Orgoglio, umiltà, squadra e risate: il mondo rosa di Lopez

16.05.2022
5 min
Salva

Ieri alla partenza Jacopo Mosca se lo guardava da vicino, con la certezza quasi incrollabile che “Juanpe” Lopez avrebbe potuto conservare la maglia rosa. E quando in serata il capolavoro s’è effettivamente avverato, malgrado la crisi nera che ha colpito nuovamente Ciccone, alla Trek-Segafredo si respirava il senso della missione compiuta. Magari a metà, ma comunque compiuta.

«Siamo stato fortunati – diceva il piemontese – perché dopo l’Etna abbiamo avuto due giorni tranquilli in cui hanno lavorato le squadre dei velocisti. Invece da venerdì ci siamo rifatti con gli interessi. Sicuramente avere la maglia rosa in squadra è un’emozione. Juanpe è giovane, non se l’aspettava nessuno, ma è fortissimo e noi tutti abbiamo sicuramente più morale. Lui è solare, è uno spettacolo. E’ spagnolo e si vede, estremamente rilassato. Non è cambiato niente, è sempre lo stesso… scemo di sempre. In senso buono, ovviamente! Io invece faccio fatica, speravo di essere più brillante, ma comunque il mio sono riuscito a farlo. Vediamo nei prossimi giorni, dal riposo alle due tappe successive, in cui magari riuscirò a sistemarmi del tutto. Ci sono obiettivi da cogliere…».

Jacopo Mosca è uno degli angeli custodi della maglia rosa
Jacopo Mosca è uno degli angeli custodi della maglia rosa

Maglia in salvo

Per tenere la maglia rosa anche sul Blockhaus (in apertura, il suo arrivo in cima), ieri Lopez ha dovuto sudare ogni goccia che gli restava in corpo. E quando è stato costretto a ripartire da fermo per la caduta davanti alle sue ruote, gli sono saltati i nervi e ha rischiato di buttare tutto nelle ortiche. Era un momento di grande tensione, lo stesso di cui ha parlato ieri Pozzovivo, con Porte a fare i ventagli e il gruppo di testa tutto sul ciglio.

«E’ stato difficile tenere la concentrazione – ha spiegato – ho avuto un secondo per rimettermi a fuoco e dire a me stesso di fare il ritmo giusto, per stare un altro giorno in rosa. Stavo bene. Il problema è che sono stato sfortunato. Ero vicino alla caduta, è stato un momento difficile soprattutto psicologicamente. Poi la testa è tornata in corsa al 100 per cento e ho combattuto per la maglia rosa. Ho avuto paura di perderla. Il mio sogno era tenerla ancora un giorno e ora si è avverato. La mia ambizione è sempre stata vincere, perché se non fossi vincitore, non sarei qui e non sarei ciclista. Qui abbiamo 150-160 corridori che lottano per vincere. Ma in definitiva, sono lo stesso di un mese fa».

Lacrime sull’Etna

La tradizione degli spagnoli in maglia rosa è piuttosto nobile. Giusto 30 anni fa un tale di nome Miguel Indurain, che aveva però già vinto un Tour, venne in Italia per vincere il primo dei due Giri. Ma a parte la ricorrenza, il bello di avere 24 anni è che puoi permetterti di sganciarti da certi paragoni.

«Tutto è spettacolare – racconta – sto sicuramente vivendo i giorni più belli della mia vita. Vedo la classifica e non ci credo. Sembra qualcosa di irreale. A poco a poco lo sto assimilando ed è un vero spasso. Quando ho preso la maglia rosa sull’Etna, è stato un momento di emozione. E’ vero che pensavo sempre alla vittoria di tappa, ma alla fine è venuta la maglia rosa ed è stato anche meglio. Quando sono arrivato al traguardo e me lo hanno detto, non ci credevo. Per questo ho pianto a lungo. Questa squadra è come una famiglia, avevo bisogno di abbracciare qualcuno e l’ho fatto. Sull’Etna e anche ieri sul Blockhaus, quando ho salvato la maglia per 12 secondi. Ho ottimi rapporti con meccanici e massaggiatori. Passiamo un sacco di tempo insieme lontano da casa».

Orgoglio e umiltà

Lopez ha parlato di sé nei giorni scorsi, a uso del pubblico italiano convinto che l’unico Lopez da guardare in questo Giro fosse quello dell’Astana che invece sull’Etna c’è arrivato in ammiraglia, per poi tornare a casa.

«Sono cresciuto nella Fundacion Contador – ha raccontato – e sebbene in casa mia non sia mai mancato nulla, non ce n’era nemmeno abbastanza. Volevo lavorare e avere soldi per le mie spese. Mi vergognavo di chiederne ai miei genitori. Non che mi sentissi in colpa, il fatto è che non mi piaceva chiedere perché sapevo che i soldi servivano per altre cose. Per questo ho iniziato a lavorare nella pizzeria del paese. Ho lavorato anche con la calce. Così ho cominciato a risparmiare. Il sogno è sempre stato fare il ciclista, ma intanto pagavo le mie spese senza pesare sulla mia famiglia. Siamo gente umile e ne sono molto orgoglioso. Non mi è mai mancato niente. E questa maglia rosa dimostra che, anche se sei umile, se lavori puoi raggiungere il tuo obiettivo. In qualche modo dimostra che si può fare. Mi sono allenato molto per essere qui».