Distacchi, tattiche, percorso: cause della volata mancata

26.05.2022
5 min
Salva

Qualche polemica se la porterà dietro la Borgo Valsugana – Treviso. Quella che sulla carta doveva essere l’ultima chance per i velocisti è sfumata. Ha visto arrivare la fuga. Niente volata dunque per Cavendish, Demare e tutti gli altri.

E una volata, dopo tante salite, il pubblico l’avrebbe vista volentieri. Sono sempre belle “fiammate di adrenalina”. Senza nulla togliere ai quattro ragazzi della fuga, sia chiaro.

Da quel che si è visto, e parlando con i protagonisti nel dopo tappa, emergono tre questioni: chi doveva tirare, un presunto errore del cronometraggio e la genesi dei percorsi. 

In questi casi è un po’ come nella politica. Si cerca di scaricare il barile sul prossimo. La realtà è che è regnato il caos in gruppo e che i quattro fuggitivi hanno giocato molto bene le loro carte. 

Gaviria (a destra) discute con Dainese. Il padovano, quinto, ha vinto la volata del gruppo
Gaviria (a destra) discute con Dainese. Il padovano, quinto, ha vinto la volata del gruppo

Esplode la discussione

Dopo l’arrivo i velocisti avevano il dente avvelenato. Gaviria discuteva animatamente con Dainese. Mentre tornavano ai bus gli chiedeva perché anche lui non avesse messo più uomini a tirare. 

I Cofidis, che dovevano fare la volata con Cimolai, si sono persi sotto la strappata di Ca’ del Poggio. Chi si poteva aspettare un aiuto dalla Alpecin Fenix per uno sprint di Van der Poel, chiaramente è rimasto deluso in quanto davanti c’era De Bondt, che poi ha vinto.

Insomma una situazione che sembrava scontata, con la fuga destinata a perdersi, all’improvviso non lo è stata più. E poi i quattro davanti, lo ripetiamo, oltre che forti sono stati furbi.

Prima delle colline di Valdobbiadene non avevano spinto a tutta. Loro rallentavano e il gruppo anche. Erano tenuti a tiro. Questo gli ha consentito di preservare le energie per fare l’imboscata proprio laddove i velocisti avrebbero sofferto di più e le loro squadre non avrebbero potuto spingere a fondo.

Cavendish deluso dopo l’arrivo di Treviso
Cavendish deluso dopo l’arrivo di Treviso

Distacchi giusti?

Così sono usciti dal tratto ondulato con un bel vantaggio. E anche qui la questione è aperta. C’è una querelle sulla questione dei distacchi. Una querelle che ha imposto la brusca accelerata costata cara a Lopez, ma che ha fatto saltare i progetti delle squadre dei velocisti: prima forte, poi piano, poi fortissimo. E qualcuno si è perso.

«In cinque chilometri – dice Bramati, diesse della Quick Step – Alpha Vinyl di Cavendish – siamo passati da un minuto e venti secondi a due minuti, due minuti e mezzo, tre minuti. Stavamo tenendo tutto sotto controllo, ma a quel punto abbiamo dovuto spingere al massimo e siamo andati a tutta dopo Ca’ del Poggio.

«Poi okay l’errore, ma servivano le gambe. E i fuggitivi sono stati fortissimi». 

Dsm, Quick Step e Groupama nelle prime posizioni a tirare per ricucire sulla fuga
Dsm, Quick Step e Groupama nelle prime posizioni a tirare per ricucire sulla fuga

Le tattiche dei team

«Ognuno – riprende Bramati – fa la sua corsa. Se mi aspettavo di vedere più uomini di altre squadre? Io ho messo a tirare tutti gli uomini che potevano. Che gli altri si prendano le loro responsabilità, io mi sono preso le mie.

«Di certo, avrei preferito prenderli. Avrei preferito vedere una vera volata. E che vincesse il migliore. Spiace perché era l’ultima chance». 

Scotson alle prese con i suoi guai meccanici su Ca’ del Poggio
Scotson alle prese con i suoi guai meccanici su Ca’ del Poggio

Parola a Guarnieri

Un piccolo disguido sul distacco c’è stato effettivamente.

«Dopo Ca’ del Poggio – ammette Jacopo Guarnieri, compagno di squadra di Demare – all’improvviso ci hanno detto che i quattro avevano 3’30”, però è durato poco. Dopo un po’ ci hanno detto che il distacco era di 2’30”. Per me il problema non è stato questo.

«Per quel che riguarda le squadre, chi tirava e chi no – riprende il corridore della Groupama Fdj – credo si sia visto alla tv che mi sono incavolato sul ritmo non proprio alto di Rui Costa. Sicuramente qualche squadra poteva tirare di più. Noi comunque abbiamo già vinto tre tappe e abbiamo la maglia ciclamino».

«In discesa abbiamo perso sia Sinkeldam, rimasto dietro quando si è spezzato il gruppo, che Scotson, per un problema meccanico. Del nostro treno quindi ero rimasto solo io. Abbiamo fatto tirare Konovalovas (come a dire che da solo non poteva fare più di tanto, ndr).

«In più Cavendish si è voluto conservare sia Ballerini che Van Lerbeghe. La UAE Emirates dava fiammate di tanto in tanto, così come i Cofidis».

«Sono scelte, non discuto sulle tattiche delle altre squadre, ma la caccia della fuga non poteva essere solo sulle nostre spalle. Abbiamo tirato, ma neanche potevamo portare tutto il gruppo in carrozza all’arrivo. Ripeto, sono scelte: se a qualcuno andava bene così… contenti loro. Di sicuro noi siamo contenti di quel che abbiamo fatto in questo Giro». 

Jacopo Guarnieri con il campione lituano e compagno di squadra, Ignatas Konovalovas
Jacopo Guarnieri con il campione lituano e compagno di squadra, Ignatas Konovalovas

Percorsi e velocisti

Ma prima di chiudere Jacopo Guarnieri, fa una disamina interessante: «Semmai la vera critica riguarda il percorso. Ci si lamenta che i velocisti vanno a casa durante il Giro. Che lo lasciano dopo dieci giorni o poco più. Però oggi, l’unica volata della settimana, era complicata da guadagnare».

«Con il muro di Ca’ del Poggio non potevamo permetterci di essere troppo vicini alla fuga perché non volevamo farci attaccare da altri. E il circuito era pericoloso e con tante curve. Si poteva fare di meglio… se davvero si voleva una frazione per velocisti. La volata non è arrivata… chapeau alla fuga».

Dainese rimonta a più di 75 all’ora. Reggio Emilia è sua

18.05.2022
6 min
Salva

Un metro dopo l’altro. Lentamente. Inesorabilmente. A Reggio Emilia Alberto Dainese è protagonista di uno sprint che non si aspettava neanche lui.

