Le “Nibalate tecniche”. Tosello racconta…

30.10.2022
6 min
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Lubrificanti, pedivelle, ruote, movimenti centrali… pezzi che vanno e che vengono. Che si montano e si smontano. Pezzi che Vincenzo Nibali portava a Gabriele Tosello, il suo meccanico per tanti anni all’Astana.

Fa strano sapere che lo Squalo non sarà in gruppo e per questo ci fa ancora più piacere ritornare sulle storie, anche divertenti, che lo riguardano. E sì perché nella ricostruzione delle “Nibalate tecniche”, passateci questo termine, c’è anche da ridere. Chiaramente non mancano momenti seri.

Gabriele Tosello fotografa il suo pupillo. E’ stato il meccanico di Nibali per tutti gli anni in cui lo Squalo è stato all’Astana
Gabriele Tosello è stato il meccanico di Nibali per tutti gli anni in cui lo Squalo è stato all’Astana
Gabriele, tanti anni con Nibali. Alla fine sei tu il “suo” meccanico. Quanto ti ha fatto impazzire?

No, dai… non sono impazzito! Richieste strane ne ha sempre fatte. Lui è maniacale, pignolo e anche un ottimo meccanico. Gli piaceva trafficare. Quante volte ha portato dei pezzi che non erano nostri. Andava sempre alla ricerca di nuovi componenti, di ricambi… Voleva provarli anche solo per curiosità. Anche quando sapeva che non andavano bene. Come quella volta con le corone ovali.

Corone ovali, racconta…

Eravamo al Passo San Pellegrino. In quegli anni Froome era forte e le usava, così le volle provare. Gli sistemai il deragliatore alzandolo un po’ e aggiungendo uno spessore affinché cambiasse bene. Era un set 54-42 con le pedivelle da 172,5 millimetri. Settimane a parlarne e dopo quell’allenamento non le usò più.

Pedivelle: mi sa che vi ha dato da fare con questo componente…

Una volta accadde una cosa un po’ “strana”. Si parlava di pedivelle messe in modo non perfettamente opposte, cioè non a 180° ma leggermente disassate, asimmetriche. Si diceva per eliminare il tempo morto. Noi all’epoca avevamo Campagnolo, che nel movimento centrale aveva i “dentini” per serrare le pedivelle. Con Slongo, si decise di spostarle… senza dirgli nulla. Lui salì in bici e dopo 20 metri mi disse: «Se lo fai ancora ti licenzio!». Scherzava, ovviamente, ma se ne accorse in un attimo.

La guarnitura Campagnolo Ultra Torque. Slongo e Tosello misero i dentini delle pedivelle affinché non fossero asimmetriche
La guarnitura Campagnolo Ultra Torque. Slongo e Tosello misero i dentini delle pedivelle affinché non fossero asimmetriche
Che poi il discorso delle pedivelle non fu isolato. Giusto?

Giusto, ci fu il periodo in cui si diceva che quelle più lunghe migliorassero la resa.

E tu e Slongo gliele cambiaste…

Io ho fatto il lavoro manuale, fu Slongo a decidere! Così eliminammo la scritta 172,5 millimetri e senza dirgli niente le provò. Fece i test, gli allenamenti… lui non disse nulla. Ma non sentì quei benefici. Poi venne fuori questa storia e fu montato un caso, ma stavamo facendo solo delle prove.

Del Nibali meccanico invece cosa ci dici? E’ mai capitato che venisse a lavorare con te?

Ah, quasi sempre! Quando finiva con Pallini passava dal lettino dei massaggi al motorhome dei meccanici. E così veniva là, curiosava. «Ma questo fallo così. Questo fallo in questo modo…». Alla fine gli dicevo: «Fallo te, che tanto sei bravo». E allora prendeva le chiavi e faceva il lavoro manuale, che poi gli piaceva ed era bravo per davvero. Una precisione eccellente.

Con l’evoluzione tecnica, negli anni ha cambiato un po’ il suo approccio? Apprezzamento o meno di questa o quella soluzione, nuove misure…

Diciamo che si è sempre adattato e in tempi rapidi. Come il passaggio al freno a disco, per dire. E guardate adesso con la mtb. Quest’anno per esempio all’inizio dell’anno aveva scelto la Wilier Filante, poi alla fine è passato alla Wilier 0 Slr. La sentiva più sua, poteva rischiare qualcosa di più in discesa.

E la posizione è mai cambiata?

Sostanzialmente no, era sempre quella: salita, pianura, sterrato, gare a tappe o di un giorno… Solo negli ultimi periodi aveva abbassato di 3-4 millimetri la sella. Una posizione più comoda… Ma Vincenzo aveva le idee chiare. Se ti diceva che voleva quelle ruote e quei rapporti, quelli erano. Non era tipo che si faceva influenzare perché aveva sentito Tizio o Caio che avevano montato queste o quelle ruote. No, in tal senso ad avercene come lui! C’erano due cose sulle quali era sensibilissimo e intrasigente: altezza sella e tacchette. Sentiva ogni cosa. Se avesse potuto, avrebbe usato sempre la stessa sella e le stesse scarpe. E poi controllava o chiedeva della pressione delle gomme.

Della sella ce lo avevi detto anche prima del Lombardia quando aveva quella nuova bici…

Sì, sì, se ne accorgeva subito. E ancora più pignolo era con le tacchette. Non parliamo del millimetro, ma del mezzo millimetro. Noi abbiamo uno strumento che copia la posizione e la replica, ma la scarpa non mai del tutto identica al 100%. Se non quadrava di un soffio… le regolavamo e regolavamo ancora. Per sella e tacchette era micidiale.

Nella cronoscalata di Polsa, usò la bici da strada con le protesi. Cambiò l’attacco manubrio che restò montato anche il giorno dopo
Nella cronoscalata di Polsa, usò la bici da strada con le protesi. Cambiò l’attacco manubrio che restò montato anche il giorno dopo
Hai detto che ti portava tanti pezzi: qual è stato quello più strano?

Ad averci la lista sarebbe infinita! Togliamo oli, cuscinetti e lubrificanti, che ne proponeva uno “ogni 3×2”, aveva sempre la sua prova da fare. Ha portato reggisella ammortizzati, molti movimenti centrali, dei bilancieri… Alcuni effettivamente erano anche validi, ma non si potevano usare e la cosa finiva lì. Il fatto è che gli stavano dietro i marchi. Il concetto era: se lo usa Nibali vuol dire che funziona.

Ma se dovesse scegliere la “Nibalata tecnica” per eccellenza Tosello quale direbbe?

Ah – ride il “Toso” – Giro d’Italia 2013. Prima della cronoscalata di Polsa, c’erano da montare le protesi sul manubrio normale. Si mise in testa di cambiare l’attacco. Ne volle uno più corto, da 100 millimetri. Glielo cambio e fa la sua crono. Il giorno dopo la tappa era partita da un bel po’, quando per radio mi fa: «Ma ci siamo dimenticati qualcosa?». Io aspettavo che lui mi dicesse di rimontare l’attacco da 120. E lui aspettava che lo facessi io. Fatto sta che fece tutta la tappa con un attacco più corto di 2 centimetri! A fine tappa disse: «Credevo di essere io che non mi sentivo bene sulla bici. Poi ho capito che era l’attacco». Comunque non andò male. Disse che se la sentiva un po’ corta solo in discesa. Ma a quei tempi gli potevi mettere sotto di tutto: lui guidava e basta.

Fluidità, strategia, setup: “Piraz” promuove Nibali biker

29.10.2022
5 min
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Non si è ancora placata l’eco dell’esperienza di Vincenzo Nibali alla Capoliveri Legend Cup. Lo Squalo ha preso il via in una delle marathon più belle, suggestive e soprattutto tecniche del mondo. E’ stato un vero debutto di fuoco. Un debutto che Mirko Pirazzoli, grande ex biker agonista e oggi tecnico, ha seguito da dentro.

“Il Piraz”, che certo non ha problemi di manico, commentava in diretta la gara in sella ad una e-Bike. E non era la prima volta che lo faceva. Così gli abbiamo chiesto un giudizio sul Nibali biker e lui ha individuato tre “punti cardine”: fluidità nella guida, una grande lucidità tattica e una buona preparazione tecnica.

