Parkpre Racing Team, una under 23 pronta a sfidare i “giganti”

08.02.2022
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Un team under 23. Uno di quelli tradizionali, ma con metodi moderni: preparatore, biomeccanico, manager, gare all’estero… La Parkpre Racing Team è “un filo che attraversa la Toscana”, dall’aretino al pisano, passando per il livornese, come vedremo. E’ affidata all’esperienza e alla passione di Francesco Ghiarè.

Da Fracor International a Parkpre Racing Team: un pezzo di storia del ciclismo toscano (foto Facebook)
Da Fracor International a Parkpre Racing Team: un pezzo di storia del ciclismo toscano (foto Facebook)

Alla corte di Ghiarè

Ghiarè, ex corridore classe 1980, e oggi diesse, in questo gruppo è di casa. Qui è cresciuto sia come atleta che come tecnico.

«Ho corso fino al 2005 con la Fracor – dice Ghiarè – poi nel 2007 ho iniziato a fare il direttore sportivo sempre in questo team e ci sono rimasto fino al 2019. Negli ultimi anni era cambiato il nome, sempre legato allo sponsor: Cervelo, Cinelli, ma eravamo sempre noi. Successivamente si era aperta la possibilità di finire nel famoso team Monti, che non ha mai preso vita, e alla fine sono finito alla D’Amico – Area Zero. Questo inverno c’è stata la possibilità di riprendere la mia ex squadra, eccoci».

Ex squadra la cui sede sociale è sempre ad Arezzo, ma quella reale è a Castelnuovo Val di Cecina, nel pisano.

«Eh sì, sindaco e vicesindaco sono appassionati di ciclismo e ci hanno accolto. Abbiamo dodici ragazzi: tre sono elite e quattro di primo anno. Sono tutti ragazzi che in passato hanno fatto bene.

«Qualcuno di loro, come Andrea Bruno, è stato anche in nazionale. Ha disputato le Olimpiadi giovanili. Ettore Loconsolo ha vinto un italiano di ciclocross, Riccardo Moro è stato alla Viris e Stefano Rizza arrivò sesto ad un Giro della Lunigiana».

Il team alle prese con le visite biomeccaniche
Il team alle prese con le visite biomeccaniche

Una U23 tra le continental

Come anche noi stessi abbiamo scritto, non è facile oggi per le under 23 farsi largo nel dilettantismo con le continental. In Italia poi queste sono ben 13. Servono le idee chiare su quel che si va a fare. E Ghiarè a quanto pare ce le ha eccome.

«E’ chiaro – continua Ghiarè – che i ragazzi sono attirati dalle continental e di conseguenza lì ci finisce la “crema” tra juniores e dilettanti. Possono sentirsi un pro’, correre con i pro’. E ci sono anche dei team under 23 che hanno alti budget. Ma questa forse è anche un po’ la nostra sfida, quella che ci dà motivazione. Noi abbiamo preso ragazzi che sono bravi, hanno dimostrato di essere forti ma che vogliono rilanciarsi dopo un paio di anni non facili».

«Io non ho nulla contro le continental – riprende il diesse della Parkpre Racing Team – purché siano fatte con criterio. Se fai sempre il calendario dilettantistico italiano che senso ha? Così come non ha senso buttare nella mischia dei professionisti un primo anno. Qualche volta sì, ma non sempre. Serve il giusto mix, tra il correre in Italia e all’estero. Le continental possono far salire l’asticella della categoria under 23, ma ripeto non devono fare solo attività dilettantistica, insomma non essere delle continental solo di nome».

Non solo Italia

Il Parkpre Racing Team punta forte sul calendario nazionale, chiaramente, ma non c’è solo quello. Per questo prima abbiamo detto che Ghiarè sembra avere le idee chiare.

«Abbiamo fatto richiesta di partecipazione a tutte le gare italiane più importanti, ma in primavera andremo anche all’estero: Adria e Krany, tra Slovenia e Croazia. Voglio che i ragazzi facciano queste esperienze, che saggino un ciclismo diverso da quello garibaldino delle nervose corse in Toscana, fatte di scatti e controscatti. E poi stiamo valutando anche una terza trasferta.

«Vediamo. Intanto partiamo a fine mese con la Firenze-Empoli e il Gp La Torre a seguire».

Ghiarè (a destra) con Capecchi, amici e da quest’anno anche collaboratori
Ghiarè (a destra) con Capecchi, amici e da quest’anno anche collaboratori

C’è anche Capecchi

Ghairè risponde mentre sono in ritiro, il terzo della stagione. Sono presso l’agriturismo Le Bricoccole, a Vada in provincia di Livorno (meglio non dirlo al sindaco pisano!).

«Ah, ah, ah… vero – ride Ghiarè – qui tra pisani e livornesi è “guerra” aperta. Siamo qui per lavorare, ma anche per completare la consegna del materiale, per ultimare le visite mediche. Con Tiziano Bertocci abbiamo fatto le ultime sessioni di biomeccanica e con Paolo Alberati abbiamo visto la preparazione. Paolo è anche il manager di alcuni ragazzi».

E poi c’è anche lo zampino di Eros Capecchi.

«Eros – conclude Ghiarè – ci dà una mano. Usciva sempre con un ragazzo di primo anno dei nostri dalle parti di Arezzo, lo conoscevo già e ho voluto coinvolgerlo. E’ già venuto in più occasioni e mi piace il fatto che possa dare il suo contributo di professionista esperto ai ragazzi. In più adesso sta prendendo la tessera da diesse e collabora con il settore giovanile del comitato regionale umbro. E poi è uomo immagine Parkpre Bycicle».

Garofoli, consigli a Ursella e Milesi passati al Team Dsm

30.01.2022
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«La scorsa stagione, la mia prima tra gli under 23, è stato un bell’anno alla fine, però già all’Avenir ho iniziato a pensare di cambiare. C’erano delle distanze culturali tra me e la squadra, se così si può dire. La scuola italiana è molto diversa dalla loro». Questa la frase che Gianmarco Garofoli ci ha detto nella sua prima intervista in maglia Astana Qazaqstan Development Team (foto Getty in apertura).

Allora ci è venuto in mente di capire cosa ci sia effettivamente di diverso tra Olanda e Italia. Gianmarco è stato un apripista. La sua avventura nel Team DSM Development, anche se durata solamente per un anno, è stata intensa e piena anche di bei momenti. Dopo di lui, altri due ragazzi italiani sono andati a correre in Olanda: Ursella e Milesi. Quali consigli può dargli il giovane marchigiano?

