra ambizione personale e sostenibilità del sistema sportivo. Sarà interessante vedere come Van Gils saprà sfruttare questa nuova fase per confermare il suo talento e consolidare la sua posizione.

«Sono stato orgoglioso dell’interesse mostrato dal team Red Bull-Bora-Hansgrohe sin da subito – ha detto intanto Van Gils – Fin dai primi contatti ho sentito un legame speciale con questa squadra. Mi metterò al lavoro senza indugi per raggiungere gli importanti obiettivi prefissati. Più passa il tempo e più rendo conto che sono per le corse di un giorno, piuttosto che le corse a tappe. Le classiche sono mia passione. Preferisco iniziare e gareggiare con una batteria completamente carica per una gara, piuttosto con una che è già all’80 per cento tappa dopo tappa».

Paternoster 3.0: sguardo fisso sulla Sanremo

13.12.2024
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ALTEA (Spagna) – Bisogna prepararsi per una Paternoster 3.0. Dopo aver parlato con la trentina nel ritiro del Team Jayco-AlUla, la sensazione è quella di una determinazione nuova, che poggia su una preparazione più strutturata e sostanziosa. La presenza di Marco Pinotti sarà più incisiva e l’apporto dell’ingegnere bergamasco, che già nel 2024 aveva portato una ventata di aria nuova fino alla prima vittoria, promette di essere la base per una svolta decisiva.

Letizia sorride, come al termine di un percorso faticoso che l’ha messa alla prova in modo importante. E ora che i nodi sembrano finalmente sciolti, il futuro e le corse sembrano un luogo protetto in cui essere se stessa senza dover per forza indossare i panni del personaggio che si è cucita addosso negli anni.

«Qua mi vogliono tutti bene – annota – e ci tengono tanto a me. Veramente si curano di me come persona e anche le compagne attorno mi fanno sentire apprezzata ogni giorno. E’ come se mi trasmettessero tutta la bella energia che hanno e questo conta tanto anche in gara».

Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Un ottimo dicembre per Paternoster, ospite dell’Hotel Cap Negret (immagine Instagram)
Lo abbiamo già visto in primavera al Nord. Una Letizia molto più guerriera di quella cui eravamo abituati…

Per me non è stata una scoperta assoluta. Conosco le potenzialità che posso avere su strada, perché le avevo mostrate appena passata. Ovviamente era solamente questione di ritrovare quella che ero. Allora avevo solo 19 anni. Ora che sono cresciuta, fra la maturazione fisica e l’esperienza, posso sicuramente puntare un po’ più in alto. Perciò ci ho creduto, ma quello che abbiamo visto nella scorsa stagione è stata una sorpresa anche per me. Non mi aspettavo di essere migliorata così tanto. Per questo sono carica, non vedo l’ora di affrontare le corse. Ci credo veramente tanto. Perché l’ho già fatto e ora credo anche di poterlo fare ancora meglio.

Perché?

Perché l’anno scorso sono arrivata senza un’aspettativa e una preparazione adeguata al 100 per cento. Poi si sa, nel ciclismo tutto può succedere, però voglio pensare che se faccio tutto nel modo giusto, può accadere qualcosa di veramente magico.

Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
Giro delle Fiandre 2024, Letizia Paternoster chiude al nono posto, cedendo solo nel finale
Lo scorso anno hai cominciato a lavorare con Pinotti, la collaborazione continua?

Marco è super, cura i dettagli al 100 per cento. E’ un ingegnere e si vede nel modo in cui fa le cose. Quando parla, so che quello che dice è reale. Non dice una parola in più né una in meno. Guarda ogni allenamento in tempo reale: io torno e prima di ripartire il giorno dopo ho già i suoi feedback. Mi dice che magari in un certo tratto potevo fare qualche pedalata di più, vede particolari incredibili. E allo stesso tempo riesce a trasmettermi calma e serenità e questo con me fa tanto.

Ha aumentato le quantità di lavoro? Lo scorso anno proprio Marco ci disse che per l’attività che dovevi fare, ti allenavi ancora poco…

Effettivamente lui sta sempre avanti, sempre al passo con gli studi. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione sotto tutti gli aspetti. E’ vero che ho aumentato tutto da quando lavoro con lui ed effettivamente i risultati sono tangibili.

Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
Paternoster e una cartolina per Natale: la squadra rimarrà in Spagna fino alla vigilia delle Feste
E’ vero che proprio Marco ti ha suggerito di fare un pensiero alla Sanremo?

E’ un grande obiettivo. Appena hanno confermato che si farà, mi ha chiamato e mi ha detto: «Lo sai che si farà la Milano-Sanremo?». Gli ho chiesto che cosa ne pensasse e lui mi ha detto che bisognava farci un bel circoletto attorno. In pochi minuti è andato a studiarsi le prime cose, per cui di sicuro ci si prova. Si sa che poi il livello della competizione sarà altissimo. E’ una corsa che può piacere alla Longo Borghini, a Lotte Kopecky, la Wiebes e anche alla Vollering. C’è un bel gruppo di ragazze che possono veramente fare bene, però perché non pensarci?

E perché non pensare anche di riprendersi il posto che avevi da junior?

Esattamente, è proprio quello che voglio fare.

Da dove nasce questo sorriso?

E’ dicembre e non sono mai partita a dicembre con un livello così alto, ne parlavo proprio prima con Marco. Siamo felici, stiamo lavorando nella direzione giusta. Ho fatto una off-season adeguata e quindi stiamo costruendo il mio percorso. Davvero non vedo l’ora di cominciare.

Carbonari, “l’incredibile storia di successo” è già dimenticata?

12.12.2024
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La favola di Anastasia Carbonari nel WorldTour è durata un solo anno. Mancava poco alle Olimpiadi, quando il UAE Team Adq le ha fatto sapere che non l’avrebbe confermata per il 2025. Così lei, che a Parigi ha corso con la maglia della Lettonia, ha dovuto interrogarsi sul futuro nel momento in cui avrebbe dovuto pensare soltanto a dare il meglio di sé.

Fra le singolarità della decisione, c’è che il 4 ottobre nel comunicare che la WorldTour e il devo team continueranno anche nel 2025 aumentando la loro integrazione, una frase del team si riferiva proprio all’atleta marchigiana. «In questo periodo – si legge nel comunicato – l’UAE Development Team ha promosso alcune incredibili storie di successo, con Anastasia Carbonari e Lara Gillespie che sono passate all’UAE Team ADQ nel WorldTour, e Zahra Hussain che ha seguito le orme della sette volte campionessa nazionale degli Emirati Arabi Uniti Safia Al Sayegh». In che modo e perché una incredibile storia di successo viene lasciata andare così?

Carbonari era arrivata alla UAE dalla Valcar. Si era guadagnata il posto nella squadra di Arzeni grazie al bel Giro d’Italia del 2021, quando difendeva i colori della Born to Win di Roberto Baldoni. Un anno alla Valcar, uno nel devo team e uno nella WorldTour per la ragazza che, travolta da un’auto nel 2019, aveva rischiato di rimanere paralizzata. Sembrava una favola. E adesso?

Quando hai saputo che finiva quest’anno?

Poco dopo che ho rotto la clavicola alla Ride London ho capito che qualcosa stava cambiando. Diciamo che la certezza è arrivata poco prima delle Olimpiadi, quando il mio procuratore mi disse che sarebbe stato il caso di parlare con la squadra e chiedere un anno in più. Secondo lui si erano resi conto che avessi avuto sfortune e problematiche per tutto l’anno e magari mi avrebbero dato un’altra possibilità. Invece si sbagliava. Dopo il Baloise, una settimana prima delle Olimpiadi, ho capito che era finita.

Come è andata?

