E poi, ad un certo punto della propria vita, capita di ritrovarsi su un aereo al fianco del vincitore della Roubaix e di esserci seduto come collega e non come occasionale compagno di viaggio. E’ quel che è successo ad Edoardo Zambanini quando stava andando in Spagna per il primo ritiro da professionista nella Bahrain-Victorious.
Zambanini: scuolaZalf Euromobil Desirée Fior, da dove sono arrivati tanti campioni, l’ultima vittoria tra gli U23 giusto lo scorso settembre e poi il grande salto. Un salto iniziato esattamente un anno prima, quando da primo anno conquistò la maglia bianca di miglior giovane al Giro U23.
Ed è lì che è cambiato tutto. Anche perché allo scorso “Giro baby” le cose non sono andate come ci si aspettava. Un avvicinamento un po’ sfortunato e non perfetto nella gestione dell’altura, non ha fatto rendere Edoardo e alcuni suoi compagni come volevano. E la riprova è che la vera condizione è arrivata solo d’estate… e forse anche un po’ dopo.
Edoardo Zambanini ha conquistato la maglia bianca al Giro d’Italia Under 23 del 2020Edoardo Zambanini ha conquistato la maglia bianca al Giro d’Italia Under 23 del 2020
Edoardo, come sei arrivato alla Bahrain-Victorious?
Dopo il Giro 2020 sono iniziati i primi contatti con i procuratori, i Carera, una figura che fino ad allora non conoscevo. Da lì piano piano ho conosciuto questo team, ho fatto dei test… ed eccomi qui.
Come te lo aspettavi questo passaggio?
Non mi aspettavo di trovare un ambiente così grande. Grande in tutto: staff, mezzi, corridori… c’è sempre qualcuno che ti segue, che ti supporta… Durante lo stacco non mi rendevo effettivamente conto che ero un professionista, anche se me lo dicevano, non realizzavo in pieno. Poi al primo ritiro sono rimasto colpito appunto dalla grandezza di questo ambiente. Fanno di tutto per metterti il meglio a disposizione e farti crescere.
Con chi hai legato di più in questi primi assaggi di Bahrain-Victorious?
Quando sono arrivato avevo davvero paura di come mi sarei relazionato con gli altri, invece devo dire che tutti sono molto semplici, umili, alla mano… pertanto non ho incontrato nessuna difficoltà. Anche con l’inglese è andata bene. A scuola mi sono sempre impegnato ed è servito a qualcosa! Però si può sempre migliorare. In più ho avuto la fortuna di condividere la camera con Matej Mohoric. Lui era nel mio gruppo. Matej è ragazzo davvero tranquillo, disponibile e già esperto.
In Spagna i primi allenamenti da professionista (foto Instagram – Charly Lopez)In Spagna i primi allenamenti da professionista (foto Instagram – Charly Lopez)
Eri nel gruppo degli scalatori quindi?
Diciamo di sì, c’erano anche Bilbao, Landa, Buitrago… Un po’ per il Covid, un po’ per non girare in tanti, ci avevano divisi in gruppi di 7-8 corridori.
A livello di allenamenti cosa è cambiato, rispetto allo scorso inverno?
I chilometri un po’ sono aumentati e poi alterno, ancora, la palestra con la bici, cosa che prima non facevo. In generale è aumentato il volume di lavoro e anche l’intensità.
E noti già dei miglioramenti?
Per ora tengo bene questi carichi, poi vediamo come andranno le prime gare. Io sono seguito da Paolo Artuso.
E a proposito di gare, a quando il tuo debutto?
Ancora non è stato ufficializzato, ma credo a metà febbraio. Ho un bel calendario davanti a me e c’è una gara che mi piacerebbe tanto fare: il Tour of the Alps (18-22 aprile, ndr). E’ la corsa di casa.
Il trentino, classe 2001, lo scorso settembre ha vinto la Coppa Ciuffenna a Loro Ciuffenna, in Toscana (foto Instagram)Il trentino, classe 2001, lo scorso settembre ha vinto la Coppa Ciuffenna a Loro Ciuffenna, in Toscana (foto Instagram)
Tu di dove sei?
Di Riva del Garda, Trentino. Conosco quelle strade. Sto proprio sul Lago e il clima è buono. Il lago mitiga molto e infatti parecchie squadre vengono ad allenarsi da quelle parti. Mi hanno detto che il Tour of the Alps è una gara organizzata molto bene. Lo scorso anno ero fuori a correre e l’ultima tappa, che andava verso Tenno, la salita che in pratica faccio tutti i giorni, me la sono dovuta vedere in televisione. Ma quando potevo andavo sempre a vederlo. Uscivo un’ora prima da scuola e scappavo a bordo strada.
Prima hai detto che tutti sono stati gentili con te, ti hanno trattato alla pari. Magari anche loro avranno pensato: se questo ragazzo è qui è perché è un corridore vero e in qualche modo è scattato il rispetto. Hai mai pensato a questo ragionamento al contrario?
Eh, bella domanda… Una cosa è certa, non mi hanno accolto come il giovane da mettere in mezzo con le battute. Per esempio, con Sonny Colbrelli ho fatto il viaggio aereo da Bergamo a Valencia. Subito, e con estrema naturalezza, abbiamo parlato di tutto. Mi ha spiegato cosa avrei trovato in ritiro, come funzionavano le cose in squadra, delle sue gare dell’anno scorso.