Fludità

«Prima di tutto – dice Pirazzoli – trovo bellissimo vedere un campione come lui mettersi in gioco e farlo con tanto entusiasmo. Vincenzo ha grandi margini e se davvero lo vorrà, gli basteranno pochi mesi per lasciare il segno anche in mtb.

«La cosa che mi ha colpito nel vederlo in azione, non è stata tanto la guida in discesa, ma la sua fluidità nel complesso. Fluidità nella guida e nello stare nel gruppo di testa alla prima esperienza internazionale. Nonostante il gruppo di alto livello, Vincenzo si è sentito a proprio agio.

«La vera differenza, ed è forse questo l’aspetto tecnico che più mi ha rapito, è stata la sua pedalata. Un pedalata rotonda che nessun biker ha. E per pedalata rotonda intendo efficiente. Un’andatura redditizia e sicura.

«Nelle discese larghe e veloci staccava il piede interno. Per un biker è quasi un veto: guai a staccare un piede dal pedale. E invece aiuta molto a bilanciarsi e a trovare il punto di corda. Pensate che nelle discese su ghiaia, Vincenzo ha anche provato ad attaccare! E’ successo a metà del primo giro. Mostrando una padronanza da veterano.

«Al tempo stesso però si percepiva un senso di “ansia” nel non aver esperienza. Io sono stato con lui all’interno della corsa e ho notato questo aspetto. Il fuoristrada a questo livello non è ancora nelle sue corde. Deve solo farne tanto e acquisirà quegli automatismi».

La strategia

Pirazzoli parla di una grande voglia di mettersi in gioco come fosse fosse un principiante, con grande umiltà. Ma al tempo stesso con lucidità e presa di coscienza del “problema”.

«A metà percorso – va avanti Pirazzoli – era lui che chiedeva a me dove fosse il rifornimento. Aveva capito che ne avrebbe avuto bisogno, che poteva andare in crisi. E quando senti che hai bisogno di bere e mangiare è troppo tardi, ma lui se ne è accorto con largo anticipo. Ha cercato di porre subito rimedio. Credo che poi si sia staccato per questo motivo». E questo lo aveva ammesso Vincenzo stesso a noi. 

Ma Nibali avrà pur fatto qualche errore. Pirazzoli fa fatica a trovarne.

«Non parlerei proprio di errori… nel suo caso. Alla vigilia mi ha confessato che aveva un po’ paura della prima discesa perché affrontarla in gruppo con la polvere significava non vedere bene dove mettere le ruote. E questo nel suo caso incide molto di più ed è realmente pericoloso. Pertanto non posso definirlo uno sbaglio.

«Per questo il fatto di aver staccato tutti all’inizio è stato giusto. In questo modo ha potuto affrontare la discesa davanti. Io gli avevo suggerito di mettersi su un lato e di lasciarsi sfilare. 

«Ma questa azione violenta all’inizio è stata la concausa che a metà corsa gli ha fatto pagare dazio. Un fuorigiri resta nelle gambe. E quando ha mollato, lo ha fatto su una salita con pendenze che da stradista non affronta. Senza contare che non aveva una biomeccanica ottimale per tali pendenze. Parliamo di oltre il 30%».

Un mtb full, con telescopico, gomme grandi, “salsicciotti”… Pirazzoli ha esaltato il setup scelto dal siciliano
Un mtb full, con telescopico, gomme grandi, “salsicciotti”… Pirazzoli ha esaltato il setup scelto dal siciliano

La tecnica

«Vincenzo – dice Pirazzoli – ha preparato la bici al meglio delle sue possibilità, delle informazioni raccolte e dei suggerimenti che gli sono arrivati dai più esperti del settore. Aveva dunque una bici pronta e al passo coi tempi per essere competitivo. E questo mi fa sorridere: ci sono dei biker pro’ che si ostinano a non sviluppare la bici secondo i componenti che oggi sono più performanti. Nibali invece aveva il telescopico, le gomme giuste e tanti altri dettagli moderni.

«Anche le scelte biomeccaniche erano relativamente azzeccate. Ha lavorato sulla posizione, anche se non ne ha ancora una di un biker di livello. Chiaramente ha usato degli angoli, con degli sviluppi biomeccanici ben prestabiliti. Non ha avuto il tempo per adattarsi. Ha fatto il meglio che poteva. Senza snaturare di punto in bianco la sua posizione su strada.

«Nibali ha “registrato” tutto, ne sono certo. Ha altri obiettivi come la Cape Epic. Se imparerà a gestire bene l’equilibrio in velocità a mio avviso potrà essere un atleta competitivo a livelli internazionali anche nella Mtb.

«Magari in questa prima partecipazione alla Cape, lui e il suo compagno, potranno posizionarsi tra la decima e ventesima coppia. Ma se Vincenzo ci si dedicherà veramente, in un paio d’anni potrà puntare alla classifica generale».

Il diario di Pallini, viaggio nel Nibali mai visto

23.10.2022
8 min
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Non basterebbe un libro. E se uno l’hanno scritto su Nibali dopo il Tour, quello di Michele Pallini che racconta le stesse cose dal suo punto di vista sarebbe una lettura interessante. Così quella che voleva essere una telefonata per raccogliere gli aneddoti del massaggiatore si è trasformata nel viaggio di un’ora e mezza da sintetizzare per ragioni di spazio e perché certe cose dette in confidenza è bene non scriverle. Ma quando abbiamo chiuso, la sensazione è stata di aver appena iniziato il discorso.

Giro d’Italia 2022, Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini accanto a lui: sta per annunciare il ritiro
Giro d’Italia 2022, Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini accanto a lui: sta per annunciare il ritiro
Pallini-Nibali: dopo 14 anni, come definiresti il vostro rapporto?

Lo pensavo solo sotto il profilo professionale, invece ci ho dovuto mettere anche qualcos’altro. Nel senso che quando vivi a stretto contatto con un’altra persona, qualcosa nasce, un’amicizia un po’ più profonda. Mia moglie dice che abbiamo lo stesso carattere. Quindi anche se due segni uguali si respingono, tante volte essere simili ci ha aiutato. Siamo abbastanza taciturni, non ci piacciono le feste. Magari, vista la differenza di età, lui è un filo più festaiolo, ma tutto preso con le dovute proporzioni. Abbiamo fatto dei viaggi in cui non abbiamo parlato mai. Però a me andava bene così e a lui andava bene così.

Il successo ha cambiato le cose?

A un certo punto, Vincenzo è diventato Nibali. In quel momento, come dice Martino, ti tirano tutti per la giacchetta, nel senso che anche professionalmente si sono avvicinate tante persone e penso di aver attirato l’antipatia di qualcuno. Perché magari mi sono permesso di dargli dei consigli, anche se chiaramente Vincenzo ha sempre fatto di testa sua. Pesava quello che gli dicevo, però alla fine il dito ce lo voleva mettere. Ho sempre cercato di mettere lui al centro dell’attenzione e creare un team che lo aiutasse a dare il meglio. Il primo anno di Astana ero da solo, Slongo non c’era, il dottor Magni non c’era. E così mi sono trovato a gestire tante situazioni.

Pallini con Geoffrey Pizzorni al Tour del 2018, prima della caduta sull’Alpe d’Huez
Pallini con Geoffrey Pizzorni al Tour del 2018, prima della caduta sull’Alpe d’Huez
Cosa non facile…

In realtà Paolo nel 2013 c’era già, ma dietro le quinte. Il problema maggiore ce l’aveva lui, dato che lavorava ancora per la Liquigas. Se veniva fuori in modo troppo evidente, poteva avere dei problemi. Amadio lo voleva tenere, poi invece si trovò un accordo per il 2014 con Zani e passò con noi. A quel punto mancava una figura nello staff medico e venne fuori il nome di Emilio Magni, che si occupava anche della parte nutrizionale. Durante la tappa andavo sul bus della Liquigas e mi facevo dire cosa dovesse mangiare o la quantità. Ci mancava anche un addetto per voi giornalisti e arrivò Geoffrey Pizzorni (oggi nello stesso ruolo alla Bike Exchange, ndr).

I momenti belli coincidono con le vittorie?

