Toselli e i 5 anni alla Vangi: storie, avventure e tanti ricordi

16.12.2024
7 min
Salva

Cinque anni con la stessa squadra e poi l’addio, Ivan Toselli saluta la Vangi-Sama Ricambi-Il Pirata e passa tra gli under 23. L’allievo che ha festeggiato la vittoria del campionato italiano imitando il suo idolo Mathieu Van Der Poel è diventato grande. Forse lo era già da prima, quando ad appena tredici anni prese il treno per andare al ritiro di Sezze, nel Lazio, con la maglia della Vangi. Dal 2020 al 2024, crescendo, imparando e vincendo, ma soprattutto perdendo, dice lui

Come racchiudere un periodo così lungo e importante della propria vita in un’intervista? Difficile, speriamo di esserne in grado, perché la storia personale di Ivan Toselli merita di essere conosciuta. Intanto partiamo dalle novità, ovvero che dal 2025 sarà under 23 e correrà con la Technipes #InEmiliaRomagna di Davide Cassani

L’esordio con il team Il Pirata è arrivato nel 2020, Toselli (al centro) era al secondo anno da esordiente
L’esordio con il team Il Pirata è arrivato nel 2020, Toselli (al centro) era al secondo anno da esordiente

Un addio sentito

Ma ora facciamo i passi con il giusto tempo, parliamo di queste cinque stagioni vissute tutte con la Vangi. E’ arrivato da piccolissimo, se ne va ormai grande e sicuramente più maturo

«I primi tre anni – racconta il laziale – l’ultimo da esordiente e quelli da allievo li ho corsi con Il Pirata. Poi nel 2023 hanno aggiunto la formazione juniores ed è diventata Vangi-Sama Ricambi-Il Pirata. Salutarli è stato difficile, ho avuto un po’ il magone. Sono stato bene con loro e sono cresciuto tanto».

Nei due anni da allievo Toselli ha continuato a vestire la stessa maglia, vincendo spesso
Nei due anni da allievo Toselli ha continuato a vestire la stessa maglia, vincendo spesso
Come sei arrivato alla Vangi?

Grazie a una chiamata di Andrea Campagnaro, mi aveva visto a una corsa del suo paese quando ero esordiente primo anno, nel 2019. Ricordo che durante l’inverno non vedevo l’ora che iniziasse la stagione successiva. Per me correre con la maglia della Vangi era un sogno. Insomma, era la squadra di riferimento ad ogni gara.

Che sensazione hai provato quando hai indossato la loro divisa per la prima volta?

Ero felicissimo, non stavo più nella pelle. Però ammetto che mi sembrava strano avere come compagni di squadra i ragazzi che fino a pochi mesi prima erano avversari. Questa è stata una costante dei miei anni qui alla Vangi. Ogni volta che ho trovato avversari forti poi l’anno dopo li ho avuto al mio fianco. L’ultimo è stato Enea Sambinello nel 2024. 

Campionato italiano allievi 2021 e l’esultanza alla VDP per festeggiare il tricolore
Campionato italiano allievi 2021 e l’esultanza alla VDP per festeggiare il tricolore
Da allievo avevi stupito tutti ottenendo grandi risultati…

Al primo anno nella categoria avevo vinto il campionato italiano e poi erano arrivati tanti piazzamenti. Nel 2022, invece, ho vinto la Coppa d’Oro. Sicuramente sono state due stagioni che ricordo con grande piacere. Alla fine del secondo anno da allievo mi aveva anche contattato la Auto Eder per andare a correre da loro. 

E tu?

Pensavo fosse uno scherzo. Mi aveva scritto Christian Schrot su Instagram. Pensai di accettare, poi parlando con le persone che avevo intorno rifiutai. Mi consultai anche con Davide Cassani, una figura importante nella mia carriera fino ad ora. La decisione di non andare alla Auto Eder derivò anche dal fatto che andare all’estero al primo anno da juniores sarebbe stato troppo impegnativo

Nel 2022 Toselli ha trovato la vittoria alla Coppa d’Oro, una conferma del talento del giovane laziale (foto Coppa d’Oro)
Nel 2022 Toselli ha trovato la vittoria alla Coppa d’Oro, una conferma del talento del giovane laziale (foto Coppa d’Oro)
Non si fecero più sentire?

No. La cosa non andò avanti. Ma non ho rimpianti, sono felice di aver fatto il mio percorso. 

Vincere così tanto da allievo ha alzato molto le aspettative su di te una volta juniores, come le hai gestite?

Di quello che pensa la gente non me ne frega molto. Tutti si aspettavano potessi fare dei bei risultati, in un certo senso replicare quello che avevo fatto da allievo. Queste due stagioni da juniores non sono state facili, ma mi hanno fatto crescere tanto dal punto di vista mentale. A me interessa andare in bici e divertirmi nel farlo. Sono un corridore leggero e nella categoria allievi e juniores non ci sono tantissime gare adatte a me. Allora mi diverto quando attacco, quando provo e mi muovo in anticipo.

Il 2023 è stato l’anno più complicato con la frattura della clavicola e una condizione mai al top (photors.it)
Il 2023 è stato l’anno più complicato con la frattura della clavicola e una condizione mai al top (photors.it)
Il 2023 è stato l’anno più nero?

Sicuramente. E’ stato veramente brutto, mi sono rotto la clavicola e ho perso praticamente tutta la stagione. Mi sono ripreso solamente nelle ultime gare. Quest’anno, invece, sono riuscito a tornare alla vittoria, che mancava dalla Coppa d’Oro del 2022. Trovare il successo dopo quasi un anno e mezzo è stato davvero una grande soddisfazione. Nonostante tutto anche il 2024 non è stata una stagione fortunatissima. Ho rotto l’altra clavicola, la destra, e ho saltato il Giro della Lunigiana. Ma ho ritrovato la voglia di attaccare senza paura, temevo di averla persa e invece non è accaduto.

Sei contento della scelta di andare alla Techinipes?

Molto. Cassani è una figura di riferimento per me e correre nella sua squadra sarà un bellissimo stimolo. Il team fa un calendario interessante, ho visto con grande interesse quello che ha fatto Crescioli con loro quest’anno.

Nel 2024 Toselli ha ritrovato la voglia di attaccare, qui all’Eroica Juniores Nations Cup (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Nel 2024 Toselli ha ritrovato la voglia di attaccare, qui all’Eroica Juniores Nations Cup (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Come mai Cassani è così importante per te?

Perché nel mio periodo più difficile, nel 2023, mi invitò a stare una settimana a casa sua. Mi portò da diversi specialisti per far visitare la spalla e ci allenammo insieme sulle strade dei mondiali di Imola. 

In che modo arrivi tra gli under 23?

Mi sento forte, soprattutto mentalmente. Arrivo da tante sconfitte e questo mi ha permesso di creare una “corazza” in grado di subire e affrontare le delusioni. Molti ragazzi arrivano da vincenti e poi appena perdono si sciolgono. Io questo passo l’ho già fatto. 

Toselli nel 2024 è tornato alla vittoria, a Predappio. Qui dopo l’arrivo insieme a Fabrizio Vangi (foto Fruzzetti)
Toselli nel 2024 è tornato alla vittoria, a Predappio. Qui dopo l’arrivo insieme a Fabrizio Vangi (foto Fruzzetti)
Hai vissuto tutte le epoche della Vangi, compresa l’ultima con Matteo Berti.

Lui ha rivoluzionato la squadra e l’ha resa grande. Gli devo un grazie immenso perché ci ha portati a essere una delle poche realtà di livello nella categoria. 

Quale ricordo porti con te di questi cinque anni?

I ritiri a Calenzano o a Massa ad allenarci tutti insieme. Sia in inverno che durante l’estate difficilmente stavo a casa. Il mare, anche se vicino, lo abbiamo visto solo in sella alla bici ma ci siamo divertiti veramente tanto. 

Toselli in prima fila con a sinistra Sambinello, nel 2023 erano avversari, nel 2024 sono stati compagni di team
Toselli in prima fila con a sinistra Sambinello, nel 2023 erano avversari, nel 2024 sono stati compagni di team
Sei stato tanto lontano da casa, a che età sei andato via da solo per la prima volta?

A tredici anni ho preso il treno da solo per andare a Fezze. All’epoca la squadra aveva la sede lì. Ricordo che sbagliai treno, presi quello per Latina. Mio padre chiamò Trenitalia, un controllore mi trovò e mi fece scendere alla stazione successiva. Alla fine presi il treno giusto e arrivai. 

Sei diventato grande presto…

Sono avventure e storie che rimarranno sempre dentro di me e che mi hanno fatto diventare quello che sono ora. Sono cresciuto e maturato tanto, per questo forse ho tanta fame e voglia di andare in bici. 