Romain Bardet sfila dietro l’arrivo con un sorriso enorme. Sbatte i pugni sul manubrio dalla gioia per il suo compagno. Il francese la volata non l’ha vista, ma ha sentito gli urli dall’ormai immancabile radio. E ha capito. Ha capito che Alberto ce l’aveva fatta. Una sorpresa.

Incognita vento

L’undicesima frazione della corsa rosa, la seconda più lunga del Giro d’Italia (203 chilometri), si temeva potesse essere noiosa. Si sapeva che si sarebbe arrivati allo sprint e magari gli attacchi potevano essere scoraggiati.

Le antenne erano dritte per tutti quanti però, perché c’era vento. Jumbo Visma, Quick Step – Alpha Vinyl ed Ineos Grenadiers. Dopo Bologna, per una trentina di chilometri, è stata battaglia serrata: obiettivo stare davanti, non prendere buchi per i possibili ventagli.

Il percorso però cambia di nuovo direzione e il vento torna a favore. Niente da fare. E’ sprint compatto. Se il bravissimo belga della Alpecin Fenix, Dries De Bondt, sfiora il colpaccio, dietro le cose passano con una calma apparente.

Tutti aspettano che Cavendish e Demare prendano l’iniziativa. Guarnieri, compagno del francese, conosce bene queste strade visto che è quasi di casa.

Anche Dainese e la Dsm restano fedeli al dogma di stare davanti. Un po’ per proteggere Bardet e un po’ perché i suoi compagni lo hanno ben scortato. Anzi era lui che doveva scortare…

«Non dovevo fare io la volata – racconta Dainese – doveva farla Bol. Ma poi ci siamo parlati. Mi ha detto che non stava bene e così ho provato io. E anche io non ero convintissimo, non mi sentivo super, visto che la scorsa notte non avevo dormito bene».

Dal basket alla bici

Già, ma ce l’ha fatta. E allora chi è Alberto Dainese? Chi è questo ragazzo che porta l’Italia a prendersi una tappa dopo oltre metà Giro?

E’ un ragazzo di Padova, Abano Terme per la precisione. Classe 1998, è al terzo anno da professionista. Giocava a basket, ma non essendo troppo alto è passato alla bici.

«La bici – racconta Alberto – l’ho conosciuta da bambino perché passavo i pomeriggi dai nonni, mentre mamma e papà lavoravano. I miei nonni seguivano il ciclismo in tv e mi sono appassionato. Da allievo ho fatto anche un bel po’ di pista, perché non ero scaltro in gruppo. Ma questo, credo, mi ha dato un buon colpo di pedale, così come che i tanti balzi fatti nel basket mi hanno dato un po’ di esplosività».

Guardate Dainese (maglia nera) dov’era a meno di 100 metri dal traguardo. Da notare anche la posizione raccolta alla Cav
Guardate Dainese (maglia nera) dov’era a meno di 100 metri dal traguardo. Da notare anche la posizione raccolta alla Cav

Olanda e Italia

Alberto Dainese prima di passare alla Dsm ha militato anche alla Seg Racing Academy, una continental olandese. Una squadra che fa molta attività internazionale e che funziona bene a quanto pare, visto che quando Marco Frigo, altro gioiello italiano, gli aveva chiesto consiglio se andarci o no, Alberto stesso gli aveva dato il via libera.

«Vero – riprende Dainese – ho fatto due anni in Olanda e mi è servito. Ma prima ne avevo fatti due alla Zalf e anche quelle sono state stagioni preziose. Alla Seg ho fatto molta esperienza, ma anche con Marino Amadori in nazionale ho corso parecchio. Pertanto non mi sento di dire che sono uscito solo da una squadra olandese, la scuola italiana c’è e conta. E visto quel che abbiamo vinto negli ultimi anni non mi sembra in crisi».

L’esplosione di gioia. Il veneto conquista la sua prima vittoria al Giro
L’esplosione di gioia. Il veneto conquista la sua prima vittoria al Giro

Velocità e non watt

Reggio Emilia intanto cerca di tornare alla sua tranquillità. Questa città della Bassa oggi era strapiena. Ancora una volta il Giro ha spopolato. Mentre attraversiamo il rettilineo per tornare in sala stampa, ci “rivediamo” la volata.

Dainese ha fatto davvero una rimonta super.

«E’ stata una volata lunga – dice Dainese – In effetti sono partito da dietro e non so se il vento fosse contrario o a favore, non l’ho capito bene! Quando è partito lo sprint non ho accelerato subito, ma quando sono uscito ho visto che avevo un buono slancio e ho spinto fino alla fine. Ci ho creduto.

«Demare aveva la posizione migliore, ma tante volte conta “l’elastico”, cioè come arrivi sulla linea, come esci».

«Ho fatto lo sprint con il 54×11 e girava agile. E’ stata una volata molto veloce. Se mi dite che Gaviria (secondo, ndr) ha toccato i 75, io avrò fatto qualcosina in più. Non conosco ancora i watt, ma alla fine contano relativamente, quel che conta è la velocità.

«Anche io ogni tanto guardo i dati e mi dico: ah okay, si possono fare. Ma poi certi picchi li devi toccare a fine tappa, dopo 200 chilometri. Guardate Cav che vince con watt relativamente bassi».

Bardet si è complimentato con Alberto. In squadra il francese è un riferimento per tutti
Bardet si è complimentato con Alberto. In squadra il francese è un riferimento per tutti

Bardet leader

Sul podio, dopo la beffa di Girmay di ieri che lo ha costretto al ritiro, Dainese è stato ben attento al tappo dello spumante. Gli schizzi sono finiti sulla folla e simbolicamente sui suoi compagni.

Ancora una volta il ciclismo si è mostrato sport di squadra. Dopo la linea d’arrivo, i Dsm si sono ritrovati tutti assieme. Capitan Bardet era il più felice, quasi più di Alberto.

«In squadra c’è un bel clima – conclude Dainese – quando si soffre e si fatica tutti insieme e uno di noi vince, la felicità è per tutti. Bardet poi ha sempre creduto in me, anche quando non ci credevo io. E vedere un ragazzo che è terzo in classifica e vuol vincere il Giro così contento per te è bellissimo».

L’arte del colpo di reni. A lezione da Silvio Martinello

14.04.2022
5 min
Salva

La scorsa domenica Benoit Cosnefroy ha perso l’Amstel Gold Race al colpo di reni. Le immagini al rallentatore evidenziano in modo anche abbastanza netto come Michal Kwiatkowski sia stato più bravo in questo famoso gesto finale. Con un colpo ben assestato il polacco ha guadagnato quella manciata di centimetri che gli hanno consentito di alzare le braccia al cielo.