Non per forza, perché quando si vince si soffre, non è tutto luccicante. Quel che pesa lavorando con un atleta come lui è il senso di responsabilità e la paura che succeda qualcosa. La responsabilità crea ansia, perciò se dovessi dire che al Tour vinto ho vissuto 21 giorni meravigliosi, sarei un bugiardo (sorride Pallini, ndr). Sei sempre con l’ansia che cada, la paura che succeda qualcosa. Lavori perché tutto vada bene, che la squadra si comporti bene. E poi succedono cose che da fuori non si vedono.

Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Ad esempio?

Nel 2012 quando ha fatto terzo al Tour, alla partenza di una tappa pirenaica arrivò e aveva un piccolo stiramento dal giorno prima, ma di cui non mi aveva parlato. Non ci si poteva fare niente, quindi applicai un piccolo bendaggio e a quel punto Basso giocò di esperienza. Praticamente hanno tirato tutto il giorno, facendo credere che Vincenzo facesse la tappa. In realtà tiravano perché stava male e facevano il passo che poteva sopportare. Due giorni dopo c’era la cronometro che vinse Wiggins.

Che ansia…

Sono tutte preoccupazioni. Alla fine te la godi, ma non è che durante la corsa vada sempre tutto liscio. I particolari da curare sono tantissimi. Vi dico una stupidata di quando abbiamo vinto il Tour. Dopo l’arrivo, Vincenzo beve acqua gassata, ma quando andavi nel backstage delle premiazioni, non potevi portare niente che non fosse sponsorizzato da Vittel. Neppure le borracce della squadra. Per cui io riempivo le bottiglie della Vittel con l’acqua gassata e gliela portavo. Seduti qua è tutto facile, sembrano cose strane. Però in un Tour, specialmente verso la 13ª-15ª tappa, quando magari la giornata è andata male e hai fatto più fatica del solito, anche al corridore più tranquillo viene un po’ di ansia. Quindi devi fare di tutto per tenerlo tranquillo. Magari da fuori non si vede niente…

Solo stress?

Chiaramente ci sono anche i momenti belli. Penso che contento come quando ha vinto la Sanremo non l’ho mai visto. Continuava a dirmi: «Ma come ho fatto? Ho vinto la Sanremo, ma ti rendi conto?». Continuava a dirmi queste frasi. Sono cose che ti vengono d’improvviso, perché una Sanremo non ce la saremmo mai aspettata e meno ancora quella lì. Avevamo vissuto una vigilia tranquillissima, perché sapevamo di dover correre per Colbrelli. Sul bus la tensione c’era, perché la Sanremo ne crea sempre, però non era come quando sai che devi fare la corsa. Lui passa per quello tranquillo, che poi gli ultimi anni lo è sempre stato meno, ma comunque pensi che non vuoi sbagliare niente, l’alimentazione per non spegnerti troppo presto…

Champs Elysées 2014, Nibali ha vinto il Tour. Pallini lo aspetta al traguardo
Champs Elysées 2014, Nibali ha vinto il Tour. Pallini lo aspetta al traguardo
Credi che alla fine abbia sofferto il passare del tempo?

No, ma penso che abbia capito di non essere più competitivo e questo gli ha dato un po’ di insicurezza e di conseguenza anche un po’ di ansia e di nervosismo. Eppure per capire che si è ritirato dovranno passare due o tre anni, forse quando smetterà di fare anche qualche gara in mountain bike. Sono andato lunedì a pranzo da lui e non ha fatto altro che raccontarmi della gara all’Elba, che l’aveva sottovalutata, che ha mangiato poco e ha consumato tanto… Io credo che non esista l’interruttore che spegne l’agonismo, penso che in proporzione sia stato più cosciente Fabio (Aru, ndr).

Valverde ha detto più o meno le stesse cose.

La differenza tra Vincenzo e Alejandro è che Valverde è stato un po’ più costante. Forse è meno dotato in bici, però a guardarli sono praticamente uguali e dovrebbero avere lo stesso peso o comunque una differenza minima. Invece dalle foto si vede che Alejandro è stato più attento fino all’ultimo. Se Vincenzo fosse pesato come Valverde al Lombardia, sul Civiglio non lo staccavano. Al Giro ha fatto una gran fatica, perché ci sono anche gli anni. Però a un certo punto, quando si è ritirato Lopez, gli è scattato il fatto che toccasse a lui. Un po’ di condizione c’era, abbiamo parlato con Magni e gli abbiamo detto: «Guarda che se tu arrivi alle salite con questo peso, si riesce a restare là, poi vediamo dove si arriva». E nella seconda settimana lui ha fatto un sacrificio che non faceva già da un po’ ed è riuscito a calare durante il Giro. Siamo arrivati all’inizio dell’ultima tappa di montagna con il peso di metà Tour 2014 . Nella tappa di Risoul, pensava 63 chili, al Lombardia era forse a 67. Quei 4 chili a questi livelli sono tanti per tanti motivi.

Difficile scendere?

Quando abbiamo dovuto scegliere per tornare all’Astana l’anno scorso, c’era stata l’offerta della Quick Step che gli aveva fatto una mezza proposta per affiancare Evenepoel. Io gli dissi: «Ascoltami, se mi dici che vuoi fare una stagione dedicata solo al ciclismo, perché è l’ultima e non vuoi nessuna distrazione e vivrai solo per quello, sono con te. Ma basta che tu mi dica una mezza volta che ci vuoi pensare, allora dico che è meglio di no. Perché se non sei convinto al 100 per cento, alla prima difficoltà molli tutto». E’ stato anche bravo a riconoscerlo, perché poteva pure illudersi che ce l’avrebbe fatta e poi magari pigliava la porta in faccia. Aveva già provato ad allenarsi in maniera diversa quando ha discusso con Slongo, però anche lì le cose non sono andate bene…

Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Martinelli, Nibali e Slongo. Il rapporto fra Vincenzo e il suo allenatore si è concluso nel secondo anno alla Trek
Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Martinelli, Nibali e Slongo. Il rapporto fra Vincenzo e il suo allenatore si è concluso nel secondo anno alla Trek
I momenti brutti sono coincisi coi momenti difficili in corsa?

Forse sì, perché sono andati di pari passo con i problemi fisici, che creano ansia, depressione e paure. Conoscono tutti la caduta al Tour o la caduta alle Olimpiadi, ma nessuno immagina ad esempio quanto gli sia pesata la caduta al campionato italiano del 2011 in Sicilia, vinto da Visconti, dopo un Giro in cui sperava di fare molto meglio. Quello fu un colpo di cui nessuno ha mai parlato, ma che gli pesò molto.

Invece la caduta del Tour?

Il problema fu la coincidenza di un mondiale adatto a lui, cui voleva andare. Se fosse stato come quest’anno, non si sarebbe operato e quindi avrebbe avuto qualche problema in meno. L’operazione in se stessa non era tanto invasiva, ma per uno sportivo di quello spessore serviva del tempo per ritornare a un certo livello. Noi invece abbiamo dovuto stringere i tempi. Dopo 3-4 giorni siamo andati a casa. Il dottore gli aveva detto che poteva salire sui rulli dopo 5 giorni, invece lui è montato subito sulla bici e gli sembrava di non esserci mai andato in vita sua. Siamo ripartiti da lì. Con suo cugino Cosimo che lo staccava e lui che diceva: «Ma io come faccio a correre la Vuelta, se mi stacca Cosimo?». Lo dice sempre: «Tornassi indietro, non farei il mondiale e non mi opererei».

Tour 2018, la caduta sull’Alpe d’Huez: Nibali decise di operarsi alla vertebra rotta per rientrare ai mondiali di Innsbruck
Tour 2018, la sull’Alpe d’Huez: Nibali decise di operarsi alla schiena per rientrare ai mondiali di Innsbruck
Pallini come vede il Nibali dell’età matura?

Il Nibali adulto deve ancora crescere. Vincenzo è diventato adulto in bici e adesso è di nuovo bambino, perché questo è tutto un altro tipo di approccio e di lavoro. Quindi bisogna che si faccia le ossa, che cresca, che faccia le sue esperienze e dopo secondo me può anche essere un ottimo team manager. Perché ha le possibilità. Lui dice di no, però secondo me è un ottimo collante con gli sponsor e sa quello che serve all’interno di una squadra di ciclismo. E se riesce a capire quali sono le problematiche anche all’interno, le dinamiche tra staff, corridori, management e sponsor, secondo me lo può fare.