La figura di Davide Cassani è stata fondamentale per lui, infatti passerà U23 con la Technipes
La figura di Davide Cassani è stata fondamentale per lui, infatti passerà U23 con la Technipes
Un desiderio di Ivan Toselli per il 2025?

Ritornare all’attacco e cercare di togliermi tante soddisfazioni, soprattutto nelle gare importanti. Ci proverò, statene certi. 

Allora buona fortuna e ci vediamo alle gare.

Grazie! A presto!

EDITORIALE / Ubi maior, minor cessat

16.12.2024
5 min
Salva

Ubi maior, minor cessat. Quando l’altro giorno Matxin ha annunciato la presenza di Ayuso al Giro d’Italia e poi ha aggiunto che potrebbe esserci anche Pogacar, il giovane spagnolo non ha fatto salti di gioia. Ovviamente ne avevano già parlato, ma sentirsi chiedere dalla stampa se per lui cambierebbe qualcosa, ha costretto Ayuso ad aprire gli occhi e fare l’inchino. Se ci sarà Pogacar, si correrà in modo completamente diverso, perché sarà lui il capitano.

Poche ore dopo, dal ritiro mallorquino della Red Bull-Bora è arrivata la conferma che anche Roglic correrà il Giro d’Italia, già conquistato nel 2023 (in apertura, immagine Red Bull-Bora). Lo sloveno, che è ironico e realista, ha dichiarato che farà i suoi programmi sulla base di quelli di Pogacar, andando dove non sarà Tadej. Era una battuta? Se c’è Pogacar, non si vince: ubi maior, minor cessat. Anche per questo nei giorni scorsi anche O’Connor ha spiegato il motivo per cui al Tour bisogna comunque andare. E l’apice del ciclismo, si partecipa pur consapevoli di essere sconfitti.

Pogacar, qui nel ritiro di Benidorm, è il riferimento e lo spauracchio del gruppo
Pogacar, qui nel ritiro di Benidorm, è il riferimento e lo spauracchio del gruppo

Pellizzari e il Giro

Il ciclismo non è una scienza esatta, lo ha spiegato bene Matej Mohoric, ma si sta lavorando perché lo diventi. Pogacar ha ringraziato perché nel 2024 gli è andato tutto liscio. Ricorda bene infatti la caduta della Liegi 2023 che gli costò la Doyenne e la preparazione per il Tour. E magari è consapevole che un Vingegaard al meglio gli avrebbe reso la vita più dura. Tuttavia il suo strapotere spingerà sempre di più gli avversari a concentrarsi sugli obiettivi raggiungibili.

Per questo motivo, la Red Bull-Bora-Hansgrohe del Giro vedrà accanto a Roglic gregari come Hindley, Martinez, Aleotti, Sobrero e Moscon. Manca Tratnik, che verosimilmente sarà il pilastro per la squadra del Tour. E manca anche Pellizzari, stella nascente del ciclismo italiano, che per ora è riserva e dovrà semmai guadagnarsi il posto a suon di risultati. Sarebbe un peccato non vederlo nuovamente al via, ma anche nel suo caso, la regola è ancora la stessa. Ubi maior, minor cessat. Piace la scelta di Piganzoli di insistere ancora un anno con la Polti-Kometa. Si metterà nuovamente alla prova nel Giro, prima di diventare un numero (pur importante) in squadre più grandi.

Giulio Pellizzari, passato alla Red Bull-Bora, per ora è riserva al Giro
Giulio Pellizzari, passato alla Red Bull-Bora, per ora è riserva al Giro

Chiude il CT Friuli

E’ notizia di poche settimane fa che il Cycling Team Friuli chiuderà la sua storia di successi fra gli under 23, diventando a tutti gli effetti il devo team della Bahrain Victorious. Roberto Bressan le ha provate tutte per difendere l’identità della sua squadra, ma alla fine è stata fatta la scelta più logica. Andrea Fusaz era da tempo uno snodo decisivo fra i preparatori del team WorldTour e dispiace semmai che Fabio Baronti, cresciuto alla sua scuola, non abbia trovato posto e sia passato alla Jayco-AlUla.

Proprio la squadra australiana nel frattempo ha assorbito la Hagens Berman Jayco di Axel Merckx, protagonista di una storia di talenti lanciati nel WorldTour. Mentre la Lotto-Kern-Haus è entrata nell’orbita della Ineos Grenadiers. Anche in questo caso, neanche a dirlo: ubi maior, minor cessat.

I team WorldTour sono gli unici a possedere le risorse per mandare avanti uno sport diventato costosissimo, con buona pace degli altri che per sopravvivere hanno la doppia opzione di restare piccolini finché ce la fanno o farsi assorbire. L’esempio della BePink-Bongioanni di Walter Zini è perfetto per illustrarlo. Il team manager milanese aveva adocchiato uno sponsor polacco che gli avrebbe permesso di fare il salto tra le professional, ma alla fine l’azienda ha preferito diventare il terzo nome della Canyon-Sram. Essere il terzo nome di una grande squadra è stato ritenuto più redditizio dell’essere il primo di un team più piccolo. Ubi maior, minor cessat, tanto per cambiare.

Daniel Skerl è l’ultimo neopro’ del Team Bahrain Victorious nato nel CT Friuli
Daniel Skerl è l’ultimo neopro’ del Team Bahrain Victorious nato nel CT Friuli

L’esempio di Piemonte e Friuli

In questo quadro, cosa dovrebbe fare il presidente della Federazione ciclistica italiana? Può a nostro avviso concentrarsi sulla base, puntando a riportare in alto i numeri dei tesseramenti che da troppi anni a questa parte vivono una picchiata apparentemente incontrollata. Va bene preoccuparsi per le società U23 che spariscono, ma varrebbe forse la pena lavorare prima su quelle di base che intercettano i talenti e gli danno una forma.

Vi siete mai chiesti come mai il Piemonte e il Friuli, regioni che pure non hanno grandissime squadre, sfornano o hanno sfornato atleti di primissima fascia? Ganna, Longo Borghini, Sobrero, Barale, Covi, Balsamo, Gasparrini, Mosca, De Marchi, Viezzi, Cimolai, Buratti, Olivo, Fabbro, Milan, Cecchini, Skerl. Sono bandiere nate negli anni da società giovanili che lavorano bene e portano ragazzi sani e motivati fin sulla porta delle categorie internazionali. Li prendono dalla strada, la pista, il cross e anche dalla mountain bike. Hanno tecnici competenti e capaci anche di essere animatori del movimento. Coinvolgono le famiglie come si è sempre fatto e come in realtà accade sempre meno di frequente.

Anche in quelle categorie ci sono genitori purtroppo sensibili alla corte di team più grandi. Ne è l’esempio quanto accaduto di recente nella squadra di Jacopo Mosca. Se non si lavora su numeri e non si fa capire che c’è un tempo per essere grandi e uno per crescere, la sorgente si esaurirà. E a quel punto saranno guai seri. E’ vietato, parlando di bambini, rassegnarsi al cinismo di “Ubi maior, minor cessat”. Dal futuro presidente federale, ci aspetteremmo la determinazione nel fare scelte impopolari, assieme al coraggio di lasciar andare qualche medaglia. Meglio investire sul futuro o continuare nella conta dei trofei?

Come nasce il calendario? Il ruolo, centrale, del preparatore

16.12.2024
5 min
Salva

Ogni stagione ha una preparazione meticolosa che parte molti mesi prima del via ufficiale. Per le squadre WorldTour, stilare il calendario degli impegni rappresenta un momento cruciale. Non si tratta solo di incastrare corse e date, ma di progettare una strategia che consideri le esigenze del team, i dati fisiologici e le richieste personali degli atleti. Maurizio Mazzoleni, sport manager e responsabile dell’area performance dell’Astana-Qazaqstan, ci racconta questo lavoro dietro le quinte durante il ritiro invernale della squadra in Spagna.

La stesura del calendario non si limita a una semplice programmazione: è un mosaico complesso in cui ogni pezzo deve combaciare per garantire che gli atleti siano al massimo della forma nei momenti decisivi della stagione. Questo processo richiede mesi di lavoro e la collaborazione di diverse figure professionali: preparatori, direttori sportivi, medici e gli stessi corridori. Vediamo come prende forma una stagione agonistica.

Il dialogo è importantissimo per Mazzoleni che qui è con Ballerini
Il dialogo è importantissimo per Mazzoleni che qui è con Ballerini
Maurizio, mi hai detto che questo ritiro rappresenta un momento cruciale per la stesura dei calendari. Ci spieghi il tuo ruolo in questo processo?