I primi mesi al Team DSM sono stati i più difficili per Gianmarco (foto Team Dsm)
I primi mesi al Team DSM sono stati i più difficili per Gianmarco (foto Team Dsm)

Un anno di maturazione

«Penso che alla fine sia stata una bellissima stagione, dal punto di vista umano e sportivo – dice Gianmarco – il Team DSM mi ha dato tanto. E’ stata un’esperienza che mi ha permesso di conoscere tutti i lati della mia personalità e mi ha fatto confrontare con un modo di vedere le cose differente dal mio».

Qual è stata la difficoltà più grande che hai incontrato?

Tre mesi senza mai tornare a casa, più gran parte della stagione. All’inizio pensavo: «Perchè sto qui ad allenarmi? Fa freddo, ci sono zero gradi, a casa ce ne sono 12». Io sono uno che se la squadra gli chiede di fare qualcosa lo fa e devo dire con il senno di poi che tutto ciò che ho fatto mi è servito tantissimo.

Andrea Garofoli ha vinto la seconda tappa al Giro Val d’Aosta 2021 con arrivo a Cervinia
Andrea Garofoli ha vinto la seconda tappa al Giro Val d’Aosta 2021 con arrivo a Cervinia
E’ un’esperienza che consiglieresti di fare?

Assolutamente sì, anche per uscire dalla propria routine, stare lontani da casa aiuta a crescere e maturare da diversi punti di vista. Il più importante è quello dell’approccio alle gare, io fino alla scorsa stagione mi ero rapportato con un solo modo di correre. Alla DSM ho imparato ad essere più metodico, non rinunciando alla mia vena creativa.

Avevi detto che la difficoltà più grande era legata alla lingua…

Sì, non parlando inglese mi sono dovuto adattare ed ambientare. E’ stato molto difficile all’inizio, con i diesse ed i compagni era complicato comunicare. Una difficoltà in più è quella del nutrizionista, avendo una dieta differente da quella mediterranea è stato complicato trovare un equilibrio. Loro basano la dieta su alimenti differenti, al posto della pasta mangiano le patate.

Hanno un carattere diverso dal nostro…

Sono più introversi, ma non bisogna farsi abbattere. Capiscono le esigenze e sono sempre aperti al confronto, anche se da alcune loro espressioni non sembrerebbe.

E per mangiare? Cucinavi da solo?

Non ho avuto problemi, anzi, appena i miei compagni hanno capito che ero bravo a cucinare venivano a bussare alla mia porta (ride di nuovo, ndr). Da bravo italiano ho esportato la nostra cucina in Olanda e loro hanno apprezzato molto.

Hai trovato qualche supermercato o ristorante italiano da consigliare a Ursella e Milesi?

No no, macché! Dai ristoranti “italiani” meglio stare alla larga, mi sono fatto la scorta di cibo prima di partire: pasta, passata di pomodoro, grana… Insomma le cose essenziali. Poi guardavo i tutorial su internet per imparare a cucinare gli alimenti che non sapevo fare. Direi che la tecnologia potrà dar loro una grande mano.

Come hai imparato l’inglese?

Imparato con tanta forza di volontà e voglia di mettermi in gioco, l’inglese scolastico non aiuta molto per affrontare un discorso. La cosa migliore è la pratica, essere curiosi, ed usare anche il correttore quando non ci si capisce (ride, ndr).

Gianmarco Garofoli ha corso il Tour de l’Avenir con la maglia azzurra, oltre a europei e mondiali
Gianmarco Garofoli ha corso il Tour de l’Avenir con la maglia azzurra, oltre a europei e mondiali
Cosa gli consiglieresti per combattere la solitudine?

Non la sconfiggi, impari a conviverci. Anche se sei con gli altri e sei in compagnia ti senti solo perché ti manca casa, ti mancano gli amici. E’ normale sentirsi solo, ma tutti i sacrifici ti danno maggiore motivazione, tutta la fatica che fai poi la trasformi in forza agonistica alle corse.

Alla fine di tutto sembrerebbe essere stata un’esperienza positiva…

Sì, se devo dare qualche consiglio a Milesi e Ursella è quello di non mollare e di resistere, devono mettersi in gioco e provare. Sicuramente ne trarranno dei benefici, i sacrifici da fare non sono pochi, ma valgono la pena. Penso sia parte di un cammino di crescita umana e sportiva. Io mi sento una persona ed un corridore diverso.

De Paolis: «La categoria under 23 è cambiata molto»

27.01.2022
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Si è parlato molte volte in questo periodo dell’argomento squadre continental e under 23 legato all’universo giovani ciclisti. Stefano Giuliani ci ha detto come gestisce la sua Giotti Victoria Savini-Due, squadra continental ma con ex professionisti in organico. Lo stesso ha fatto anche Matteo Provini della Petroli Firenze Hopplà, team under 23. Infine, chiamiamo a dire la sua anche Ivan De Paolis della Area Zero Proteam. Ivan ha fondato la squadra nel 2014, le cose sono cambiate negli anni, la sua è la più vecchia delle 13 continental italiane.

L’Area Zero Proteam è nata nel 2014, è la squadra continental più longeva d’Italia (foto Area Zero Proteam)
L’Area Zero Proteam è nata nel 2014, è la continental più longeva d’Italia (foto Area Zero Proteam)

Questione di numeri

«Nelle stagioni 2014 e 2015 correvamo solamente con i professionisti e l’età media dei nostri corridori era di 23 anni. Negli anni – spiega – questa si è abbassata notevolmente, basti pensare che nel 2020 era di 20,08, mentre la scorsa stagione di 20,83 (Ivan è un uomo ed un diesse molto attento ai numeri, ndr). Con l’abbassarsi dell’età media è cambiato anche il nostro approccio alle corse, dal 2016 in poi ho aperto il calendario a molte gare under 23».

Come mai?

I primi anni (2014 e 2015, ndr) lavoravamo anche con corridori di ritorno da sfortunate esperienze con le professional come Mosca (foto Area Zero Proteam in apertura) e Pasqualon. Con l’abbassarsi dell’età media, ci siamo accorti di come i ragazzi che affrontavano per la prima volta la categoria under 23 avessero bisogno di confrontarsi con i pari età.

Andrea Pasqualon, Gand-Wevelgem 2020
Andrea Pasqualon è stato il primo corridore rilanciato dall’Area Zero Proteam, nel 2014
Andrea Pasqualon, Gand-Wevelgem 2020
Andrea Pasqualon è stato il primo corridore rilanciato dall’Area Zero Proteam, nel 2014
Quindi avete aperto anche alle gare under 23.