Ad aprile avevo cominciato a lamentarmi del fatto che non mi trovassi bene con la preparazione e che i miei valori erano molto lontani dal meglio. Loro continuavano a dirmi di non preoccuparmi, che avevo avuto problemi al ginocchio, quindi mi hanno chiesto di avere fiducia nel lavoro. Io ho provato, ma alla fine ho chiesto di cambiare, solo che ormai era tardi. Dopo il Baloise, dove avevo fatto una fatica come mai in vita mia nonostante sia una corsa adatta alle mie caratteristiche, ho chiamato Cristina (San Emeterio, la capo dei preparatori, ndr). Le ho detto di aver provato a insistere, ma che non mi trovavo bene.

Seconda tappa della Ride London, Carbonari si rompe la clavicola. Teme per Parigi 2024, ma rientra a tempo di record
Seconda tappa della Ride London, Carbonari si rompe la clavicola. Teme per Parigi 2024, ma rientra a tempo di record
E lei?

Mi ha chiesto che cosa volessi fare e io le ho risposto che ai campionati lettoni mi ero vista con il preparatore della nazionale, con cui mi trovavo abbastanza bene. Mi ha detto che ne avrebbe parlato con Alejandro (Gonzalez-Tablas, capo dell’area performance, ndr). Il giorno dopo mi ha richiamato e mi ha detto che avrei potuto prendere il mio preparatore di fiducia e proprio quello mi ha fatto capire che non interessavo più. La squadra preferisce gestire la preparazione internamente, il fatto di lasciarmi libera forse era un segnale…

Pensi di aver avuto un livello all’altezza?

Dal mio punto di vista, ho sempre fatto il massimo. Anzi, ero molto più motivata perché era la prima stagione nel WorldTour. Poi ovviamente non può essere sempre colpa degli altri, qualcosa avrò sbagliato anch’io. Però mi sono affidata al 100 per cento a queste persone. Ho seguito tutto quello che mi avevano detto di fare, ma a fine stagione faticavo a riconoscermi. In più sono successi mille intoppi che mi hanno tolto un po’ di motivazione. Però devo dire che dopo aver cambiato preparatore, mi sono rimotivata subito al 100 per cento. Agli europei ero determinata per far bene, ma mi è caduta la catena in volata ai 100 metri dall’arrivo. Non so come sia possibile che la catena cada in volata all’esterno del 52. Ero a ruota della Vas che ha chiuso ottava, io ho finito la corsa senza pedalare.

Persico, Carbonari, Consonni: è il 2022, la marchigiana ha da poco vinto il primo titolo lettone
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Hai chiuso il 2024 in Cina, poi cosa è successo?

Tornata dal Tour of Guangxi, non volevo più sentir parlare di bici, infatti per un mese non l’ho proprio toccata. Intanto ero in contatto con Zini, che pareva dovesse fare la professional e mi diceva di aspettare, a patto che risolvessi i miei problemi di salute. Mi ha mandato anche a fare una visita da un suo ortopedico, perché sosteneva che in bicicletta fossi un po’ storta e questo mi portasse a non rendere al massimo.

E’ vero?

Io sono storta in bicicletta da dopo l’incidente con la Valcar, ma ugualmente l‘anno scorso nel devo team, pur facendo delle corse minori, ho avuto i valori migliori di sempre. E poi ricordiamoci che dal primo incidente, quello del 2019, almeno una volta al mese vado dal fisioterapista per farmi controllare. E’ normale che abbia una problematica, visto che mi sono schiantata, sono quasi morta e mi sono spaccata la schiena. Mi hanno chiesto di aspettare, anche se io avrei voluto cominciare la preparazione. Poi è venuto fuori che non faranno la professional e a quel punto, anche davanti all’assenza di risposte, mi sono detta che avrei smesso per non avere più a che fare con questo ambiente.

Giro d’Italia Donne 2021, questa la fuga verso Mortegliano che segnalò Carbonari alla Valcar
Giro d’Italia Donne 2021, questa la fuga verso Mortegliano che segnalò Carbonari alla Valcar
E’ vero che nel frattempo hai risentito Baldoni?

Sono sempre stata in contatto con Roberto e gli ho raccontato la situazione, anche per farmi consigliare. E lui mi ha detto che se volessi, nella sua squadra un posto per me ci sarebbe, anche come ultima spiaggia. Finché un paio di settimane fa, mi ha chiesto se fossi nelle Marche e se volessi incontrarlo. Abbiamo parlato e mi ha detto che la soluzione secondo lui – e anche secondo Lanzoni, che è il diesse del team – è che per ripartire devo ricostruire il mio rapporto con la bicicletta. All’inizio non ero convinta, più che altro per la sensazione di tornare in una piccola squadra dopo essere stata nel WorldTour. Non sapevo se sarei riuscita a reggere l’impatto. Però insieme mi sono chiesta se arrivare in UAE fosse quello di cui avevo bisogno, perché è stata un’esperienza più drammatica che positiva. Ho corso la Roubaix e le Ardenne tre settimane dopo un infortunio, il Baloise tre settimane dopo aver rotto la clavicola.

Pensi di ripartire con loro?

Sono tornata dalle vacanze per la prima volta veramente riposata. Sono andato in Lettonia con mia madre Natasha e ho incontrato gli amici della nazionale e ci siamo divertiti. Poi con il mio ragazzo abbiamo girato tutta l’Europa con la macchina. Lubiana, Zagabria, Budapest e Vienna. Poi siamo tornati in Italia, a Vermiglio, allo Chalet al Foss di Vermiglio che gli avevo regalato per il compleanno. Uno di quei weekend da cifre folli che fai solo una volta nella vita e ne abbiamo approfittato. Ho girato tanto ed è stato bello vedere quante persone fossero felici anche senza andare in bicicletta, che per me non era una cosa scontata.

Un cambio di mentalità o resti un’atleta?

Semplicemente adesso sono serena. Mi sono messa sotto con l’università, perché ho capito che nel ciclismo siamo numeri: un anno vai e sei la rivelazione, ma se quello dopo vai meno, nessuno ti calcola più. E io sinceramente, ormai a 25 anni, voglio iniziare anche ad avere una mia stabilità. Non posso andare avanti anno per anno, per cui vedrò con Roberto se ho gli stimoli di ripartire per le gare. Intanto però ho iniziato ad allenarmi con la bici delle Olimpiadi.

E come va?

Sta andando bene. Sono a casa, faccio ciò che mi piace. Si vede che per me la vita non prevedeva che in questo momento io andassi avanti in un certo modo nella carriera di atleta. Ovvio che mi dispiace perché ho dedicato tutta la mia vita a questo sport, però non finisce con la bici. Anzi, prima uno se ne accorge e se ne fa una ragione, e prima inizia a capire di doversi comunque costruire un futuro.

Il ciclismo di Pella: promozione, territorio e stile di vita

12.12.2024
7 min
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MILANO – Il palazzo del CONI di via Piranesi ospita la conferenza stampa della Lega Ciclismo Professionistico, che in un pomeriggio grigio di dicembre inizia un nuovo corso. L’obiettivo è rilanciare lo sport, per farlo tornare competitivo ad alti livelli. Senza dimenticarci però di chi sta sotto e costituisce la base di questa piramide. Le preoccupazioni ci sono, visto il susseguirsi di voci che vedono le squadre giovanili sempre più in crisi. Alcune chiudono, altre vanno avanti a fatica e alcune ancora non sanno se riusciranno a continuare a navigare, e procedono a vista.

Da destra: Gianni Bugno, Roberto Pella, Vincenzo Nibali, Fabio Roscioli e Giusy Virelli
Le commissioni sono composte da ex atleti ed esperti del settore, da dx: Vincenzo Nibali, Fabio Roscioli e Giusy Virelli

La passione c’è

Il presidente della Lega Ciclismo Professionistico, Roberto Pella, sindaco del comune di Valdengo e deputato, ha il suo bel da fare. Ha preso l’incarico qualche mese fa e ora inizia ad agire, anzi qualcosa ha già fatto. A lui chiediamo, in questo momento difficile, cosa ha trovato all’interno della Lega e come ha intenzione di muoversi.