E facevi più domande tu o lui?
Io, io!
E cosa gli chiedevi?
Mi ha raccontato dell’Europeo, che è stata una corsa davvero dura. Molto nervosa, tiratissima. E mi ha parlato della Roubaix. Mi ha portato “più dentro” nella descrizione di come è andata. Però io già sapevo molto perché lo avevo seguito bene dalla tv e avevo letto tutte le sue interviste.
Un passo alla volta, Zambanini vuol crescere. Il prossimo anno il sogno sarebbe quello di una vittoria al Tour of the Alps. E nel futuro? Corse a tappe
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La nuova Merida Scultura CF5 Team, mai così bella, leggera e precisa. Questa bicicletta, in uso al Team Bahrain Victorious, ha il DNA di una bicicletta votata alle competizioni ed il volto di un progetto che fa collimare leggerezza ed aerodinamica, ma anche un comfort di buon livello.
«Ho iniziato ad usare la nuova Merida Scultura da giugno – ci ha raccontato Damiano Caruso, con cui alla fine condivideremo molte sensazioni – e devo dire che molto è cambiato, se metto a confronto questa versione con la precedente. Prima era una bella bici, molto comoda, quasi riposante e il passo che Merida ha fatto con la nuova bicicletta è lampante. Le differenze principali emergono in pianura e in discesa, perché la Scultura di oggi è nettamente più veloce».
Non si tratta di una bici mastodontica, anzi è piuttosto fine ed elegante, è armoniosa nel suo essere moderna. Adotta l’integrazione dei componenti come un valore aggiunto alla piattaforma. Oltre al design c’è anche un tessuto di carbonio nano concept con le specifiche di Nano Matrix Carbon (top di gamma Merida). Entriamo nello specifico della nostra prova.
Una bici stabile e veloce, Damiano Caruso confermerà le nostre sensazioni (foto Sara Carena)Una bici stabile e veloce, Damiano Caruso confermerà le nostre sensazioni (foto Sara Carena)
Scultura, la prima risale al 2006
La prima versione della Merida Scultura risale al 2006 e da allora molto è cambiato. La ricerca della massima penetrazione dello spazio è entrata di prepotenza anche nel segmento delle bici superleggere. Sono cambiati i materiali e i procedimenti per costruire i telai in fibra composita. Ci sono i freni a disco e i componenti, oltre ad essere integrati nei progetti, sono sempre più funzionali alla resa tecnica del pacchetto. Nel caso della Merida Scultura Team di quinta generazione, oltre al frame, ci sono il reggisella in carbonio con uno shape proprio ed un manubrio full carbon studiato per questa bicicletta. E poi c’è un allestimento che fa la differenza.
I foderi obliqui si allargano parecchio verso l’esterno e lasciano un margine notevole per il passaggio della gomma
BB da 86,5 millimetri di larghezza e sezioni asimmetriche degli stays
Una delle caratteristiche delle Merida, la sezione abbondante dell’inserzione centrale dei tubi
Diametro da 27,2 millimetri e sezione superiore schiacciata, il seat-post full carbon funge anche da dissipatore
I foderi obliqui si allargano parecchio verso l’esterno e lasciano un margine notevole per il passaggio della gomma
BB da 86,5 millimetri di larghezza e sezioni asimmetriche degli stays
Una delle caratteristiche delle Merida, la sezione abbondante dell’inserzione centrale dei tubi
Diametro da 27,2 millimetri e sezione superiore schiacciata, il seat-post full carbon funge anche da dissipatore
I numeri della Scultura CF5
Si tratta di un telaio ed una forcella con 822 e 389 grammi di peso dichiarati (taglia media). Nella versione in test, sempre nella taglia M e con l’allestimento che vedete nelle immagini e nel video, il peso rilevato è di 7,08 chilogrammi. Da notare che la bici in test è dotata delle ruote Vision Metron SC, mentre quella a catalogo prevede le SL, che sono più leggere.
Rispetto alla versione precedente, la Merida Scultura Team CF5 2022 è maggiormente aerodinamica, il 4% più efficiente e al tempo stesso versatile. Questa versatilità si riferisce a differenti tipologie di setting, legate alle ruote, con profili medi e alti (considerazione che trova conferma grazie a Damiano Caruso). Non è un dettaglio secondario, se consideriamo che molti atleti pro’ usano questa tipologia di biciclette con cerchi da 55 millimetri e oltre. Nel caso specifico della nuova Scultura, l’aerodinamica diventa una soluzione di design funzionale, legata ad esempio ai foderi obliqui del retrotreno. Questi hanno un’inserzione ribassata, ma fungono come dei diffusori grazie al design allargato, che al tempo stesso permette di far alloggiare pneumatici fino a 30c di sezione. La stessa luce di passaggio è comune alla forcella e quindi all’avantreno.
E poi c’è quel manubrio integrato (320 grammi dichiarati), bello e rigido, con un impatto frontale ridotto e davvero comodo grazie alle forme regolari della piega e ai valori di reach e drop votati al comfort (anche per le mani piccole il vantaggio di raggiungere facilmente le leve è reale). Si abbina alla perfezione con il design dell’head tube e con la serie sterzo (e con i suoi spessori).