Ricopro il ruolo di sport manager, il che significa che coordino le attività dell’area performance e quelle organizzative della squadra. Questo comprende non solo la pianificazione dei calendari, ma anche il lavoro con tutte le figure che ruotano attorno all’atleta: direttori sportivi, medici, preparatori, e così via. L’obiettivo è strutturare al meglio ogni aspetto per iniziare la stagione con basi solide.

In che modo viene stilato un calendario? C’è una fase di raccolta dati o è tutto deciso qui, durante il ritiro?

La stesura del calendario è un lavoro complesso e strategico, che inizia mesi prima. Già da ottobre si valutano gli obiettivi della squadra per la stagione successiva. Nel nostro caso, l’obiettivo principale è accumulare più punti possibile per mantenere la posizione nel WorldTour. Questo ci porta a scegliere con attenzione le competizioni migliori per i nostri atleti, considerando sia le loro caratteristiche che le possibilità di ottenere risultati. Durante il ritiro, finalizziamo il lavoro iniziato nei mesi precedenti, combinando dati fisiologici, esperienze pregresse e input dai direttori sportivi.

I ragazzi del team in Cina per un impegno istituzionale con il nuovo sponsor X-Lab: hanno già iniziato la loro stagione con il ritiro in Spagna
I ragazzi del team in Cina per un impegno istituzionale con il nuovo sponsor X-Lab: hanno già iniziato la loro stagione con il ritiro in Spagna
Hai parlato di punti UCI: come si scelgono le gare e gli atleti per ogni competizione? Non è detto che il miglior atleta lo si porti alla corsa più importante, magari te lo giochi laddove ha maggior possibilità di fare bene, giusto?

Esatto. La scelta si basa su diversi fattori. Valutiamo la forma fisica prevista degli atleti, le loro statistiche e il tipo di gara. Come dicevo, non sempre è utile schierare il corridore migliore nella corsa più importante. A volte è più efficace puntare su gare di livello inferiore, dove le probabilità di ottenere punti sono maggiori come dicevate. Ad esempio, se un nostro corridore ha più chance di vincere una corsa ProSeries rispetto a una gara WorldTour, potrebbe essere più utile mandarlo lì. Però vorrei dire che non siamo i soli ad adottare ormai questa strategia

Chiaro…

E’ un metodo ormai utilizzato da tutte le squadre, anche quelle di vertice. Strutturare la stagione in modo scientifico aiuta a ottimizzare i risultati. Ad esempio, ci sono atleti di punta che vengono gestiti per massimizzare il punteggio in eventi specifici, evitando di sovraccaricarli con troppi grandi giri. Guardate la UAE Emirates l’anno scorso proprio con Ulissi (oggi in Astana, ndr). La chiave è la pianificazione mirata.

Quanto conta il parere del corridore nella stesura del calendario?

Il parere del corridore è fondamentale. Alla fine, sono loro a correre e devono sentirsi motivati. Se un atleta manifesta una preferenza per una determinata gara, cerchiamo di accontentarlo, compatibilmente con gli obiettivi della squadra. Spesso, questa preferenza deriva da un legame particolare con la corsa o dalla voglia di riscatto. Durante il primo incontro di team building a ottobre, abbiamo intervistato tutti i nostri 30 corridori per conoscere le loro esigenze e preferenze. Partendo da lì, abbiamo lavorato per incastrare le loro richieste con le nostre strategie.

Per arrivare a momenti così (qui la vittoria di Syritsa al Langkawi) dietro c’è una programmazione certosina
Per arrivare a momenti così (qui la vittoria di Syritsa al Langkawi) dietro c’è una programmazione certosina
Una volta stabilito il calendario, come si procede?

Dopo aver definito il calendario, ogni atleta riceve un programma personalizzato. L’allenatore sviluppa il piano di allenamento in base agli obiettivi stagionali, il direttore sportivo fornisce supporto logistico e il medico monitora lo stato di salute. Questo lavoro d’équipe è fondamentale per preparare al meglio gli atleti. Ovviamente, durante la stagione possono verificarsi imprevisti come infortuni o malattie, ma avere una struttura solida permette di adattarsi rapidamente.

Qual è il ruolo del medico in questa fase?

Il medico non interviene direttamente nella scelta delle competizioni, ovviamente, ma è informato sul calendario e sui carichi di lavoro previsti. Il suo compito è garantire la miglior assistenza possibile agli atleti, sia in caso di necessità, sia come supporto durante le fasi di preparazione più intense. In generale avere un piano ben strutturato è fondamentale, ma altrettanto importante è saperlo adattare alle circostanze. Ogni atleta ha esigenze diverse e ogni stagione presenta sfide imprevedibili. Lavorare in squadra e mantenere un dialogo aperto con gli atleti è la chiave per ottenere i migliori risultati.

Ayuso fa rotta sul Giro e lavora per superare Pogacar

16.12.2024
6 min
Salva

BENIDORM (Spagna) – Prima di Roglic, la dichiarazione d’amore al Giro d’Italia l’ha fatta Juan Ayuso. E’ stato Matxin, il capo dei tecnici del UAE Team Emirates ad annunciarne la presenza e subito dopo lo spagnolo l’ha confermato. Verrà al Giro per tentare di vincerlo, come ha già fatto nel 2021 fra gli under 23. Il nodo che resta da sciogliere riguarda l’eventuale presenza di Pogacar, che per decidere aspetterà il 19 dicembre e la presentazione della Vuelta. E’ chiaro che in quel caso cambierebbe tutto, ma nel parlarne Ayuso minimizza e tira dritto.

Il terzo posto alla Vuelta del 2022 sembra lontanissimo. I successivi problemi al ginocchio e il quarto posto del 2023 hanno confermato che la sostanza è tanta, mentre il ritiro dall’ultimo Tour con qualche sbavatura nei rapporti con i compagni ha lasciato un interrogativo che il Giro potrebbe risolvere definitivamente.

«Io vado al Giro – sorride Ayuso – se poi ci viene anche Tadej, allora saremo in due e non è un problema. Sono completamente concentrato sul Giro, è uno degli obiettivi più grandi per la prossima stagione. In termini di preparazione per me non cambia nulla. Ci si prepara sempre al meglio delle proprie possibilità, nel miglior modo possibile. Se Tadej ci fosse, correremmo in un modo, se non lo fa, cambierebbe tutto, ma il focus sul Giro non cambia».

Pogacar, Ayuso e il Tour a Firenze. Lo spagnolo lascerà la corsa dopo 13 tappe
Pogacar, Ayuso e il Tour a Firenze. Lo spagnolo lascerà la corsa dopo 13 tappe
E’ stato il tema del 2024, il fatto di essere in una squadra con così tanti leader e non avere il tuo spazio. TI senti mai schiacciato?

Non userei questi termini, ma è vero che siamo una delle migliori squadre del mondo per cui ho molti compagni di livello molto alto. Questo fa crescere il livello di tutti, perché se vuoi avere una possibilità, devi dimostrarti all’altezza, non puoi semplicemente chiederlo, perché potrebbero esserci dei corridori migliori di te. Quindi penso che anche questa sia una motivazione, sai che devi continuare a lavorare e non puoi rilassarti.

Parlando del Giro con Tadej, sei riuscito a farti dare qualche consiglio?

Penso che per Tadej sia tutto più facile che per ciascuno di noi, quindi è abbastanza difficile ottenere dei consigli. E’ il migliore del mondo e tutto ciò che fa lo fa sembrare più facile di quanto in realtà non sia. Ho molti amici al di fuori del ciclismo che non guardano molto le corse. Poi vedono Tadej fare certe cose e pensano che sia normale. E io invece gli dico che non lo è. Tadej Pogacar è un bravo ragazzo da avere intorno ed è meglio averlo dalla tua parte che come avversario.

Sai spiegarti perché gli viene tutto così facile?

Perché è il migliore del mondo. È come quando vedi Messi con la palla e come gira intorno a tutti. Anche quello può sembrare facile, poi però vedi tutti gli altri e capisci che non possono farlo. Penso che nel ciclismo lui sia come Messi.

Prima crono del 2024 alla Tirreno: Ayuso si lascia indietro Ganna per un secondo e Milan di 12″
Prima crono del 2024 alla Tirreno: Ayuso si lascia indietro Ganna per un secondo e Milan di 12″
Avete entrambi dei contratti a lungo termine, quindi per tutto il resto della tua carriera avrai intorno Tadej. Cosa pensi che succederà fra un anno o due?

Se lui oggi è considerato il miglior corridore al mondo, immagino che per fare meglio dovrò prendere io il suo posto. Ma se azzardassi una cosa del genere, voi della stampa chissà cosa direste. Per cui mi limiterò a dire che un giorno mi piacerebbe essere migliore di lui, perché è il miglior corridore del mondo. Sogno di essere come lui, quindi per riuscirci dovrei batterlo. Ovviamente non voglio che questo crei un malinteso perché Tadej non è un rivale, ma il mio metro di paragone. Lui mette l’asticella e tu devi cercare di raggiungerla.