E il corridore della Ineos-Grenadiers è davvero bravo, pur non essendo un velocista puro, ma avendo corso per anni su pista. Basta ricordare la Sanremo del 2017 vinta in quel mitico arrivo a tre con Sagan e Alaphilippe (foto di apertura). Forse i brevilinei sono più abili nell’eseguirlo. Il vantaggio è che sono più rapidi, lo svantaggio è che hanno meno leva una volta lanciata la bici.

Di questo spettacolare gesto parliamo con Silvio Martinello, grande ex velocista e anche grande ex pistard. Silvio in quanto a tecnica sa il fatto suo. E anche lui ha esaminato bene il finale dell’Amstel.

Amstel 2022. A destra, Kwiato dà un colpo perfetto: sella sullo sterno e sguardo verso Cosnefroy, che a sua volta è molto più statico
Silvio, Cosnefroy ha sbagliato il colpo di reni: è così?

Può starci. Di certo non lo ha fatto bene, questo è fuori di dubbio. Ed è un gesto che può fare la differenza come abbiamo visto.

Nella tua carriera ti saranno capitate situazioni in cui lo hai dovuto fare in modo decisivo…

Tante volte. Ricordo per esempio la mia vittoria al Giro d’Italia del 1991 in volata contro Allocchio a Castelfranco Veneto. Lui era già pronto ad alzare le braccia al cielo e io lo infilai. Stessa cosa ad un Giro del Trentino contro Baffi, sempre nel 1991, quella volta si arrivava a Trento sul pavè. Ma ci sono state anche occasioni in cui ho perso al colpo di reni.

Racconta…

Per esempio al Giro del 1998. Quell’anno feci quattro volte secondo, tre dietro Cipollini e una dietro Magnusson. Si arrivava a Vasto, battei Mario ma Magnusson mi infilò proprio al colpo di reni. Arrivò meglio sulla linea e vinse lui.

“Arrivò meglio sulla linea”: come si capisce dunque il momento per darlo?

Non è tanto una questione di calcolo, ma di feeling, di abitudine col gesto e con le volate. E molto dipende anche da quante energie si hanno e anche dalla posizione durante lo sprint.

La volata vinta da Magnusson (al centro) su Martinello (a sinistra) e Cipollini (a destra) al colpo di reni al Giro 1998 (screenshot da video)
La volata vinta da Magnusson (al centro) su Martinello (a sinistra) e Cipollini (a destra) al colpo di reni al Giro 1998 (screenshot da video)
Posizione?

Se sei davanti o se sei in rimonta. E generalmente al colpo di reni è avvantaggiato chi è in rimonta perché è più veloce, che sia tanto o poco, ma è più veloce e riesce a gettare in modo più rapido la bici sul traguardo, sfrutta l’attimo, perché poi bisogna ricordarlo: quando si dà il colpo di reni si smette di pedalare, quindi devi azzeccare il momento giusto. Non puoi essere né troppo corto, né troppo lungo. Per questo dico che è un gesto che s’impara facendolo, sfruttando le occasioni quando diventa necessario.

Hai detto che chi è rimonta generalmente è avvantaggiato perché più veloce, ma influisce anche il colpo d’occhio? In fin dei conti ci si può regolare non solo sulla distanza dalla linea del traguardo ma anche sull’avversario…

Credo che sia qualcosa di soggettivo. Quando sei davanti per osservare i tuoi avversari guardi sotto le braccia. Io almeno facevo così. Chi vince in rimonta invece deve solo guardare avanti. Però forse sì: calcola un po’ meglio i tempi.

Quanto aiuta essere stati dei pistard?

Molto. Come in tutte le cose in cui serve velocità e destrezza la pista aiuta molto. Aiuta soprattutto nello sviluppare questa abilità motoria, anche perché in pista il colpo di reni è ancora più difficile. Con il rapporto fisso non puoi smettere di pedalare. Di conseguenza non ti puoi buttare con il sedere dietro la sella, altrimenti cadi, ma devi restare più in avanti. E infatti è un colpo di reni diverso. Un colpo se vogliamo meno potente, ma più rapido.

E su strada?

Su strada puoi sprigionare tutta la tua forza in quel gesto. Potendo smettere di pedalare non sei limitato e ti puoi buttare indietro e far arrivare la sella sullo sterno.

A tuo avviso si può anche allenare? Vediamo che oggi i corridori fanno molta ginnastica, curano la mobilitò con fitball, stretching, Trx…

Su questo aspetto non ho l’esperienza diretta e non saprei dire. Ai miei tempi la palestra si faceva una volta ogni tanto. Tuttavia, vedendo il gesto mi verrebbe da dire che non cambia nulla. Ma ripeto: vado un po’ a naso.

Ultima domanda, Silvio: ai tuoi tempi c’era qualche corridore famoso proprio per il colpo di reni?

Mah, di base lo erano un po’ tutti i velocisti. Soprattutto quelli che facevano le volate da soli in rimonta. Mi viene in mente Nicola Minali. Lui era molto bravo in questo tipo di volate, anche se ha vinto corse importanti pur facendo volate di testa, ma era davvero efficace in questo gesto.

Petacchi aveva un chilo in più? Il velocista moderno no

29.03.2022
6 min
Salva

«Per la Sanremo ero più magro, per il resto della stagione invece avevo un chilo e mezzo, due in più. Alla fine io non avevo questa esigenza di essere super tirato. E se scollinavo con un minuto di ritardo in più non mi cambiava molto. La volata della Sanremo è di gambe, non è una di quelle esplosive a 70 all’ora». Abbiamo “girato” questa frase di Alessandro Petacchi, ad un velocista attuale, e che velocista, Simone Consonni.

Consonni (Cofidis) fu terzo a Clermont Ferrand, nel Tour 2020, tappa di 194 chilometri e 2.646 metri di dislivello
Consonni (Cofidis) fu terzo a Clermont Ferrand, nel Tour 2020, tappa di 194 chilometri e 2.646 metri di dislivello

Velocisti più magri

E’ bastato ripetergli questa frase dello spezzino che il campione della Cofidis ha capito al volo l’argomento: oggi è ancora possibile per un velocista potarsi dietro una “zavorra”, benché minima come quella di AleJet?

«Credo – dice Consonni – che negli ultimi anni siano cambiate un bel po’ di cose. Io non ho mai corso con Petacchi e i velocisti della sua generazione e faccio fatica a fare un confronto. Negli ultimi anni non esistono i velocisti super puri di una volta. Oggi per vincere in volata devi andare forte in salita e l’ultima Sanremo ne è stata la dimostrazione. Ha certificato quanto sia importante andare forte in salita.

«I velocisti che sono arrivati davanti sono andati fortissimo sulla Cipressa e sul Poggio».