Il manubrio integrato Team SL è uno dei componenti più ricercati in termini di sviluppo
I perni passanti delle ruote sono più… magri al centro
La Scultura ha delle protezioni che “ingabbiano” le pinze dei freni
L’estrattore a brugola per i perni passanti è magnetico è può essere rimosso in ogni momento
La trasmissione Shimano DuraAce 12v, 52/36 davanti e 11/30 dietro
Le ruote Vision SC40 Disc, shape moderno e buone performances
Il manubrio integrato Team SL è uno dei componenti più ricercati in termini di sviluppo
I perni passanti delle ruote sono più… magri al centro
L’estrattore a brugola per i perni passanti è magnetico è può essere rimosso in ogni momento
La Scultura ha delle protezioni che “ingabbiano” le pinze dei freni
La trasmissione Shimano DuraAce 12v, 52/36 davanti e 11/30 dietro
Le ruote Vision SC40 Disc, shape moderno e buone performances
Le taglie e le geometrie
Lo sviluppo del progetto segue un rinnovato sviluppo delle quote geometriche. L’esempio sono le due taglie di riferimento. La S con un top tube lungo 54,5 centimetri e la M con lo stesso profilato che ha una lunghezza di 56 centimetri. Sono il reach e lo stack a fare la differenza, ovvero l’altezza e la lunghezza che si dimostrano piuttosto contenuti e ci dicono di una bicicletta con “interasse corto”. Se analizziamo la misura media della Merida Scultura, quella del test, a prescindere dalla lunghezza dello stem (abbiamo usato l’attacco da 120 millimetri e 420 di larghezza per la piega), troviamo un reach di 39,5 centimetri e uno stack di 55,7, con un passo totale di 99 centimetri (il carro posteriore è lungo 408 millimetri). Significa che è una bicicletta compatta.
I nostri feedback
Le prime pedalate trasmettono un grande feeling per quello che riguarda la fluidità e la scorrevolezza, ma anche un elevato comfort. E dobbiamo considerare che è una bici da “corridore vero”. Lo sviluppo della taglia M è molto buono, con l’angolo del piantone a 73,5° che non obbliga a chiudere l’articolazione dell’anca in modo eccessivo. Un altro fattore ampiamente sfruttabile è la combinazione tra lo sterzo (compatibile con la soluzione ACR di FSA) e il manubrio integrato. Il primo è bello da vedere anche per i diversi spessori, il che non guasta. Il secondo è comodo anche nelle fasi di presa alta, pur avendo il profilo aero. Merida Scultura Team non si dimostra mai eccessiva, con una reattività ben distribuita tra avantreno e carro posteriore.
La Scultura è una bici per tutte le occasioni e in salita invita ad uscire di sella, grazie ad un avantreno ben strutturato (foto Sara Carena)In salita invita ad uscire di sella, grazie ad un avantreno ben strutturato (foto Sara Carena)
Una gran forcella
Il precedente aspetto si traduce positivamente sulla guidabilità, sull’agilità e su quella compostezza apprezzabile nelle fasi di rilancio della bici, che non perde di trazione e non si scompone. Non tende mai a schiacciarsi su stessa, né quando ci si alza in piedi sui pedali, né quando si affrontano dei lunghi tratti in salita, sempre in sella. Nel primo caso la forcella è un punto che dà forza e sostiene (non è un fattore scontato e questa forcella è costruita in modo impeccabile), è tosta senza essere nervosa. In discesa esige un po’ di attenzione, come buona parte delle biciclette di questo segmento, ma “con un po’ di manico entra come un coltello nel burro” quando si tratta di cambiare continuamente direzione.
Permette di fare anche “la sgambata”, senza mostrare i muscoli ed essere troppo esigente (foto Sara Carena)Permette di fare anche “la sgambata”, senza mostrare i muscoli ed essere troppo esigente (foto Sara Carena)
Il parere di Caruso
Damiano Caruso ha iniziato a usare la nuova Scultura nel ritiro di Livigno, a giugno 2021. Ce ne accorgemmo e ci concedemmo in quell’occasione un primo approfondimento, per forza di cose furtivo, sulla bici che contemporaneamente veniva utilizzata al Tour dai corridori del Team Bahrain Victorious, prima della presentazione in vista della Vuelta.
«Non è estremamente rigida – dice il siciliano – e per quanto mi riguarda è meglio così, nel senso che tecnicamente è il compromesso ottimale tra la Scultura della generazione precedente e la Reacto, che per le mie caratteristiche diventa troppo esigente. Uso la taglia 54, con il nuovo manubrio integrato Team SL, che non è troppo abbondante nelle forme e non flette quando lo carichi, ad esempio in volata.
Caruso ha iniziato a usare la nuova Scultura a giugno: qui al via del tricolore di ImolaCaruso ha iniziato a usare la nuova Scultura a giugno: qui al via del tricolore di Imola
«Mi gratifica utilizzare la bici con le ruote ad alto profilo – prosegue Caruso – le Vision da 55 millimetri. Le ruote con questa configurazione mi danno un senso di velocità maggiore, soprattutto in discesa».
Interessante inoltre la nota di Damiano in merito al peso della bicicletta. « La Scultura che ho utilizzato alle Olimpiadi, comunque il modello nuovo, aveva un peso di 7,02, quindi leggermente superiore al valore minimo UCI».