Sì, nel 2016 ne ho messe solo 9 e tutte internazionali, come il Trofeo Piva o il Belvedere poi ho aperto anche a quelle regionali. Per un ragazzo di 20 anni non è possibile confrontarsi con i professionisti, rischi di non finire neanche la corsa. Ad onor del vero va detto che non ho sempre lavorato con corridori di primo piano…

Matteo Provini ha detto che questo modo di lavorare rischia di far sparire le squadre under 23…

Il vero cambio di rotta c’è stato quando Colpack Ballan e Zalf Euromobil Desirée Fior hanno fatto la squadra continental. Prima di quel momento i corridori non prendevano molto in considerazione questo genere di squadre. C’è modo e modo di fare le cose, noi abbiamo sempre fatto tutto in maniera graduale.

Jacopo Mosca è stato un altro corridore “rilanciato” da Ivan De Paolis, qui al Giro di Sicilia 2021
Jacopo Mosca è stato un altro corridore “rilanciato” da Ivan De Paolis, qui al Giro di Sicilia 2021
Prima ci si accorgeva se un corridore potesse fare questo lavoro nei dilettanti, ora lo si scopre tra i professionisti, infatti molti tornano indietro.

Le continental ora sono il termometro dello stato di salute del ciclismo italiano. Noi corriamo tre tipologie di gare: under 23, gare con squadre professional e gare con metà gruppo formato da WorldTour, come al Giro di Sicilia. In queste gare capisci se un corridore ha la stoffa e le qualità per fare bene tra i pro’.

Tu hai avuto tanti ragazzi nella tua squadra nel corso degli anni, cosa è cambiato maggiormente?

Devo dire che col passare del tempo è venuto sempre meno lo spirito di squadra, soprattutto nel 2020 e 2021. Infatti, nel ritiro che stiamo facendo in questi giorni ho optato per far stare i  ragazzi tutti insieme. 

Ci sono corridori che tornano nei dilettanti dopo brevi esperienze nel professionismo.

Mosca e Pasqualon sono quelli che ho avuto modo di vedere io, da quest’anno abbiamo preso anche Mattia Viel, reduce dall’esperienza in Androni (ora Drone Hopper Androni, ndr). Fa strano pensare che ha 26 anni e già stava per smettere. C’è da dire che la fretta ce l’ha imposta anche la società dove si vuole tutto e subito.

Mattia Viel dopo aver chiuso la sua esperienza all’Androni ha trovato spazio nella Area Zero Proteam, correrà su strada e gravel
Mattia Viel ha trovato spazio nella Area Zero Proteam, correrà su strada e gravel

Tutto e subito, con meno spirito di sacrificio

Si è sempre alla ricerca dei giovani campioni e questo porta corridori sempre più giovani tra i pro’. Sembra, però, che la vera fretta di cercare campioni ce l’abbiano le squadre professional, basti guardare l’esempio di Mosca e Pasqualon. Loro nelle professional sono stati scartati perché magari non erano dei corridori vincenti. Poi però una volta inseriti in un organico valido come quello di una squadra WorldTour sono diventati dei gregari di lusso.

«E’ una giusta considerazione – ci dice Ivan – anche se, a dire il vero, sono i ragazzi che non vogliono più fare i gregari. Sono pochi quelli che prendono in considerazione questo tipo di carriera, ma non possono vincere tutti e questo va ricordato. Nel ciclismo vince uno solo e la squadra forte si basa anche su gregari forti.

EDITORIALE / Juniores, U23, continental: il ciclismo all’italiana

24.01.2022
5 min
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C’è una gran confusione e ciò che stupisce è che chiunque venga interpellato offre della situazione un quadro differente. E’ tutto molto italiano, all’estero il problema neppure si pone. Il motivo è nella nostra storia secolare: lo stesso per cui a Roma non si può costruire una metropolitana senza incappare in ruderi che fermano i lavori e più in generale non si riesce a creare una rete di piste ciclabili, in città nate a misura di automobili. Nel ciclismo e nelle sue categorie è la stessa cosa. Si può scegliere di conservare oppure di buttare giù. Oppure semplicemente si può scegliere di fare le cose per bene.

«Le squadre continental in Italia – ha raccontato Matteo Provini – sono differenti dalle estere per un solo motivo: il numero di atleti pro’ che puoi tesserare. Da noi le continental ne possono avere al massimo due, all’estero non c’è un limite. Inizialmente queste squadre dovevano fare da cuscinetto tra il professionismo ed i dilettanti, un lavoro che svolge egregiamente la Giotti di Giuliani. Dovevano prendere corridori che per un motivo o per l’altro non erano riusciti a ritagliarsi lo spazio tra i pro’».

Far crescere i nostri

Ma quando mai? Le continental di seconda generazione (in apertura il CT Friuli) sono nate per dare un respiro e uno spessore maggiore alle squadre under 23 che per anni si erano arenate in una dimensione provinciale e in alcuni casi asfittica. Un’esigenza diventata urgente a fronte dei continui schiaffi che gli italiani prendevano nei contesti internazionali.

Questo non succedeva, tranne sporadiche eccezioni, perché gli azzurri corressero contro professionisti fatti e finiti, ma perché i coetanei delle continental straniere passavano l’anno misurandosi contro i professionisti. Dire che questo in prospettiva sia un bene è ancora un punto di domanda, ma di certo al momento di spingere sulle continental nessuno ha mai parlato di professionisti. Le poche squadre che continuavano e continuano a tesserarli galleggiano in un limbo strano. Le prime, nate ormai tanti anni fa, erano il modo di inseguire un professionismo a basso costo. Oggi la squadra di Giuliani si trova al centro del guado. Ha scelto da anni l’affiliazione in Romania per poter tesserare i professionisti che vuole e svolge il suo compito di restituire (forse) al ciclismo corridori che hanno smarrito la via, ma non lavora poi troppo nel senso dell’individuazione e lo sviluppo del talento.

La Colpack ha continuato in un calendario U23, ma ha proposto anche diverse esperienze tra i pro’
La Colpack ha continuato in un calendario U23, ma ha proposto anche diverse esperienze tra i pro’

Qualità o quantità?

Si può fare del gran ciclismo anche senza essere continental, questo deve essere chiaro. Fare però del gran ciclismo proponendo il confronto con i professionisti alza l’asticella. E questo, nel rispetto degli atleti, è innegabile. Secondo noi far debuttare un U23 di primo anno a Laigueglia e Larciano non è cosa corretta.

