ALTEA (Spagna) – Quinto al Giro d’Italia e miglior giovane, Antonio Tiberi si muove col passo felpato di chi ha in testa il ritmo giusto per fare le cose. Il mattino è stato dedicato alle visite mediche e ad una sessione fotografica, poi ci sono i giornalisti e le loro domande. La giornata è accecante di sole e mare, il riverbero del marmo a bordo piscina costringe a socchiudere gli occhi.
L’hotel Cap Negret è meno affollato del solito. Ci sono la Bahrain Victorious e la VF Group-Bardiani, come pure la FDJ Suez di Demi Vollering e Vittoria Guazzini. Il parcheggio però è mezzo vuoto, perché quest’anno la geografia dei team si è rimescolata. Ci sono stati anni in cui qui potevi incontrare anche sei squadre contemporaneamente: una sorta di caccia grossa per chi fosse in cerca di interviste.
La stessa flemma di Nibali
Per l’Italia che va in cerca di una nuova voce per i Grandi Giri, la carta Tiberi è il ponte più concreto fra il ricordo di Nibali e un futuro da scrivere. Di Vincenzo ha la flemma e per certi versi lo stile: la Trek-Segafredo aveva visto giusto nel metterli uno accanto all’altro, anche se alla fine il piano è caduto nel vuoto. Probabilmente al laziale manca ancora la capacità di inventare azioni vincenti, ma quella verrà quando le gambe saranno in grado di sostenerle. Il quinto posto al primo Giro è senza dubbio un bel trampolino da cui spiccare il volo.
Prima di raggiungerci, Tiberi si è coperto di tutto punto. Non tragga in inganno il sole: a volte si alzano delle folate di vento che suggeriscono prudenza in atleti che sono ancora lontani dal peso forma, ma si riguardano come meglio possono. Quando anche la mantellina è chiusa fino sotto il collo, Antonio si accomoda sullo sgabello di fronte.
«Vengo da un anno più che ottimo – dice – quindi sono qui per lavorare bene, cercare di crescere e fare qualcosa di ancora migliore per l’anno prossimo. Ho passato le vacanze a casa, un po’ a San Marino e un po’ dai miei genitori. Per me la vacanza è stare a casa, tranquillo e senza impegni. Sono sempre in giro a prendere aerei, quindi non ho molta voglia di prenderne altri anche a stagione finita».
Cosa si fa in questo primo ritiro?
Ci dedichiamo ai test, alle nuove foto, a provare nuove bici e il nuovo abbigliamento. E soprattutto avviamo la preparazione in vista del ritiro di gennaio, cui spero di arrivare con la gamba pronta per iniziare a lavorare sul serio.
Hai imparato qualcosa di più su Antonio nel 2024?
Ho imparato che facendo le cose con la testa e mettendoci impegno, riesco a ottenere degli obiettivi che prima neanche avrei immaginato. Sicuramente tutto quello che è venuto nella scorsa stagione mi ha dato più sicurezza e la maturità per iniziare la preparazione con maggiore concentrazione. E con la consapevolezza che, se faccio le cose al meglio, riesco ad ottenere comunque dei buoni risultati.
Il fatto di stare in salita con i migliori dipende dalla preparazione oppure in gara si alza anche la soglia del dolore?
E’ anche una questione mentale, giusta osservazione. Il lavoro conta tanto, perché a casa si allenano anche la sopportazione del dolore e della fatica. Il fatto di reggere certe andature è più che altro una questione di tempistiche e varia da persona a persona. Allenarsi tanto è necessario, ma per arrivare a un certo livello quello che fa tanta differenza è la testa. Penso che ogni persona abbia bisogno di arrivare al punto giusto di maturazione per riuscire a fare determinati sforzi e determinate prestazioni. Per metabolizzare bene lo stress e la fatica.
Su cosa devi crescere per essere ancora più incisivo?
Abbiamo fatto un’analisi delle mie prestazioni e quello che manca e che vorremmo migliorare è il cambio di ritmo, quello con cui Pogacar riesce a fare la differenza quando siamo tutti al limite. Ci lavoriamo già, l’idea è di alzare questa soglia, certe azioni non le puoi improvvisare.
Il cambio di ritmo
Il suo preparatore è Michele Bartoli, che lo ha preso in carico a metà 2023, ma ha potuto iniziare a lavorare con lui in maniera completa alla vigilia del 2024. Un anno di osservazione e lavoro ha portato appunto alla conclusione di cui parla lo stesso Tiberi.
«Faremo un programma di allenamenti intervallati – spiega il toscano – che durano secondi fino ad arrivare a pochi minuti. Andando avanti riesci a vedere più cose e guardandolo correre, abbiamo notato questo aspetto in cui possiamo lavorare per migliorare. Lavori che vanno da 30-40-50 secondi fino ad arrivare ai 3-4 minuti. Ma non ci si limita a quello. Si arriva a fare lavori massimali anche di 6-7-8-10 minuti, perché quello che ci serve e che serve ad Antonio è prettamente questo. Lavori con frequenti cambi di ritmo, da pochi secondi fino a pochi minuti.
«Ma non cominceremo subito – prosegue il toscano – perché Antonio ha corso fino a una gara in salita organizzata da Merida a Taiwan, quindi si è dovuto allenare dal Lombardia al 25 di ottobre, come se corresse ancora. Poi ha scaricato quattro settimane e siamo arrivati al 20 di novembre, quando ha ripreso a pedalare. Perciò sono due settimane che si allena e ora deve fare un po’ di base, non può caricare subito al massimo».
Nel tavolo accanto è seduto Colbrelli, con il computer aperto che all’esterno del monitor ha le foto delle sue vittorie più belle. Questi sono i giorni in cui si definiscono i programmi: per i direttori sportivi un vero rompicapo fra i desiderata degli atleti e le esigenze della squadra.
Qual è stato il giorno più bello dell’anno?
Ne dico due. La penultima tappa del Giro, quella di Bassano, quando ho trovato i miei genitori dopo l’arrivo. E poi l’ultima tappa, quella di Roma, che a modo suo resta indimenticabile.
I mondiali potevano esserlo e non lo sono stati?
Diciamo che li ho presi come un’esperienza che sicuramente mi servirà in ottica futura, essendo stato comunque il primo mondiale. Sono andato a Zurigo con le aspettative alte, forse anche troppo per quello che era realmente il percorso. Speravo in qualcosa più adatto agli scalatori, che ci fossero delle salite dure. Invece era più esplosivo, per gente come Van Der Poel. Però il mondiale è sempre una gara particolare. L’ultima volta che lo avevo corso era da junior e bisogna dire che c’è una bella differenza tra juniores e professionisti. Si corre senza radio, è uno stile di gara molto molto diverso da quello cui siamo abituati.
In un ipotetico avvicinamento al Giro, se sarà Giro, rifaresti tutto quello che hai fatto quest’anno oppure si può cambiare qualcosa?
Se fosse Giro, l’avvicinamento sarebbe molto simile. Magari potrebbe cambiare un pochino la prima parte, proprio l’inizio della stagione e forse sarà così. Probabilmente inizierò all’Algarve, ma il resto sarà quasi uguale all’anno scorso, magari facendo qualche ritiro in più con la squadra.
Il quinto posto del Giro ha fatto crescere la tua popolarità?
Leggermente, qualcuno mi riconosce quando sono in giro a casa o anche quando mi alleno. Mi fa piacere, è qualcosa che ti dà più morale, che dà orgoglio e ti stimola a fare ancora meglio.