Pensi che lo massaggerai ancora?

Lo aspetto al varco, sicuramente sì. Infatti ho lasciato il lettino a casa sua. Gli ho detto di tenerlo, che può far comodo. Ne avevo una a casa sua, in una stanzina dove faceva i massaggi. Prima o poi si finirà per farlo ancora…

Uno Squalo in mtb. L’avventura di Vincenzo alla Capoliveri

23.10.2022
6 min
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Il giovedì sera di una settimana fa iniziava a girare la voce che Vincenzo Nibali fosse all’Elba. Due giorni dopo si sarebbe corsa la Capoliveri Legend Cup, una delle più belle, dure e tecniche marathon di mtb al mondo. 

Era prevedibile ritrovarsi lo Squalo, che aveva dato l’addio alle corse su strada al Giro di Lombardia, in una gara di mtb. Un po’ lo aveva detto e un po’ era nota la sua passione per la “ruote grasse”, ma non immaginavamo così presto.

La curiosità di saperne di più di questa avventura era troppa. Lo abbiamo intervistato e Nibali ha risposto con vero trasporto alle nostre (tante) domande.

Nibali con l’organizzatore Maurizio Melis alla vigilia della gara
Nibali con l’organizzatore Maurizio Melis alla vigilia della gara
Vincenzo, come è andata? Come è nata l’idea di partecipare alla Capoliveri Legend Cup?

Era da tanti anni che pensavo di fare una cosa così e finalmente si è presentata l’occasione. L’idea della Capoliveri è nata una sera, qualche mese fa, quando mi sono ritrovato in camera con Simone Velasco (per la cronaca Simone è elbano ed ex biker, ndr). Parlando, mi ha detto che gli sarebbe piaciuto farla.

Tu hai un certo feeling con la mtb…

D’inverno ci vado, ma nel corso della stagione capita poche volte. In Ticino esco spesso con Filippo Colombo (biker professionista svizzero, ndr) e Juri Zanotti: in discesa sono una roba allucinante. Loro fanno cross country e nelle marathon non sapevo bene che livello avrei trovato. Avrei voluto farla con Velasco, ma poi lui è stato convocato per la Veneto Classic.

E tu invece sei andato a Capoliveri…

Sono arrivato il venerdì con la famiglia, tra l’altro devo dire che Maurizio Melis e il suo staff mi hanno accolto alla grande. Ma non ero super preparato, pensate che ho corso con le scarpe nuove! Le avevo provate giusto una volta due giorni prima.

La Capoliveri Legend Cup è una marathon durissima e tecnica: 80 chilometri, 3.000 metri di dislivello e scenari pazzeschi
La Capoliveri Legend Cup è una marathon durissima e tecnica: 80 chilometri, 3.000 metri di dislivello e scenari pazzeschi
La Legend Cup poi è una delle più tecniche…

Come detto in Ticino un po’ ci sono abituato a certi percorsi. Lì ci sono dei single track dove ha girato anche Nino Schurter e più o meno sapevo a cosa sarei andato incontro. Alla vigilia poi ho incontrato Failli e Chiarini, due ex compagni di squadra e amici, che corrono da anni in mtb e anche loro mi ha dato qualche dritta.

E come è andata?

Il giorno prima ho provato un po’ il percorso e sinceramente con tutti quei bivi, quei cambi di direzione, quegli strappi… ero un po’ spaesato. Sembrava come la prima volta che si va a fare l’Amstel Gold Race!

Ci racconti la tua gara?

Sono partito forte, perché non volevo perdere il treno dei migliori e magari portarmi un po’ avanti per prendere in testa le prime discese. Ero curioso di vedere il livello dei migliori. In più non volevo prendere la polvere… un po’ perché sono inesperto e un po’ perché volevo vedere bene. Mi sono messo in terza, quarta posizione. E comunque c’erano tanti campioni di questa specialità: da Rabensteiner (tricolore in carica, ndr) a Paez. Fino a che non ci sono stati tratti tecnici ci stavo bene, poi chiaramente in alcuni settori ho sofferto un po’. Ma non tanto per questioni di guida, quanto per l’esperienza che non avevo e poi perché loro rispetto a me erano più forti nella parte alta del corpo. Il problema qual è stato: che in salita facevo fatica, ma anche in discesa facevo la stessa fatica! 

Una “bella” novità!

Per 90′ ho fatto 170 battiti medi! E infatti negli ultimi 20 chilometri sono andato in “bambola”. Avevo un paio di gel in tasca, che ho preso. Ho sfruttato un po’ di assistenza da parte della Cicli Taddei, tra l’altro ho rivisto “Nando” Casagrande e mi ha fatto piacere. Fatto sta che uno è abituato a fare 200-250 chilometri di gara e pensa: che vuoi che siano 80 chilometri. Invece sono state 4 ore sempre a “gas spalancato”. Tra l’altro l’avevo presa un po’ così. Non avevo fatto una colazione importante. Avevo preso un po’ di fette biscottate con la marmellata, invece ci serviva un bel piatto di pasta. L’ho presa con la “tigna” giusta, ma altrettanta leggerezza.

Lo Squalo a ruota di Jury Ragnoli in uno dei passaggi simbolo: il “Muro dei campioni” con punte al 35%
Lo Squalo a ruota di Jury Ragnoli in uno dei passaggi simbolo: il “Muro dei campioni” con punte al 35%
Come l’hai “preparata” Vincenzo?

Tra il Lombardia e la Capoliveri Legend sono uscito giusto un paio di volte per un paio d’ore, più che altro per mettere a punto la bici (una Wilier Urta Slr, ndr). Una volta addirittura avevo in tasca la pompa per la forcella.

Sapevamo che sei un meccanico e un tecnico eccellente su strada, anche con la mtb?

Sì, sì ho fatto tutti i setup da me. Ho sostituito anche un cuscinetto della forcella. Ho montato poi i “salsicciotti”: uno più grande dietro e uno più piccolo davanti, perché comunque era importante che la gomma anteriore lavorasse bene, in quanto bisognava guidare. Volevo un certo feeling, altrimenti sarebbe stata troppo rigida. In più per settare il potenziometro sulla mtb ho fatto dei test e gli ho tolto un 10% di potenza per avere un dato attendibile. L’ho tarato con i pedali Garmin.

Chi ti ha dato qualche dritta tecnica?

Come detto ho fatto parecchio da solo, con Colombo però ho parlato delle gomme. Alla fine ho utilizzato delle Pirelli Scorpion Xc. Mentre le ruote le ho scelte io: le Syncros Silverton Sl, me le sono comprate per conto mio. Non me le hanno passate come immaginava qualcuno. Leonardi invece mi ha fornito la sua guarnitura Racing, in questo modo ho anche provato le pedivelle da 172,5 millimetri. 

Caspita, sei sul pezzo…

Alla fine io sono nato sulla mtb con le ruote da 26” e sono rimasto spiazzato dalle 29”, ma la mtb c’è sempre stata nei miei inverni. Durante il lockdown ci sono andato davvero tanto, in pratica ho usato solo quella. Poi quando è ripresa la stagione ovviamente ho inforcato la bici da strada.

Al netto della colazione cosa cambieresti?

Mi sono accorto che il supporto esterno di un team è fondamentale. In fondo alla discesa di Punta Pareti, per esempio, Paez ha forato e ha perso un sacco di tempo. Samparisi ha rotto il disco posteriore. Ne ho parlato con gli altri dopo l’arrivo e ognuno raccontava dei suoi guasti. A me non è successo nulla e sono stato bravo a stare attento, a guidare pulito. Io avevo dato una coppia di ruote in più a chi mi seguiva per l’assistenza, ma anche per il rifornimento bisognava organizzarsi meglio. All’ultimo ristoro – ride – mi sono fermato a prendere qualcosa .

Anche sul tecnico Nibali se l’è cavata alla grande. Da notare le due borracce, una tra l’altro da 750 ml (foto Instagram)
Anche sul tecnico Nibali se l’è cavata alla grande. Da notare le due borracce, una tra l’altro da 750 ml (foto Instagram)
Come mai ridi, Vincenzo?

Mi chiedevano: «Perché parti con due borracce?». E perché… «Perché non ho assistenza, sono da solo».

In ottica futura cambierai qualcosa? Per esempio farai più palestra per la parte alta?

