Pioggia e fango hanno trasformato i corridori in statue di terra. I tre di testa entrano nel velodromo con maschere di fango e gli occhi riparati provvidenzialmente dai grossi occhiali. Colbrelli è guardingo, la tensione è alle stelle. E’ stato lui ad accelerare secco quando Van der Poel ha riagganciato Moscon, anche per capire quanta birra avesse l’olandese. Una volata in pista dopo 260 chilometri fatti a quel modo più che una lotteria è una guerra per la sopravvivenza e così si apprestano a viverla. Vermeersch che non sanno chi sia, ma nell’avvicinamento al velodromo ha provato ad attaccare.
Mondiale indigesto
Il mondiale gli era rimasto di traverso. Colbrelli era convinto di poter dire la sua, ma la caduta all’unisono di Trentin e Ballerini aveva fatto piombare sulle sue spalle tutto il peso della corsa. E in questa fase della stagione, se rispondi a uno scatto, non è detto che tu ne abbia per rispondere al secondo. Ma Sonny quando piove si diverte e chissà se stamattina, guardando il cielo e l’asfalto bagnato, ha pensato a un presagio felice. Sta di fatto che quando Van der Poel accelera e mette nel mirino Moscon, lui lo passa e prova l’allungo. Forse non si è reso conto che davanti il trentino prima ha bucato e poi è caduto.
«Gianni davanti è stato eroico – dice – è stato tanto da solo, ma noi dietro abbiamo fatto un buon lavoro. Da un certo punto in poi ho deciso di seguire soltanto Van der Poel. Il corridore della Lotto non lo conoscevo, però Mathieu è rientrato da dietro e per me lui è quello che fa solo numeri straordinari. Con lui ho lavorato bene e sono stato anche fortunato a non avere forature o guasti. Sono quasi caduto un paio di volte, ma ero molto concentrato nel rimanere in piedi. Poi ho dato tutto quello che mi restava per vincere».
La fede del fenomeno
Van der Poel non ha mai corso la Roubaix, ma per il suo modo di ragionare, sa andare forte sul pavé e sa danzare nel fango: vincerà lui. Ha conquistato il Fiandre. E’ campione del mondo di ciclocross. E se non fosse caduto per quello stupido errore, magari a quest’ora sarebbe anche campione olimpico di mountain bike. Quando apre il gas per staccare Van Aert e rientrare su Colbrelli e compagni di fuga, nella testa risuonano le parole della vigilia.
«Posso vincere la Roubaix? Penso di sì. Ai mondiali non sono arrivato lontano dai migliori e la forma non era al top. Il pavé l’altro giorno lo abbiamo visto asciutto, ma sarebbe bello se piovesse. Diventerà più pericoloso e scivoloso e si tratterebbe di restare in piedi, ma in corse come la Roubaix devi stare attento a tutto».
Chissà se quando Colbrelli si permette di mettergli la ruota davanti, l’olandese comincia a pensare di essersi cacciato in un brutto guaio. Forse no. I fenomeni non pensano mai di poter perdere. E quando questo succede, restano per terra a lungo chiedendosi come sia stato possibile.
Volata al limite
La pista per fortuna è asciutta. E quando i tre ci entrano, il boato che li investe li scuote dentro. Dopo chilometri e ore di poca gente sul ciglio e in certi tratti lo sferragliare delle catene più rumoroso dello sbattere dei denti, quell’effetto luna park produce scariche di adrenalina.
«Anche questa volta ho seguito Van der Poel – dice Colbrelli – ma di colpo la volata l’ha lanciata il corridore della Lotto (Vermeersch ha 22 anni ed è così sconosciuto, che anche il suo nome resterà misterioso fino al podio, ndr). Non si trattava più di essere veloci. Si trattava di riuscire a spingere forte. E io ero veramente al limite e alla fine ho conquistato questa leggenda. Ho fatto davvero un super sprint, poi mi è crollato il mondo addosso. Sono senza parole. Non posso credere di aver vinto la Roubaix. Voglio dedicarlo alla mia famiglia, a tutta la squadra e ai miei tifosi. Finora per me è stata una stagione fantastica».
La Foresta è dritta come un fuso, il gruppo entra a occhi chiusi… E questa è la Foresta dal davanti, un lungo serpentone e qualche caduta
Il mondo addosso
Sonny crolla. Forse vorrebbe fare il giro d’onore, forse la mente non sa venirne a capo. Così si ferma nel punto più lontano dai massaggiatori che iniziano a correre. Anche per i fotografi è una bella sfacchinata. Scende dalla bici e la solleva, la sua Reacto arancione. Poi si accascia sul prato e piange. Piange come a Trento, dove trovò ad abbracciarlo Davide Cassani. Questa volta è da solo e non ha pace. Succede così quando la vita pareggia i conti e tu stai lì attonito, a piangere più di quando ti ha colpito e ti ha lasciato senza fiato.
«E’ la mia stagione – dice – ma è stato ugualmente super difficile. Sono felice. Era la mia prima Roubaix e non posso ancora credere di averla vinta. Stamattina non riuscivo a pensare a una vittoria. Ho iniziato senza alcuna pressione, volevo solo divertirmi in una gara che ho sempre sognato. Mi sentivo bene e meglio chilometro dopo chilometro. Quindi ho voluto provare a cogliere la mia occasione, attaccando magari un po’ prima. Guardando le passate edizioni ho imparato che era un buon momento per provarci…».
Questo trofeo mancava in Italila dal 1999, quando vinse Tafi Sonny crolla sul prato, sconquassato dalle emozioni. Un successo storico
Questo trofeo mancava in Italila dal 1999, quando vinse Tafi Sonny crolla sul prato, sconquassato dalle emozioni. Un successo storico
Il terzo inno
La mitica pietra ora è fra le sue mani, mentre l’Inno di Mameli va avanti e il peso del più bel trofeo del ciclismo inizia a farsi decisamente insopportabile. E’ la terza volta quest’anno che quelle note suonano per lui, perché dopo Imola c’è stata Trento. E ora in quel velodromo in cui ancora si commuovono per Ballerini e inneggiano a Moser, il nome sulla bocca dei tifosi è quello di Sonny Colbrelli. Van der Poel accanto fatica a farsene una ragione. Ai fenomeni capita così. A lui e Van Aert il compito di una bella riflessione sull’opportunità di andare sempre al massimo, quando poi ti sfuggono (nel suo caso) il Fiandre, il mondiale e oggi la Roubaix. L’ha vinta Sonny Colbrelli. E intendiamoci, a noi va molto bene così.