Continuiamo la nostra serie di racconti sulle occasioni perse, sugli errori tattici o, come in questo caso, su eventi quasi impossibili. Stavolta il protagonista è Stefano Zanini, per tutti Zazà. Il direttore sportivo dell’Astana-Qazaqstan, riflettendo, non punta il dito su una tappa o una corsa in cui si sia veramente mangiato le mani, ma su un ricordo legato alla pura sfortuna.
«Vi parlo di quella volta in cui ho dovuto ritirare l’ammiraglia al Giro delle Fiandre», racconta Zanini. Questa è una di quelle storie invisibili, sommerse dal frastuono della corsa dietro ai vincitori, agli sconfitti, alle dinamiche tattiche. Ma è una storia di ciclismo puro. Quel giorno eravamo ad aprile scorso, nessun corridore dell’Astana-Qazaqstan tagliò il traguardo di Oudenaarde.
Stefano, ci dicevi del ritiro dell’ammiraglia. Raccontaci…
Il Giro delle Fiandre per me rimane una delle gare più belle, insieme alla Milano-Sanremo. Perciò, le aspettative sono sempre molto alte, anche se sai già che magari non puoi giocartela per il podio. Tuttavia, puoi fare un’ottima corsa con i tuoi ragazzi, c’è sempre una speranza in più, specialmente in Belgio, dove le gare possono cambiare fino all’ultimo. Ma quell’anno siamo stati veramente sfortunatissimi.
Cosa è successo?
Attorno al chilometro 190, ora non ricordo con precisione, è caduto Cees Bol, l’ultimo dei nostri atleti in gara. Si è agganciato con uno dei tanti spettatori a bordo strada. Cees è ripartito, ma aveva preso una bella botta. Ha rincorso e ha tenuto duro, ma ormai era fuori dai giochi. A quel punto insistere era inutile: abbiamo pensato alle gare successive. Però certo, non terminare il Fiandre…
È stata una bella botta al morale…
Eh, un bel po’. Al morale sì, perché anche i ragazzi volevano fare una buona gara. Solo che sai, quando la sfortuna ci si mette, quelle gare lì sono sempre difficili da interpretare. Non avevamo più nessun corridore in gara: tra chi si era staccato, chi era caduto e chi aveva avuto problemi meccanici, eravamo fuori. E la sfortuna già ci attanagliava, visto che avevamo faticato per mettere insieme la formazione per il Fiandre. Avevamo gli uomini contati.
Chi si era fermato prima di Bol?
L’ordine dei ritiri di preciso non lo ricordo, ma l’altro atleta che era rimasto in gara era Fedorov. Quel giorno oltre a Bool e Fedorov, avevamo schierato Gidich, Gruzdev, Syritsa, Morkov e Selig. Alcuni non erano al top e si sa quanto siano dure certe gare. Ma Bol, fino a quel momento, circa 60 chilometri dall’arrivo, era nel gruppetto che poi ha fatto la corsa.
Cosa vi siete detti quella sera dopo la gara?
Molto poco, sul bus. Poi la sera abbiamo riflettuto: contro la sfortuna si può fare poco, ma non dovevamo abbatterci. Dovevamo reagire subito. Chiaro, un’analisi di cosa non aveva funzionato l’abbiamo fatta, ma in quel momento serviva soprattutto tenere alto il morale. Certo, l’umore fa fatica a risalire: hai comunque delle aspettative per certe gare. Alla fine, però, ci siamo ripresi bene. Qualche giorno dopo, infatti, Bol ha chiuso quarto alla Scheldeprijs, dietro a corridori come Merlier, Philipsen e Groenewegen.
Ti era mai capitato di ritirare l’ammiraglia?
Sì, mi era capitato all’inizio della mia carriera da direttore sportivo con la Fuji-Servetto TMC, la squadra di Giannetti, nel 2009.
Come è stato il momento del ritiro?
In pratica, prima del secondo passaggio sull’Oude Qwaremont, ho tirato dritto verso il bus, sono uscito dal percorso.
Cosa hai detto? Cosa ti passava per la testa?
Cosa ho detto è meglio non ripeterlo! Per il resto, tanta delusione. Per radio, tanto silenzio. Anche in ammiraglia, dove con me c’era il meccanico, Morris Possoni.