Se con Ivan Santaromita andremo alla Cape Epic, come sembra, servirà di sicuro. A Capoliveri nel finale sono andato in crisi anche per questo motivo. Dovevi essere sempre attento: radici, buche, salti… ribaltarsi era un attimo. Per non farlo ho calato molto il ritmo. Sono arrivato sfinito. Su strada ogni tanto rifiati, in mtb devi essere sempre concentrato. Quattro ore complete a tutta.

Ci si chiede sempre chi siano più forti: i biker o gli stradisti? Tu cosa hai notato? Come vanno?

Eh, i watt ci sono, li hanno eccome. Come vi ho accennato ho fatto 90′ oltre 170 battiti, poi snocciolando i dati ho fatto 330 watt medi di potenza normalizzata e 280 reali. Direi che è un bell’andare. Tanto che Mazzoleni, dopo aver letto il file della corsa mi ha detto: «Caspita che numeri Vince!». Ho fatto 21 di media oraria, 3.000 metri di dislivello e bruciato oltre 4.000 calorie. E’ stata una bella avventura!

Per la cronaca, Vincenzo Nibali ha chiuso la Capoliveri Legend Cup in nona posizione a circa una dozzina di minuti da Fabian Rabensteiner. In uno dei tratti iniziali è stato anche in testa… facendo sognare gli elbani, i 1.500 biker presenti e tutti i suoi tifosi.

L’altro padre, “il Franceschi” lo aspettava a Como

13.10.2022
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L’onda lunga del ritiro di Vincenzo Nibali. Un addio così non svanisce in pochi giorni. Sul rettilineo di Como, ad attendere il suo figlioccio c’era, e non poteva essere altrimenti, anche Carlo Franceschi, presidente della Mastromarco Sensi Nibali, la squadra che ha lanciato il messinese al grande ciclismo.

“Il Franceschi”, lo ricordiamo, è colui che accolse lo Squalo quando Squalo ancora non era, ma era solo un ragazzino partito dalla Sicilia con un’immensa voglia di fare il corridore. Un ragazzino che prometteva bene, ma che chiaramente aveva più sogni che certezze. Franceschi gli aprì le porte di casa sua nel vero senso della parola. I genitori di Vincenzo glielo affidarono.

Carlo Franceschi, ex direttore sportivo e attuale presidente della squadra in cui correva Nibali da dilettante, sull’arrivo di Como
Lago di Como, Franceschi, attuale presidente della squadra in cui correva Nibali da U23

Ventidue anni

«E siamo arrivati a questo momento – dice Carlo con un tono velato di commozione – sono emozionato. La sua carriera è stata lunga. Ho visto la sua prima gara da professionista a Laigueglia nel 2005 e non potevo mancare oggi all’ultima, al Lombardia.

«Cosa devo dire? Dal 2000 (per Carlo “Nibali è iniziato” 5 anni prima degli altri, ndr) mi ha dato soddisfazioni ed emozioni incalcolabili».

Franceschi parla di un ragazzo che è sempre stato serio e maturo, in relazione alla sua età, e soprattutto è sempre stato motivato.

«E lo è stato fino alla fine. Prima della partenza di questo Lombardia era rilassato, ma anche un po’ teso, emozionato, perché comunque sapeva che era l’ultima gara. Mi ha detto però che aveva dormito bene nella notte, perché voleva cercare di dare un piccolo brio a tutti i suoi tifosi».

Per Franceschi la vittoria di Nibali alla Sanremo è stata la più emozionante
Per Franceschi la vittoria di Nibali alla Sanremo è stata la più emozionante

Quella Sanremo

Carlo con i “CanNibali” è partito in piena notte da Mastromarco. Non erano neanche la quattro, ma voleva farsi trovare presente alla sveglia di Vincenzo nell’hotel in cui alloggiava. Bisognava scortalo alla partenza. Poi è andato a vederlo anche in cima ad una delle prime salite.  «Cosa gli ho detto? Corri alla Nibali e poi vediamo che succede. E lui si è messo a ridere».

«Se chiudo gli occhi ho due vittorie di Vincenzo stampate qui dentro – mentre si porta il pollice alla fronte – la vittoria del Tour, soprattutto la prima tappa che vinse, e la Milano-Sanremo

«Alla Sanremo mi ha fatto quasi venire un infarto. Perché lui è abituato a prendere 100 metri e a portarli all’arrivo, ma farlo alla Classicissima era una cosa grossa… e ci è riuscito. Per me è la più bella vittoria della sua carriera. Non era una gara che gli si addiceva tanto. Quello è stato un numero da vero campione».

Il 22 marzo 2006 Nibali coglie la sua prima vittoria da pro’: la Cervia-Faenza, seconda tappa della Coppi e Bartali
Il 22 marzo 2006 Nibali coglie la sua prima vittoria da pro’: la Cervia-Faenza, seconda tappa della Coppi e Bartali

Tirate d’orecchie

In apertura abbiamo scritto che Carlo Franceschi è stato anche un padre per Nibali. E un padre non dice sempre e solo di sì. A volte tira le orecchie, rimprovera… ci si discute anche. E momenti così tra Franceschi e Nibali non sono mancati. Ma sono proprio questi momenti che innalzano il rapporto, lo rendono qualcosa di più. Lo fanno diventare una famiglia.

«Quando era junior e dilettante – va avanti Franceschi – ci ho litigato tanto. E ci ho litigato tanto perché tanto sciupava. Quando vinceva e sapeva che aveva sciupato, poi veniva da me e con un aria da furbetto mi faceva: “Hai visto che ho vinto lo stesso?”. Io però gli ribattevo: “Sì, però domenica scorsa non l’hai finita. E quella ancora prima le hai prese…”. Invece di 15 poteva averne vinte 18. Posto che poi quelle vittorie non contavano nulla perché una volta passato si azzerava, e si azzera, tutto. Ma era il concetto del correre bene che a me stava a cuore. Sembrava che non ascoltasse, però ascoltava e questo contava».

Quelle ramanzine da ragazzino sono servite. Certi errori magari da pro’ in corsa non li ha fatti. Ma Nibali e Franceschi si sono sentiti, anche durante la super carriera del siciliano.

«Mi ha sempre chiamato – prosegue Carlo – quando era ancora a casa mia, chiedeva i consigli e io gli spiegavo certe cose. Le direttive erano sempre quelle: nello sport bisogna essere leali, onesti e altruisti… Ma quando c’è la possibilità di andare, bisogna andare».

Dopo l’arrivo l’abbraccio di Nibali ai suoi genitori e a Carlo, a sinistra (foto Instagram)
Dopo l’arrivo l’abbraccio di Nibali ai suoi genitori e a Carlo, a sinistra (foto Instagram)

La Porsche no

Ma i consigli non erano da direttore sportivo a corridore, erano anche da “padre a uomo”, perché nel frattempo Nibali è chiaramente maturato, si è sposato e ha messo su famiglia.

«Una volta tornò dopo un buon Tour e mi disse: “Voglio farmi un regalo, mi compro una Porsche”. Io gli risposi: “No, la Porsche non si compra, prima finisci casa”. Aveva preso un appartamento nelle mie zone, doveva acquistare anche il garage e così fece… Poi comprò anche la Porsche! Ma intanto le priorità erano state rispettate. I consigli li chiedeva, dai…».

Franceschi continua il suo cammino verso la zona d’arrivo. Nell’area riservata, lo attendono i genitori di Vincenzo. E’ tutto pronto per quella che, a prescindere dal risultato, sarebbe stata una festa. Carlo aspettava il suo ragazzo, come tante volte aveva fatto in questi 22 anni che gli è stato al fianco. 

«Quando arriverà gli dirò grazie di averti trovato. E grazie delle tante emozioni che mi hai dato nella vita».

Sagan si racconta: gravel, futuro e Nibali

11.10.2022
5 min
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Siamo sulle colline vicentine su una terrazza naturale che vede la Pianura Padana accarezzata dai raggi del tramonto autunnale. A pochi chilometri il mondiale gravel ha fatto il suo esordio immerso nella curiosità generale. Vediamo Peter Sagan che sta parlando con il suo migliore amico che gli ha fatto una sorpresa percorrendo 800 chilometri per venire a seguirlo in questa corsa iridata. Gabriele Uboldi, addetto stampa del fuoriclasse slovacco, ci viene incontro e fa le presentazioni con il campione. 

