Alfio Locatelli: «A 24 anni, troppo vecchio per passare»

04.06.2022
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Quanta dispersione di talenti c’è nel ciclismo italiano? Tanta, potremmo dire. Causata sia da U23 che vengono fatti passare troppo presto venendo poi bruciati, sia da ragazzi di 23 anni compiuti che vengono considerati già vecchi. Di Evenepoel ce n’è uno solo, così come di Ballan, che diventano pro’ al sesto anno da dilettante, non ne esistono più. Possibile che non ci sia una via di mezzo? Possibile che non ci sia la pazienza di aspettare la crescita fisiologica degli attuali giovani corridori?

«Si deve distinguere fra chi merita e chi no. Perché al contrario ci sono stati miei amici che meritavano e hanno smesso senza avere la possibilità». Le parole per nulla banali sui giovani espresse la settimana scorsa da Jacopo Mosca ci hanno dato ulteriori spunti di riflessione, oltre che a suggerirci il nome di Alfio Locatelli (nella foto di apertura assieme a Mosca dopo la vittoria della Firenze-Mare del 2015). Uno che, secondo il piemontese della Trek-Segafredo, sarebbe potuto stare tranquillamente in gruppo.

Locatelli nel 2012 corre per la Trevigiani. Qui esulta per la vittoria del GP Città di Felino
Locatelli nel 2012 corre per la Trevigiani. Qui esulta per la vittoria del GP Città di Felino

Il bergamasco di Sotto il Monte, classe ’90, che ha trascorso otto stagioni nei dilettanti, ce lo ricordiamo bene e la chiacchierata con lui non solo è stata l’occasione per sentire la sua opinione, ma anche per rinverdire tante memorie.

Alfio innanzitutto come stai?

Dopo aver smesso nel 2016, l’anno successivo mi sono trasferito in Brianza per lavoro. Ora vivo a Giussano e sono dipendente di un’azienda che produce cartoni per imballaggi e tovaglioli di carta. Sto studiando per diventare massaggiatore e, compatibilmente con gli impegni di lavoro, sono stato a fare un po’ di pratica con la formazione di Matteo Provini (il diesse della Hopplà Petroli Firenze, ndr), con cui sono rimasto in contatto.

Com’è il tuo rapporto col ciclismo?

Sereno, direi. Mi manca l’agonismo e il gruppo degli ex compagni. Ero sul Fedaia alla penultima tappa del Giro, a 3 chilometri dal traguardo, dove avevamo preparato il campari per Formolo (ride, sono stati compagni di squadra nel 2013, ndr), ma è passato a ruota di Carapaz e non ha potuto gustarselo. E pensate che proprio dove ero io, ho trovato Dal Col e Collodel, altri due miei compagni alla Trevigiani. Incredibile dopo tanti anni. Non mi manca invece il modo di fare un po’ falso di alcune persone che ancora orbitano nel ciclismo.

Sei stato nominato da Mosca come uno di quelli che avrebbe meritato di passare pro’. Che effetto ti fanno le sue parole?

Jacopo è un grande amico, abbiamo fatto tanti anni assieme. Sono contento di vederlo come uno dei migliori uomini della sua formazione e del gruppo in generale. Non è lì per caso. Lo ringrazio per il pensiero, mi ha fatto piacere. Con un pizzico di presunzione posso dire che sarei stato un buon gregario. Non avevo paura di prendere il vento in faccia o di andare all’attacco.

Tra i dilettanti hai ottenuto 9 vittorie, alcune importanti. Come mai non sei riuscito a passare?

Una serie di cose, penso. Qualcuno mi rimproverava di non essere costante ma io, anche nelle mie annate migliori, più di così non riuscivo a fare. Qualcuno invece ha riconosciuto che ho avuto avuto anche un po’ di sfortuna. I primi due anni da U23 li ho fatti tra la scuola ed il capire la categoria, poi a 24 anni sono stato giudicato vecchio da un procuratore a cui avevo chiesto aiuto, visto che io non ce l’avevo mai avuto.

E poi com’è andata?

Non l’ho presa bene quella “etichettatura”, sebbene sapessi che quel procuratore stava dicendo una cavolata. Non si può dire così ad un ragazzo che fa sacrifici e risultati, senza sapere nulla e senza contestualizzare. Infatti volevo smettere perché avevo capito che per me non ci sarebbero state altre possibilità. Ho fatto altri due anni con la Viris Vigevano perché un po’ ci speravo ancora e perché mi piaceva fare da “chioccia” ai più giovani, come Ganna, Moschetti, Sobrero, Vlasov e tanti altri. Peccato, mi resta il rammarico di non aver provato a passare e vedere cosa avrei combinato.

La figura del procuratore secondo te quanto può incidere?

Tanto, anche quando fai pochi piazzamenti. Penso al mio ex compagno Enrico Barbin che non ce l’aveva e che nel 2012 con 7 vittorie tutte di altissimo livello pensava di trovare tante squadre, anche fuori Italia, grazie ai risultati. Invece lo cercò solo la Bardiani e dopo i primi anni a prendere mazzate in gara a causa di un calendario minore, divenne più rinunciatario. Noi lo vedevamo cambiato, anche se lui ci ha sempre detto di no. Anche questo aspetto influisce.

Situazioni come la tua continuano a verificarsi. Perché secondo te?

Troppa avidità di certi dirigenti e procuratori. Ed anche la mancanza di lungimiranza. Tutti vogliono prendere chi vince e basta. Ma poi chi è che tira? E credo che bisognerebbe dare un giusto peso alle vittorie. Poi c’è ancora gente che, si sa, porta sponsor e gli vengono spalancate le porte del professionismo. Per me mancano umanità e rispetto. Molti dirigenti, anche tra i pro’, ti promettono tante cose e poi cambiano idea improvvisamente. Non ti prendono oppure, come è successo a qualche mio amico senza fare nomi, ti lasciano a casa senza un reale motivo. Meno male che ci sono anche casi fortunati come quelli di Mosca o Masnada, perché anche lui abbiamo rischiato di perderlo. Ho notato un’altra cosa tra l’altro…

Quale?

Che i flop dei giovani ce li abbiamo solo noi in Italia, nelle nostre formazioni. Sembra che ogni giovane interessante debba raccogliere l’eredità dei grandi nostri corridori. Non si può fare continuamente la caccia al fenomeno. Siamo in balia di questa situazione. Abbiamo tanti buoni atleti, ma nessuno riesce ancora a capire che ogni ragazzo ha la propria maturazione. Ai ragazzi che passano adesso e che non riescono ad andare nel WorldTour consiglio di andare nelle professional estere. Là fanno ritiri come si deve, possono fare un calendario più completo e crescere meglio.

Una soluzione a tutto ciò esiste?

Non lo so. Credo che il dilettantismo italiano vada rivisto o trovato un modello diverso. Purtroppo c’è ancora tanta instabilità economica che condiziona. Alcune gare storiche non ci sono più o sono state ridimensionate. Però credo che alla base di tutto ci vorrebbero nuove figure dirigenziali. Serve un ricambio generazionale e culturale, prendendo spunto dall’estero o dai modelli aziendali. Infine tanta pazienza.