I dettagli e la loro cura. I guanti, ad esempio. Proprio stasera Prologo ha lanciato i suoi modelli 2022. Guanti a dita corte e lunghe. Guanti invernali e antipioggia. Fornitura per la crono. E di colpo anche articoli che si tende a dare per scontati, si scoprono pieni di contenuti tecnologici.
Connected Power Control
Alberto Mizzon è uomo del marketing Prologo e guida la prima fase del discorso. Che cos’hanno di speciale questi guanti, da richiedere un lancio congiunto con il Team Bahrain Victorious?
«Sono speciali – sorride – per la tecnologia CPC, brevettata da Prologo, attorno alla quale sono costruiti. Il corridore, sia il professionista sia pure l’amatore, ne trae un beneficio che con un guanto tradizionale, anche imbottito con gel, non riesce ad avere».
Grazie alla nanostruttura del polimero 3D, l’aria passa e l’aderenza miglioraGrazie alla nanostruttura del polimero 3D, l’aria passa e l’aderenza migliora
CPC significa Connected Power Control ed è dunque il sistema brevettato da Prologo che garantisce prestazioni e comfort attraverso l’assorbimento delle vibrazioni, il grip e la stabilità posizionale. In altre parole, ma questo dovranno dircelo i corridori, la mano impugna il manubrio e non si muove più.
Vibrazioni: 15% in meno
Però Mizzon riparte ed entra nel dettaglio, schiudendo appunto la porta sullo studio che si nasconde anche dietro a un paio di guanti, per quella curiosità che anima da sempre le aziende italiane, perennemente alla ricerca della perfezione.
«Abbiamo svolto i nostri test e le nostre ricerche – spiega – con il Dipartimento Performance dell’Università di Besançon, che è fra i nostri partner e segue anche le prestazioni della Groupama Fdj. La riduzione delle vibrazioni e degli choc che si ottiene con la tecnologia CPC è pari al 15 per cento. Proviamo a pensare ad una classica o a una lunga distanza su fondo irregolare, i muscoli dell’avambraccio rimangono più rilassati. E questo per un atleta significa arrivare al momento cruciale della corsa con meno dolori e più margine, mentre consente all’amatore di fare una lunga distanza senza tornare a casa distrutto. E poi teniamo conto che non si tratta di guantoni spessi centimetri, ma sono davvero millimetrici, quasi non ti accorgi di averli».
In una corsa come la Roubaix, poter ridurre del 15% vibrazioni e colpi è un risultato notevoleIn una corsa come la Roubaix, ridurre del 15% le vibrazioni è un risultato notevole
Dalle selle ai guanti
Per spiegare come funzioni la tecnologia CPC bisogna pensare che la sua struttura, lo speciale polimero 3D conico e cavo, riduce l’affaticamento muscolare e facilita il flusso d’aria riducendo la temperatura nell’area di contatto. Si viene a creare una sorta di effetto ventosa che impedisce al guanto di scivolare, una volta effettuata la presa. Posizionato in punti strategici, inoltre, CPC protegge muscoli, tendini e tessuti molli dalle sollecitazioni che provengono dalla strada garantendone le prestazioni in ogni condizione atmosferica.
«Abbiamo iniziato a servircene – prosegue Mizzon – qualche tempo fa partendo dalle selle, poi abbiamo pensato di estenderla ai guanti. Ogni anno c’è stato un aggiornamento e una miglioria. Ogni volta che c’è da portare avanti un’innovazione, si fa una valutazione con alcuni partner come l’Università di Besançon e alcuni esperti interni. Poi ci si rivolge all’esperienza dei corridori, approfittando dei periodi di off-season o di allenamento. Raccolti i riscontri degli atleti e poi raffrontandoli con i dati di laboratorio, si decide di andare in produzione. In questo caso, abbiamo lavorato con il Team Bahrain Victorious perché da anni collaboriamo con loro per selle e nastri. Conoscevano già la tecnologia CPC e quando hanno saputo che era disponibile per i guanti, è nata subito la collaborazione. Uno dei primi cui li abbiamo dati è stato Colbrelli, che abita vicino alla nostra azienda. Lui li ha provati prima dei ritiri, ma quando poi anche gli altri hanno dato parere positivo, si è iniziato a produrli perché possano usarli tutto l’anno».
La tecnologia CPC è applicata anche sulle selle, qui sulla Scratch M5 PAS CPC
E questa invece è la versione Scratch M5 CPC
La tecnologia CPC è applicata anche sulle selle, qui sulla Scratch M5 PAS CPC
E questa invece è la versione Scratch M5 CPC
Colbrelli, presa sicura
Colbrelli, l’uomo di Roubaix che in allenamento i guanti non li usa mai: un singolare esperimento. In questi giorni è a casa, in procinto di andare a Gran Canaria per un periodo di lavoro, prima di affrontare il primo stage in altura sul Teide.
«Conoscevo questo materiale – dice – dai tempi della Bardiani. Era una prima versione, ma già allora mi trovavo benissimo. Appena mi li hanno dati per provarli, ho subito avuto un bel feeling. Il guanto è sottile, leggero e molto aderente. Ugualmente la presa sul manubrio è incredibile. Sapete che tanti manubri viaggiano senza nastro? Ebbene, con questi guanti non scappano via. Se invece c’è su il nastro Prologo, allora il guanto si attacca e non c’è verso che perdi la presa. Non li ho ancora usati in corsa, ma solo in allenamento. La prima cosa che ho notato è che anche dopo tante ore non mi formicolano le mani e questo è già tanto. Posso immaginare il beneficio durante una Roubaix, insomma…».