«Io non sono mai abituato a guardare il passato – dice il presidente Pella – ma al presente e al futuro. Cerco di costruire un grande gioco di squadra per portare avanti la valorizzazione di uno degli sport più belli e partecipati da parte di tutta la popolazione: il ciclismo. Da un lato in Italia il numero dei corridori professionisti è limitato, questo è vero. Ma d’altro canto, sono circa due milioni le persone abituate ad andare in bicicletta. Il numero sale a 13 milioni se consideriamo anche i cittadini che utilizzano la bici nella vita di tutti i giorni. In particolar modo, sono almeno 2 italiani su 3 quelli innamorati del ciclismo. I quali lo seguono attraverso la televisione o partecipando lungo le strade ai grandi avvenimenti che l’Italia propone a livello ciclistico. Non dimentichiamo che abbiamo, e sono tutte associate alla Lega Ciclismo Professionistico, le più grandi corse ciclistiche al mondo. C’è anche il Giro d’Italia che rappresenta l’evento sportivo più importante a livello mondiale insieme al Tour de France».

Il ciclismo italiano per ripartire deve aggrapparsi ai suoi campioni
Il ciclismo italiano per ripartire deve aggrapparsi ai suoi campioni

I campioni

L’Italia è sempre stato il Paese dei grandi campioni e delle imprese fatte a colpi di pedale. Persone e personaggi che hanno legato le proprie imprese alla storia di questo sport, appassionando gli spettatori. Da qualche anno l’Italia fatica a trovare il corridore che appassiona, che lega con il pubblico. Da una parte manca l’atleta che è capace di grandi imprese, dall’altra c’è la difficoltà di riversare la stessa passione su discipline che non siano la strada. 

«Abbiamo avuto -dice ancora Pella – abbiamo e sicuramente avremo anche in futuro i grandi campioni. Corridori in grado di accompagnarci in sfide, com’è stato in passato. Personalmente ho trovato una Lega che sta cercando di farsi conoscere. Che vuole far comprendere alle istituzioni, in modo particolare alle istituzioni politiche, quanto essa possa rappresentare un punto di svolta, di valore. In primo luogo perché il ciclismo professionistico può fare da volano per il dilettantismo. Perché nei professionisti i giovani trovano il mito, l’ideale, la persona di riferimento. Ma anche lo stimolo per diventare a loro volta dei campioni».

L’Italia ha tanti giovani sui quali affidare il proprio movimento, uno di questi è Giulio Pellizzari
L’Italia ha tanti giovani sui quali affidare il proprio movimento, uno di questi è Giulio Pellizzari

A cascata

Il pensiero sullo stato di salute del ciclismo italiano si divide in due parti, chi pensa che si debba ricostruire dal basso e chi, invece, dall’alto. I primi pensano sia importante strutturare un’attività in grado di avvicinare i giovani e stimolarli ad andare in bici. Gli altri, al contrario, sono convinti che serva un campione in grado di calamitare l’attenzione. Un “effetto Sinner” se vogliamo trovare dei paragoni extra ciclistici. 

«Investire sul professionismo – analizza Pella – significa rilanciare il settore giovanile e la crescita del nostro tessuto sociale, in modo particolare anche per le nostre società sportive. Dobbiamo riportare l’Italia a sostenere quelle poche realtà che sono rimaste, anzi a stimolare la crescita di nuove. Dobbiamo spingere perché le istituzioni promuovano una squadra WorldTour italiana, nella quale possiamo far correre i nostri migliori corridori evitando di farli andare all’estero. L’obiettivo è preservare i talenti e farli crescere in modo che possano essere i protagonisti di domani».

Il lavoro di Pella è rivolto ad allacciare rapporti con le diverse istituzioni politiche
Il lavoro di Pella è rivolto ad allacciare rapporti con le diverse istituzioni politiche

Le istituzioni

A livello politico il lavoro di Roberto Pella è volto a coinvolgere le istituzioni, avvicinandole al ciclismo in modo tale che possano vederne i valori e condividerli. 

«Sto lavorando con i vari dicasteri – continua il presidente della Lega Ciclismo Professionistico – e voglio ringraziare il ministro Abodi per il sostegno, e l’aiuto che da sempre mi ha voluto dare. Non manca il supporto al ciclismo femminile, grazie al ministro Roccella, così come c’è una continua promozione e valorizzazione del territorio e del Giro d’Italia. La bicicletta si lega molto al turismo, lo sappiamo, e il lavoro fatto insieme al ministro Santanché rappresenta un punto importante e fondamentale. Sono tanti i ministeri che sto cercando di sensibilizzare uno a uno per lavorare con questo grande spirito di squadra.

«Abbiamo messo a punto queste commissioni – il riferimento è alle nuove commissioni presentate il 9 dicembre – nelle quali, come potete vedere, sono coinvolti tra i più grandi professionisti di ogni settore: corridori, ex ciclisti o uomini della società civile. I quali potranno aiutare e sostenere il direttivo in quello che è un grosso lavoro di squadra».

Per promuovere la crescita delle squadre sarà importante il lavoro di Jacopo Tognon, presidente della commissione “progettazione, marketing e fondi europei”
Per promuovere la crescita delle squadre sarà importante il lavoro di Jacopo Tognon, presidente della commissione “progettazione, marketing e fondi europei”

Le squadre

Il presidente Roberto Pella ha sottolineato quella che è l’importanza di una squadra WorldTour per favorire la crescita del movimento. Il fatto è che in questo momento la squadra non c’è e all’interno delle sette commissioni presentate manca una con riferimento alle realtà sportive. Come si può far crescere il movimento professionistico se poi manca la base?

«Diciamo – replica Pella – che la commissione delle squadre rientra nella promozione del territorio e del marketing (commissione presieduta dall’avvocato Jacopo Tognon, ndr). Per arrivare a delle squadre dobbiamo fare un grosso lavoro di promozione territoriale e individuare grossi gruppi nazionali e internazionali, ma anche aziende di Stato, che in qualche modo possano investire nello sport. Una volta trovate queste risorse è chiaro che si spingerà anche nel promuovere le realtà sportive. Dobbiamo   innanzitutto aiutare le squadre esistenti e far sì che l’Italia non ne perda ancora. Ma anche sostenere quelle che abbiamo, anche a livello dilettantistico, sul territorio. Perché il professionismo è la punta dell’iceberg ma noi dobbiamo stimolare quello che è il ciclismo in tutte le sue forme».

Le grandi corse, come Giro d’Italia, rappresentano uno spot per il ciclismo a livello territoriale e locale
Le grandi corse, come Giro d’Italia, rappresentano uno spot per il ciclismo a livello territoriale e locale

Il territorio

Coinvolgere il territorio e le istituzioni diventa un passaggio fondamentale affinché il ciclismo possa trovare la sua rotta e ripartire. Unire i cittadini nella passione e nel senso di comunità, mostrando loro quanto sia unico e coinvolgente questo sport. 

«Tra i tanti compiti ricopro anche quello di sindaco a Valdengo – conclude Pella – e sono vicepresidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani con la delega allo sport. Quando un evento o una corsa passa da un Comune, non c’è solo un riconoscimento nel vedere il proprio paese passare nella televisione nazionale o mondiale, ma soprattutto l’evento è sempre un preparativo di tanto altro. Ad esempio la gente si ritrova per accogliere al meglio il passaggio dell’evento. Il ciclismo rappresenta un denominatore comune di italianità, per questa ragione il supporto delle istituzioni deve essere prioritario. La bicicletta può rappresentare il più valido strumento di abbattimento dei costi sanitari attraverso la lotta alle malattie non trasmissibili: obesità e il diabete di tipo 2. Dobbiamo promuovere l’attività fisica al fine di migliorare il nostro stile di vita, poi attraverso la costruzione di un movimento si arriva ad avere un riscontro positivo anche nel professionismo. Fare in modo che la cultura della bici sia radicata in noi è il primo passo».