«Ci sono delle continental meno attrezzate di noi – prosegue Provini, diesse della Petroli Firenze – che vanno alle gare senza meccanico o massaggiatore. Noi ai ritiri abbiamo tutto lo staff al completo: massaggiatori, diesse, preparatori ed anche uno chef».

Questo è vero. Lo stesso Ruggero Cazzaniga, vicepresidente della FCI e primo sostenitore della spinta continental, si è reso conto che il numero di tali squadre probabilmente sia cresciuto troppo senza che ce ne sia la qualità. Si cresce bene anche nelle squadre under 23, a patto però che si lavori nel modo giusto, smettendo di propugnare teorie di allenamento e alimentazione ferme agli anni 80. Sarà anche per questo che i manager delle squadre pro’ vanno a fare… la spesa negli juniores?

Anche la Zalf Fior è infine diventata continental: la squadra nel 2021 alla Per Sempre Alfredo
Anche la Zalf Fior è infine diventata continental

La malattia juniores

«Siamo appena tornati dalla Spagna dove abbiamo fatto il giro di atleti e team manager – ci scrive un procuratore – sono tutti d’accordo sulla malattia degli juniores. Però continuano a farlo e a prenderli. Non guardano nemmeno bene chi siano, basta che siano juniores. Perché sennò magari arriva qualcun altro e li fa firmare».

Cosa c’è dietro questa… malattia, oltre all’ansia di pescare il nuovo Evenepoel? C’è probabilmente la sensazione che, fatte salve poche realtà, in queste squadre under 23, siano esse continental o vecchia maniera, i corridori vengano gestiti senza prospettive ben definite. L’attività possibile con i professionisti in Italia è risicata e ben poche di queste squadre hanno il budget e l’intenzione di andare all’estero. La continental ben fatta accelera i tempi, altrimenti non dà particolari vantaggi. Certo, si potrebbe far firmare il ragazzo in anticipo e concordarne la gestione, ma questo è un tasto che difficilmente (purtroppo) si riesce a suonare.

Pogacar, qui terzo agli europei 2016 juniores ha corso per due anni in un continental slovena prima di andare alla UAE
Pogacar, qui terzo agli europei 2016 juniores ha corso per due anni in un continental slovena prima di andare alla UAE

Il rischio di arenarsi

Le parole di Lorenzo Germani sul fatto che in Francia i corridori della continental siano assunti come professionisti sgombra il quadro da ogni dubbio. Chiaro che avere dietro un team WorldTour semplifichi parecchio la vita, ma quanti di coloro che oggi gestiscono una continental sarebbero in grado di garantire questo tipo di assunzione?

Basterebbe imporre delle regole chiare per scremarne il numero. E poi lavorare in modo serio. La Lotto Soudal Development non è continental, eppure fa un gran bel ciclismo. Anche Provini fa degnamente la sua parte. Possiamo dire la stessa cosa per tutti? Oppure se ci mettessimo a scavare prima o poi troveremmo qualche rudere e saremmo costretti a fermarci?

Intanto siamo ripartiti dalla Spagna con la vittoria di Lonardi, grande velocista fra gli under 23 e poi lasciato scivolare verso l’uscita nei tre anni successivi. La Eolo-Kometa ci ha creduto. Chissà cosa penseranno quelli che lo avevano già archiviato…

Provini: «Le squadre U23 spariranno e la FCI non ci tutela»

22.01.2022
4 min
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Continua il nostro viaggio tra i dilettanti, le parole di Oscar Gatto in una nostra recente intervista ci hanno fornito un bello spunto: «Un secondo problema sono le squadre continental – aveva detto Oscar – ce ne sono davvero tante ed accelerano anche loro il processo di crescita dei giovani».

Pensandoci bene le squadre continental sono tante e portano via corridori a quelle under 23, ma dove finiremo? La domanda la poniamo a Matteo Provini, diesse della Petroli Firenze Hopplà.

«Le squadre continental in Italia sono differenti dalle estere per un solo motivo: il numero di atleti pro’ che puoi tesserare. Da noi le continental ne possono avere al massimo due, all’estero non c’è un limite. Inizialmente queste squadre dovevano fare da cuscinetto tra il professionismo ed i dilettanti, un lavoro che svolge egregiamente la Giotti di Giuliani. Dovevano prendere corridori che per un motivo o per l’altro non erano riusciti a ritagliarsi lo spazio tra i pro’».

Matteo Provini con Orlando Maini, in una foto del 2018 quando erano entrambi alla Petroli Firenze-Hopplà (foto Scanferla)
Provini in una foto del 2018 con la… maglia Petroli Firenze-Hopplà (foto Scanferla)
Ora però sono tante ed hanno molti corridori, anche under 23.

Sono diventate uno specchio per le allodole, promettono di correre con i pro’ ma quante gare fanno effettivamente con loro? Vi rispondo io: poche. Che senso ha fare due gare con i pro’ ed il resto della stagione a fare gare con i dilettanti, cosa imparano i ragazzi?

Si pensa di avere più occasioni per mettersi in mostra…

Se uno va forte lo fa anche alla Petroli Firenze Hopplà. Io ho lanciato più di venti corridori nel professionismo: Vlasov, Sobrero, Ganna, Marezcko… e tutti si sono messi in mostra con una squadra under 23. E’ diverso se una squadra WorldTour fa la continental.

Il team Petroli Firenze-Hopplà festeggia la vittoria di Nencini alla Firenze-Empoli
Il team Petroli Firenze-Hopplà festeggia la vittoria di Nencini alla Firenze-Empoli
Come mai?

Perché loro prendono corridori che ritengono interessanti, ma non ancora pronti a correre con i pro’ e li fanno crescere in una squadra strutturata. Ci sono delle continental meno attrezzate di noi, che vanno alle gare senza meccanico o massaggiatore. Noi ai ritiri abbiamo tutto lo staff al completo: massaggiatori, diesse, preparatori ed anche uno chef.

Non tutte le squadre under 23 però sono così attrezzate…

Vero, e qui si deve fare un’autocritica. Non ci si può lamentare che ti rubano i corridori e poi ci si presenta con lo stesso staff di 20 anni fa.

Le squadre continental saranno anche uno specchio per le allodole ma qualcuno ce le ha fatte diventare.

Infatti io non ce l’ho con loro, chi ha una squadra è un imprenditore e deve seguire le leggi del mercato. Ci dovrebbe essere qualcuno che dall’alto tenga tutto in ordine: la Federazione Ma qui al posto che progredire si è tornati indietro.