Fra i primi a provarli, Sonny Colbrelli li ha ricevuti alla fine della scorsa stagioneFra i primi a provarli, Sonny Colbrelli li ha ricevuti alla fine della scorsa stagione
Contro il freddo
L’osservazione del corridore va oltre. Se uno strumento del tuo lavoro lo indossi da tre a cinque ore ogni giorno, se ci sono sfumature da cogliere, stai certo che non ti sfuggono.
«Tanti guanti – prosegue Sonny – scorrono sulla mano, per cui a volte muovendosi fanno male fra le dita. Qui non succede, perché aderiscono alla perfezione. Ai tempi della Bardiani non erano così evoluti, adesso invece sono sottilissimi e ancora più confortevoli. E poi ce ne sono di diversi tipi. Normali, leggeri, superleggeri, dita lunghe e modelli estivi. La versione da pioggia mi ha colpito molto. In pratica si tratta dei guanti invernali che dispongono anche di una copertura antipioggia, come fosse il tessuto di una mantellina. L’altro giorno sono uscito con tre gradi e pioveva e devo dire che le mani se la sono cavata egregiamente. E voi lo sapete, io sono uno che in allenamento è sempre andato senza guanti...».
Con i nuovi guanti Prologo, griffati con il logo di Alè per dare coerenza all’abbigliamento del team, il Team Bahrain Victoriousinizierà la nuova stagione nel segno della sicurezza e del comfort. Il resto è nelle mani degli atleti e del marketing, perché tanti studi e queste ricerche così importanti possano avere una ricaduta sul mercato, sensibile alle osservazioni dei campioni e vorace di novità convincenti.
Jonathan Milan saluta il pavé e fa rotta sulla pista. Primo appuntamento a Hong Kong. Buon debutto al Nord. Si è ritirato, ma ha ben lavorato per il team
Le problematiche legate alla reperibilità dei materiali, dei componenti bici e di tutta l’area tecnica sono cosa ben nota e tangibili nei diversi livelli. Questi problemi toccano anche un team WorldTour che movimenta dei numeri incredibili? Ci sono dei fattori che possono creare un vantaggio e minimizzare le difficoltà di gestione? Abbiamo chiesto a Filip Tisma, per anni colonna portante del Team Sky e ora responsabile tecnico del Team Bahrain-Victorious. Le risposte non sono nulla di scontato, perché fanno ragionare su quello che rappresenta una squadra della Serie A del ciclismo, che è una vera e propria azienda.
Filip Tisma con Sonny Colbrelli. Filip è il responsabile tecnico e uomo operativo al fianco dello staff dei meccanici (foto Bahrain)Tisma è il responsabile tecnico dello staff dei meccanici (foto Bahrain)
Filip, avete affrontato dei problemi legati al fatto di avere il materiale nuovo per la stagione 2022 e tutti i componenti bici ?
Vi sembrerà strano, ma in questo momento non abbiamo dei problemi particolari, perché tutto quello che avevamo ordinato nel corso della stagione 2021, in previsione di quella agonistica 2022, è arrivato e nelle quantità richieste. Devo pur dire che, rispetto ad una stagione normale, abbiamoordinato tutto il necessariocon largo anticipo, per non trovarci impreparati a dover gestire la situazione all’ultimo momento e non mi riferisco solo ai componenti bici. Questo però ci ha ripagato.
I meccanici lavorano per tutta la stagione con ampia disponibilità di ricambi (foto Bahrain)I meccanici lavorano per tutta la stagione con ampia disponibilità di ricambi (foto Bahrain)
Ma quindi, anche voi ordinate il materiale?
Sì certo, noi ordiniamo il materiale alle case che ci supportano e ci comportiamo come un’azienda vera e propria. Poi ci sono gli sponsor, questo è ovvio, ma il materiale va ordinato. La differenza è che siamo una squadra di ciclismo e il materiale che dobbiamo avere a disposizione è tanto e tocca differenti categorie merceologiche.
Hai parlato di ordini fatti in anticipo. Cioé? Cosa significa? Componenti bici e altro?
Per quanto riguarda i materiali, anche in base agli sponsor, un team inizia a fare la programmazione e gli ordini del materiale, durante e subito dopo il Tour de France. In questo periodo così particolare, già alla fine del Giro d’Italia avevamo già stilato gli ordini e le eventuali previsioni. Tutto è stato anticipato e comunque non è stato facile! Componenti bici e le stesse biciclette? No, non è solo questo.
Una bici è composta da decine di parti che vanno ordinate allo sponsor tecnico (foto Bahrain)Una bici è composta da decine di parti che vanno ordinate allo sponsor tecnico (foto Bahrain)
Ordinando quello che serve con largo anticipo è necessaria una strategia di squadra, ci sono delle variabili che sono complicate da affrontare?