In effetti sono arrivati all’attacco del Poggio in 24-25 e, tolti due o tre gregari, erano tutti leader. Dentro c’era gente veloce come Demare, Nizzolo, Pedersen, Girmay, Matthews

«In più le corse sono sempre più dure per i velocisti perché gli organizzatori inseriscono sempre più salite. Ormai di veri piattoni ce ne sono uno o due nei grandi Giri. Senza contare che in corsa ci sono corridori fortissimi che fanno “casino” anche quando non te lo aspetti o da lontano. Quindi più che curare lo sprint puro, cerchi di stare attento al rapporto peso/potenza per scollinare nel miglior modo possibile, per risparmiare energie per la volata».

Lo scorso anno a Tignes Demare finì fuori tempo massimo. Essere magri è fondamentale anche per il velocista
Lo scorso anno a Tignes Demare finì fuori tempo massimo. Essere magri è fondamentale anche per il velocista

Coperta corta

«Ed è molto difficile trovare questo compromesso. Tu, velocista, puoi anche essere più magro ma non devi perdere potenza. E’ il “vaso di pandora” del ciclismo moderno… se trovi la soluzione! E non è facile. La coperta è corta: se migliori nel breve, perdi in salita.

«Io per esempio quest’anno ho lavorato di più sulla palestra per migliorare lo sprint. E alla fine nel breve, nella volata, i watt sono gli stessi, ma mi sento meglio in salita. E peso due chili in più!».

Questo a dire il vero, nel caso di Consonni un po’ ci stupisce. Una metamorfosi del genere ce la saremmo aspettata di più lo scorso anno in vista delle Olimpiadi su pista (ricordiamo che Simone fa parte del quartetto d’oro), dove serve più potenza.

«Chiaramente sono due chili di forza e in effetti questo cambiamento è iniziato dallo scorso anno proprio per la pista e poiché ho visto che pagava ho continuato. Come detto i valori sul corto sono più o meno gli stessi, ma mi esprimo meglio sui 10’».

Simone Consonni nelle ultime stagioni ha lavorato molto in palestra per cercare di rialzare lo spunto veloce
Simone Consonni nelle ultime stagioni ha lavorato molto in palestra per cercare di rialzare lo spunto veloce

Questioni tattiche 

Tornando a Petacchi e in parte anche al discorso di Consonni, quel chiletto o due in più portavano ad avere il “vecchio” velocista ad avere un certo spunto. Ma a quanto pare oggi non è possibile. La volata te la devi guadagnare.

«Esatto, te la devi guadagnare – riprende Simone mentre sta facendo i massaggi durante la campagna del Nord – oggi quasi sempre le tappe sono uguali o superiori ai 2.000 metri di dislivello. Lo scorso anno al Giro l’unico piattone fu la frazione di Verona. E questo, insieme alla mania di attaccare di questi fortissimi corridori, cambia le cose per noi. Sarà bello per lo spettacolo, ma meno per noi sprinter!

«Faccio un esempio. Alla Tirreno in una tappa per velocisti Alaphilippe e Pogacar hanno attaccato a 40 chilometri all’arrivo e per noi è stata una sofferenza. Da uno strappo insignificante ne è nata un’azione che è stata quasi da tappa di salita».

Il treno della Saeco, emblema delle volate e dei velocisti degli anni ’90-2000
Il treno della Saeco, emblema delle volate e dei velocisti degli anni ’90-2000

I chilometri finali

E poi – rilancia appassionato Consonni – c’è anche un’altro aspetto che secondo me conta: l’approccio alle volate. Si dice che oggi c’è anarchia nel preparare una volata. Non è più come una volta che i migliori 4-5 velocisti avevano il loro treno e ai meno dieci dall’arrivo tutti si mettevano in fila. Si andava forte, ma regolari (e coperti, ndr). 

«Adesso gli ultimi dieci chilometri sono molto più intensi. Passi da una ruota all’altra. Risali, prendi vento… sono dei salti, degli sprint che richiedono potenza. Sono 10′ molto dispendiosi e se spendi quei watt lì, non ne hai dopo per la volata».

Jakobsen o Cipollini?

Al netto dei percorsi più duri, della mancanza dei treni e di velocisti più magri ci si chiede se gli sprinter di un tempo fossero più forti. O meglio se avessero un picco più alto.

«Rispetto ad altri bambini – conclude Consonni – io seguivo poco il ciclismo, quindi faccio un po’ più di fatica a dare un giudizio, tuttavia da quello che mi dicono gli esperti la nostra spinta media nel corso delle ore di gara è più alta rispetto al passato. E questo toglie lucidità e potenza. Da quello che ho sentito dire una volta le corse erano più controllate e alla fine i velocisti di un tempo credo avessero più potenza nel corto».

Non è mai facile e forse neanche giusto mettere a confronto corridori di epoche diverse. Tuttavia poiché non parliamo di secoli ma di due o tre lustri azzardiamo un “paragone”. Se si mettesse su un rettilineo un Fabio Jakobsen e un Mario Cipollini di allora, quasi certamente Re Leone lo batterebbe allo sprint, ma bisogna vedere se lo stesso Cipollini di un tempo oggi sarebbe in grado di restare in gruppo. Probabilmente i Petacchi e i Cipollini di allora, oggi sarebbero più magri. E quindi con un po’ meno spunto.

Analisi tecnica della Wiebes, “imbattibile” allo sprint

23.03.2022
4 min
Salva

Con tre vittorie (di peso) e un terzo posto, Lorena Wiebes è la mattatrice di questo inizio di stagione tra le donne. La velocista olandese del Team DSM in volata sembra avere una certa supremazia. Almeno nelle volate di gruppo si è mostrata la più forte. Le corse veloci, se c’è lei, sono piuttosto segnate.

Di questo suo primeggiare negli sprint parliamo con Davide Arzeni, diesse della Valcar-Travel&Service. Tra la Cavalli “1.0”, la Balsamo e la Consonni, di volate e di treni il “Capo” (questo il suo soprannome) se ne intende.

Davide Arzeni è uno dei diesse più preparati, soprattutto per quel che concerne le squadre delle velociste
Davide Arzeni è uno dei diesse più preparati, soprattutto per quel che concerne le squadre delle velociste
Davide, partiamo da come la Wiebes prepara la sua volata. Le piace correre super nascosta e uscire all’ultimo o si espone anche?

Non è troppo nascosta, anzi… Non è una “succhiaruote” come si dice in gergo. Senza contare che è migliorata molto negli strappi, altrimenti non si vincono corse come Drenthe. In generale è migliorata in salita. Alla Valenciana l’ho vista fare molta fatica, ma erano altri percorsi. Credo che nelle classiche del Nord sarà dura staccarla. E poi la Dsm è cresciuta molto tatticamente.