Spiegati meglio.

La nostra squadra quest’anno in classifica nazionale era quarta, ci sono 13 continental, sono finite tutte dietro. Ci dovrebbe essere più meritocrazia, anche perché i ragazzi sono attratti dal nome e dicono «Vado in tale squadra perché vinco». Bisogna anche ricordarsi che sono i corridori a vincere, non le squadre. Un’altra cosa: una volta per passare pro’ c’era una graduatoria e passavano corridori con 150-160 punti, ora passano ragazzi con 40.

La colpa però è di chi permette tutto questo: procuratori, squadre, Federazione, anche i genitori…

Si va a cercare il fenomeno negli junior facendolo passare pro,’ ma come fai a scommettere su un ragazzo così giovane? Però lui giustamente vuole andare in quelle squadre perché è attirato dal nome, dovrebbe essere chi gli sta accanto a consigliarlo in maniera saggia.

Luca Pacioni, Matteo Provini
Matteo Provini con Luca Pacioni che quest’anno è rimasto senza squadra (foto Scanferla)
Luca Pacioni, Matteo Provini
Matteo Provini con Luca Pacioni che quest’anno è rimasto senza squadra (foto Scanferla)
La saggezza è un lusso di questi tempi.

Vero. Di questo passo le squadre under 23 rischiano di sparire, e dove andranno a prendere i corridori le continental?

Ci siamo già risposti prima a questa domanda, tra gli junior…

Ditemi voi se questo è il modo di far lavorare i ragazzi. Poi tra gli junior ci sono troppe variabili: lo sviluppo, la scuola… Che ne sappiamo se un corridore fa più fatica ad emergere da junior perché pensa a finire bene la scuola?

Così rischiamo che i ragazzi trascurino la scuola per concentrarsi sulla bici e la fanno diventare un lavoro, ma a 17 anni il ciclismo dovrebbe essere un divertimento.

Ritornare alle classifiche per decidere quali corridori possono passare pro’ sarebbe la soluzione?

In realtà io metterei anche una classifica per le squadre, come fa l’UCI per le WorldTour, se non ottieni risultati rischi di perdere la categoria, vedi la Cofidis. Non è giusto che si possa creare la squadra continental solamente pagando, si dovrebbe meritare tale titolo.

Il grido di Monaco: «Non siamo macchine, aspettateci!»

21.01.2022
4 min
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«Dicono che il movimento ciclistico italiano – inizia subito con verve la nostra chiacchierata con Alessandro Monaco – corra a rilento, ma non è così».

Si è chiusa la sua parentesi in Bardiani-CSF dopo solamente due stagioni (2020 e 2021, ndr), ora riparte con la Giotti Victoria di Giuliani. «Si è persa la pazienza di far maturare i giovani corridori, non parlo solamente di me. I ragazzi ci sono, basta pensare a quelli che hanno corso con me il mondiale di Innsbruck nel 2018 (foto di apertura): Bagioli, Covi, Battistella e Fedeli, più Affini e Sobrero che hanno fatto parte del gruppo squadra fino all’ultimo».

Monaco e Lonardi durante un ritiro con la Bardiani nel febbraio del 2021
Monaco e Lonardi durante un ritiro con la Bardiani nel febbraio del 2021

Un percorso ad ostacoli

«La mia avventura tra i professionisti – spiega – è iniziata nel 2020 e con la pandemia ho corso solamente due mesi. Nel 2021, invece, mi sono preso il Covid, penso nel viaggio di ritorno dalla Vuelta al Tachira. E’ stata una brutta esperienza che mi ha condizionato molto. Mi sono fermato completamente per 10 giorni, ma per un paio di mesi sono stato perennemente stanco ed affaticato. 

«Mi sarebbe piaciuto fare un terzo anno da professionista, questa volta intero, senza impedimenti, ma purtroppo non è stato così. Ognuno fa le sue scelte, io con i diesse e lo staff della Bardiani sono comunque rimasto in buoni rapporti».

Da under 23 hai corso 3 stagioni sempre ad alto livello…

Sì, al primo anno ho fatto subito bene al Giro d’Italia under 23 e quello della Valle d’Aosta, finendo sesto e settimo nella classifica dei giovani. Al Valle d’Aosta sono arrivato anche terzo in una tappa. 

Nelle due stagioni successive hai corso molto anche con la nazionale, arrivando a disputare il mondiale nel 2018, come ci hai detto prima.

Mi sono sempre mantenuto costante nei risultati entrando spesso nei dieci e questo mi ha permesso di indossare anche la maglia azzurra. Con Amadori ho corso molto tra il 2018 e il 2019: Tour of the Alps, Corsa della Pace, il Tour de l’Avenir e anche qualche altra gara in preparazione ai mondiali.

Monaco ha corso due stagioni in maglia Bardiani, qui alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali
Monaco ha corso due stagioni in maglia Bardiani
Li hai nominati prima i tuoi compagni al mondiale di Innsbruck (Bagioli, Covi, Battistella…) loro ora sono in squadre WorldTour, cosa ti è mancato per raggiungere il loro livello?

Io sono molto autocritico con me stesso, se loro ora sono a quel livello ed io no un motivo c’è. Alla fine di tutto mi è mancata la vittoria, sono un corridore che ha vinto poco anche da under, infatti io sono andato alla Bardiani e loro in squadre WorldTour. Quel che però voglio dire è che io sono sempre stato costante ed i numeri li ho fatti vedere…

Alessandro Monaco si è piazzato undicesimo in classifica generale al Giro d’Italia under 23 del 2019 (foto Scanferla)
Monaco è stato 11°al Giro d’Italia under 23 del 2019 (foto Scanferla)
Adesso c’è tanta fretta nel cercare i giovani campioni e come dici anche tu manca pazienza.

Quello che devono capire è che non siamo dei robot o delle macchine, ma esseri umani e che soprattutto non siamo tutti uguali. Anche Bagioli e Covi sono stati messi in dubbio qualche volta… Guardate che Bagioli è davvero forte, quello tra due anni vince il Giro d’Italia. Io non mi voglio paragonare a loro, ci mancherebbe, altrimenti non sarei dove sono ora. Allo stesso tempo non mi sento neanche di definirmi un “bocciato”, come si può bocciare un corridore che non ha avuto occasioni?

I corridori nati tra il ‘97 ed il ‘98 sono quelli che hanno subito più danni dal Covid.