Qui Peter Sagan insieme al suo addetto stampa Gabriele Uboldi
Qui Peter Sagan insieme al suo addetto stampa Gabriele Uboldi

Sagan ci accoglie con il sorriso e con la spensieratezza di chi sa che la stagione è finita e che questo mondiale ha tutta l’aura di un’esperienza nuova. Il primo passo di una disciplina che dirotta verso l’agonismo e il palcoscenico dei pro’. Premiamo rec sul registratore, Peter raccontaci…

Come sei arrivato a questo mondiale?

Mah… Bene, ho provato solo i primi 30 chilometri e fatto solo i 15 chilometri finali del percorso. La condizione era buona anche se siamo tornati da tre giorni dal Giappone e tra fuso orario e tutto non è facile riprendersi dal jet leg.

E’ la prima corsa gravel che fai?

Ho fatto la Unbound in America ma lì avevo un approccio diverso. Non è stata una gara, ma una pedalata tra la gente. 

Che corsa è un mondiale gravel?

E’ una gara molto dura.

Per la gara hai scelto la bici da corsa, come mai?

Sì, la Roubaix. E’ un percorso abbastanza tecnico. Se prendi una bici gravel puoi fare percorsi più impegnativi tipo Mtb. Però io credo che serva qualcosa di molto veloce e scorrevole. Le strade sono lineari, c’è tanto asfalto e quindi bisogna stare attenti alla velocità. 

La bici scelta era la Specialized Roubaix utilizzata per le classiche del Nord e l’Eroica
La bici scelta era la Specialized Roubaix utilizzata per le classiche del Nord e l’Eroica
Scorrevolezza e velocità quindi sono determinanti?

Se prendi come esempio l’Eroica, noi la corriamo con la bici normale. Se parti da quel setup, e prendi una bici Roubaix con le stesse gomme, si adatta bene per questo percorso.

Dinamiche di corsa completamente nuove per il gravel…

Sì, è difficile da dire, perché è una corsa tutta nuova. Ci sono corridori da tutte le discipline e non c’è una vera e propria organizzazione di squadra come per le corse professionistiche. Io credo che molto importante sia la partenza come nella Mtb. E’ altrettanto importante in queste gare stare nel primo, secondo, massimo terzo gruppetto fin da subito. 

Quali erano i tuoi favoriti alla vigilia?

Sempre i soliti. Van der Poel sapevo che fosse capace di fare tutto. Van Avermaet mi ha detto che ci avrebbe puntando tanto, non ha fatto i mondiali su strada e lo ha trasformato in un vantaggio. Sono tanti i professionisti della strada, erano tutti favoriti. 

Vedi la disciplina gravel nel tuo futuro affiancato ad una stagione su strada?

Io credo che la gravel sia ancora più dura di una classica. Tipo Roubaix o Fiandre. Ho tutto l’inverno per decidere come programmare la stagione. 

Un Sagan provato dopo il traguardo e come lui molti altri
Un Sagan provato dopo il traguardo e come lui molti altri
Hai fatto una buona stagione, quali obiettivi hai per la prossima?

Non ho fatto una stagione tanto buona… Questo inverno sarà prezioso per staccare e ricaricarsi. Non so ancora cosa farò e quali obiettivi avrò. Al primo ritiro, quando andrò con la squadra, parlerò del programma e vedremo insieme come organizzare il calendario. Adesso non ci ho ancora pensato.

Com’è andato questo primo anno in TotalEnergies?

Mi sono trovato molto bene. Anche con i problemi di salute che ho avuto a inizio anno, mi hanno sempre supportato. Sono molto contento dell’organizzazione della squadra da parte di tutti, staff e compagni. Pensavo di trovare un’altra situazione e invece sono stato molto sorpreso positivamente dalla squadra e di quello che c’è dietro. 

Che effetto ti fa vedere Nibali e Valverde dire addio al gruppo? Con Vincenzo hai condiviso anche un periodo in squadra insieme…

Rimarranno per sempre parte del movimento. Vincenzo è uno dei pochi corridori che ha vinto i tre grandi Giri e anche le classiche. Ci mancherà perché ha dato tanto al ciclismo, soprattutto al ciclismo italiano. La vita è così, nasci come una stella, dopodiché ognuno arriva alla sua fine. E’ importante che la decisione l’abbia presa lui. Se è così, va più che bene. 

Per lo slovacco la prova mondiale è stata sotto le aspettative della vigilia
Per lo slovacco la prova mondiale è stata sotto le aspettative della vigilia

Il mondiale di Sagan

A laurearsi campione del mondo è stato il belga Gianni Vermeersch dopo una fuga durata 140 chilometri insieme a Daniel Oss secondo all’arrivo. A completare il podio Mathieu Van der Poel che da super favorito, beffato dalla fuga, ha regolato il gruppetto degli inseguitori conquistando un bronzo che gli è valso l’onore di averci provato.

Per Sagan l’epilogo seppur positivo non ha rispettato le attese. Peter ha infatti chiuso 14° a cinque minuti dalla testa. Inneggiato tra i big fino alla vigilia forse il campione slovacco ha accusato il jet lag delle ultime trasferte stagionali e il finale affaticato di una stagione che conta due vittorie. Di buono rimane il fatto che la sua presenza ha attirato pubblico ed è stata onorata con impegno e voglia di mettersi in gioco come ha testimoniato il suo volto impolverato che abbiamo scorto dopo la linea d’arrivo. Ora per Peter è tempo di ricaricare le pile e pensare al 2023.

Aru su Nibali: da amico a rivale (e ritorno)

10.10.2022
6 min
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Era l’estate del 2012 quando Fabio Aru sbarcò all’Astana. Martinelli lo aveva adocchiato e acchiappato l’anno precedente e a quel tempo di Nibali nella squadra kazaka non si parlava. Invece quell’estate iniziarono le voci e poi di colpo la notizia divenne ufficiale. Nibali lasciava la Liquigas che l’anno successivo sarebbe diventata Cannondale per accasarsi con Vinokourov. Era l’inizio del dualismo che prometteva di rinverdire i fasti di Coppi e Bartali, Moser e Saronni, ma la storia seguì altre strade.

Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana
Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana

La Mtb a Montecatini

Nibali si è ritirato, Aru ricorda. Sei anni di differenza non sono pochi e l’arrivo del siciliano significava avere un riferimento da seguire. Nibali era già Nibali, con podi al Giro e al Tour e la vittoria della Vuelta. Aru invece veniva da due Val d’Aosta consecutivi e il secondo posto al GiroBio U23. Chi avrebbe mai potuto dire che proprio il sardo avrebbe smesso prima di Vincenzo, quando prometteva di esserne l’erede dopo averlo sfidato?

«Quando sono andato in Astana – racconta Aru – c’erano dei rumor. Io avevo firmato l’anno prima, nell’estate del 2011 e nel 2012 si cominciò a sentire che sarebbe arrivato anche Nibali. Lo conobbi alla USA Pro Cycling Challenge in Colorado, che è stata la mia prima gara da professionista e lui era in maglia Liquigas. Il giorno che feci secondo in una tappa, la penultima a Boulder, in hotel ci trovammo a scherzare. Poi ci siamo incontrati direttamente in Astana, prima a Montecatini in ritiro e poi in Sardegna».

Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa
Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa

«In quegli anni c’era ancora Basso – prosegue – ma Vincenzo era già uno dei più forti. I primi anni ci siamo divertiti parecchio in mountain bike a inizio stagione. A lui è sempre piaciuto il fuoristrada, basterebbe riguardare i video che caricava ai tempi su Instagram…».

La scuola di Nibali

Il rapporto fra i due è subito molto buono. Nibali ha davanti il mondo da conquistare, Aru muove i primi passi. Che abbia numeri interessanti è noto, come possa adattarsi al professionismo è un punto di domanda. Così nel 2013 Martinelli prende la via più breve e lo porta al Giro d’Italia. Il primo Giro di Nibali.

«Il Giro del 2013 – ricorda – per me è stata sicuramente un’esperienza molto importante in una delle squadre più forti. Vincenzo era in super condizione. Io stetti male, però poi nell’ultima settimana trovai un po’ di energie. Fu un passaggio che augurerei a ogni giovane. Valse come tanti anni di esperienza».

Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita
Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita

«Non era tanto lui che insegnava – ricorda Aru – quanto io che logicamente lo osservavo in tutto e per tutto. Da come era posizionato in bici e ogni cosa che faceva. Ricordo un aneddoto importante di qualche anno dopo, quando lui, tra virgolette, si mise nella parte di chi poteva insegnarmi qualcosa. Accadde al mio primo Tour e quindi stiamo parlando del 2016. Lui arrivava dalla vittoria al Giro, quando ribaltò la classifica contro Kruijswijk e Chavez…».

Dal Tour a Rio

Nibali arrivava dalla seconda maglia rosa e dal Tour di due anni prima, Fabio aveva vinto la Vuelta ed era arrivato il momento di debuttare in Francia. Il calendario era stato organizzato nei dettagli. Nibali avrebbe puntato sul Giro e poi, passando per il Tour, sarebbe arrivato alle Olimpadi di Rio. Aru invece ci sarebbe arrivato passando per la Grande Boucle.

«Mi ricordo che partimmo per quel Tour – ricorda – e logicamente io avevo preparato l’appuntamento. Prima dell’inizio del Tour, Vincenzo mi disse di mettermi alla sua ruota, perché mi avrebbe fatto da pilota nelle tappe di pianura. Era il primo Tour, una gara difficile per quanto riguarda il limare e lo stare davanti. Arrivammo all’ultima settimana, poi saremmo dovuti andare assieme alle Olimpiadi».

Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui
Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui

«Lui dopo il Giro non aveva una grandissima condizione – ancora Aru – mi dava una mano e provava ad entrare in qualche fuga, però a livello personale non stava andando tanto forte. Quando sei abituato a vincere le gare e ti vedi un po’ sotto tono, inizi ad avere dei dubbi. Ricordo che eravamo in una tappa di pianura l’ultima settimana e stavamo parlando. Io lo vedevo moralmente un po’ giù e allora ne approfittai per ringraziarlo di quello che aveva fatto in quei giorni.

«Gli dissi di tener duro, che mancavano poche tappe. E che alle Olimpiadi sarebbe arrivato con un’ottima condizione e io sarei stato al suo fianco. Anche a Rio ci fu un momento difficile. Lui aveva un principio di crampi, io gli dissi di tenere duro. Lui mi rispose di fare la mia gara, io gli risposi ancora di tenere duro, perché il momento sarebbe passato».

Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti
Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti

Scoppia la rivalità

Fra loro nel frattempo le cose erano cambiate. Il giovane Aru reclamava spazio, Nibali difendeva il suo e presto la grande intesa finì.

«Come corridori eravamo diversi – ricorda Aru – perché lui ha sempre cercato di approfittare di tutte le occasioni, anche quelle in cui magari non aveva delle super gambe. Però ha sempre cercato di dare la sua impronta a qualunque gara partecipasse. E tante volte è riuscito a tirare fuori delle prestazioni di alto livello, una cosa che magari avrei dovuto fare di più anche io.

«E’ capitato che a un certo punto ci trovammo contro, ma non come raccontavano certe testate che gonfiavano la situazione perché sono solite farlo. Ora siamo entrambi cambiati a livello caratteriale, col passare degli anni si inizia a ragionare in maniera diversa. Siamo stati contro, ma non nel senso che litigavamo, magari però ci sono stati momenti di tensione. Anche se abbiamo sei anni di differenza, siamo entrambi competitivi e quindi ognuno aveva voglia di arrivare sempre più in alto. Però negli ultimi anni questa rivalità è cambiata ed è diventata un prendersi in giro un po’ a vicenda. C’è tanto rispetto».

Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi
Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi

L’eredità dello Squalo

Sarebbe stato difficile nel 2017, quando Nibali passò al Team Bahrain-Merida, immaginare cha la loro rivalità tanto attesa e annunciata, non sarebbe mai sbocciata.

«Non ho mai nascosto che il fattore età fosse dalla mia parte – sorride Aru – e mi avrebbe permesso di continuare alcuni anni ancora. Ma come ho detto più volte, questa è stata la mia decisione e sono contento così. Vincenzo mancherà al ciclismo. Tranne forse gli ultimi anni, è sempre stato presente: un atleta che garantiva delle ottime prestazioni. Sia per quanto riguardava le gare a tappe, sia per le gare di un giorno.

«Quindi sicuramente lascia un grande vuoto e un’eredità importante. Io mi auguro sempre che vengano atleti capaci di fare altrettanto bene. Insomma, qualcuno che possa avvicinarsi a quello che ha fatto lui…».

Nibali saluta. Vincenzo accolto dai suoi sul traguardo

09.10.2022
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Sono le 16:33 di sabato 8 ottobre 2022 Vincenzo Nibali taglia il traguardo del Giro di Lombardia e conclude la sua carriera. I suoi uomini sono tutti dietro la linea d’arrivo che lo aspettano. Camminano, confabulano e anche se non lo ammettono apertamente sono emozionati. Si chiude un ciclo. Un pezzetto di vita piena di tante emozioni.

Michele Pallini, Emilio Magni, Federico Borselli… sono tutti vicini. Allungano il collo per vederlo spuntare. «Eccolo, Eccolo…», dicono in coro e gli vanno vicino. Poi solo tanti abbracci e poche parole. Bastano gli sguardi e quelle strette di mano. C’era persino Geoffrey Pizzorni, che di Nibali è stato addetto stampa per qualche anno. Geoffrey, che è ora alla BikeExchange Jayco, ci si ritrova per caso però resta lì anche lui.

Martino emozionato

«Eh – sospirava Giuseppe Martinelli alla vigilia – ci siamo. Uno dice: “Ma lo sai dai sei mesi che lascia”. Ma intanto vai avanti e pensi sempre che siano sei mesi e invece il momento è arrivato. Ammetto che è un po’ particolare.

«Sono stati tanti anni insieme. E il fatto che Vincenzo abbia voluto finire qui la sua carriera per me conta molto. Io credo che lui sia voluto tornare all’Astana Qazaqstan perché qui si sente in famiglia. Non ha mai criticato gli altri team in cui è stato, ma qui ha detto che si sentiva a casa. Tante volte anche io lo chiamavo non da direttore sportivo, ma per sapere come andavano le cose. Quando andò via parlammo a lungo affinché io potessi seguirlo. Mi voleva con sé».

I suoi uomini

Mentre Martino racconta, Gabriele Tosello è lì che prepara la sua ultima bici. La Wilier con la verniciatura speciale che ricorda i successi di Nibali nei grandi Giri.

“Toso”, che forse è il più indaffarato di tutti, dice che solo quest’anno gli avrà montato una trentina di bici. Ha invece perso il conto di tutte le altre nel corso degli anni.

«Io – dice Tosello – so solo che anche se era alla sua ultima gara anche oggi borbottava! Aveva questa bici nuova, sella nuova, manubrio nuovo… e cambiarla a ridosso del via di una gara così importante non lo rende felicissimo. Mi diceva: “Ma le misure? Hai ricontrollato tutto?”. Ci ha fatto solo 30 chilometri. Fosse stato per lui avrebbe di sicuro usato la sella “vecchia”». 

«Il momento è arrivato, avete visto? Sono 17 anni che sono con lui – racconta il dottor Magnisolo un anno non riuscii a seguirlo, avevo ancora il contratto con la vecchia squadra, ma poi l’ho raggiunto. Diciassette anni sono un bel pezzetto di vita. L’ho visto crescere».

Chi invece è una sfinge, che le emozioni non le sbandiera al vento è Michele Pallini, il massaggiatore. Siamo quasi certi, percezione nostra, che Michele più di tutti ha sentito questo momento. Ma anche lui fino alla fine è stato “sul pezzo”. Il via vai della vigilia per i massaggi fatti tardi per i tanti impegni con gli sponsor. I soliti preparativi. 

«Emozionato? Io lo sarò da domani», cioè oggi. 

Al lato del podio, appoggiato alle transenne, c’è Alex Carera. Ha un sorriso velato di malinconia. Ricorda quando lo conobbe. «Eravamo ai mondiali di Hamilton del 2003. Lo aiutai perché aveva dei problemi con una sella, cercava dei contatti con l’azienda. Gli dissi che ero un procuratore e che magari avremmo potuto collaborare. Da lì è nato tutto. Sono passati venti anni ragazzi…».