Dopo il Tour si vociferava che fra voi due non corresse buon sangue…

La relazione fra noi è perfettamente normale. Abbiamo passato molto tempo insieme, specialmente quest’anno, preparando il Tour. E anche l’anno scorso, quando lui si allenava per il Tour e io per il Tour de Suisse. Abbiamo passato molto tempo in ritiro e questo crea delle amicizie. E’ stato difficile per me non poterlo aiutare al Tour, mentalmente mi sono sentito incapace di dimostrare quello che ero in grado di fare. Ne abbiamo parlato in privato e penso che abbia capito la situazione. Lo apprezzo molto per questo, perché pur essendo un campione si prende sempre del tempo anche per questi dettagli. E per quanto riguarda il contratto, ora sono contento e non ho bisogno di pensarci.

Quando si è svolta questa conversazione fra voi?

Andato via dal Tour, la volta successiva ho visto Tadej in Canada. Ci tenevo a dirgli che quello che era uscito sulla stampa non era vero e volevo che lo sentisse direttamente da me. Ma l’ho anche ringraziato per un paio di cose per le quali gli ero molto grato e poi l’abbiamo chiusa lì, perché mi è parso che abbia capito alla perfezione quello che volevo dirgli.

Tirreno-Adriatico 2024, tappa di Valle Castellana: Vingegaard in fuga da solo, Ayuso insegue con Hindley
Tirreno-Adriatico 2024, tappa di Valle Castellana: Vingegaard in fuga da solo, Ayuso insegue con Hindley
Diventare il migliore al mondo è una bella scalata, dove vedi che devi migliorare di più?

Per ora penso a ogni piccolo aspetto. Mi piacerebbe migliorare di più in salita perché mi considero uno scalatore, ma se guardo le mie vittorie, la metà di esse sono venute sulla bici da crono. E’ strano, ma del resto se si vuole vincere una classifica generale, bisogna andare forte anche contro il tempo. Ora per me è difficile recuperare uno o due minuti in salita, ma posso guadagnarli nella cronometro e questo viene in mio favore. Ma se voglio cercare di colmare il divario da corridori come Vingegaard, Remco e Roglic, devo assolutamente diventare uno scalatore migliore.

Non significa mettersi troppa pression?

La pressione che metti su te stesso non è la stessa che può venirti dall’ambiente. Quando sono andato al Tour, volevo fare del mio meglio e avere questo tipo di motivazione è molto importante perché è quello che faccio da quando ero piccolo. E’ un plus che mi motiva di più.

Cambierai la tua preparazione?

Non so ancora dirlo nei dettagli, ma forse ci sarà più carico di lavoro. Fino ad ora, anche a causa della mia età, probabilmente non mi allenavo lo stesso numero di ore degli altri. Quindi un aspetto sarà quello di cercare di aumentare le ore generali, intervenendo poi con dei lavori specifici. Ci sono vari tipi di mitologia sui tipi di allenamento, ma preferisco attenermi a quello che penso abbia davvero funzionato per me. D’altra parte, penso che sarebbe un errore fare 20 anni di carriera allo stesso modo, quindi voglio sperimentare cose nuove.

Juan Ayuso ha compiuto 22 anni il 16 settembre. E’ pro’ dall’estate 2021
Juan Ayuso ha compiuto 22 anni il 16 settembre. E’ pro’ dall’estate 2021
Hai già vinto un Giro d’Italia da U23, qual è il tuo rapporto con l’Italia?

La verità è che fare il Giro mi riporta alla mente tanti bei ricordi, perché ho corso per metà anno alla Colpack. Quattro o cinque mesi a Bergamo in cui sono stato molto bene e le gare da under 23 che ho fatto in Italia mi hanno permesso di fare un salto molto importante grazie al quale sono arrivato di qua con molta più fiducia. Mi piace correre in Italia. L’anno scorso la Tirreno è andata bene per certi versi, ma fare secondo non mi è piaciuto tanto, quindi spero di tornarci il prossimo anno e che il Natale mi porti fortuna e buoni risultati.

Milano Sanremo 2005, Alessandro Petacchi

Vent’anni dopo la sua Sanremo, quella del 2025 con Petacchi

15.12.2024
7 min
Salva

Alessandro Petacchi ha vinto la Milano-Sanremo nel 2005 con uno sprint imperiale. Erano anni in cui spesso si arrivava in via Roma con il gruppo compatto e a spuntarla erano i velocisti. Nel frattempo il ciclismo è cambiato, e vedere la Classicissima decidersi con una volata di molti corridori è diventato sempre più raro. E forse per questo più affascinante.

Abbiamo raggiunto al telefono Petacchi per farci raccontare quali sono, secondo lui, i possibili scenari della prossima Sanremo, che si correrà il 22 marzo 2025. Vent’anni dopo la sua. 

Il podio della Milano-Sanremo 2024: Michael Matthews, Jasper Philipsen, Tadej Pogacar
Milano-Sanremo 2024, Jasper Philipsen e Tadej Pogacar
Petacchi, parliamo di Milano-Sanremo, la classica più imprevedibile del calendario.

La Sanremo è la gara più incerta tra le cinque Monumento, perché è la prima della stagione, il percorso è vario e conta anche più del solito la condizione degli atleti. Ogni edizione sono almeno 10-15 che possono vincerla. Non come il Lombardia o la Roubaix, dove i nomi sono due o tre. La Sanremo è sicuramente la più complicata da indovinare e la sua bellezza sta esattamente lì.

Iniziamo da sua maestà Pogacar. Il 2025 potrebbe già essere l’anno buono per quella che è forse la Monumento più difficile da vincere per lui? 

Sicuramente il suo obiettivo è vincere più classiche possibili. L’ha detto e ridetto, e l’ha anche fatto. Quel che è certo è che se l’ha vinta Nibali, può vincerla anche lui. Sa che deve fare il diavolo a quattro in salita perché non può arrivare in una volata di gruppo. Deve avere anche un po’ di fortuna, lui stare benissimo e gli altri un po’ meno. Ma questa è la Sanremo ed è il suo bello, la può vincere davvero qualunque tipo di corridore.

Lo scatto di Pogacar sul Poggio nell’edizione 2024
Lo scatto di Pogacar sul Poggio nell’edizione 2024
Se fossi in ammiraglia della UAE che tattica faresti? L’anno scorso hanno spremuto la squadra sulla Cipressa ma poi sul Poggio il capitano non aveva più molti uomini…

Per come la vedo io non hanno sbagliato più di tanto. Sul Poggio non serve troppo la squadra, quando sei nelle prime posizioni e hai 2-3 compagni bastano, talmente si va veloce. Comunque cercherei di portare gli uomini più adatti, passisti-scalatori, anche se è normale che la UAE abbia corridori più da corse a tappe. Per dire, uno come Adam Yates non è adattissimo alla Sanremo. 

Quindi come li faresti muovere?

Farei lavorare la squadra sulla Cipressa perché è lì che devi mettere tutti al limite, soprattutto i velocisti, cosa che l’anno scorso non gli è riuscita. Perché se vai in difficoltà sulla Cipressa, la Sanremo non la vinci, questo è chiaro. Poi Wellens e Del Toro me li terrei sul Poggio. Però devono stare anche loro bene, anzi benissimo, e non è facile. Ricordiamoci che comunque l’anno scorso Pogacar ha fatto terzo nonostante gli scatti in salita. Non avevo mai visto una cosa simile, di solito chi attacca lì poi si stacca. Ma lui è Pogacar e infatti è un corridore eccezionale, ed è giusto che vinca questa corsa prima o poi.

L’abbraccio fra Van der Poel e il vincitore 2024 Jasper Philipsen
L’abbraccio fra Van der Poel e il vincitore 2024 Jasper Philipsen
L’altro grande favorito è Van der Poel. La sensazione è che l’anno scorso più che cercare di vincerla abbia voluto farla perdere a Pogacar per favorire Philipsen. Credi che nel 2025 andrà ancora così?

Credo che Van der Poel farà la sua corsa fino in cima al Poggio e poi vedrà. Se poi in fondo alla discesa ci dovesse essere ancora Philipsen, credo che correrà per lui. Se invece già sul Poggio lui e Pogacar riuscissero ad andare, credo si darebbero cambi regolari fino in fondo, anche perché, almeno in teoria, Van der Poel in volata sarebbe avvantaggiato. Quest’anno ha tirato un po’ il freno in discesa, anche perché aveva già vinto la Sanremo, l’anno prossimo vedremo, potrebbe essere sia questo che quello.