Per un anno non si è corso, ma le squadre di questo non si sono curate. I contratti sono stati trattati come se la stagione 2020 fosse stata normale. Basti guardare a chi come me è tornato nei dilettanti (Francesco Romano, Nicolas Dalla Valle, Nicola Venchiarutti, ndr). E pensate che ci sono tanti altri che l’occasione di passare non l’hanno nemmeno avuta…

Giovani e un ciclismo che corre veloce: le parole di Gatto

11.01.2022
4 min
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Parlando con Ilario Contessa, diesse del team Work Service, si è toccato, inevitabilmente, il tema degli under 23. Lo stesso Contessa nell’intervista ha detto delle parole che abbiamo voluto approfondire: «Quando io sono passato under, i corridori che entravano nel mondo del professionismo erano gli elite. Poi è arrivata la generazione tra l’85 e l’86 e anche molti di loro sono passati professionisti giovani».

Una considerazione importante in quanto lo stesso diesse ritiene che l’andare a ricercare corridori giovani sia una cosa ciclica. Tra i corridori di quegli anni c’era Oscar Gatto, ritiratosi a fine 2020 a 35 anni dopo 14 stagioni corse nei professionisti, più lo stage nel 2006 con la LPR Brakes Farnese Vini.

Dopo la Gerolsteiner Oscar Gatto ha trovato una seconda occasione alla LPR Brakes Farnese Vini, dove ha ottenuto la prima vittoria in carriera
Dopo la Gerolsteiner Oscar Gatto ha trovato una seconda occasione alla LPR Brakes Farnese Vini

Oscar non segue molto il ciclismo, ci confessa, è entrato nel mondo dell’edilizia e si gode i suoi due figli (che creano una bella e rumorosa cornice alle sue parole).

«E’ un bell’argomento da approfondire – inizia Oscar – anche se non basterebbe un’intervista per sviscerarlo tutto. Quando correvo io negli under 23 si passava leggermente più tardi, solo Pozzato e Agnoli sono passati quasi da junior, ma erano delle mosche bianche».

Sembra esserci una corsa spasmodica ai giovani di talento.

Molti ragazzi passano professionisti e non lo meriterebbero perché non hanno ottenuto dei risultati degni di nota. Io sono passato pro’ con 26 vittorie nelle tre stagioni da under, questo vuol dire continuità di rendimento e risultati. Poi lo sapete meglio di me quanto è difficile confermarsi nei professionisti.

Adesso passano atleti che hanno vinto una o due corse.

E’ brutto da dire ma prima di dire: «Poverino non gli hanno dato spazio», dovremmo guardare cosa ha fatto nelle categorie precedenti… Se si vuole correre bisogna meritarselo, altrimenti è brutto da dire ma si cambia lavoro.

I ragazzi però vivono con il sogno del professionismo: lottano e ci credono per ottenerlo, forse, il problema sono le persone che li “illudono” di poterci stare?

Vero anche questo, se passano pro’ c’è qualcuno che ce li manda e bisognerebbe interrogarsi sul perché.

Alessandro Ballan e Oscar Gatto, in un’immagine del marzo 2008, prima dei mondiali di Varese
Alessandro Ballan e Oscar Gatto, in un’immagine del marzo 2008, prima dei mondiali di Varese

I procuratori spesso, come abbiamo avuto modo di leggere, mandano ragazzi che non ritengono pronti. In questi casi le squadre si trovano con atleti che non sono all’altezza, in altri casi però, sono i team che cercano addirittura tra gli junior per accaparrarsi il fenomeno. Anche se questa parola dovrebbe sottolineare che si tratta di un caso raro, di un’eccezione.

«Il mondo di oggi, non solo nel ciclismo – continua Oscar Gatto – corre a mille all’ora. Non hai il tempo di sbagliare e se lo fai sei fuori. Mi sono reso conto ancor di più di ciò ora che sono nel mondo “reale”».

Una delle grandi differenze con la tua generazione quale può essere?

La pazienza. Io sono passato professionista con la Gerolsteiner e i primi anni non avevo pressioni, nulla. Questo mi ha anche permesso di sbagliare e di fare delle sciocchezze che forse ora avrei pagato a più caro prezzo.

Un’altra differenza?

Beh i soldi. Per mettere insieme una squadra World Tour ci volevano una quindicina di milioni, ora il doppio o quasi. Le squadre sono diventate delle aziende e devono tutelare i loro investimenti, quindi, se ottieni risultati rimani, altrimenti no.

Le squadre continental sono sempre di più, questo rischia di far scomparire i team under 23?
Le squadre continental sono sempre di più, questo rischia di far scomparire i team under 23?

Serve fare un passo indietro

Questo modo di pensare non permette ai giovani di sbagliare ed imparare e di correre, forse, con più timore e meno spirito “avventuriero”. Si potrebbe dire che sia anche un controsenso: la categoria under 23 è fatta per imparare e sbagliare, contrariamente, se un corridore viene portato troppo presto tra i pro’ rischia di appassire. D’altronde prima di travasare una pianta in un terreno più arido bisogna prima prendersene cura e aspettare che le radici siano forti e robuste, altrimenti appassirà.

«Un secondo problema sono le squadre continental – riprende Oscar – ce ne sono davvero tante ed accelerano anche loro il processo di crescita dei giovani. Non è più possibile fare un percorso “lineare” con due o tre anni in una squadra under 23 e poi in una continental. Queste squadre ti danno la possibilità di correre delle gare con i professionisti e questo crea un grande divario. Pensate ad un ragazzo che corre il Poggiana o la San Geo ed uno che ha già corso alla Coppi e Bartali, è ovvio che il secondo ha una gamba ed un ritmo diversi. Come detto prima, è un mondo che corre veloce e non è facile stargli dietro…».

Il mondo corre sì veloce, ma chi lo fa andare così sono le persone… la Terra per fare un giro intorno al Sole ci impiega sempre lo stesso tempo, è l’uomo che vuole tutto e subito.

Giovani promesse, che fatica confermarsi

09.12.2021
5 min
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Il mondo dei professionisti corre veloce, in tutti i sensi. I corridori sono sempre più preparati e le squadre sono alla continua ricerca dei giovani talenti. Non sempre però i ragazzi sono pronti per il grande salto dal mondo under 23 a quello dei pro’. Ormai è diventato normale vedere ragazzi diventare professionisti alla fine del secondo anno da under.