E Vincenzo?

Beh, anche lui forse è più emozionato di quel che dà a vedere. «Se sono emozionato? Pensa che ho dormito tutto il pomeriggio!», ci aveva detto in una battuta alla vigilia.

Nessuno meglio di lui, chiaramente, può conoscere le sue sensazioni. Covava questo ritiro già da un po’, lo ha reso pubblico durante il Giro e magari più di altri lo ha maturato, lo ha metabolizzato.

In tv ha detto che c’è stato un solo momento in cui si è reso conto davvero di concludere la carriera. Stava facendo il trolley prima di partire per il Lombardia. «Ho realizzato, mi sono fermato un attimo… ma poi ho continuato. Via, voltare pagina».

Ieri mattina a Bergamo si è goduto l’applauso della folla. La parata con Valverde tra gli applausi dei colleghi. Hanno sfilato tra due corde di canapa per recarsi in testa al gruppo. Eppure fino alla fine è stato professionale, così come Alejandro. Okay il fine carriera, ma prima c’era una corsa da fare. 

Nessuna lacrima da parte sua. Almeno non in pubblico. E’ Nibali. Lo Squalo ci ha regalato 17 anni di grande ciclismo, ci fatto saltare sul divano, ci ha fatto piangere per quella caduta di Rio, ci ha fatto sognare e qualche volta anche arrabbiare, come nel Giro 2019 quando per discutere con Roglic “regalò” la maglia rosa a Carapaz.

Ma i campioni sono questi. Baggio sbaglia un rigore nella finale dei mondiali. Coppi e Bartali pur di farsi la guerra arrivano ultimi. Tomba non partiva se la pista era rovinata. La grandezza passa anche da qui… se prima però si sono calcati i grandi podi. E Nibali li ha calcati eccome.

Museo del Ghisallo: una pagina di storia del ciclismo

07.10.2022
6 min
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Se il Giro di Lombardia fosse un suono sarebbe lo scampanio della chiesa della Madonna del Ghisallo. Passaggio iconico della Classica delle Foglie Morte che dà il via alla parte finale della corsa. Accanto alla chiesa, c’è il Museo del Ghisallo (foto apertura archivio digitale Museo del Ghisallo), un posto magico per il ciclismo e per i suoi appassionati, potremmo definirlo un luogo di culto, al pari della chiesa che lo affianca.

L’interno del museo posto accanto alla chiesa della Madonna del Ghisallo (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)
L’interno del museo posto accanto alla chiesa della Madonna del Ghisallo (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)

16 anni di storie e leggende

«Nei primi anni ‘90 – ci racconta Antonio Molteni, presidente del museo del Ghisallo – un gruppo di persone appassionate di ciclismo, visto che nel santuario i lasciti non ci stavano più, ha deciso di costruire il museo. Grazie ai finanziamenti della Regione Lombardia siamo riusciti a costruire la struttura verso la fine degli anni ‘90. La nostra è stata una costruzione che è andata per passaggi, dopo la struttura siamo passati all’arredamento con le vetrine ed i vari cimeli».

«Il museo del Ghisallo – riprende a raccontare Molteni – è stato ufficialmente inaugurato il 14 ottobre del 2006. Pochi mesi prima, durante l’ultima tappa del Giro d’Italia di quell’anno, da Magreglio a Milano, ci fu il primo passaggio di una corsa. Anche se il museo non era ancora del tutto ultimato. La scelta di inaugurare la struttura il 14 ottobre non è casuale. Infatti, in quello stesso giorno del 1949, Papa Pio XII dichiarò la Madonna del Ghisallo la Santa protettrice dei ciclisti.

Continue donazioni

Il museo del Ghisallo è diventato, nel corso degli anni, un punto di riferimento di tutti i campioni che hanno corso e vinto per le strade di tutto il mondo.

«Negli anni il nostro museo – racconta dalla cima della salita che lo accoglie il presidente Molteni – si è ingrandito sempre più. Nonostante i due anni di Covid è rimasto vivo e vegeto e continua ad essere fonte di pellegrinaggio e donazioni. Oggi, Jan Ullrich, ha donato alla nostra collezione la bici con cui vinse il Tour de France 1997. In questi giorni, infatti, sulle strade del Giro di Lombardia, stanno girando le riprese di un film ispirato alla storia del campione tedesco».

«Abbiamo molti cimeli importantissimi, il nostro orgoglio sono le bici dei campioni: abbiamo quella con cui Coppi fece il record dell’Ora ed anche quella del mondiale di Baldini nel 1956. Uno dei pezzi più pregiati del nostro museo sono: la bici con cui Magni vinse il Tour de France nel 1949 e quella con cui vinse il Fiandre. Magni rimane l’unico corridore ad aver vinto per tre volte di fila il Giro delle Fiandre, conservare un cimelio del genere per noi è motivo di grande onore. Abbiamo anche tre bici appartenute ad Eddy Merckx, con una di queste vinse il Giro di Lombardia nel 1973».

Il Museo del Ghisallo contiene la più grande collezione di maglie rosa, l’ultima arrivata, quella di Hindley (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)
Il Museo del Ghisallo contiene la più grande collezione di maglie rosa (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)

Anche tante maglie

Dentro al museo del Ghisallo non ci sono solo bici, fedeli cavalli di ferro con i quali i campioni del passato hanno vinto gare eroiche ed emozionanti, ma anche tante magliette.

«Nelle nostre teche abbiamo anche tanti altri ricordi del mondo del ciclismo (riprende Molteni, ndr). Ben due magliette di campione del mondo di Coppi. Una ottenuta su pista nella disciplina dell’inseguimento individuale, l’altra conquistata su strada, ai mondiali di Lugano del 1953. La maglia di campione del mondo su pista la donò lo stesso Fausto ad un albergatore, suo grande tifoso, che lo ospitava quando si allenava al Velodromo Vigorelli. Successivamente fu poi donata al nostro museo. Disponiamo della più grossa collezione di maglie Rosa, l’ultima ci è stata portata proprio dallo stesso Hindley, il mercoledì dopo la vittoria del Giro a Verona».

Campioni recenti e tifosi

Jan Ullrich non è l’unico campione dei nostri giorni ad aver donato qualcosa al museo del Ghisallo. Tornando alla realtà, sulle strade del Lombardia, darà l’addio al ciclismo un grande campione dei nostri giorni: Nibali.

«Tornando a tempi più moderni – riprende il presidente del museo – abbiamo ricevuto in donazione anche la divisa con la quale Vincenzo Nibali vinse il Lombardia nel 2017. Gilbert (che saluterà anche lui il ciclismo domenica, ndr) ci ha regalato la divisa di campione del mondo conquistata nel 2012 sulle strade olandesi».

«Il nostro museo accoglie appassionati da tutto il mondo – precisa Molteni – nel 2019, ultimi dati utili pre-pandemia, abbiamo avuto ben 14.400 ingressi. Di cui la metà, 7.700, stranieri da ben 70 Paesi del mondo, pensate anche due ragazzi coreani. In questi giorni che precedono la Classica delle Foglie Morte, ospitiamo nel nostro parcheggio 4 camper di tifosi: due dal Belgio e due dalla Francia. Qui le camere sono piene da mesi! Speriamo di assistere ad una bella corsa, e di allargare ancora di più la nostra collezione».

Nella mattinata che anticipa il Giro di Lombardia Jan Ullrich ha donato al museo la bici con cui ha vinto il Tour nel 1997 (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)
Il venerdì che anticipa Il Lombardia Ullrich ha donato la bici con cui ha vinto il Tour nel 1997 (foto archivio digitale Museo del Ghisallo)

Eventi

Il museo del Ghisallo sostiene tanti eventi legati al mondo del ciclismo:

Il 16 ottobre a Gravedona, presso il Palazzo Gallio verranno portate delle bici in mostra.

Il 22-23 si disputerà sulle nostre strade “La Ghisallo” una ciclo-storica dedicata alle biciclette d’epoca. Sabato pomeriggio si svolgerà una cronoscalata a squadre al santuario. Domenica, invece, si terrà una pedalata di 50 chilometri.

Infine, il 29 verrà consegnato il Premio Torriani, un riconoscimento che viene dato a persone significative del mondo del ciclismo.