Un altro favorito ogni anno è Van Aert, che sembra fatto apposta per questa gara. Non a caso è l’unica Monumento che ha vinto finora. Dopo le cadute del 2024 sarà ancora capace di essere tra i protagonisti?

Mi è dispiaciuto tanto che quest’anno sia caduto prima di Fiandre e Roubaix.  Avevano ragionato bene, facendo meno gare più mirate, un avvicinamento perfetto. Speriamo che questo sia il suo anno buono. Certo, se scattano Van Der Poel e soprattutto Pogačar, Van Aert non può cercare di rispondere, deve tenerli il più vicino possibile salvando la gamba, senza per forza seguire in prima persona. Anche perché Pogačar peserà 15 chili in meno di lui. Comunque gli scenari sono tantissimi. 

Julian Alaphilippe Wout Van Aert
Van Aert ha vinto la Sanremo nel 2020, battendo allo sprint Alaphilippe
Julian Alaphilippe Wout Van Aert
Van Aert ha vinto la Sanremo nel 2020, battendo allo sprint Alaphilippe
Per esempio?

Se nel gruppetto in cima al Poggio ci fosse ancora Philipsen, per Van Aert andrebbe bene, perché così potrebbe temporeggiare e capire un po’ la situazione. Se dovesse arrivare in una volata a due contro Van der Poel l’olandese credo sarebbe avvantaggiato, perché la velocità di partenza sarebbe probabilmente più bassa. In uno sprint a tre, invece, magari proprio con Pogacar che dovrebbe anticipare, potrebbe essere avvantaggiato Van Aert. Quali che siano gli scenari, quando uno come Van Aert parte e sta bene può sempre vincere, quindi non si può non considerarlo.

Passiamo a Matthews, che l’anno scorso è arrivato secondo, e sembra voglia puntarci ancora. Secondo te se la può giocare contro gli altri mostri sacri?

Credo proprio di sì. Si è già piazzato molto bene, è vero che comincia ad avere una certa età ma è molto veloce, e tra quelli veloci è quello che forse fa meno fatica in salita. Pur con le dovute differenze mi ricorda Freire, che non a caso ha vinto tre Sanremo. Matthews deve fare un po’ la stessa gara di Van Aert, cercare di resistere e poi fare la sua volata. Come tra l’altro ha fatto quest’anno, dove non a caso è arrivato secondo per pochissimo. Anche perché l’arrivo è ottimo per lui, tende un po’ all’insù, la velocità non è mai altissima e si equilibrano le forze.

Nel 2024 Michael Matthews ha sfiorato la vittoria, arrivando secondo di un soffio
Nel 2024 Michael Matthews ha sfiorato la vittoria, arrivando secondo di un soffio
Anche Pedersen è un nome da tenere in grande considerazione?

Sicuramente. Anche se uno che col suo fisico ha bisogno di alte velocità per dare il meglio, è anche capace di partire lungo, ai 300 metri, perché vuole lanciarsi al meglio. In una Sanremo può fare una grande volata, è un arrivo adattissimo a lui. Se scollina il meglio possibile e poi, magari, ha ancora uno come Stuyven a fianco, per gli altri sono dolori. Ecco, se io avessi un compagno come Stuyven in una gara così, lo seguirei come un’ombra.

Parlando di compagni di squadra di Pedersen, Milan potrebbe avere delle possibilità o il tracciato è troppo duro per lui?

L’ostacolo per lui potrebbe essere non il Poggio, ma la Cipressa. Anche se il primo vero scoglio è Capo Berta, io capivo lì se potevo vincere oppure no. Ci arrivi dopo 260 km veloci e lì fai il primo vero sforzo, perché tutti vogliono stare davanti per non correre rischi in discesa e lì capisci come stai. Quest’anno Milan ha speso molto già sul Berta e poi infatti ha pagato sulla Cipressa. Ma se la prossima volta riuscisse a stare bene a ruota e risparmiare energie, perché no. Anche se non è facile per lui avendo in squadra un corridore come Pedersen, in teoria più adatto. Però in Lidl-Trek potrebbero voler provare a giocarsela con le due punte, e allora può provare a fare la sua gara. Gambe permettendo, naturalmente.

L’anno scorso Ganna ha dimostrato di potersela giocare con i migliori
L’anno scorso Ganna ha dimostrato di potersela giocare con i migliori
Un italiano che abbiamo visto brillante l’anno scorso è Filippo Ganna.

La Sanremo è una gara a cui tiene e in cui ha dimostrato di poter fare molto bene. Peccato per quest’anno: era in ottima posizione sul Poggio, ma poi ha avuto quel problema al cambio. Lui può provare uno scatto appena dopo la discesa, anche se è in un gruppetto di 10-15 corridori e se parte da dietro ce la può fare. Un chilometro e mezzo ai 60 all’ora lui ce l’ha… Poi chiaro che sarebbe più facile se tutti fossero isolati, senza compagni di squadra, perché chi va a prenderlo poi ha perso.

Quali sorprese potrebbero esserci l’anno prossimo?

Se ci fosse un meteo avverso allora potrebbe cambiare tutto. Un corridore singolo in gran forma soffre meno anche il freddo e la pioggia, ma le squadre invece sono più disunite, le discese fanno più selezione, c’è più nervosismo generale. E questo conta, molto.

Secondo Petacchi una possibile sorpresa potrebbe essere il giovane belga Arnaud De Lie, qui in fuga con Van der Poel
Secondo Petacchi una possibile sorpresa potrebbe essere il giovane belga Arnaud De Lie, qui in fuga con Van der Poel
Per quanto riguarda possibili outsider invece?

Bauhaus è uno che ci prova sempre, uno tosto, potrebbe regalare sorprese. Poi anche De Lie è un corridore che può vincere una Sanremo. Va forte negli strappi, è vero che è molto giovane, ma ha grandi qualità.

Alessandro, finiamo con una domanda impossibile per la classica più imprevedibile. Ma dopotutto siamo qui apposta. Vent’anni dopo di te, chi vince?

Diciamo che vedere vincere la maglia di campione del mondo è sempre bello… Se vince la Sanremo contro un lotto di avversari di questo calibro, che sono sulla carta molto più adatti a lui a questa corsa, sarebbe davvero qualcosa di unico. D’altronde Pogacar ci ha abituati a stravolgere le normali regole del ciclismo. 

O’Connor, quattro anni in Francia e l’inglese ritrovato

15.12.2024
7 min
Salva

ALTEA (Spagna) – Dato che non può ancora indossare gli abiti del Team Jayco-AlUla, Ben O’Connor ha pensato bene di presentarsi in ritiro con la maglia bianca e sopra una giacca larga e marrone. Di ottimo umore e anche leggermente abbronzato, l’australiano per quest’inverno non tornerà in patria, essendo diventato da poco papà e volendosi calare appieno nella parte di leader del nuovo team. Australiano come lui.

Riepiloghiamo, per chi fosse rimasto scollegato. Dopo aver conquistato il secondo posto alla Vuelta alle spalle di Roglic (che l’ha detronizzato a tre tappe dalla fine), l’australiano ha vinto con la sua nazionale il Team Mixed Relay ai mondiali di Zurigo e poi si è piazzato secondo nella gara in linea alle spalle di Pogacar e prima di Van der Poel. Ha riannodato in un solo colpo il filo che penzolava dopo il quarto posto al Tour del 2021, guadagnando valore di mercato e stuzzicando l’ambizione della squadra di Brent Copeland, che l’ha ingaggiato per farne il leader nei Grandi Giri. Lo incontriamo nei giorni del training camp della Jayco-AlUla ad Altea, lungo la costa fra Calpe e Benidorm.

O’Connor viene dalla punta più a Sud dell’Australia Occidentale, da una cittadina di settemila abitanti che si chiama Subiaco. Se qualcuno a questo punto ha pensato che c’è una Subiaco anche in Italia, a sud di Roma, sappia che l’omonimia non è casuale. Nell’area inizialmente popolata dagli aborigeni, nel 1851 si stabilì infatti una comunità di Benedettini che fondò la città dandole il nome di New Subiaco, proprio in onore della città italiana. A Subiaco, infatti, San Benedetto aveva fondato dodici monasteri e di uno era divenuto egli stesso l’abate. Otto anni dopo gli stessi monaci costruirono un grande monastero e nel 1881 la città prese semplicemente il nome Subiaco.

Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Tre le vittorie 2024 di Ben O’Connor, 29 anni: la Vuelta Murcia, la 6ª tappa della Vuelta (sopra), il Team Mixed Relay ai mondiali
Come sta andando l’inverno?

Bene, finora il tempo è stato molto bello, piuttosto mite. Di solito vado via da Andorra quando nevica, non credo di esserci mai rimasto con la neve fuori dalla porta. Io andavo via e la neve arrivava, con un tempismo perfetto. Ma quest’anno che non ho intenzione di partire, la neve sembra non voler venire. Curiosa coincidenza.