Javier Sola-Jeroen Swart: il punto su Tadej con i due coach

12.12.2024
8 min
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BENIDORM (Spagna) – Un anno per parlare con Javier Sola. Ogni tentativo precedente di fare qualche domanda al nuovo allenatore di Pogacar è stato respinto con la promessa di un incontro al primo ritiro. Per questo quando lo spagnolo viene a sedersi assieme a Jeroen Swart, il coordinatore della performance, la curiosità è tanta. Al coach spetta il compito di farci capire in che modo hanno lavorato per dare allo sloveno il margine di strapotere che non aveva dodici mesi fa.

Javier Sola ha 38 anni e, rispetto alla foto sul sito della UAE Emirates, ha tagliato la barba. Parla in inglese e solo a tratti cede alla tentazione di rispondere in spagnolo agli spagnoli. Il suo compito è dimostrare che non è successo nulla di eccezionale e che qui l’unica eccezionalità sia costituita dal campione.

«Secondo me avrebbe anche potuto fare anche la Vuelta – inizia per dare al discorso il giusto ritmo – e sarebbe andato anche bene. Ma forse non sarebbe stato funzionale al suo sviluppo e all’obiettivo di vincere il mondiale. Non so se ci sarà un tentativo di questo tipo, di certo non il prossimo anno».

Il discorso va avanti a due voci, con la conferma di una sensazione che avevamo da tempo. Il Pogacar visto fino al 2023 non aveva raggiunto né cercato il suo limite. Non aveva gambe scavate, né la profondita nel lavoro dei suoi rivali. I tecnici si confrontano e completano l’uno le frasi dell’altro, anche se alla fine si guarderanno bene dall’entrare nei dettagli. Mandare avanti la preparazione di una squadra così grande è già di per sé stimolante, avere a che fare con la grandezza di Pogacar deve essere un viaggio straordinario. Si comincia con Javier.

Secondo Javier Sola, Pogacar avrebbe potuto puntare anche sulla Vuelta e andare bene
Secondo Javier Sola, Pogacar avrebbe potuto puntare anche sulla Vuelta e andare bene
Abbiamo visto alcune prestazioni incredibili da parte di Tadej in questa stagione. Puoi dire quali sono stati i principali cambiamenti mentali, fisiologici e nella sua preparazione?

Non abbiamo fatto grandi cambiamenti, in realtà. Dobbiamo seguire una linea, ma ovviamente Tadej ha il suo background. Fondamentalmente abbiamo incrementato gli allenamenti sulla forza, inoltre ha migliorato la sua composizione corporea rispetto agli altri anni. Inoltre ha lavorato di più con la bici da cronometro quest’anno, puntando anche più sull’intensità.

Tutto questo giustifica un simile miglioramento?

Tadej ha un anno di più e sta facendo esperienza. Abbiamo valutato che fosse il momento di provare a spingere un po’ verso l’alto. Abbiamo lavorato sulla forza in bici, ma anche fuori dalla bici. Abbiamo fatto lavori di intensità e penso che possa ancora migliorare, ma non posso prevedere quanto e dove. Non ho la sfera di cristallo. Lavoriamo tutti i giorni e cerchiamo di porci degli obiettivi ogni anno, per mantenerci motivati. Solo così potremo capire il range di miglioramento. Ovviamente la cosa più importante è che sia ancora motivato per continuare a migliorare e vincere.

Cosa hai imparato su Tadej in questo primo anno di lavoro insieme?

Che è super rilassato, è molto umile, un gran lavoratore. Questo è Tadej, il miglior corridore del mondo.

Ci sono dei fronti su cui concentrare il miglioramento?

Penso che possa progredire ancora sul fronte della forza, quindi ora ci stiamo concentrando su questo, anche un po’ di più rispetto all’anno scorso. In più pensando alle corse a tappe cercheremo di fare un po’ più di intensità, cercando di capire se possa gestire un carico superiore e così progredire ancora. Questo è un processo che cerchiamo di aumentare ogni anno.

E’ vero che la Zona 2 di Tadej è così alta da uguagliare la Zona 3 degli altri?

Parlare della Zona 2 di Tadej e confrontarla con gli altri è giusto fino a un certo punto. Più è alta la soglia aerobica e più in proporzione si alza tutto il resto. Quando Tadej è stato ospite del podcast di Peter Attia, si è parlato di 280-300 watt in Zona 2. Come per qualunque mortale, si tratta del 75 per cento della soglia, basta fare il calcolo. E quando la soglia si alza, il resto la segue in proporzione.

Sola e Swart hanno spiegato senza grandi dettagli la preparazione svolta da Pogacar per migliorare
Sola e Swart hanno spiegato senza grandi dettagli la preparazione svolta da Pogacar per migliorare

La parola a Swart

Finora Swart è restato in silenzio, annuendo alle risposte del collega. Ma quando è Sola a interpellarlo perché dica qualcosa sugli ultimi concetti, anche il sudafricano dimostra di avere utili argomenti. Il prossimo anno compirà 50 anni, arriva da Cape Town ed è nel team emiratino dai primi anni.

«Ogni anno – spiega – le squadre fanno passi avanti in termini di incremento della qualità del lavoro e della scienza che introducono nella loro preparazione. Stanno migliorando la nutrizione e anche i materiali. Ogni anno dobbiamo valutare quello che facciamo e vedere dove ci sono ancora aree in cui possiamo migliorare. Lo facciamo su base annuale e fortunatamente durante il 2023 ci sono stati alcuni passaggi chiave, che ci hanno permesso di intervenire nella preparazione del 2024. La squadra è andata bene con tutti i corridori, non solo con Tadej, quindi penso che sia importante concentrarsi su tutti».

C’è stato nel caso di Tadej un fattore decisivo per il miglioramento?

Non c’è un elemento specifico, ci sono varie sfaccettature. Javier ha menzionato l’allenamento sulla forza. Diciamo che monitoriamo quella che chiamiamo la produzione media di coppia massima per tutti i corridori. Così facendo, abbiamo potuto vedere che nell’espressione della potenza c’erano alcune carenze anche per Tadej. Siamo intervenuti e questo ha portato qualche piccolo vantaggio. Poi c’è la nutrizione, che negli ultimi 10 anni si è evoluta enormemente.

Tadej ha ammesso di aver faticato per adattarsi alle tabelle del nutrizionista.

Prima tutti consumavano 60 grammi di carboidrati all’ora e pensavano di essere vicini al limite massimo. Oggi lo standard è di 110-120 grammi e questo significa che il carburante a disposizione dei corridori è molto maggiore. Ce ne accorgiamo dalla capacità complessiva degli atleti di fare sforzi ad alta intensità per periodi molto più lunghi. Allo stesso modo, analizzando l’andamento delle gare, abbiamo puntato sull’allenamento con il calore, una grande area su cui si è fatta tanta ricerca. Nell’ultimo anno ci sono state dozzine di articoli praticamente solo in quella sfera. E quindi abbiamo implementato anche questo con successo».

Doppia borraccia al via di tappa, con i carboidrati in base alle indicazioni del nutrizionista
Doppia borraccia al via di tappa, con i carboidrati in base alle indicazioni del nutrizionista
Pogacar è davvero un’eccezione?

Ci sarebbero anche altri atleti del suo livello, ma non producono le stesse prestazioni perché non hanno l’intero spettro di quella capacità. Per essere una superstar che capita una volta nella vita, come Federer, Nadal o Tadej, devi possedere l’intera gamma e non tutti ce l’hanno. Se si combina il super talento naturale con il duro lavoro, i risultati arrivano. Se tralasci un aspetto, non raggiungerai lo stesso livello. Forse avrai delle vittorie, ma non diventerai una superstar globale come Tadej.

L’UCI di recente ha chiesto alla Wada di vietare l’uso del monossido di carbonio.