Non è però semplice emergere e per uno che ci riesce sono molti i ragazzi che a causa del loro passaggio prematuro rischiano di perdersi. Potrebbe essere il caso di Daniel Savini, fino al 2021 della Bardiani-CSF-Faizanè. Con la squadra di Reverberi è passato professionista molto giovane, nel 2018, a 20 anni. Dopo quattro stagioni, il suo percorso con la Bardiani si è concluso, abbiamo voluto parlare con Leonardo Scarselli, suo diesse alla Maltinti, che non era favorevole al suo passaggio nei professionisti così presto.

Leonardo Scarselli, diesse della Maltinti è passato pro’ a 25 anni, per gli standard moderni sarebbe stato considerato “vecchio”
Leonardo Scarselli, diesse della Maltinti è passato pro’ a 25 anni
Come mai non ritenevi che Daniel fosse pronto per il mondo dei pro’?

Io avevo espresso la mia opinione basata su quel che vedevo. Daniel a livello di numeri espressi era uno dei migliori corridori in gruppo, era nell’orbita della nazionale e gli veniva tutto semplice. Ha avuto una carriera a livello giovanile agevole, grazie alle sue grandi doti è sempre riuscito a fare bene.

Quindi quali erano i tuoi dubbi?

Non lo ritenevo pronto a livello mentale. Nonostante i risultati non era concentrato sulla bici e su quel che è la vita da atleta. Commetteva dei piccoli errori che a livello dilettantistico non paghi, ma quando passi professionista certe cose sono date per scontate e non puoi sbagliarle.

Errori di gioventù, ma come avrebbe potuto evitarli?

Non li eviti, sono parte della maturazione atletica, mentale e psicologica del corridore. Quando correva con me ebbi un colloquio con Zanatta, diesse della Bardiani. Gli dissi che Daniel andava seguito da vicino per farlo rendere al massimo, ma nei professionisti non funziona così. In quella categoria sei un numero. Se vai forte bene, altrimenti ne prendono un altro…

Fondamenta poco solide

Accantoniamo la situazione di Daniel e parliamo del movimento dei giovani con Leonardo Scarselli. Il suo ruolo gli ha permesso di vedere tanti ragazzi e di capire come, negli ultimi anni, il movimento ciclistico si sia mosso per tutelarli, o meno.

Anche nella categoria juniores si guarda al risultato esasperando così la crescita dei corridori
Negli juniores si guarda al risultato esasperando così la crescita dei corridori

«Come ho detto prima: non è una questione atletica – dice Leonardo Scarselli – i ragazzi possono esprimere anche ottimi valori, ma senza la maturazione corretta non possono ritagliarsi il loro spazio nei professionisti. Il problema è che una volta emersa un’eccellenza, come Evenepoel, si va tutti alla loro ricerca ma se si usa questa parola ci sarà un motivo».

Cosa bisognerebbe fare per tutelare i corridori?

Intanto smetterla di cercare il prodigio, ma il problema è ben più radicato…

Ci spieghi.

Le squadre non tutelano più i ragazzi, già dalla categoria juniores si guarda al risultato. Negli altri Paesi, da dove escono i corridori giovani e pronti sia fisicamente che mentalmente non fanno così. Si fa una scuola di ciclismo, insegnano a guidare il mezzo, magari facendo la doppia disciplina. Impari a stare in gruppo, ad alimentarti, a leggere la corsa… e poi ti fanno sbagliare.

Ormai si pensa che a 22-23 anni un ragazzo sia “vecchio”.

Questa cosa mi fa ridere, un corridore a 23 anni non può essere considerato vecchio. Nelle corse c’è sempre stata la classifica per i giovani (ragazzi fino ai 25 anni, ndr), ci sarà un motivo. La categoria under 23 prevede 4 anni di militanza perché si è sempre pensato che sia il periodo giusto per crescere ed i motivi sono tanti.

Quali?

Come prima cosa puoi sbagliare, se accorci i tempi gli errori concessi diminuiscono. L’under 23 è la categoria dove si impara di più sulle dinamiche di corsa e allenamento. Come detto prima, da juniores se uno va forte ed è un… mascalzone la può fare franca, ma da under 23 i primi nodi vengono al pettine. Però se invece avere 4 anni per imparare ne hai 2, il discorso va in frantumi.

Daniel Savini ha corso una sola stagione alla Maltinti nel suo secondo anno da under 23, prima del passaggio in Bardiani
Daniel Savini ha corso una sola stagione alla Maltinti
E le squadre cosa devono fare?

I casi sono due: se si continua ad abbassare l’età media dei neoprofessionisti, allora bisogna che le squadre si facciano carico della loro crescita. Li devi seguire da vicino, stare con il fiato sul collo e così li aiuti. Non si inventa nulla di nuovo, è quello che abbiamo sempre fatto noi diesse negli under 23.

Il secondo caso?

Si smette questa rincorsa folle al giovane prodigio e si lasciano in pace i ragazzi. Anche se il mondo cambia e le continental sono sempre di più. Anche loro non aiutano molto…

In che senso?

Non sono contrario alle continental, ma sono state create con le motivazioni sbagliate. Vogliono accaparrarsi i migliori corridori under 23 con la promessa di correre gare con i pro’. Ma le corse a cui vengono invitate sono limitate e poi va a finire che ce le ritroviamo a correre nelle gare regionali o nazionali con noi. In questo modo vincono sempre loro e le squadre under 23 spariranno.

Se vincono sempre loro…

Esatto, cosa spinge uno sponsor a fare una squadra di under 23 se poi alla fine vincono sempre le stesse?

Allora che bisogna fare?

Le continental fanno il loro lavoro, ma allora si crei un calendario adatto alle possibilità che hanno, con gare internazionali. Così si tutela il movimento ciclistico in tutte le fasce.

Casarotto 1998

Casarotto e l’anno che il ciclismo cambiò

23.11.2021
5 min
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Era il 25 aprile 1996. Sembra strano dirlo a oltre 25 anni da quel giorno, quando tutto cominciò. Nessuno poteva aspettarsi che quell’edizione, la cinquantunesima del Gran Premio Liberazione avrebbe anticipato il cambiamento che successivamente avrebbe investito il ciclismo moderno. I professionisti che correvano fra i dilettanti: oggi la regola, allora una novità. La Federazione mondiale aveva lanciato la categoria degli under 23 ed Eugenio Bomboni, organizzatore della gara nel circuito delle Terme di Caracalla a Roma, andò contro corrente e decise che era arrivato il momento di aprire la corsa ai professionisti e la mise in calendario come open.