Come si guarda indietro alla stagione 2024?

La guardo con un sorriso, è stato fantastico. Poche cose sono andate storte, ma ce ne sono sicuramente alcune che so di poter migliorare. Si potrebbe pensare che uno sia al settimo cielo, ma ci sono sempre prestazioni migliori, risultati migliori o modi migliori di gestire le situazioni. Però è stato certamente un anno da sogno.

Hai conservato tutte le maglie rosse della Vuelta?

Ne ho un sacco, questo è certo. Anche se hai vestito la maglia di leader in una qualsiasi gara World Tour, vorresti tenerla. E’ un ricordo, una cosa speciale. Se poi parliamo di un Grande Giro, è la ciliegina sulla torta. Indossare la maglia rossa per due settimane è stato qualcosa di diverso. Scendere dall’Andalusia attraverso la Galizia fino alla Cantabria è stato davvero una cosa grande. Il bello di quest’anno è che sono riuscito a mostrare la migliore versione di me in tutte le gare.

O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
O’Connor ha conquistato la maglia di leader della Vuelta vincendo la 6ª tappa e l’ha difesa per i 12 giorni successivi
Avete individuato un fattore chiave per ottenere questa costanza durante la stagione?

Non so se sia l’età o il fatto di aver imparato a gestire il volume di allenamento. Il corpo ha imparato ad assorbire il carico di lavoro e fisicamente sono migliorato ogni anno da quando ho iniziato. Si impara a riposare e ad allenarsi per dare tutto quando serve. La squadra ha avuto un piano molto chiaro per ogni gara e in questo contesto abbiamo deciso che io fossi l’uomo delle classifiche generali. Alla Vuelta i ragazzi erano un po’ più al guinzaglio perché avevamo la maglia, però al Giro abbiamo vinto due tappe, con Vendrame e Valentin Paret-Peintre. La chiarezza è stata alla base di tutto ed è qualcosa su cui ragionare per la prossima stagione.

Pensi che potrai ripetere quello che hai vissuto quest’anno?

Probabilmente non rimarrò in testa alla Vuelta per due settimane, ma credo di potermi avvicinare. Non so se il 2024 rimarrà l’anno migliore della mia vita di corridore, ma di sicuro l’anno prossimo potrò ottenere prestazioni simili. Non ho dubbi sul fatto che possa migliorare, perché so che posso fare di più. Poi è chiaro che i risultati sono difficili da confermare, fai del tuo meglio e le cose magari non funzionano. Serve essere intelligenti. Non credo che al mondiale fossi il secondo più forte del gruppo, ma me la sono giocata meglio e alla fine ho preso la medaglia d’argento. Il ciclismo è così, non sempre alle prestazioni corrispondono i risultati.

Cosa ti fa pensare che l’anno prossimo otterrai prestazioni migliori?

Sono fiducioso perché, per esempio, nell’ultima settimana del Giro sono stato male come un cane. Eppure alla fine è stata una grande occasione persa, perché avrei avuto ugualmente la possibilità di salire sul podio, ma non ce l’ho fatta. Sarei potuto salire sul podio in entrambi i Grandi Giri della mia stagione. Avrei potuto vincere il UAE Tour e conquistare una gara a tappe WorldTour, invece Van Eetvelt è stato migliore di me. Tante cose sarebbero potute accadere, ma non sono successe. E io so che l’anno prossimo si può migliorare, ma non si può tornare indietro e cambiare il tempo.

O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
O’Connor non ama le classiche ma riconosce l’atmosfera unica del mondiale con la maglia della nazionale
Pensi di poterti avvicinare a Pogacar e Vingegaard?

No, sono fuori portata, sono troppo forti. Posso essergli vicino in certi giorni, ma non credo fisicamente di avere il loro stesso talento.

Arriverai al punto di pianificare le tue gare in base a ciò che non fanno loro?

Sì, è possibile. Si potrebbe seguire questa linea, perché ciascuno di noi ha sempre il proprio obiettivo personale. Potrei fare ogni anno il Giro se volessi, ma significherebbe evitare il Tour, che alla fine è l’apice. E proprio per questo tutti vogliono andare in Francia, perché è la corsa più importante dell’anno e tu vuoi esserci. Lo sport è pieno di grandi campioni, è una sua caratteristica, così come il fatto che non si può vincere tutto. Non si può evitare di andare al Tour e neppure di essere sconfitti, perché così è lo sport professionistico. Devi andare avanti e affrontarlo.

Perché si guarda a te solo per i Giri quando la tua prima vittoria 2024 è stata la Vuelta Murcia, di un solo giorno, poi sei arrivato secondo al mondiale?

Le corse di un giorno sono qualcosa che il mio ex allenatore ha sempre pensato che avrei dovuto fare di più. Solo che i programmi non si sono mai allineati. Le classiche devono piacerti e io non le trovo proprio così divertenti. Non è che proprio non veda l’ora che arrivino Amstel, Freccia e Liegi. Invece il mondiale è un po’ diverso, perché ha un’atmosfera da brivido. Indossi la maglia della nazionale australiana insieme agli altri corridori australiani ed è davvero una cosa speciale e allo stesso tempo per me un’eccezione. Con le corse di un giorno devi davvero metterti in gioco, mentre nelle corse a tappe puoi aspettare. Puoi essere il migliore semplicemente alla fine, che sia con la cronometro o sulla cima di una montagna. Invece durante la gara di un giorno, devi andare a cercarti anche il vento, devi essere aggressivo ed è un modo piuttosto divertente di gareggiare. Quindi da un lato non mi fanno impazzire, dall’altro forse potrei impegnarmici di più.

Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Il concetto di O’Connor è chiaro: la Decathlon non era il team più forte, ma ha guidato la Vuelta grazie a ruoli ben definiti
Che cosa hai imparato dal 2024?

Che puoi anche non avere una squadra di superstar, ma puoi ugualmente controllare una gara. Alla Vuelta avevamo un gruppo di bravi ragazzi, ma non certo dei campionissimi. Al confronto con quelli della UAE eravamo inferiori, ma i miei compagni sono stati forti perché avevano un compito prestabilito da svolgere e sono stati in grado di farlo. Ne sono rimasti tutti colpiti e abbiamo imparato che se hai le idee chiare, puoi riuscirci a prescindere dal nome dei tuoi compagni.

E’ scontato dire che il legame con l’Australia sia stato un fattore importante nella tua scelta?

No, di sicuro è stato un fattore importante. Sono stato per quattro anni in una squadra francese e ha significato cambiare completamente il mio stile di vita, il modo di comunicare. Se vai a correre in Francia, devi imparare prima di tutto la lingua. Sei tu il leader, hai la responsabilità di fare tu la corsa, eppure i direttori sportivi che ti guidano non parlano inglese. Così ho imparato a comunicare con i compagni e tutti i membri dello staff e i direttori. Soprattutto se sei un australiano in una squadra francese, devono davvero fidarsi di te perché vieni da un diverso modo di lavorare.

Una convivenza difficile?

Da un lato mi è piaciuta, ho vissuto un bel periodo, ma allo stesso tempo ero pronto per cambiare. Essere in una squadra australiana significa ritrovare la facilità di parlare e di stare con i ragazzi, me ne sono accorto già in questi pochi giorni. E anche con lo staff fila tutto liscio, si può parlare in modo diretto. Penso che come persona mi sentirò molto più a mio agio. In Francia mi sono divertito, ma qui è come tornare a casa.

Mohoric: genio e ciclismo schematico, sognando la Roubaix

15.12.2024
5 min
Salva

ALTEA (Spagna) – Eravamo lì a parlare del più e del meno con Matej Mohoric, quando il discorso è finito sui sacrifici e le rinunce del fare il corridore in questo tempo così scientifico e definito. Si potrebbe pensare che tante rigidità siano vincolanti e compromettano l’equilibrio nella vita dell’atleta, invece lo sloveno ci ha offerto un punto di vista così lucido da non ammettere tante repliche. A patto che il corridore in questione sia dotato di grande determinazione e razionalità: doti senza le quali non arrivi da nessuna parte o comunque non troppo lontano.

Si parlava nello specifico di tutto quello che si potrebbe fare per migliorare, aggiungendo con la ricerca qualche cavallo al proprio motore nel tentativo di opporsi alla forza dei più forti. E Matej, cui non mancano sagacia e ironia, ha cominciato col dire che si potrebbe fare anche parecchio, ma servirebbero giornate più lunghe delle 24 ore. Potrebbe valere la pena correre di meno e ricercare il meglio negli allenamenti come sembrano fare Pogacar e Van der Poel?