La respirazione con il monossido di carbonio è una tecnica convalidata da 20 anni e utilizzata da alpinisti, sportivi di resistenza e atleti di tutto il mondo per misurare la massa dell’emoglobina quando si recano in quota. Negli ultimi sette anni abbiamo ottenuto degli ottimi benefici grazie ai ritiri in altura, ma non c’era modo di quantificare i miglioramenti in modo chiaro se non misurando la massa dell’emoglobina. Così due anni fa abbiamo deciso di valutare se i nostri corridori stessero migliorando o meno rispetto alle nostre aspettative.

Come è andata a finire?

Abbiamo condotto per 18 mesi uno studio e valutato la massa dell’emoglobina usando la respirazione del monossido di carbonio, che ha una tecnica molto standardizzata con attrezzature molto specifiche. Il processo ormai è terminato e i risultati mostrano che i training camp in altura sono molto adatti ai nostri corridori, quindi non abbiamo bisogno né intenzione di andare avanti. Mentre penso che siano stati scritti articoli piuttosto sensazionalistici che speculano sull’abuso di una tecnica che sarebbe piuttosto complicata e difficile da attuare.

I ritiri in altura danno i risultati sperati: il test del monossido di carbonio sarebbe servito per dimostrarlo (foto Alen Milavec)
I ritiri in altura danno i risultati sperati: il test del monossido di carbonio sarebbe servito per dimostrarlo (foto Alen Milavec)

Torniamo da Javier Sola

Il tema è caldo, il fatto che del monossido di carbonio sia stato chiesto il divieto fa pensare che magari non tutti se ne servano per scopi di ricerca. Le domande riprendono, si torna a parlare di preparazione con Javier Sola.

In che modo il calendario influisce sulla sua preparazione?

La cosa più importante per noi è che Matxin continui a fare un ottimo calendario, che ci permette di dividere la stagione in due blocchi: quello delle classiche e quello con i Grandi Giri. Questa distinzione permette di programmare bene la preparazione, dato che le esigenze della gara di un giorno sono diverse rispetto al Tour de France, assecondando le esigenze specifiche di ogni evento.

Qual è la particolarità di Pogacar rispetto a queste programmazioni?

Il modo in cui risponde al piano di allenamento. E’ un monitoraggio che stiamo facendo, seguendo il lavoro con i dati oggettivi e i dati soggettivi, sommando tutte le informazioni possibili. Penso che Tadej sia incredibilmente professionale, lui segue il piano e fa quello che serve. A volte è anche troppo entusiasta e per questo dobbiamo tenerlo a bada. Ma la realtà è che spesso ha ragione lui, perché ha un’incredibile capacità di allenarsi, recuperare e adattarsi.

In altre parole?

La sua forza rispetto ad altri corridori è la capacità di assimilare il carico di lavoro a un ritmo molto più veloce. E’ in grado di raggiungere non solo il picco di forma molto rapidamente, ma anche queste prestazioni fenomenali. E questa è davvero una cosa che capita una volta in una generazione.

Le vittorie di Pogacar hanno motivato la squadra: grazie all’emulazione sono arrivate le 81 vittorie 2024
Le vittorie di Pogacar hanno motivato la squadra: grazie all’emulazione sono arrivate le 81 vittorie 2024
Fino a che punto pensi che oggi abbia raggiunto la piena capacità e sia in grado di fare un passo avanti?

Lo scopriremo nel prossimo anno. Sicuramente ha fatto davvero un buon passo dai 23 ai 24 anni, poi dai 24 ai 25 e ora dai 25 ai 26. Il tempo dirà se riuscirà a crescere ancora.

Come si fa a conciliare l’eccezionalità di Tadej col resto della squadra?

Non è un problema, perché si è creata ormai una cultura del successo. Quando un corridore vince così, gli altri vogliono emularlo e tutti sono spinti a un livello superiore. Lo abbiamo visto con i nostri atleti: tutti vogliono vincere e hanno l’opportunità di farlo quando sono al livello in cui devono essere. E’ come quello che accadde con la Ineos, che aveva ingaggiato tante stelle e costruito tutta la squadra intorno a loro. Penso che sia una cosa complessa da gestire, ma penso che Matxin lo faccia bene. Per questo abbiamo ottenuto una stagione con 81 vittorie, questa squadra sta progredendo in modo fenomenale.

Crono, cosa c’è dopo Ganna? Malori vede già l’erede

12.12.2024
7 min
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Le cinque medaglie azzurre conquistate dagli uomini nelle crono individuali dei tre eventi principali del 2024 hanno avuto un grande valore per il nostro movimento, soprattutto se contestualizzate nel momento in cui sono arrivate. Tuttavia hanno evidenziato all’orizzonte “una coperta” che si sta accorciando.

Vale la pena iniziare a prevedere un dopo-Ganna in maniera mirata? Oppure lasciamo tutto il peso sulle spalle del totem verbanese, col rischio di gravarlo ancora di eccessive pressioni? Giusto per dare un riferimento, tra europei, mondiali e Giochi a cinque cerchi, Pippo ha conquistato 8 delle 13 medaglie ottenute dall’Italia dal 2017 (anno del suo passaggio tra i pro’). E’ stato ed è tutt’ora il capostipite di una specialità che non si può improvvisare, oltre ad essere un riferimento per i più giovani.

Tante considerazioni e tante risposte le abbiamo chieste ad Adriano Malori. Uno che della cronometro ha fatto una filosofia di vita fin dalle categorie giovanili. E come sempre il vice-campione del mondo di Richmond ci ha dato tanti spunti, sbilanciandosi su un nome in particolare come futuro faro azzurro.

Per Malori bisogna prevenire il dopo-Ganna lavorando più a fondo nelle categorie giovanili
Per Malori bisogna prevenire il dopo-Ganna lavorando più a fondo nelle categorie giovanili

Meriti attuali

Abbiamo già detto più volte che quest’anno Ganna ha dovuto staccare la spina dopo Parigi, saltando le prove continentali in Limburgo, per ripresentarsi rigenerato psicofisicamente a Zurigo. Per lui due argenti dietro ad un Evenepoel inarrivabile. Eppure parallelamente – e fortunatamente per i colori azzurri – ha trovato in Affini un compagno che ha tenuto altissima la bandiera.

«Senza contare Pippo, che è sempre una garanzia – spiega Malori – anche Affini ormai è una certezza e l’ho sempre detto che era un buon cronoman. L’oro all’europeo e il bronzo al mondiale sono meritati ed Edoardo ha dimostrato di essere davvero il vice-Ganna. La differenza tra i due è che Affini alla Visma | Lease a Bike è un super gregario che lavora tantissimo, a scapito di qualche sua carta da giocare ogni tanto. Invece Ganna alla Ineos Grenadiers è diventato un capitano in molte gare o tappe. Lo stesso discorso vale anche per Cattaneo che ha raccolto un bel bronzo europeo vedendo ripagati i suoi sforzi nella Soudal-Quick Step. Detto questo però iniziano un po’ di note dolenti, se andiamo a vedere cosa c’è dietro di loro».

Ganna e Affini (qui col cittì Velo) sono rispettivamente il leader ed il vice della specialità in Italia (foto FCI/Maurizio Borserini)
Ganna e Affini (qui col cittì Velo) sono rispettivamente il leader ed il vice della specialità in Italia (foto FCI/Maurizio Borserini)

Eredità da raccogliere

Il “Malo” prima di elencarci chi potrebbe essere il successore, fa più di un passo a ritroso per spiegare cosa bisognerebbe fare per allevare nuovi cronoman. Perché, gli chiediamo noi, per una nuova leva raccogliere il testimone da Ganna e i suoi fratelli è uno stimolo oppure una zavorra?