Diciamo che abbiamo cercato di contenere i margini di errore e di capire in anticipo i vari cambi dei corridori. Le complicazioni, se così possiamo definirle, arrivano nel momento in cui un atleta vuole cambiare, oppure ha necessità di cambiare un componente che ha usato fino a ieri. Può succedere di rimanere a corto di una misura di pedivelle, per farvi un esempio. Oppure se un corridore dovesse cadere e spaccare qualche pezzo che deve essere riordinato. Proprio il riordino in questo momento diventa un problema, perché ci vogliono mesi! E poiè fondamentale capire che per un team come il nostro tutto è moltiplicato. Quella pedivella di quella misura, non è solo una, ma diventano 4/5/6 per le diverse biciclette del corridore.
Tutto viene moltiplicato. Ciascun corridore infatti ha a disposizione più di una bici (foto Bahrain)Tutto viene moltiplicato. Ciascun corridore infatti ha a disposizione più di una bici (foto Bahrain)
Oltre al personale, allo staff e ai corridori che si muovono per le corse, nel magazzino sloveno del team, opera costantemente del personale?
Si, perché c’è sempre bisogno di qualcosa e di supporto. Dovete pensare che nel corso della stagione ci sono i vari gruppi che sono posizionati nei diversi punti dell’Europa. Ad esempio quando è in corso la campagna del Belgio, un gruppo di corridori è in Spagna ad allenarsi, oppure ci sono più gare in contemporanea. Il magazzino ha due meccanici fissi, che si occupano dei mezzi, dei materiali per i corridori e della gestione del magazzino in generale. A questi si aggiungono altre due persone che si occupano di tutto quello che è slegato dalle biciclette. Abbiamo anche un autista, sembra banale, ma ci dà una grossa mano con i vari spostamenti, da e per gli aeroporti.
Filip Tisma sistema le tacchette delle calzature di Colbrelli (foto Bahrain)Filip Tisma sistema le tacchette delle calzature di Colbrelli (foto Bahrain)
Quanti mezzi ha il Team Bahrain-Victorius?
Abbiamo 13 ammiraglie Audi A6 e due suv Audi Q3. A questi si aggiungono 2 furgoni Crafter della Volkswagen e 2 camion officina, oltre ai due pullman. E poi c’è il camion articolato da 18 metri che funge da cucina.
Ci puoi dare qualche altra cifra?
Abbiamo 28 corridori in totale. Ognuno di loro ha un minimo di 4 biciclette e 4 da crono. Le gestiamo in modo che ogni singolo atleta abbia a casa una normale e una da crono. I leader, ad esempio Caruso e Landa, hanno delle bici in aggiunta che gli vengono fornite nel corso della stagione. Oppure gli atleti del Sudamerica, che hanno almeno due bici in più, in modo che abbiano lo stesso materiale nella casa in America Latina e in quella europea.
E ad esempio i gruppi?
Abbiamo ordinato 160 gruppi di Shimano, il nuovo Dura Ace Di2 e 100 trasmissioni per le bici da crono. Ci sono poi una serie di piccoli componenti, ad esempio fondamentali per le bici da crono, che in quest’ultimo periodo facciamo fare da aziende italiane e slovene. Costano qualcosa in più rispetto a quelli provenienti dal far-east, ma sono molto ben fatti e li abbiamo disponibili in tre settimane. Per noi anche il fattore comodità nell’avere il materiale in fretta è molto importante.
È passato qualche giorno da quando abbiamo sentito Damiano Caruso in una video conferenza stampa indetta dalla sua Bahrain-Victorious. E un po’ perché è vero, è un po’ per mettere le mani avanti, ma il campione siciliano non ha ancora un programma definito per il 2022.
La cosa certa è che Damiano si sta allenando forte. Noi lo avevamo sentito qualche settimana fa e già ci era parso più che motivato mentre alternava un’uscita in mountain bike ed una su strada.
La vittoria all’Alto de Velefique segue quella del Giro all’Alpe di Mera e il podio del GiroLa vittoria all’Alto de Velefique segue quella del Giro all’Alpe di Mera e il podio del Giro
Programmi incerti
«Non so ancora cosa farò – spiega Caruso – stiamo cercando un punto d’incontro tra quello che vorrei fare io e le esigenze della squadra. Il Giro d’Italia mi piacerebbe, tanto più che ci sono due tappe interamente in Sicilia, avrei una motivazione in più».
«In ogni caso, che sia Tour o Giro, non credo che potrò competere per la generale. Preferisco puntare alle tappe. Se dovessi andare al Tour cercherei di vincere una tappa ed entrare nel club di coloro che sono riusciti a conquistare una frazione in tutti e tre grandi Giri».
E qui si apre una piccola querelle. La scorsa volta sembrava che Damiano fosse più orientato per il Tour, proprio per il discorso di vincere una tappa in tutti e tre i grandi Giri, stavolta invece le sue volontà sembrano protendere per il Giro d’Italia.
Probabilmente perché ha capito che andando la Bahrain in Francia con lo squadrone tutto, o quasi, in appoggio ad Haig (terzo all’ultima Vuelta), lui non avrebbe troppo spazio per andare a caccia delle tappe. Ma è solo un’ipotesi, sia chiaro. O più semplicemente perché è effettivamente alto il richiamo delle due tappe siciliane.
Caruso “road capitan”, eccolo al centro del treno BahrainCaruso “road capitan”, eccolo al centro del treno Bahrain
Trend da confermare
Dopo 14 stagioni da professionista, l’anno scorso Caruso è andato forse più forte che mai. Ha vinto due gare, è salito sul podio del Giro d’Italia ed è sempre stato protagonista e anche con il supporto dato al suo team. Un corridore totale potremmo definirlo. Damiano ha così trovato una bella dimensione, che lo pone nell’elite dei corridori più in vista.