«Non penso che serva aumentare gli allenamenti», dice. «Magari cinque anni fa ci allenavamo pure di più – prosegue – più ore, però adesso è cambiato il modo, sono cambiate l’intensità e la struttura di tutto. Adesso è più scientifico, è tutto provato, tutto studiato, è più metodico. Prima magari ti dicevano di andare finché le gambe ti bruciavano, adesso ti dicono che devi fare 43 secondi a 730 watt. Quindi è tutto più studiato, più preciso, più definito. C’è anche meno margine di sbagliare in ogni cosa. Nella nutrizione, nell’allenamento, nel recupero».

Giornata piena: anche un’intervista ai microfoni di Rai Sport, in Spagna con Stefano Rizzato
Giornata piena: anche un’intervista ai microfoni di Rai Sport, in Spagna con Stefano Rizzato
E’ faticoso o comunque pesante starci dietro?

No, no, no. Prendiamo solo l’esempio della nutrizione, del mangiare. Quando mi chiedono cosa mangiamo, io lo spiego e tanti mi dicono che è impossibile seguire sempre i numeri. Se però i nutrizionisti riescono a suggerirmi quello che devo mangiare per sentirmi meglio e io, provandolo, scopro che è vero, personalmente diventa più facile farlo. Perché so che il giorno dopo mi sentirò meglio in bicicletta e grazie a questo mi sentirò anche sazio dopo il pasto. Se è così, se sono consapevole dei benefici, non ho né voglia né desiderio di mangiare qualcos’altro, quello che magari so che mi farebbe male.

Non ti pesa?

Non è uno sforzo, non è un sacrificio. E’ una cosa che rende la mia vita e le mie decisioni più facili, perché so che ho mangiato quello che serviva. So il perché di certe scelte e le faccio volentieri e senza nessun dubbio. E’ lo stesso sull’allenamento, sui materiali, su tutto. Più queste cose vengono studiate, più vengono provate, più per me diventa tutto facile.

Però in tutto questo controllo estremo, tu hai vinto la Sanremo con il reggisella telescopico e con una discesa da pazzo. Quindi non è tutto scientifico…

Sì, ovvio. Perché se fosse tutto solo di gambe, se dipendesse solo dalla forza, vincerebbe sempre quello più forte fisicamente che è Tadej. Per fortuna non è così. Per fortuna oggi le corse sono più imprevedibili e il finale inizia anche a 80 chilometri dall’arrivo, mi ci trovo meglio, piuttosto che ad aspettare gli ultimi chilometri.

L’hai mai riguardata quella discesa di Sanremo?

Sì, sinceramente dalla televisione sembra molto più da pazzi rispetto a quello che ho vissuto io in quel momento.

E’ il 19 marzo 2022, scollinamento del Poggio. Mohoric sta per lanciare l’attacco diventato leggenda
E’ il 19 marzo 2022, scollinamento del Poggio. Mohoric sta per lanciare l’attacco diventato leggenda
Come si vive questo momento di sloveni fortissimi?

Per me è più facile che ci siano due che hanno vinto tanto di più, così l’attenzione è più su loro. Sicuramente è un’era che prima o poi finirà, come è successo nel passato, con tante altre Nazioni. C’è anche da dire che lo sport è sempre più globale, che c’è sempre più competizione, sempre più altre nazioni da cui arrivano ragazzi tanto competitivi. E questo è un bene secondo me per tutto il ciclismo, per tutto il movimento e soprattutto per tutta la gente che inizia a seguire lo sport. E magari si appassionano e iniziano anche loro ad andare in bicicletta, che secondo me è una cosa buona perché fa bene alle salute.

Quanto sei diverso dal Matej che vinse il mondiale under 23 del 2013?

Dieci anni ti fanno cambiare in ogni caso. Adesso sicuramente ho più esperienza, in questi anni ho imparato tante cose e ho sempre comunque la stessa voglia di crescere, non solo di migliorare me stesso, ma anche di aiutare gli altri. E porto sempre lo stesso rispetto per la squadra, lo staff e tutti quelli che lavorano perché noi possiamo fare quello che sognavamo da piccoli.

E quanto è diverso invece il Matej neoprofessionista dai ragazzi che passano oggi?

Anche in questo si vede che sono passati dieci anni, è un po’ diverso. Non dico che abbiano più esperienza, ma sono già più pronti. Sanno più cose su tutti gli aspetti della performance nel ciclismo. Sanno di nutrizione e di allenamento. Magari hanno avuto la possibilità di praticare ciclismo in un modo più strutturato sin da più piccoli. Anche per questo non dico che per loro sia facile perché non lo è, ma è più probabile che già a 22, 23, 24 anni possano già vincere delle gare che prima erano molto improbabili o quasi impossibili. Adesso è così.

Al rientro dalla sessione fotografica del mattino, ci si cambia, ci si copre e si va alle interviste
Al rientro dalla sessione fotografica del mattino, ci si cambia, ci si copre e si va alle interviste
Anche questo è un bene per lo sport?

Penso proprio di sì. Magari però da un altro punto di vista per loro è difficile se hanno successo quando sono troppo giovani. Il successo porta anche più responsabilità, non solo nella professione, non solo nel dover vincere di nuovo la gara che hai vinto l’anno precedente, ma anche a livello personale. Se hai successo, aumenta anche la responsabilità nella vita privata. Gestire il denaro di un contratto importante e le tante aspettative può creare dei problemi.

Ultima domanda, dici spesso che la tua classica preferita è la Roubaix: forse perché si può inventare qualcosa come alla Sanremo?

Sì, esatto. Secondo me il Fiandre puoi rigirarlo come vuoi, ma alla fine vince quello più forte. Alla Roubaix invece possono succedere tante cose. Per vincerla devi essere comunque molto forte, però possono capitare tanti imprevisti. Penso che per me un giorno sarà più facile vincere la Roubaix che vincere il Fiandre.

Perché ti piace così tanto?

C’ero quando la vinse Sonny (Colbrelli, ndr) e fu un vero colpo di fulmine. Quest’anno sono caduto al Fiandre e ho dovuto saltarla, speriamo di tornarci nel 2025.

Cassani e il Giro della Lunigiana del 1979: ricordi e aneddoti

15.12.2024
4 min
Salva

Capita, nello scrollare tipico dei social, di imbattersi in qualcosa che richiami la nostra attenzione, che la catturi. In un pomeriggio invernale succede di vedere condivisa la lista partenti del Giro della Bassa Lunigiana del 1979. In quel gran susseguirsi di nomi che poi hanno scritto la storia di quel ciclismo c’era quello di Davide Cassani. Alla fine degli anni ‘70 era al suo secondo anno nella categoria juniores, in rampa di lancio per diventare un ciclista professionista. Era la quinta edizione di quella che ora è diventato l’attuale Giro della Lunigiana, ma già all’epoca meritava il soprannome di Corsa dei Futuri Campioni. 

«Il Giro della Bassa Lunigiana, come si chiamava ai tempi – racconta Cassani – l’ho corso due volte. La prima nel 1978, la seconda nell’anno successivo: il 1979. Ricordo che fu la mia prima esperienza in una gara a tappe e avevo la sensazione di essere diventato grande. In una tappa arrivai addirittura terzo, dietro Bontempi e Ciuti».

Davide Cassani in maglia di campione regionale Emilia-Romagna 1979
Davide Cassani, maglia campione regionale Emilia-Romagna 1979

Diventare grandi

Sono passati 46 anni da quella prima volta, ma l’aria che si respirava al Giro della Bassa Lunigiana era già di un ciclismo importante. Anche se si era lontani dal sentirsi arrivati tanta era la strada da fare prima di vedere il proprio nome tra quello dei professionisti. 

«Fu un primo assaggio di cosa volesse dire partecipare ad una corsa importante – continua Davide Cassani – perché si stava fuori a dormire, avevamo i massaggiatori al seguito. Insomma era a tutti gli effetti un appuntamento di grande importanza. Era la gara a tappe di riferimento della categoria, come lo è ora. L’emozione principale che ci muoveva era l’orgoglio di indossare la maglia della rappresentativa regionale, nel mio caso dell’Emilia-Romagna. Per un ragazzo di 17 o 18 anni era il massimo. Anche perché non tutti, me compreso, riuscivano a indossare la maglia della nazionale. Iniziavano a esserci appuntamenti importanti, come la Corsa della Pace e i mondiali, ma non erano di certo tanti come ora».

Davanti Maurizio Conti detto “Garibaldi” e alle sue spalle Davide Cassani
Davanti Maurizio Conti detto “Garibaldi” e alle sue spalle Davide Cassani
Che sensazioni provava un ragazzo nel partecipare al Giro della Bassa Lunigiana?