Cioè?

Sanno di avere la velocista più forte e quando viene attaccata, tutta la squadra la protegge. Ma quel che ho notato è che ultimamente giocano d’anticipo e inseriscono sempre un’atleta di qualità nella fuga. Penso ad una Georgi o ad una Mackaij. In questo modo dietro non lavorano solo loro e si ritrovano con un treno più fresco. Questa tattica l’hanno già adottata due, tre volte quest’anno.

Lorena è una sprinter più “da treno” o sa cavarsela anche da sola saltando da una ruota all’altra?

In questo momento che è in forma va forte anche da sola, ma con il treno che le consente di risparmiarsi va ancora più forte e poi diventa difficile da battere. In più nella Dsm hanno Charlotte Kool che si sta dimostrando un’ottima pesce pilota. Lei stessa è molto veloce.

Molta forza, ma anche alta cadenza per la Wiebes, qui nella volata di Drenthe (sul pavè)
Molta forza, ma anche alta cadenza per la Wiebes, qui nella volata di Drenthe (sul pavè)
Quindi può vincere anche senza treno?

Sì, sì. Lo ha dimostrato l’anno scorso al Women’s Tour, dove tra l’altro ha battuto una delle nostre! Noi avevamo il treno e lei lo ha sfruttato.

Insomma ha anche coraggio…

Certo, una sprinter non può non averlo! Si butta dentro coi tempi giusti e non si esime dalla battaglia.

In merito invece al modo di fare la volata cosa ci dici?

Ha una frequenza di pedalata molto alta, ma con rapporti lunghi, il che significa che ha sì forza pura, ma anche forza rapida. Torno alla volata di Drenthe: è stata perfetta, potente e c’era vento contro. Se arriva allo sprint in queste condizioni è finita!

E allora dove potrebbe essere più battibile: nella volata corta o lunga?

Credo lunga.

Grande potenza per l’olandese (classe 1999)
Grande potenza per l’olandese (classe 1999)
Però! Essendo così potente avremmo detto volata corta…

Dico volata lunga perché magari non riesce a tenere per troppo tempo questa sua alta frequenza di pedalate. E quando la perde cala un bel po’.

Hai analizzato anche la sua posizione?

Sinceramente non è bellissima da vedere in bici, ma quel che conta è andare forte! E’ molto spesso fuori sella, anche in salita prima della volata. Però ha quasi sempre le mani basse il che vuol dire che è molto esplosiva. Insomma non è elegante, ma è efficiente. Probabilmente sono la sua forza e la sua esplosività che la rendono non troppo lineare (composta) quando spinge.

C’è qualche particolare tecnico che ti ha colpito?

Non mi sembra. Come tutte le altre, anche la Wiebes cerca la massima aerodinamicità. Quindi cerca di essere schiacciata, ha manubrio e casco aero. Ma spesso queste sono scelte che spettano alle ragazze. Io almeno lascio decidere a loro.

La Vuelta l’ha cambiato, Dainese ora cerca esplosività

09.02.2022
5 min
Salva

Dice Alberto Dainese che aver corso la Vuelta gli ha cambiato il motore e l’inverno. Scherzando butta lì che gli ha dato 20 watt in più, poi tornando serio spiega che chiudere la stagione con un simile carico nelle gambe gli ha permesso una ripresa invernale molto più brillante. E il resto lo dirà nelle prossime righe, venite con noi?

Dainese corre al Team Dsm dallo scorso anno, ma è passato professionista nello stesso gruppo quando nel 2020 si chiamava ancora Team Sunweb. Velocista e campione europeo degli U23 nel 2019, per farsi le ossa aveva lasciato la Zalf Desirée Fior ed era passato alla Seg Academy Racing.

Al Giro del Veneto del 2021 il terzo posto dietro Meurisse e Trentin, prima di chiudere l’anno
Al Giro del Veneto del 2021 il terzo posto dietro Meurisse e Trentin, prima di chiudere l’anno

La scelta di Ursella

Giorni fa, parlando con Luciano Rui a proposito della scelta di Ursella di approdare nella Dsm Continental, il tecnico trevigiano ci aveva detto che proprio Dainese gli aveva dipinto la squadra come piuttosto rigida.

«E questo non si può negare – dice – la rigidità c’è. Però credo che per un giovane sia meglio essere troppo seguito che troppo poco. Capisco semmai la difficoltà per i corridori più esperti, che magari soffrono per rientrare nelle regole. Io ho avuto i miei problemi all’inizio, però ora vedo soprattutto il lato positivo».

Debutto brillante, con un quinto posto nella terza tappa del Saudi Tour dietro Groenewegen…

Ho avuto un avvicinamento faticoso alla gara perché ho avuto il Covid e sono rimasto fermo per due settimane prima di poter riavere l’idoneità. Non ho fatto grandi lavori specifici, per cui al Saudi Tour nell’unica volata che sono riuscito a fare mi sono sbloccato anche bene. Ma da domani (oggi per chi legge, ndr) inizierò a fare i lavori giusti per tornare in carreggiata ed essere pronto per il UAE Tour.

La parte precedente di inverno come era andata?

Bene, meglio dello scorso anno. Il 2021 era partito male, con un inizio difficile a livello mentale, con le gare che venivano cancellate. Poi per fortuna ho fatto un bel periodo in altura a Livigno preparando il finale e le cose sono cambiate. Prima a Burgos con un secondo posto e poi la Vuelta con 5 piazzamenti fra i primi 5. Mi dispiace non aver vinto, ma ho dimostrato che con la continuità posso andare forte.

Alla Vuelta 2021, Dainese secondo a La Manga del Mar Menor dietro Jakobsen
Alla Vuelta, Dainese secondo a La Manga del Mar Menor dietro Jakobsen
E la Vuelta ti ha davvero cambiato tanto?

Riesco ad allenarmi di più, a sopportare carichi maggiori. Ti abitua allo stress. Questo potrebbe essere l’anno in cui farò due grandi Giri, ma per i programmi c’è da aspettare ancora un po’. La Vuelta ha cambiato anche i rapporti in squadra. Prima eravamo un po’ tesi per la mancanza di risultati. Invece l’aver vinto tre tappe e aver conquistato la maglia a pois ci ha dato più rispetto nel gruppo e ha disteso gli animi. I risultati fanno la differenza.

Un altro clima in squadra?

Abbiamo fatto un ritiro senza bici a fine stagione, eravamo proprio in off season e l’abbiamo passato a bere birra. Eravamo tutti contenti di esserci. E poi non ho notato grosse differenze fra gruppi, anche perché i tedeschi e gli olandesi sono ragazzi aperti. C’è un bel gruppo.