«Negli ultimi due anni ho vinto – dice il siciliano – ho alzato ho le braccia al cielo e sinceramente vorrei continuare su questo trend e completare bene questi ultimi anni da professionista. Questo è molto importante in un periodo in cui i giovani vanno forte. Loro hanno alzato l’asticella di questo ciclismo, ma il talento non basta. Servono esperienza e tanto lavoro.
«Il ricordo del podio al Giro è ancora un’emozione fortissima, un sogno divenuto realtà, una ciliegina sulla torta. Ma questo non ha cambiato me stesso e le mie idee. Resto un road capitan non è un leader».
Caruso è attratto dai muri e dall’atmosfera del Giro delle Fiandre Caruso è attratto dai muri e dall’atmosfera del Giro delle Fiandre
Suggestione Fiandre
Caruso non è certo un corridore che ha bisogno di essere stimolato, o ha di cercare chissà quali obiettivi per attivarsi. Anche la volta scorsa fu lui stesso a dircelo: «Fin quando torna la voglia di riprendere la bici tutto è ok». Quindi sono la sua passione e la sua serietà di fatto a motivarlo e a farne un professionista esemplare.
Tuttavia qualche piccola novità non guasta mai e Damiano si accende quando gli chiediamo quale corsa gli piacerebbe fare dopo tanti anni tra i pro’.
«Beh – dice Caruso – non ci sono molte corse che non ho fatto a dire il vero! Però se proprio dovessi provare qualcosa di nuovo sarei attratto dal Giro delle Fiandre. I muri, il pavè e quella atmosfera mi incuriosiscono parecchio. Mentre la Parigi-Roubaix preferisco vederla alla tv, specie quest’anno con la vittoria di Colbrelli!».
Chissà, magari è la volta buona per provarci davvero, tanto più che anche Nibali ha già detto che correrà al Fiandre (una sola apparizione per lo Squalo) e debutterà alla Roubaix. Due siciliani al Nord!
Mikel Landa punta dritto sul Giro dopo una primavera che fa ben sperare. Prossimo step un ritiro sul Teide, poi rotta su Torino. La squadra crede in lui
Un lungo dialogo con Damiano Caruso sulla via di Santander. Parole da leader di una squadra cresciuta tanto. E dopo la Vuelta, un lungo stop per ricaricare
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Non restiamo stupiti quando Mikel Landa esordisce con un: «La prima cosa è stare bene. Voglio superare ogni problema di salute». L’asso spagnolo è noto per le sue cadute e anche per qualche passaggio a vuoto in momenti topici dei suoi grandi appuntamenti. Ma resta un big.
L’ennesima prova l’abbiamo avuta quest’anno con la caduta al Giro, appunto, e gli improvvisi problemi accusati alla Vuelta. A fronte, è giusto ricordarlo, di un potenziale enorme. In salita, il miglior Landa infatti non è così distante dai Pogacar o i Bernal.
Il 32 enne della Bahrain-Victorious ha obiettivi abbastanza definiti per la prossima stagione, almeno nella testa, e ancora una volta questi passeranno dalle corse a tappe, quelle alle quali si sente più votato.
Dopo il ritiro alla Vuelta, il basco ha preso parte all’europeo con il ruolo di gregario. Mikel è sempre stato generosoDopo il ritiro alla Vuelta, il basco ha preso parte all’europeo con il ruolo di gregario. Mikel è sempre stato generoso
Idea Tour, ma il Giro…
Dopo una stagione così ricca di successi e dopo essersi ritrovata estremamente competitiva anche nelle classiche, la Bahrain deve calibrare bene i suoi impegni. In questi giorni spagnoli – sono in ritiro Altea – i direttori sportivi hanno un bel da fare per piazzare tutti i capitani: Jack Haig, Sonny Colbrelli,Mathej Mohoric,DamianoCaruso e appunto Mikel Landa, senza dimenticare Pello Bilbao eGino Maderche l’anno scorso è cresciuto moltissimo.
Poiché non tutti hanno un programma così definito anche quello di Landa resta “ballerino” o quantomeno non è deciso del tutto. Lui dice che il grande obiettivo è la Grande Boucle, ma come? Da leader? Da cacciatore di tappe? O da semplice gregario?
«Mi piacerebbe fare il Tour de France – dice Landa – Mi rendo conto che il Giro d’Italia è molto adatto alle mie caratteristiche. La corsa rosa può essere davvero una grande opportunità. Ho visto che ci sono molte salite e c’è pochissima crono. Magari potrei farle tutte e due».
E il percorso del Giro 2022 evoca ricordi contrastanti per Mikel. Nel 2017 prima del Blockhaus rovinò a terra insieme a Thomas, ma due anni prima fu re dell’Aprica.
La Bahrain è cresciuta molto quest’anno, ecco Mikel tra Caruso e HaigLa Bahrain è cresciuta molto quest’anno, ecco Mikel tra Caruso e Haig
Concorrenza o aiuto?
Si dice però che Landa e, proprio in virtù di una concorrenza interna fortemente cresciuta, potrebbe non avere un team di supporto tutto per lui. Potrebbe non partire con i gradi di leader unico. Ma guai ad intenderlo come una mancanza di fiducia, visto che ha prolungato il contratto fino al 2023.