Quella di essere sulla strada giusta, correre in certi appuntamenti ti permetteva di sentire il profumo di un sogno. Per me partecipare a quella corsa era un obiettivo, sapevi di avere buone chance di passare dilettante. In quell’anno (il 1979, ndr) militavo in una delle squadre più forti e avevo vinto nove corse. Anche come rappresentativa dell’Emilia-Romagna eravamo tra i favoriti, con me correvano Giardini e Federico Longo. Due veri campioni dell’epoca. 

Sentivate crescere l’attenzione intorno a voi?

Sì. Anche perché il primo anno che partecipai (1978, ndr) ci chiamò, a inizio stagione, il responsabile del Comitato regionale per consegnarci una sorta di agenda da compilare. Dovevamo scrivere i chilometri fatti e rimandarli poi al Comitato a fine anno. Era il primo contatto con i vertici della Federazione.

Allora come oggi il Giro della Lunigiana è la gara a tappe di riferimento del panorama juniores (Foto Duz Image/Michele Bertoloni)
Allora come oggi il Giro della Lunigiana è la gara a tappe di riferimento del panorama juniores (Foto Duz Image/Michele Bertoloni)
Insomma, avevate capito l’importanza del momento…

Ti sentivi sotto osservazione, a 17 o 18 anni inizi a capire cosa puoi fare da grande. Comunque già a quell’epoca andare forte tra gli juniores era un bel segnale

Cosa ricordi della gara?

Avevamo una grande squadra. Con noi c’era anche un lombardo: Maurizio Conti, detto “Garibaldi”. Faceva parte della nostra rappresentativa regionale, ma per il resto dell’anno era un avversario. Ci scontravamo con lui e riusciva spesso a vincere. Ricordo anche che l’ultima tappa di quell’edizione, una cronoscalata su Monte Marcello, rischiò di saltare a causa di un incendio. Riuscirono a farla, ma in alcune zone era ancora presente sulla strada il liquido usato per domare le fiamme. 

Tanti juniores passano direttamente pro’, è il caso di Seixas che dal team U19 della Decathlon AG2R passa nel WT (Foto Duz Image/Michele Bertoloni)
Tanti juniores passano direttamente pro’, è il caso di Seixas che dal team U19 della Decathlon AG2R passa nel WT (Foto Duz Image/Michele Bertoloni)
Anche all’epoca il Giro della Lunigiana apriva uno spiraglio sul professionismo?

Era impensabile per uno junior passare professionista, i carichi di lavoro erano di gran lunga diversi. Ora questo accade con più frequenza perché i ragazzi sono allenati molto più preparati. Alcuni di loro, come accade alla Bardiani, fanno un buon calendario under 23. Penso però che certe scelte si debbano fare con attenzione. I devo team sono una risorsa preziosa, ma non aprono automaticamente le porte del professionismo.

Si deve ponderare bene la scelta…

Soprattutto perché il nostro primo anno da under 23 coincide con l’ultimo anno di scuola. Anche questo è un fattore da prendere in considerazione quando si decide cosa fare alla fine della categoria juniores. Magari potrebbe essere utile approdare in un devo team nell’anno successivo alla maturità.

L’occasione mancata: Tiberi a Oropa e il podio che se ne va

14.12.2024
5 min
Salva

Due minuti e 25 secondi, questo è il distacco che a Roma ha separato Antonio Tiberi dal terzo gradino del podio al Giro d’Italia, occupato da Geraint Thomas. Se poi si conta che nella seconda tappa, quella che ha portato la carovana al Santuario d’Oropa il laziale ha perso due minuti dal gallese della Ineos Grenadiers i conti sono presto fatti. 

Quando chiamiamo Franco Pellizotti per chiedere quale sia la sua occasione mancata del 2024, il diesse della Bahrain Victorious ci ha pensato un paio di minuti. Prima ha detto la Milano-Sanremo con Matej Mohoric

«Però anche la tappa di Oropa – ci dice subito in battuta – lì abbiamo perso il podio al Giro con Tiberi…».

La Bahrain Victorious aveva approcciato bene il finale tenendo Tiberi davanti
La Bahrain Victorious aveva approcciato bene il finale tenendo Tiberi davanti

Obiettivo raggiunto ma…

L’occasione ci arriva davanti e cogliamo la palla al balzo. D’altronde della Sanremo mancata avevamo parlato proprio con Piva a proposito del secondo posto di Michael Matthews. E poi si parla di vittorie di singole corse o tappe, qui c’era in ballo il podio al primo Giro d’Italia corso da capitano di Antonio Tiberi

«A Oropa non avrebbe vinto – continua Pellizotti – ma proprio quei due minuti ci hanno impedito di salire sul podio. Era la seconda tappa, la prima con un arrivo in salita e Tiberi stava davvero bene, era fresco e preparato. Arrivava come capitano designato e l’obiettivo era di entrare nella top 5 e di vincere la maglia bianca. Alla fine ci siamo riusciti, certo che quei due minuti persi ad Oropa bruciano».

A inizio salita il gruppo era ancora compatto ma allungato, tra la testa e la coda c’erano comunque 30-40 secondi
A inizio salita il gruppo era ancora compatto ma allungato, tra la testa e la coda c’erano comunque 30-40 secondi
La foratura a inizio salita non ci voleva.

Siamo stati parecchio sfortunati, perché Tiberi ha bucato proprio sulle prime rampe della salita di Oropa (anche la bici di scorta poi aveva la ruota forata, ndr). Anche Pogacar aveva bucato, ma almeno era successo cinque chilometri prima e ha sfruttato il tratto in pianura e la scia delle ammiraglie.

Per Tiberi questo non è stato possibile?

No, perché in salita la scia delle ammiraglie non c’è, la velocità è bassa. Lui si è fermato a cambiare la ruota e così si è trovato dietro a tutti e con il gruppo da risalire, solo che intanto molti corridori stavano perdendo terreno. 

Tiberi si è trovato nel gruppetto con Paret-Peintre, ormai lontano dalla testa
Tiberi si è trovato nel gruppetto con Paret-Peintre, ormai lontano dalla testa
Si sarebbe potuta gestire in maniera diversa?

Avrebbe potuto prendere la bicicletta da un suo compagno di squadra, solo che Caruso era ancora in classifica. Accanto a lui c’erano anche Zambanini e altri. Si sarebbe potuto anche cambiare tutta la bici e non solo la ruota. 

In quei casi è il capitano che deve prendere in mano la situazione o anche i gregari che devono agire d’istinto?

E’ un mix di entrambe le cose. Sicuramente tutti avrebbero potuto fare meglio. In quelle fasi concitate Tiberi ha anche provato a forzare per rientrare ma senza successo. La salita di Oropa non è così lunga, o ti chiami Pantani oppure non rientri. Antonio ha anche fatto un fuorigiri che ha pagato, era nervoso e c’era tanta tensione. 

La faccia al traguardo dice tutto, alla fine il passivo da Pogacar è stato di 2′ 24″ da Thomas invece 1′ 57″
La faccia al traguardo dice tutto, alla fine il passivo da Pogacar è stato di 2′ 24″ da Thomas invece 1′ 57″
A fine tappa ne avete parlato?

Certo. Ho detto a Tiberi che il suo Giro sarebbe iniziato nella cronometro di Foligno e che avrebbe dovuto tenere duro. E’ stato bravo a reggere mentalmente perché la botta emotiva poteva essere forte.

Nella quale ha reagito subito bene.

Le prestazioni a cronometro ci hanno dato conferma di quanto avesse lavorato bene quanto fosse preparato al massimo. In una gara di tre settimane certe cose possono capitare, poi ci sono momenti e momenti.

Alla fine l’obiettivo della maglia bianca è stato centrato, così come la top 5
Alla fine l’obiettivo della maglia bianca è stato centrato, così come la top 5
Anche perché in salita i livelli tra i primi (a parte Pogacar) si equivalevano.

Era difficile pensare di poter recuperare minuti, a meno che qualcuno fosse andato in crisi. Thomas e O’Connor sono corridori solidi.

Con il proseguire dei giorni vi siete resi conto dell’importanza di quel momento?

A Roma quando ho ripensato all’intero Giro il pensiero è andato a quel giorno. Ma sono cose che capitano. Tiberi ha dimostrato di essere forte, ci ha dato un gran bel segnale.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

Cozzi, la Tudor e il Giro d’Abruzzo

Zanatta e la fuga di Pietrobon a Lucca

Quando Zanini ha fermato l’ammiraglia

Baldato e la rincorsa al Giro del Veneto

I 50 metri di Dainese a Padova, parla Tosatto

Piva e la Sanremo 2024 di Matthews

Giro a Rapolano, Alaphilippe Beffato

Donati e quel pasticcio in Slovenia

Sciandri ripensa a Nairo sul Mottolino