Da quest’anno Dainese dovrebbe avere 2-3 uomini a disposizione per le sue volate
Da quest’anno Dainese dovrebbe avere 2-3 uomini a disposizione per le sue volate
Terzo anno da pro’, aumenta anche il lavoro?

E anche di tanto. Se da under 23 mi sembravano tante 18 ore di lavoro a settimana, ora siamo stabilmente intorno alle 30 e alla fine non sei nemmeno stremato. Ho dovuto adattarmi gradualmente a certi volumi, mentre ci sono i fenomeni che li sovraccarichi da giovani e reggono bene. Per me è stato diverso. Ho fatto anche tanta palestra, due volte a settimana per tutto l’inverno. Però magari con il crescere della condizione, passerà a una sola volta.

L’anno scorso si parlò di aumentare la resistenza.

Infatti ho lavorato tanto per arrivare più fresco allo sprint. Ho fatto tanti lavori di resistenza, trascurando un po’ lo spunto massimale. Alla Vuelta la squadra puntava alla classifica con Bardet, per cui ci stava che mi lasciassero un po’ solo alla fine. Ma questo era un limite, perché sapevo in partenza di dover prendere più aria. E così succede che arrivi ai 300 metri già stanco, oppure che per risparmiare un po’, resti impigliato nelle retrovie. Io ho scelto di dare tutto e ho fatto le mie volate da solo, ma quest’anno dovrei avere più appoggio, 2-3 uomini solo per me.

Alberto Dainese, Jayco Herald Sun Tour 2020
Questa la vittoria di Alberto Dainese al Jayco Herald Sun Tour del 2020
Alberto Dainese, Jayco Herald Sun Tour 2020
Questa la vittoria di Alberto Dainese al Jayco Herald Sun Tour del 2020
Non vincere è un problema grosso per il velocista?

Lo è anche per lo scalatore, ma certo chi fa volate è abituato a numeri più elevati. Il problema degli ultimi due anni è che anche nelle gare più piccole arrivano i più forti a dettar legge. Sembra brutto da dire, ma è così. Ne basta uno per fare secondo e uno vale l’altro, perché quando incontri Groenewegen, Merlier, Jakobsen o Cavendish, c’è poco da dire quale sia peggio. Alla Quick Step hanno un super treno e con l’aiuto di Morkov sai che arrivi ai 200 metri riparato da tutto e tutti.

La squadra dei sogni per ogni velocista?

Domanda difficile. Ovvio che sia la squadra da battere in ogni corsa e forse proprio questa forza renderebbe una vittoria ancor più esaltante. Perciò ora si lavora per le prossime corse. L’idea di avere un treno mi piace, ma non si sa come andrà. Di certo non avrò più pressione. Dopo tre anni capisci i tuoi limiti e io da quest’anno voglio proprio vedere dove potrò arrivare.

Trentin e le volate ristrette: che cosa si è inceppato?

26.10.2021
5 min
Salva

E’ possibile che una volata, nello specifico quella di Harrogate del 2019, ti rimanga nella testa e ti condizioni al punto da sbagliare le successive? Ce lo siamo chiesti parlando di Matteo Trentin, che da quel 29 settembre del 2019 non è più riuscito a vincerne una e per alzare le braccia è dovuto arrivare da solo al Matteotti dello scorso 19 settembre.

Quarto a Kuurne. Terzo alla Gand. Secondo nella 13ª tappa della Vuelta dietro Senechal, sprint a due. Secondo all’Agostoni dietro Lutsenko, sprint a due. Secondo al Giro del Veneto dietro Meurisse.

Secondo qualcuno – Paolo Bettini, ad esempio – il collegamento con quello sprint di due anni fa ha fondamento. Secondo altri, più semplicemente, Trentin spende troppo e arriva stanco alle volate. Allora partiamo da lui, dal trentino del UAE Team Emirates e sentiamo cosa dice.

L’esplosività perduta

Ieri è stato il suo primo giorno di vacanza e l’ha passato… lavorando. Tornato dal ritiro negli emirati, Matteo si è infatti dedicato con sua moglie Claudia all’organizzazione del criterium Be King che si svolgerà a Monaco il 28 novembre, con amatori accanto ai campioni e la raccolta fondi per due associazioni benefiche. Ma il tema è un altro e Matteo risponde.

«Ho perso qualcosa come esplosività – dice – è un po’ che ci ragiono su quelle sconfitte. Sono migliorato sui percorsi più duri, come ad esempio l’Agostoni, ma bisognerà mettersi a tavolino e fare una riflessione approfondita. Con l’età perdi sempre qualcosa, ma credo che una bella fetta di responsabilità ce l’abbiano avuta la pandemia e il fatto che le palestre siano rimaste a lungo chiuse. A casa puoi fare qualcosa, ma è diverso».

Manca la base?

Il discorso regge, anche se altri come ad esempio Colbrelli hanno lavorato in palestra per tutto l’anno e non hanno avuto questi problemi.

«Concentrarsi sulle volate va bene – dice – però mi è mancata la base di partenza. E poi quest’anno sono arrivato a farle solo nella seconda parte di stagione e ho trovato sulla mia strada sempre squadre piene di uomini veloci. La Deceuninck-Quick Step, ad esempio, e la Alpecin. Meurisse che mi ha battuto al Giro del Veneto è un signor corridore, ma di sicuro è al mio livello. Ci dovremo ragionare. Perché arrivo dove devo essere e a fine anno mi ritrovo 25° nella classifica Uci. Non male, considerati tutti i punti che ho buttato. Nella volata con Lutsenko, è stato bravo lui a mettermi al gancio e quando è partito io ero girato dalla parte sbagliata. Mi manca qualcosa, ma non la serenità. Quella è la stessa di sempre.

Sul podio della Agostoni, il pensiero di un’altra volata persa traspare nello sguardo
Sul podio della Agostoni, il pensiero di un’altra volata persa traspare nello sguardo

«E sul fatto che spendo troppo… Adesso lo dicono anche di Van der Poel perché hanno capito come fregarlo e non vince più. Prima quando vinceva era un fenomeno. E’ tutto relativo, questione di punti di vista…».

Bettini non è d’accordo

E proprio perché si tratta di punti di vista, Paolo Bettini ha una diversa visione del problema, partendo dall’esperienza personale.

«Vedete – dice – che trova già la scusa di non aver lavorato bene in inverno? Calato di potenza… Sì, ci può stare che magari ti manchi qualcosa a febbraio, marzo, aprile. Ma diciamo che poi arriva un certo punto che ti rimetti in pari. Non credo che sia quello. Anche perché vai forte e se poi arrivi lì e sei in due/tre e normalmente sei veloce, ci sta che ne sbagli una. Che ne sbagli due ci sta un po’ meno, ma è possibile. Se però ne sbagli tre su tre, dagli indizi si passa alle prove».