«Sinceramente – risponde Adriano con la solita lucida franchezza – credo che possa essere un grosso peso perché inevitabilmente verranno fatti dei paragoni. Nel 2015 quando io ho vinto l’argento mondiale si fecero grandi titoli. Erano più di vent’anni che un italiano non prendeva una medaglia a crono. E’ vero, andavo forte ed ero cresciuto molto, però non avevo alcuna eredità da raccogliere. E di fatto posso dire che Ganna l’ha raccolta da me e sono ben felice che abbia poi vinto due mondiali di fila.

«Ma pensate se adesso un nostro giovane dovesse inanellare una serie di podi importanti, che cosa gli direbbero tutti, dal pubblico agli addetti ai lavori. Avrebbe sempre il confronto con Pippo che rischierebbe di essere controproducente. So bene che dovrebbe essere una grande motivazione cercare di raggiungere i livelli di Ganna o di Affini, ma in Italia manca la pazienza. Così come stiamo aspettando di trovare un nuovo Nibali, rischiamo di fare altrettanto con il dopo-Ganna se non si inizia a fare qualcosa con i giovani».

Allenamento imprescindibile. Malori per migliorare e vincere nelle prove contro il tempo faceva tante ore da solo sulla bici da crono
Per migliorare e vincere nelle prove contro il tempo, Malori faceva tante ore da solo sulla bici da crono

Ore in solitaria

Quello moderno è un ciclismo che assomiglia molto alla Formula Uno, dove si ricercano i dettagli per andare più forte. Figuratevi per chi vuole diventare un cronoman competitivo. Galleria del vento, abbigliamento, materiali e soprattutto tante, tante e tante ore di allenamento. Malori potrebbe avere una cattedra sull’argomento in questione.

«Il livello italiano nelle categorie giovanili – chiarisce Adriano – non è veritiero. Da juniores e da U23 si confonde la forza generica con leventuali predisposizione per le crono o ad esempio per la salita. In Italia purtroppo non si ragiona in prospettiva. I giovani si allenano tanto per la categoria che fanno. Potenzialmente ce ne sono tanti che potrebbero essere portati per le prove contro il tempo, ma bisogna vedere chi ha veramente voglia di mettersi lì a pedalare per delle ore da solo, con metodo e concentrazione.

«Sempre nel 2015 – ricorda – dopo la crono di apertura che vinsi alla Tirreno, a quattro secondi da me arrivò a sorpresa Oss. Gli suggerii di insistere nella disciplina. Però lui mi rispose sorridendo che più di dieci, massimo 15 minuti a tutta non riusciva a tenere perché poi saltava di testa. E capivo benissimo il suo ragionamento. Ecco perché è facile perdere col passare degli anni tanti talenti a crono».

Eredità pesante. Dal 2017 ad oggi, Ganna ha raccolto 8 medaglie su 13 conquistate dall’Italia tra europei, mondiali e Olimpiadi
Eredità pesante. Dal 2017 ad oggi, Ganna ha raccolto 8 medaglie su 13 conquistate dall’Italia tra europei, mondiali e Olimpiadi

Investire sulle crono

Investire nelle crono è il mantra ricorrente quando se ne parla a livello giovanile. Un discorso che ci fece anche Marco Velo, il cittì delle crono, prima e dopo le prove degli ultimi europei nelle quali gestisce uomini e donne dagli juniores ai pro’.

«Sono d’accordo con quello che sostiene Marco – va avanti Malori – perché non ci sono molte cronometro nelle categorie giovanili, fatti salvi i campionati italiani e in qualche giro a tappe. Purtroppo è un problema economico per gli organizzatori ed anche per le squadre che devono avere una bici adatta. Adesso molti direttori sportivi vedono le crono come una mezza rogna perché bisogna investirci tempo e denaro. E sappiamo che non tutti ce li hanno, tenendo conto dello stress sempre più dilagante che condiziona i giovani.

«Ovvio, non tutte le realtà sono così per fortuna, ma ora è difficile trovare chi crede veramente in un potenziale cronoman. A meno che, e lo dico brutalmente, non si faccia come Finn che è andato a correre in un team tedesco e satellite della Red Bull-Bora Hansgrohe. Ed è diventato campione italiano su strada e a crono, investendoci tanto».

Milesi per lo scettro

Gira e rigira la lancetta batte dove la cronometro duole. Il dopo-Ganna bisogna anticiparlo cercando di farsi trovare pronti. Malori non ha dubbi su chi potrebbe prendere lo scettro di Pippo, a patto che si facciano le cose a modo.

«Per me Lorenzo Milesi – ci dice Adriano – ha tutte le carte in regola per raccogliere quella famosa eredità da Ganna. Non si vince un mondiale a crono U23 per caso, considerando che quella categoria ormai è piena da anni di atleti molto forti di team WorldTour. Purtroppo quest’anno ha avuto una stagione non semplice, raccogliendo pochi risultati anche a crono, ma può capitare. Ha 22 anni, è ancora molto giovane e può crescere ulteriormente. Tuttavia gli consiglio quello che consigliai allo stesso Ganna quando era nella prima UAE, la ex Lampre in cui ero stato per diversi anni. Ovvero cambiare squadra se vuoi fare il salto di qualità a crono».

Lorenzo Milesi per Malori può raccogliere l’eredità di Ganna, ma deve sperare che la Movistar torni ad investire nella crono
Lorenzo Milesi per Malori può raccogliere l’eredità di Ganna, ma deve sperare che la Movistar torni ad investire nella crono

«Pippo alla Ineos lo ha fatto – conclude – mentre l’attuale Movistar di Milesi non è la stessa di quando c’ero io. Non ci credono come prima. L’unica sua speranza è che la Movistar (con cui Milesi ha firmato fino al 2026, ndr), voglia nuovamente investire risorse importanti in quella specialità. Hanno Mas per i Grandi Giri e Ivan Romeo, successore di Lorenzo in maglia iridata.

«Sotto di lui, tra gli altri giovani italiani c’è il Milesi della Arkea (Nicolas, non sono parenti, ndr). E’ arrivato due volte secondo al tricolore U23 e sembra ben predisposto. Però per entrambi e per tutti gli altri direi di vedere come andrà il 2025. Eventualmente faremo nuovamente questo discorso fra dodici mesi, se non prima».

Tiberi, parole da grande e lavori massimali progettando il Giro

12.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – Quinto al Giro d’Italia e miglior giovane, Antonio Tiberi si muove col passo felpato di chi ha in testa il ritmo giusto per fare le cose. Il mattino è stato dedicato alle visite mediche e ad una sessione fotografica, poi ci sono i giornalisti e le loro domande. La giornata è accecante di sole e mare, il riverbero del marmo a bordo piscina costringe a socchiudere gli occhi.

L’hotel Cap Negret è meno affollato del solito. Ci sono la Bahrain Victorious e la VF Group-Bardiani, come pure la FDJ Suez di Demi Vollering e Vittoria Guazzini. Il parcheggio però è mezzo vuoto, perché quest’anno la geografia dei team si è rimescolata. Ci sono stati anni in cui qui potevi incontrare anche sei squadre contemporaneamente: una sorta di caccia grossa per chi fosse in cerca di interviste.

Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023
Tiberi inizia la seconda stagione con la Bahrain Victorious, cui è arrivato a metà del 2023

La stessa flemma di Nibali

Per l’Italia che va in cerca di una nuova voce per i Grandi Giri, la carta Tiberi è il ponte più concreto fra il ricordo di Nibali e un futuro da scrivere. Di Vincenzo ha la flemma e per certi versi lo stile: la Trek-Segafredo aveva visto giusto nel metterli uno accanto all’altro, anche se alla fine il piano è caduto nel vuoto. Probabilmente al laziale manca ancora la capacità di inventare azioni vincenti, ma quella verrà quando le gambe saranno in grado di sostenerle. Il quinto posto al primo Giro è senza dubbio un bel trampolino da cui spiccare il volo.

