Inverso e polarizzato: come cambia l’allenamento? Parla Slongo

01.04.2022
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Lo aveva detto Visconti l’ultima volta che l’abbiamo incontrato: «Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo dell’allenamento di quantità, ora si fa tanta qualità».

Le sue parole si sono sommate all’osservazione di abitudini diverse. Il rendersi conto che quasi più nessuno fa le vecchie distanze di sette ore. E che sempre meno corridori alla vigilia di una corsa importante aggiungono ore o chilometri alle gare precedenti. L’eccezione ovviamente c’è sempre, dato che dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali (di 147 chilometri), Van der Poel se ne è tornato a Riccione in bicicletta (40 chilometri), per poi vincere a Waregem.

Dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali, Van der Poel ha allungato di 40 chilometri fino all’hotel
Dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali, Van der Poel è tornato in hotel in bici

Un limite alle ore

Di questo e delle nuove tendenze parliamo con Paolo Slongo, una vita con Vincenzo Nibali e ora nello staff della Trek-Segafredo (in apertura Pedersen e Stuyven ieri in allenamento sul percorso del Giro delle Fiandre). Il progresso di cui parla Visconti si è verificato tutto sommato in un periodo limitato che il trevigiano ha attraversato adattando le metodiche di lavoro.

«Ho sempre detto – spiega – che all’inizio della carriera magari fai un incremento progressivo di ore. Poi arrivi a sommare tante stagioni di professionismo, com’è stato per Visconti e Nibali e chi ha qualche anno sulle spalle, e non puoi aumentarle di tanto. Comunque più di 25-30 ore al massimo per settimana non riesci a farle. Così vai ad aumentare la qualità».

Vincenzo Nibali sta seguendo un avvicinamento al Giro coerente con quello delle stagioni precedenti
Nibali sta seguendo un avvicinamento al Giro coerente con quello delle stagioni precedenti
Mantenendo il tempo di allenamento?

Siccome quello resta uguale, aumenti la qualità. In teoria un bravo allenatore dovrebbe aumentarla gradualmente. Se l’anno scorso il corridore faceva dei volumi, quest’anno ne farà un po’ di più. Quindi devi avere sotto controllo tutti questi aspetti. Anche 10-15 anni fa c’era questa attenzione, ma era meno esasperata. Se l’atleta ha l’attitudine mentale di vivere per un po’ di anni solo per la bici, tra preparatori, alture e nutrizionisti, se è in grado di… esasperare il suo lavoro, riesce davvero a fare la differenza. Ci sono vari modi di interpretare le cose. Quello che cambia è altro.

Che cosa?

Si è passati dall’allenamento classico a qualcosa di diverso. Lo schema di una volta rimane ancora come scuola di pensiero: un allenamento graduale, sia di qualità che di quantità. Due-tre giorni di carico e uno di scarico. Due-tre settimane di carico e una di scarico. Oggi oltre a questo ci sono altre opzioni.

Quali? 

Ho letto che Van Aert fa l’allenamento inverso, nel senso che inizia proprio d’inverno a fare qualità senza aver una base di lavoro, che farà in un secondo tempo. E’ quello che ho visto fare lo scorso anno da Nibali, anche se non lo seguivo più. E poi c’è un terzo modo di allenarsi, più vicino alle squadre anglosassoni ed è quello polarizzato.

Nel corso del ritiro di Alicante, Van Aert ha raccontato il suo allenamento inverso
Nel corso del ritiro di Alicante, Van Aert ha raccontato il suo allenamento inverso
In cosa consiste?

Fanno una settimana di qualità o potete chiamarla anaerobica o di VO2Max, prevedendo un blocco di lavoro di soglia, fuori soglia o magari capita anche la gara che sarebbe l’ideale. Nelle due settimane restanti fanno tantissimo volume di lavoro, tante ore quasi senza riposi, lavorando prevalentemente su frequenze aerobiche. Fai tanta sella, tanto medio, tanto lungo, quindi un lavoro più blando. E poi ricominci allo stesso modo.

Perché questa divisione?

Partono dal presupposto che la parte aerobica inizi a perderla in due settimane, invece quella anaerobica la mantieni per più di tre. Quindi da una volta che si aveva l’allenamento classico un po’ per tutti, adesso ci sono queste possibilità. Vi dirò che l’allenamento inverso lo faceva già qualche russo o negli anni della DDR, è una cosa già vista. Invece il polarizzato è più recente e secondo me è nato prevalentemente col ciclismo inglese.

Sono schemi cui gli atleti si adattano tutti allo stesso modo?

Il punto è questo. Qua secondo me la differenza sta nella bravura di conoscere l’atleta e fargli il metodo su misura. Van Aert ha dichiarato di allenarsi al contrario degli altri con il programma inverso, che con lui funziona. Altri hanno provato lo scorso anno, ma non hanno raccolto i frutti sperati. Ognuno deve assecondare le sue caratteristiche, anche perché quel metodo a Van Aert probabilmente va bene perché d’inverno vuole essere già brillante per il ciclocross.

La preparazione polarizzata si è diffusa fra i team anglosassoni (foto Ineos Grenadiers)
La preparazione polarizzata si è diffusa fra i team anglosassoni (foto Ineos Grenadiers)
Il polarizzato può funzionare anche durante la stagione?

Per chi lo fa a livello professionistico, direi proprio di sì. Se uno fa per esempio la Coppi e Bartali e Larciano, che si possono considerare come una settimana di lavoro, nelle due settimane successive comunque starà tanto in sella. Magari senza grande intensità, però farà 25-30 ore a settimana, che vuol dire quasi 5 ore al giorno. Vige il principio che l’intensità l’hai acquisita, recuperi e ti resta. E magari a casa ti dedichi alla parte che tendi a perdere, quella più aerobica.

Come cambia la situazione se l’atleta è molto giovane?

Il principio resta uguale, ma per i carichi di lavoro farà meno di un corridore che ha 5 anni di più. Come ad esempio la Balsamo sta facendo meno della Longo Borghini, perché la Longo Borghini ogni anno ha aumentato di un po’. La Balsamo che è più giovane e ha un’altra storia, fa molto meno, ma fra 5 anni dovrà anche lei arrivare a volumi superiori.

Questi carichi minori non li rendono però meno performanti…

No, perché ci sono altri fattori. Innanzitutto non hanno problemi di peso, perché hanno un metabolismo più veloce che consuma di più e quindi magari il chilo lo perdi più facilmente o non lo prendi neanche. Secondo punto, riescono a essere brillanti subito, prima degli altri, con meno gare e meno volume di lavoro. Gli atleti maturi diventano un po’ più diesel, hanno bisogno di più allenamento.

La misurazione del lattato (qui al ritiro della Alpecin a Benicasim) resta una necessaria fase di valutazione
La misurazione del lattato (qui al ritiro della Alpecin a Benicasim) resta una necessaria fase di valutazione

Resta dunque nella soggettività il ragionamento sull’opportunità di introdurre cambiamenti nella propria preparazione dopo anni di scelte sempre uguali. Difficilmente l’atleta si stacca dallo schema che gli ha dato i risultati migliori, rinunciando forse con questo a esplorare aspetti che potrebbero essere ugualmente redditizi. Visconti aveva ragione, anche se adesso più che mai, in questo ciclismo così capillare, l’imperativo è personalizzare.