Pochi giorni dopo l’Agostoni, per Trentin battuta d’arresto al Veneto contro Meurisse
Pochi giorni dopo l’Agostoni, per Trentin battuta d’arresto al Veneto contro Meurisse

Quella volta con Riccò

Solita franchezza, ancor più credibile perché appoggiata sull’esperienza personale che, almeno quella, poco si presta a interpretazioni.

«E’ capitato anche a me – dice – personalmente. Una volata brutta, fatta male, ti rimane addosso. La superi facilmente se riesci a ricredere in te stesso e a rivincere. A volte ci vuole poco, a volte invece te la porti dietro. Di sicuro che quella volata lì, per il peso specifico che aveva, secondo me ce l’ha ancora addosso. Lui era già convinto di avere la maglia e abbiamo visto com’è andata a finire.

«Una che mi sta veramente sulle scatole è una volata in una tappa del Coppi e Bartali del 2006 a Sassuolo, pertanto si capisce che perdere una volata in quella situazione non pesa come perderla in un mondiale… Mi girarono abbastanza le scatole perché mi fregò un giovane di nome Riccò, che sottovalutai. Attaccai io, feci selezione. Questo ragazzino sempre a ruota. Feci la volata convinto di averla vinta e invece mi passò».

Dopo quella volata, Paolo arrivò secondo alla Liegi dietro Valverde, fece tre podi in altrettante volate del Giro e si sbloccò a Brescia, nella 14ª tappa, vincendo proprio in volata. E certo conveniamo sul fatto che una tappa alla Coppi e Bartali pesi meno dell’arrivo di un mondiale…

Sabatini 2021

Professor Sabatini, ci spieghi l’ultimo uomo…

12.10.2021
5 min
Salva

A 36 anni, Fabio Sabatini dice basta, chiudendo una carriera da pro’ durata ben 16 anni. Se si guarda il suo palmarés, i numeri dicono che non c’è neanche una vittoria, ma i numeri talvolta mentono, perché i successi del toscano sono stati tantissimi. Sono le vittorie dei suoi capitani, dei velocisti che hanno dopo anno ha lanciato verso il traguardo, diventando quello che, insieme al danese Morkov, è considerato il più grande “ultimo uomo” della storia recente del ciclismo. Tante volte ha tagliato il traguardo alzando le braccia, perché quei successi erano anche suoi.

La sua figura nel gruppo mancherà e nel ripercorrere la sua storia si capisce come attraverso di lui il ruolo di ultimo uomo sia diventato un cardine delle volate, ma anche qualcosa che la frenesia del ciclismo attuale sta divorando, come tanto altro, nella ricerca spasmodica del campione giovane, del nuovo Pogacar o Evenepoel, dimenticando che questo sport è fatto di tante altre cose.

Iniziamo dalla Milram…

La nostra chiacchierata parte dall’ormai lontano 2006 e dal suo approdo alla Milram, team Professional nel quale Sabatini si ritrovò con un particolare vicino di casa, Alessandro Petacchi: «Lui è di Montecatini Terme, io sono a Camaiore, eravamo a un tiro di schioppo così ci allenavamo insieme. Con lui ho iniziato la gavetta e con Ongarato, Sacchi, Velo, Zabel costruimmo uno dei primi grandi treni per le volate. Al tempo io ero per così dire il primo vagone, ma imparai tantissimo, poco alla volta, gara dopo gara. Capii che le volate sono un meccanismo delicatissimo, dove ci sono mille incastri che devono funzionare».

Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Nessuno più di te può spiegare che cos’è essere l’ultimo uomo…

Devi capire tantissime cose, essere sempre attento: ci sono variabili che condizionano ogni volata, come dove spira il vento oppure le traiettorie scelte dal gruppo. Bisogna studiare le strade nei minimi particolari: oggi c’è Google Map, ci sono le tecnologie che aiutano, prima dovevi vederle con i tuoi occhi. Ricordo che alla Vuelta mandavamo l’addetto stampa Agostini a visionare gli ultimi chilometri, lui che era stato ciclista e ci raccontava la strada per filo e per segno, curva dopo curva, come prendere le traiettorie, dove chiudere la propria porzione e così via.

Ripercorriamo la tua carriera attraverso i velocisti che hai accompagnato. Iniziamo da Petacchi…

Alessandro è un fratello maggiore. Da lui ho imparato tantissimo, basti dire che per due anni mi ha anche ospitato a casa sua. Mi ha insegnato tantissimo, mi spiegava per filo e per segno la volata in ogni particolare. E’ stato il mentore ideale, quello che purtroppo tanti ragazzi che arrivano oggi al professionismo non vogliono più avere, non ascoltano più…

Daniele Bennati significa parlare del periodo alla Liquigas. 

Con lui ho iniziato davvero a fare l’ultimo uomo. Con il Benna la comunicazione era continua, diceva quando partire, quando aspettare e questa partecipazione era totale, mi sentivo veramente parte delle sue vittorie perché era il compimento di una volata fatta bene.

Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Poi arrivò la Cannondale e Peter Sagan…

Grande Peter, un vero funambolo. Con lui il lavoro era particolare, non serviva tanto tirargli la volata, quanto metterlo in posizione buona per partire. Capitava magari che non te lo trovavi più a ruota e dovevi andarlo a recuperare. Ma alla fine il risultato arrivava…

Hai lavorato anche per Mark Cavendish…

Non sono state molte le volate nelle quali abbiamo lavorato insieme, inoltre già allora era Morkov l’uomo deputato a tirarlo per ultimo. E’ stata però un’esperienza utile e siamo rimasto in buoni rapporti.

Poi due anni con Marcel Kittel…

Con lui si lavorava di potenza, lo portavo dai 400 ai 200 metri, ma la volata iniziava già prima dei 2 chilometri finali. Mi sono trovato bene con lui anche se il nostro era un rapporto molto professionale.

Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Infine è arrivato Viviani, alla Deceuninck e poi alla Cofidis.

E’ stato il compimento del mio lavoro: con Elia ci lega un’amicizia profonda, fatta di gioie e dolori, nottate a parlare, a condividere tutto. Quando stai oltre 100 giorni in giro per il mondo s’innesca un legame profondo. Le nostre volate sono sempre state meccanismi particolari, avevamo una parola concordata, quando la sentivo significava che dovevo lanciarlo a tutta velocità, oppure che si stava sganciando e andava recuperato. Per questo le sue vittorie mi hanno dato gioie enormi. 

Mettiamo tutto insieme: con che spirito chiudi?

Senza rimpianti, penso di essere stato bravo a capire che potevo sì forse vincere qualche corsa, trovare spazi diversi in piccole squadre, ma io volevo il meglio e potevo dare molto di più in quel ruolo specifico. Sono sempre rimasto con i piedi per terra, conscio del mio ruolo e contento di quel che ho fatto.