Prima di raggiungerci, Tiberi si è coperto di tutto punto. Non tragga in inganno il sole: a volte si alzano delle folate di vento che suggeriscono prudenza in atleti che sono ancora lontani dal peso forma, ma si riguardano come meglio possono. Quando anche la mantellina è chiusa fino sotto il collo, Antonio si accomoda sullo sgabello di fronte.

«Vengo da un anno più che ottimo – dice – quindi sono qui per lavorare bene, cercare di crescere e fare qualcosa di ancora migliore per l’anno prossimo. Ho passato le vacanze a casa, un po’ a San Marino e un po’ dai miei genitori. Per me la vacanza è stare a casa, tranquillo e senza impegni. Sono sempre in giro a prendere aerei, quindi non ho molta voglia di prenderne altri anche a stagione finita».

Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Quinto al Giro e miglior giovane: il podio di Roma ha consacrato il primo grande risultato di Tiberi
Cosa si fa in questo primo ritiro?

Ci dedichiamo ai test, alle nuove foto, a provare nuove bici e il nuovo abbigliamento. E soprattutto avviamo la preparazione in vista del ritiro di gennaio, cui spero di arrivare con la gamba pronta per iniziare a lavorare sul serio.

Hai imparato qualcosa di più su Antonio nel 2024?

Ho imparato che facendo le cose con la testa e mettendoci impegno, riesco a ottenere degli obiettivi che prima neanche avrei immaginato. Sicuramente tutto quello che è venuto nella scorsa stagione mi ha dato più sicurezza e la maturità per iniziare la preparazione con maggiore concentrazione. E con la consapevolezza che, se faccio le cose al meglio, riesco ad ottenere comunque dei buoni risultati.

Il fatto di stare in salita con i migliori dipende dalla preparazione oppure in gara si alza anche la soglia del dolore?

E’ anche una questione mentale, giusta osservazione. Il lavoro conta tanto, perché a casa si allenano anche la sopportazione del dolore e della fatica. Il fatto di reggere certe andature è più che altro una questione di tempistiche e varia da persona a persona. Allenarsi tanto è necessario, ma per arrivare a un certo livello quello che fa tanta differenza è la testa. Penso che ogni persona abbia bisogno di arrivare al punto giusto di maturazione per riuscire a fare determinati sforzi e determinate prestazioni. Per metabolizzare bene lo stress e la fatica.

Su cosa devi crescere per essere ancora più incisivo?

Abbiamo fatto un’analisi delle mie prestazioni e quello che manca e che vorremmo migliorare è il cambio di ritmo, quello con cui Pogacar riesce a fare la differenza quando siamo tutti al limite. Ci lavoriamo già, l’idea è di alzare questa soglia, certe azioni non le puoi improvvisare.

Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita
Con la maglia bianca nel gruppo di Pogacar verso il Mottolino: il livello di Tiberi è in crescita

Il cambio di ritmo

Il suo preparatore è Michele Bartoli, che lo ha preso in carico a metà 2023, ma ha potuto iniziare a lavorare con lui in maniera completa alla vigilia del 2024. Un anno di osservazione e lavoro ha portato appunto alla conclusione di cui parla lo stesso Tiberi.

«Faremo un programma di allenamenti intervallati – spiega il toscano – che durano secondi fino ad arrivare a pochi minuti. Andando avanti riesci a vedere più cose e guardandolo correre, abbiamo notato questo aspetto in cui possiamo lavorare per migliorare. Lavori che vanno da 30-40-50 secondi fino ad arrivare ai 3-4 minuti. Ma non ci si limita a quello. Si arriva a fare lavori massimali anche di 6-7-8-10 minuti, perché quello che ci serve e che serve ad Antonio è prettamente questo. Lavori con frequenti cambi di ritmo, da pochi secondi fino a pochi minuti.

«Ma non cominceremo subito – prosegue il toscano – perché Antonio ha corso fino a una gara in salita organizzata da Merida a Taiwan, quindi si è dovuto allenare dal Lombardia al 25 di ottobre, come se corresse ancora. Poi ha scaricato quattro settimane e siamo arrivati al 20 di novembre, quando ha ripreso a pedalare. Perciò sono due settimane che si allena e ora deve fare un po’ di base, non può caricare subito al massimo».

Nel tavolo accanto è seduto Colbrelli, con il computer aperto che all’esterno del monitor ha le foto delle sue vittorie più belle. Questi sono i giorni in cui si definiscono i programmi: per i direttori sportivi un vero rompicapo fra i desiderata degli atleti e le esigenze della squadra.

Caruso e Tiberi (di spalle), il fresco diesse Sonny Colbrelli e Stangelj: si parla di corse e programmi
Caruso e Tiberi (di spalle) e il fresco diesse Sonny Colbrelli: si parla di corse e programmi
Qual è stato il giorno più bello dell’anno?

Ne dico due. La penultima tappa del Giro, quella di Bassano, quando ho trovato i miei genitori dopo l’arrivo. E poi l’ultima tappa, quella di Roma, che a modo suo resta indimenticabile.

I mondiali potevano esserlo e non lo sono stati?

Diciamo che li ho presi come un’esperienza che sicuramente mi servirà in ottica futura, essendo stato comunque il primo mondiale. Sono andato a Zurigo con le aspettative alte, forse anche troppo per quello che era realmente il percorso. Speravo in qualcosa più adatto agli scalatori, che ci fossero delle salite dure. Invece era più esplosivo, per gente come Van Der Poel. Però il mondiale è sempre una gara particolare. L’ultima volta che lo avevo corso era da junior e bisogna dire che c’è una bella differenza tra juniores e professionisti. Si corre senza radio, è uno stile di gara molto molto diverso da quello cui siamo abituati.

In un ipotetico avvicinamento al Giro, se sarà Giro, rifaresti tutto quello che hai fatto quest’anno oppure si può cambiare qualcosa?

Se fosse Giro, l’avvicinamento sarebbe molto simile. Magari potrebbe cambiare un pochino la prima parte, proprio l’inizio della stagione e forse sarà così. Probabilmente inizierò all’Algarve, ma il resto sarà quasi uguale all’anno scorso, magari facendo qualche ritiro in più con la squadra.

Il quinto posto del Giro ha fatto crescere la tua popolarità?

Leggermente, qualcuno mi riconosce quando sono in giro a casa o anche quando mi alleno. Mi fa piacere, è qualcosa che ti dà più morale, che dà orgoglio e ti stimola a fare ancora meglio.

I pensieri di Dunbar, distrutto dal Giro, rinato alla Vuelta

11.12.2024
7 min
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ALTEA (Spagna) – Una caduta nella seconda tappa del Giro in cui avrebbe fatto classifica e la stagione di Eddie Dunbar aveva preso una piega più malinconica di quanto fosse già stata fino a quel momento per altre cadute. La Jayco-AlUla costretta a reinventarsi con Zana come leader e l’irlandese a casa a contare i giorni per togliere i punti dal ginocchio e inventarsi un nuovo inizio. Quello che è venuto dopo, le due tappe vinte alla Vuelta, ha fortunatamente pareggiato il conto. Non due vittorie qualsiasi, ma a modo loro delle imprese grazie a fughe azzeccate e poi la capacità di resistere al ritorno dei migliori dalle sue spalle. Così al Campus Tecnologico Cortizo Paron (tappa 11) e a Picon Blanco (tappa 20). Per la squadra è stato un cambio di passo ed è per questo che adesso nel parlarne Dunbar mostra leggerezza e sollievo.

La carnagione chiara di sempre, che la tuta blu fa sembrare ancora più pallida. Il tono profondo. L’estrema attenzione con cui ti guarda mentre fai la domanda e la pausa per ordinare i concetti prima di rispondere. Sono le sei di un pomeriggio spagnolo in riva al mare, nel piazzale dell’hotel si riconosce anche il camion dell’Astana, ma dei celesti di Vinokourov non si vede in giro nessuno.

