Luca Raggio era passato professionista nel 2018 dopo che nella stagione precedente aveva vinto il Trofeo Matteotti di Marcialla e il Giro della Provincia di Biella, centrando fra gli altri piazzamenti il 4° posto alla Coppa della Pace e il 5° alla Piccola Sanremo di Sovizzo e al Trofeo Capodarco. Correva con la maglia della Viris Maserati diretta da Matteo Provini e, come il suo compagno di squadra Jacopo Mosca l’anno prima, approdò alla Wilier Triestina di Scinto e Citracca. Con Mosca rimase per un anno appena, perché a fine 2018 il piemontese venne lasciato a piedi sentendosi dire per giunta di non essere un corridore. Andò all’Area Zero e ora è uno dei gregari più stimati della Trek-Segafredo. Anche Luca Raggio lo scorso anno ha provato a correre nella squadra di Ivan De Paolis, ma l’anno del Covid non ha fatto sconti neanche a lui. Classe 1995, casa in campagna nell’entroterra di Chiavari, oggi si occupa di preparazione. E anche se al momento di alzare bandiera bianca scrisse una lettera piena di passione, la voglia di fargli due domande più approfondite c’è venuta. Nel frattempo Luca ha seguito il corso da direttore sportivo e sta mettendo a punto il suo piano B.
E così alla fine hai smesso.
Ho fatto una scelta di senso. Non perché non avessi voglia di correre, ma perché era diventato difficile continuare nelle condizioni in cui ero.
In quali condizioni eri?
Non ho mai trovato il colpo di pedale giusto. Il 2020 è stato un anno strano. E’ stato difficile tutto, anche uscire dal lockdown. Tanti viaggi per fare i tamponi. Poche corse. Pochi risultati. L’idea di fare un altro anno così tosto non mi attirava. Mi sono allenato tanto, anche più del necessario. Ho fatto giornate intere dietro macchina. Forse ho anche esagerato.
Più che il passaggio alla continental, forse il punto è perché non hai continuato con la Neri Sottoli?
Per un po’ ho sperato di rimanere, poi ho cominciato a riconoscere i segnali e ho capito. Sapevo com’era l’andazzo, anche se apparentemente non avevano nulla contro di me. Semplicemente sono stato lasciato andare come Mosca e come Turrin. Jacopo ha avuto la forza per tenere duro, Turrin ha smesso. Eppure con Visconti sarei potuto rimanere per dare una mano. Sono sempre stato corretto e me lo hanno riconosciuto. Speravo ci fosse il budget per pagarmi e invece mi sbagliavo. E ho anche sperato che potesse servirgli una mano quest’anno, dato che gli è andata via metà squadra.
Andando all’Area Zero speravi di fare come Mosca?
C’era anche una parola con la Gazprom e magari si sarebbe concretizzata senza il Covid. Ma quando tutto si è fermato, anche loro hanno preferito tenere chi già avevano e le porte si sono chiuse.
Perché non tenerti?
Mi sono chiesto spesso la motivazione. Ho sempre svolto il mio lavoro, mi sono messo a disposizione della squadra. Poi però ho cominciato a riconoscere i segni di quello che era capitato a Mosca. Se mi avessero detto qualcosa a ottobre, avrei potuto organizzarmi, invece il gioco è di tirarti sempre più avanti…
E poi cosa succede?
Ti dicono che non c’è budget e di pensare semmai a una soluzione. Solo che nel frattempo firmavano altri corridori.
Hai pagato per passare professionista?
Io meritavo di passare, ci sono i risultati che lo dimostrano. Non so su quale base scelgano i corridori, ma vennero loro a cercarmi a luglio. Poi ognuno ha il suo carattere. Sono arrivato ad aspettare fino a Natale, senza sapere niente. Speravo in un occhio di riguardo, anche nel rispetto di dirmelo prima, in modo che potessi cercare altrove.
Quello che è successo con De Bonis ti ha stupito?
Non lo conosco, ma credo che se costruisci le squadre prendendo corridori di spessore, corri meno rischi.
In che cosa consiste il piano B?
Sto collaborando con Leonardo Piepoli nel fare la preparazione a piccoli corridori, sperando che con il passa parola le cose si smuovano. Per ora da esterno, un domani magari in una squadra. Resto nel ciclismo. Staccarmene del tutto sarebbe stato troppo.