E’ una questione di approccio dei giovani?

Non solo. Tutti guardano solo i dati, quel che dicono i preparatori, che in base ad essi decidono se farti correre oppure no, ma si dimentica che la corsa ti accresce la condizione per quella successiva e che anche inconsciamente, in allenamento non darai mai quel “di più” che ti viene naturale in gara. I numeri non dicono tutto.

Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Come saranno le volate del futuro?

Io dico che presto i treni non ci saranno più. All’ultimo Tour io non c’ero e spesso abbiamo guardato le tappe con Cipollini, eravamo d’accordo che alla fine era tutta una confusione, molti sprint vedevano i velocisti compiere mille errori. Cavendish ha vinto tanto proprio perché aveva un treno eccezionale, ma quella gente, i Morkov o i Sabatini della situazione, chi li sostituirà? Io ad esempio ho cercato d’insegnare tanto a Simone Consonni, sarebbe un grande ultimo uomo.

In sintesi, che cosa serve per essere “l’ultimo vagone del treno”?

Innanzitutto acquisire esperienza nel corso del tempo e ne serve tanto. Quell’esperienza ti consentirà di improvvisare quando sei nella m…. perché raramente le cose vanno esattamente come vuoi e devi decidere in pochissimi secondi che cosa fare, sapendo che da te dipende la volata del compagno e la possibile vittoria.

Che cosa farà adesso Fabio Sabatini?

Non lo so, intanto penso di prendere il 1° livello a Firenze, vicino casa, per un futuro da diesse. Quel che è certo è che il ciclismo non lo lascio…

A Trento sprint sui sampietrini: Nizzolo come si fa?

09.09.2021
4 min
Salva

Le gare in linea dei campionati europei di Trento finiranno su un fondo di pavé. Okay, non il pavè inteso come quello della Roubaix, però il fondo non sarà liscio e compatto come sull’asfalto. Ma ci sono pur sempre i sampietrini.

E’ anche probabile che si arrivi in volata e allora ci si chiede come si affronta uno sprint su questa tipologia di fondo. Una domanda che abbiamo girato al campione europeo uscente, Giacomo Nizzolo… che di sprint (e di europei) se ne intende.

Nizzolo è impegnato al Tour of Britain, per lui sono le ultime gare da campione europeo
Nizzolo è impegnato al Tour of Britain, per lui sono le ultime gare da campione europeo

Ricognizione fondamentale

«La prima cosa da fare – spiega Nizzolo – quando c’è un arrivo così è cercare una linea più “battuta” e meno sconnessa, chiaramente pensando di poter impostare la volata da davanti. Conoscere la linea migliore è davvero importante.

«Io non farò l’europeo, ma avevo comunque fatto la ricognizione da solo in questo caso. A volte però capita di farla con dei compagni. Tuttavia in sede di briefing parlo per ultimo. Voglio prima sentire la loro opinione e non condizionarli. Mi piace che gli altri dicano come la pensano».

In effetti colui che fa lo sprint è il capitano del treno e il suo parere potrebbe finire per incidere sulle opinioni altrui.

Posizioni troppo schiacciate e avanzate, come quella di Ewan per esempio, non sono ideale sui sampietrini
Posizioni troppo schiacciate e avanzate, come quella di Ewan per esempio, non sono ideale sui sampietrini

La posizione

Un altro aspetto molto importante è la posizione da assumere durante lo sprint su questo fondo decisamente meno liscio.

«Le soluzioni attuali – riprende Nizzolo – che vedono gli sprinter schiacciarsi troppo sulla ruota anteriore per essere più aerodinamici magari le eviterei. Spostandosi troppo in avanti si scarica il posteriore che saltellerebbe di più. Perdendo spinta (e trazione, ndr). Quindi cercherei di restare il più centrale possibile. Un po’ più composto. Poi tutto questo a parole. Perché alla fine quando sei lì cerchi di spingere il più possibile e basta».

In tal senso è anche importante il rapporto. E Nizzolo che utilizza il cambio Shimano, il quale dà la possibilità di montare i “bottoncini” anche all’interno della piega, per cambiare senza staccare le mani dal manubrio. Giacomo dice che questa soluzione è assolutamente da mantenere. «Io li utilizzo sempre. E’ anche importante che catena sia delle lunghezza giusta, non troppo lenta, altrimenti rischia di saltare».

Pressioni molto più alte della norma per Nizzolo. Andrebbero bene anche a Trento?
Pressioni molto più alte della norma per Nizzolo. Andrebbero bene anche a Trento?

Il setup: gomme…

E dalla catena si passa poi agli aspetti tecnici della bici, partendo sempre dall’esperienza di Nizzolo.

«Non andrei a cambiare la pressione delle gomme per un tratto così breve, che poi se ricordo bene non è neanche così super sconnesso a Trento. Meglio avere una bici più scorrevole e restare attaccati in salita che dover rincorrere per una pressione più bassa. 

«Io poi in particolare sono tra coloro che in gruppo utilizza pressioni più alte: arrivo anche a 10 Bar all’anteriore e 10,5 al posteriore, ma non scendo mai al di sotto delle 9 bar davanti e 9,5 dietro. A livello di sensazioni mi piace sentire la bici molto rigida, anche se sono consapevole che non è una soluzione troppo indicata sullo sconnesso».

Nizzolo predilige rapporti lunghi o lunghissimi…
Nizzolo predilige rapporti lunghi o lunghissimi…

E rapporti

E poi ci sono i rapporti. Anche in questo caso Nizzolo è un po’ fuori da coro. Giacomo preferisce i rapportoni.

«Nelle gare più veloci uso anche il 56 – dice il corridore della Qhubeka Assosper questo europeo avrei scelto il 55-42 e l’11-30 dietro. Rapporti così ti aiutano se magari devi fare una trenata per rientrare in discesa, o in fondo dopo dopo una salita. Ma non crediate che vada duro. Io faccio molta cadenza, ma quando arriva il momento mi piace sentire il rapporto sotto la gamba. Ma io credo che a Trento non sarà una volata velocissima, se si dovesse arrivare allo sprint, perché l’arrivo è un po’ tecnico e non solo per i sampietrini. Per fare l’ottimo, cioè le 110 pedalate, magari avrei utilizzato il 55-12».

Infine una curiosità. Ma se Nizzolo dice che in volata viaggia a 110 pedalate e che nelle tappe piatte usa il 56×11 ci chiediamo: ma nella tappa che ha vinto al Giro, quella di Verona, che era un biliardo, a quanto andava?

«Beh, lì si andava fortissimo. La velocità media degli ultimi 300 metri è stata di 76,5 chilometri orari, quella massima 78».