Abbiamo incontrato Dunbar nel media day del Team Jayco-AlUla: circa 20 giornalisti presenti
Abbiamo incontrato Dunbar nel media day del Team Jayco-AlUla: circa 20 giornalisti presenti
Pensi che si possa dividere l’ultima stagione in parti: prima del Giro e dopo il Giro?

Sì, probabilmente sì. Prima del Giro ci sono state solo cadute, niente di buono. Troppi ritiri. Al UAE Tour e alla Valenciana, al GP Indurain e anche al Romandia. Invece al Giro ero arrivato con una forma abbastanza buona e il primo giorno a Torino era stato davvero ottimo (nel gruppo dei migliori a 10” da Narvaez e Pogacar, ndr). Invece l’indomani sono caduto per il brecciolino in quella rotonda ed è stato davvero frustrante. Ovviamente ho finito la tappa, ma sapevo che c’era qualcosa di grosso che non andava con il ginocchio destro e così è stato. E’ vero, i primi sei mesi sono stati davvero frustranti. Non riuscivo ad allenarmi bene né a correre come volevo.

Come ne sei uscito?

Restando fermo (sorride, ndr) e ricostruendomi molto lentamente. Sapevo che dovevo correre la Vuelta e appena sono potuto tornare in bici, la progressione è stata molto, molto lenta. Per fortuna la condizione ha iniziato ad arrivare durante la corsa, sono migliorato nelle ultime due settimane e sono riuscito a vincere le due tappe. E’ stata una bella sensazione, soprattutto dopo tanta sfortuna. Ottenere finalmente delle vittorie di alto livello è quello che serviva.

Firma di partenza nella seconda tappa del Giro da San Francesco al Campo a Oropa, quella della caduta
Firma di partenza nella seconda tappa del Giro da San Francesco al Campo a Oropa, quella della caduta
Quindi non sei andato alla Vuelta per fare classifica come al Giro?

Pensavo di poter entrare nei primi dieci, penso fosse quello che la squadra avrebbe voluto. Ma per me l’obiettivo principale era che la squadra vincesse una tappa. Così ho pensato che se fossi riuscito a vincerne una di montagna, allora forse sarebbe arrivata anche la classifica generale. E alla fine non è andata così male. Ho avuto una brutta giornata il giorno prima del giorno di riposo a Granada a causa del caldo. Quando si va sopra i 40 gradi, soffro davvero: quello non è il mio clima. E quel giorno ho sofferto molto e ho perso 11 minuti. Probabilmente la mia top 10 è tramontata lì e mi sono deciso a puntare soltanto sulle tappe.

Poi in realtà non sei finito troppo lontano…

Undicesimo, a tre minuti dal decimo posto. Ma è stato meglio aver vinto due tappe che portare a casa un decimo posto senza nessun acuto.

Torniamo indietro al Giro, come ti sei sentito quel giorno andando via?

Un sacco di emozioni. Ero davvero frustrato perché dovevo fare classifica e il giorno prima mi ero sentito davvero bene. Sapevamo che il ginocchio non andava bene, perché c’era un buco, ma finché non abbiamo fatto degli esami poteva essere molto più grave di quanto sia stato. Quei giorni non sono stato troppo forte mentalmente e anche fisicamente ero piuttosto malconcio. Per una settimana o anche due sono stato davvero giù. Mi chiedevo di continuo quando sarebbe finita quella sfortuna. Cambierà mai? Avrò ancora la possibilità di andare alla Vuelta? Ma per fortuna poi il ginocchio è lentamente migliorato e anche la mia visione del mondo ha iniziato a cambiare. Sono andato alla Vuelta dopo essermi allenato bene e sapevo cosa avrei dovuto fare per ricostruire la mia fiducia e provare a vincere. E per fortuna l’ho fatto.

Eddie Dunbar è nato il 1° settembre del 1996 a Banteer, in Irlanda. E’ pro’ dal 2018, è alto 1,70 per 57 chili
Eddie Dunbar è nato il 1° settembre del 1996 a Banteer, in Irlanda. E’ pro’ dal 2018, è alto 1,70 per 57 chili
La prima gara dopo l’incidente è stato il campionato irlandese a crono e l’hai vinto.

Sì, è vero (ride, ndr). Non mi aspettavo di vincerlo. A cose normali sarebbe stata una possibilità, ma mi ero allenato correttamente solo per due settimane e pensavo che fosse poco. Però ho pensato: “La crono è lunga 36 chilometri e io posso andare forte per 50 minuti, vediamo se sono capace”. Sapevo che nella gara su strada sarebbe stato più difficile perché sarebbe stato uno sforzo di quattro ore. Per cui sono andato ad Athea, dove si correva, che è a 40 minuti da casa mia in Irlanda. Conoscevo le strade perché è capitato di allenarmi da quelle parti. Ho fatto una prova del percorso e poi in gara non ho neppure guardato il Garmin. Sono partito, ho fatto la mia crono e alla fine sono rimasto davvero sorpreso. E’ stato bello vincere, buono per il morale.

Hai vinto le due tappe alla Vuelta tenendo testa al ritorno di Roglic: hai imparato qualcosa di nuovo su di te come scalatore?

Penso che forse ho bisogno di credere di più in me stesso. Soprattutto quando mi trovo contro certi corridori, non devo avere paura di andare  e spingere. Perché se riesco a farlo su quelle salite così dure, a un certo punto i più forti verranno pure a prendermi, ma avrò comunque una possibilità di vincere superiore a quella che avrei se restassi fermo ad aspettare che attacchino loro. Ed è quello che è successo. Penso che ho solo bisogno di mettermi in quel tipo di situazione e poi provare a capitalizzarla e sfruttarla al meglio. Ho solo bisogno di credere di più in me stesso, avere la fiducia di provarci.

Nel giorno di Picon Blanco alla Vuelta, Dunbar vince la sua seconda tappa e respinge il ritorno dei big
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Questo cambierà qualcosa per il futuro?

No, non credo. Come ho detto, di sicuro ti dà fiducia, penso che la darebbe a chiunque. Ma penso anche che rimarrò lo stesso corridore, con le qualità atletiche che so di avere, non cambierò pelle. Ora so che posso vincere, ma non diventerò quello che non sono.

Cosa ti aspetti da questo inverno?

Voglio crescere lentamente. Ho un nuovo allenatore, con cui avevo collaborato già qualche anno fa, quindi sto lavorando a stretto contatto con lui, il che è bello. Abbiamo messo in atto una buona strategia di preparazione. Cioè venire qui prima di Natale, fare un buon allenamento, tornare a casa e rilassarmi un po’ durante il Natale e poi, con quattro-cinque settimane di lavoro costruire l’AlUla Tour, che per la squadra è una grande gara, visto che si corre in casa di uno degli sponsor principali. Sarà importante andare lì ed esibirsi a un grande livello. Quindi per ora questa è la cosa principale, assieme al rimanere in salute durante il Natale, e poi andare lì e sperare di ottenere un risultato.

In azione all’ultimo Lombardia: sul ginocchio di Dunbar si notano i segni della caduta del Giro
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Quale Grande Giro ti piacerebbe correre nel 2025?

Penso che sarebbe bello andare al Tour e penso che sia una possibilità. Si va in Francia per aiutare Ben (O’Connor, ndr) a vincerlo o salire sul podio e magari per provare a vincere una tappa.

Il suo arrivo cambierà qualcosa nella squadra?

Non del tutto, perché Yates era davvero un buon corridore, ha vinto la Vuelta e ha fatto già bene nei Grandi Giri. Abbiamo perso Simon, ma abbiamo preso uno come Ben che quest’anno è stato uno dei migliori corridori al mondo. Ovviamente è anche australiano, quindi questo fa la differenza in un team che è a sua volta di laggiù. Quindi penso che sia bello per lui e anche per la squadra, penso che gli piacerà stare qui. E se l’anno prossimo riuscirà ad essere presente come quest’anno, sarà una buona stagione. E penso che tutti saranno felici.