Open: pro’ e dilettanti insieme

Non aderirono in tanti, se si pensa che fra le 60 squadre partecipanti per un totale di 240 concorrenti, i corridori con in tasca un contratto firmato erano appena 13. Eppure fu evidente sin dalle prime battute che qualcosa era cambiato. Quella corsa la vinse in maniera rocambolesca Davide Casarotto, 25 anni allora, che da lì sviluppò una carriera arrivata tra i professionisti fino al 2002 con un totale di 8 vittorie e che poi è rimasto nell’ambiente come tecnico alla Breganze Millennium, ma che quel giorno lo ricorda ancora come se fosse ieri.

«Io avevo già partecipato al Liberazione l’anno prima – ricorda il vicentino – ma quel giorno sentivo che le cose erano ben diverse. Avevo già gareggiato fra i professionisti, sentivo che avevo altre gambe, più potenti. Era il primo anno della rivoluzione, le gare dilettantistiche potevano aprirsi ai professionisti. In realtà non furono tante a farlo, ma il Liberazione era una di queste. Non era una gara qualsiasi, per un dilettante era “la” gara. Pressoché impossibile da controllare con quei numeri di partecipazione e quel circuito di 5,4 chilometri che dovevi affrontare ben 23 volte».

Liberazione Piramide
Il percorso del Liberazione è tanto affascinante quanto difficile, favorevole ai colpi di mano
Liberazione Piramide
Il percorso del Liberazione è tanto affascinante quanto difficile, favorevole ai colpi di mano

La grande scuola della Scrigno

Rileggendo le cronache dell’epoca, Roma accolse la carovana del Liberazione con una mattinata imbronciata. Aveva piovuto fino a mezz’ora prima del via e le strade erano viscide, figurarsi i famosi sampietrini che costellavano parte del circuito.

Casarotto, con 4 vittorie nell’anno precedente in maglia Fis-Parolin, si era guadagnato il passaggio di categoria alla Scrigno-Gaerne di Bruno Reverberi e Enrico Paolini: “Una scuola che concede spazio ai giovani – scrisse al tempo Gino Sala su L’Unità, il giornale che da sempre sosteneva la manifestazione – dove tutti sono capitani e tutti sono gregari, dove si può crescere senza assilli, dove la parola d’ordine è dare il meglio di se stessi coi metodi fondamentali del ciclismo: osare per imparare per crescere con l’arma del coraggio e della fantasia”.

A rileggere oggi quelle parole, in un’epoca dove il ciclismo consuma tutto e subito, sembra preistoria, anche se Reverberi (gliene va dato atto) la sua ricetta non l’ha mai cambiata.

«Eravamo in 4 a gareggiare – ricorda Casarotto – Rossato con cui avevo condiviso tutto sin da dilettante, Conte, Guidi ed io. Tutti abbiamo avuto una proficua carriera fra i pro’ e poi come tecnici. L’anno prima avevo corso per aiutare Rossato, ma quell’anno la corsa si mise in modo da favorire me. Ero al top, avevo fatto la Tirreno-Adriatico e portato a termine la Milano-Sanremo e quelle fatiche mi avevano dato una condizione super. I pro’ non erano tanti perché nello stesso giorno c’era il Giro dell’Appennino. Le squadre italiane avevano preferito andare sul sicuro, sapendo che il Liberazione era una lotteria».

Bomboni Troiani
Dopo il Liberazione scattava il Giro delle Regioni: qui Battaglin sul podio del 2010. A sinistra il patron Eugenio Bomboni
Bomboni Troiani
Dopo il Liberazione scattava il Giro delle Regioni: qui Battaglin nel 2010o. A sinistra, Bomboni

Abdujaparov rimase nelle retrovie

Il terreno viscido fece vittime, già all’inizio una maxicaduta favorì la fuga. Pochi avrebbero pensato che già all’inizio il Liberazione si sarebbe parzialmente deciso. Quella fuga con Montanari, Zattoni, Moreni e Casarotto sarebbe andata in qualche modo in porto. Ma per Casarotto non fu tutto semplice.

I quattro avevano guadagnato un vantaggio enorme, quando superi i 5 minuti su quel percorso significa quasi essere vicini al doppiaggio, che avrebbe reso pressoché impossibile il lavoro dei contagiri. Non che il gruppo non avesse provato a reagire, ma si era spezzato in più tronconi. In fondo era rimasto il favorito della vigilia, l’uzbeko Abdujaparov dalla volata mortale, ma senza compagni di squadra in grado di aiutarlo. Casarotto collaborava con gli altri, ma a un certo punto dovette pagare pegno.

Una caduta, una ferita alla gamba destra, ma con l’adrenalina che scorreva in corpo era il meno. Il fatto era che il suo telaio era spezzato in due e a guardarlo un brivido scorse lungo la sua schiena. Non c’era tempo per pensarci, Casarotto risalì sulla seconda bici e si lanciò all’inseguimento.

Albanese Liberazione 2016
Il podio dell’edizione 2016 vinta da Vincenzo Albanese, uno dei tanti ora nei pro’
Albanese Liberazione 2016
Il podio dell’edizione 2016 vinta da Vincenzo Albanese, uno dei tanti ora nei pro’

La superiorità del più forte

Uno contro tre, ma certe volte è da questo che si vede la superiorità. Non solo il portacolori della Scrigno riprese gli avversari, ma con due scatti sbriciolò la loro resistenza, chiudendo primo con 9” su Montanari e 40” su Zattoni e Moreni. Gli altri ben più lontani, annichiliti dal portacolori di un vento nuovo che soffiava sul ciclismo e che presto avrebbe cancellato di fatto il mondo dei dilettanti.

«Quella vittoria è stata una delle emozioni più forti della mia vita – ricorda oggi Casarotto – il Liberazione al tempo era l’unica gara dilettantistica che veniva ripresa dalla Tv in diretta. La vedevo sempre e sognavo di vincerla un giorno, di entrare in un albo d’oro ricco di nomi prestigiosi. Fu un giorno straordinario e non lo dimenticherò mai».

Oggi il Liberazione, dopo essere passato di mano e essere stato fermo per due anni, sta cambiando pelle, ma resta la gara di riferimento per gli under 23, proprio la categoria che esordì nel 1996.

«Io dico che ci metterà poco a tornare agli antichi fasti – chiude Casarotto – Roma è un palcoscenico difficile, ma nessuno può avere il suo fascino. Guardate quel che è successo anche dopo, ha sempre vinto un corridore valido, da Goss che trionfò alla Sanremo a Trentin, da Albanese fino a Gazzoli primo quest’anno. Ho letto dei progetti che ha il nuovo organizzatore e sono sicuro che il Liberazione tornerà ad essere il vero mondiale di primavera».