«L’anno scorso – dice Landa – ho avuto una stagione molto difficile a causa della caduta al Giro, quindi il mio unico obiettivo è essere competitivo in ogni momento. Ho sempre bisogno di un po’ di fortuna, ma se sono in salute posso fare del mio meglio».
Magari l’arrivo di Luis Leon Sanchez, corridore molto esperto e che in Astana ancora rimpiangono, può aiutarlo parecchio. Sanchez potrebbe essere quell’uomo fidato che magari gli è mancato sin qui. In più i due hanno corso insieme proprio in Astana. Il feeling non dovrebbe essere un problema… sempre che Luis Leon sia affiancato a Landa.
Landa non ha lasciato nulla al caso. Ecco gli speciali supporti alla mano che potrebbero aiutarlo a guidare meglio (foto Instagram)Landa non ha lasciato nulla al caso. Ecco gli speciali supporti alla mano che potrebbero aiutarlo a guidare meglio (foto Instagram)
Solita e solida serietà
Intanto Landa ha ripreso ad allenarsi con la sua consuetaserietà. Ha lavorato anche sulla crono, ma soprattutto su se stesso, sulla salute. Dopo aver concluso la stagione, in verità non molto bene, lo spagnolo si è concentrato sul recupero, come lui stesso ha detto. L’obiettivo? Eliminare definitivamente gli strascichi che dal Giro in poi si è portato dietro per tutta la stagione (è caduto anche al rientro a San Sebastian).
Ha tolto la placca che gli avevano messo alla clavicola, ma soprattutto si è recato presso una clinica nei suoi Paesi Baschi per ovviare ad un problema apparentemente ad una mano. In realtà Mikel ha messo dei supporti, tipo protesi, che sembra possano aiutarlo anche nella guida in quanto “danno assistenza” al sistema neuro-muscoloscheletrico: supporti che svolgono lavori di stabilizzazione, allineamento e correzione. Vedremo se funzioneranno…
Matej Mohoric è ripartito con la serietà che lo caratterizza, specialmente adesso che è a capo di una Fondazione. Da quel che abbiamo visto dallo schermo del computer, nella conferenza stampa indetta dalla Bahrain Victorious, lo sloveno sembra già essere magro. Ai nostri occhi potrebbe già attaccare il numero sulla schiena domani.
E tutto sommato non ci siamo sbagliati di troppo visto che l’iridato U23 di Firenze 2013 inizierà a gareggiare presto, alla Valenciana, e porrà come primi obiettivi le classiche di primavera: dal Fiandre alla Liegi, passando per la Roubaix. Niente Giro, ma il Tour.
Matej Mohorjc (27 anni) alla firma della nascita della sua FondazioneMatej Mohorjc (27 anni) alla firma della nascita della sua Fondazione
Mohoric e la Fondazione
Però c’è un altro aspetto che ci interessa molto riguardo a Mohoric e cioè la Fondazione Matej Mohoric che lo stesso corridore ha presentato giusto qualche giorno fa. Matej è sempre stato un ragazzo serio e riflessivo, ma dopo questa iniziativa abbiamo scoperto che è anche molto profondo.
«Lo scopo principale di questa Fondazione – dice Mohoric – è di aiutare a sviluppare il ciclismo tra i giovani in Slovenia. Lavorerà a strettocontatto con la Federazione ciclistica slovena, che a sua volta sostiene il progetto.
«Io vorrei aiutare i ragazzi con la mia conoscenza e la mia esperienza, stargli vicino nei ritiri organizzati dalla nazionale slovena, dando supporto finanziario. Vorrei che questi ragazzi avessero le stesse opportunità che si hanno nelle altre nazionali europee».
Per Mohoric quest’anno quattro vittorie, tra cui il titolo nazionale e due tappe al Tour (qui la seconda a Libourne)Per Mohoric quest’anno quattro vittorie, tra cui il titolo nazionale e due tappe al Tour (qui la seconda a Libourne)
Promozione e prestazioni
La categoria più interessata è quella degli juniores, la prima internazionale, ma si vuol passare anche attraverso le piccole squadre locali, magari creandone di nuove.
«Con la federazione slovena e alcuni club – spiega Matej – cercheremo i ragazzi e le ragazze che vogliono fare ciclismo, ma che poi nella realtà non possono farlo o permetterselo. Forniremo l’attrezzatura, promuoveremo la bicicletta come uno stile di vita sano e ricreativo. Cercheremo di avvicinare questo sport alle comunità locali e di informare bambini e ragazzi che il ciclismo può essere uno stile di vita salutare».
Gli obiettivi principali della Fondazione Mohoric sono due: fare promozione, specialmente nei confronti dei più piccoli, e aiutare coloro che sono invece già in odore di nazionale a crescere correttamente.
«Un obiettivo è quello di organizzare più gare. Magari anche eventi piccoli per i bambini in collaborazione con i club locali. Questo è importante soprattutto per i più giovani, per le categorie fino all’età di 17 anni. E per i più grandi aiutarli a crescere correttamente. Negli ultimi due anni, c’è stata una tendenza a essere sempre meno “easy”, noi vorremmo invertire questa tendenza. Riportare i vecchi valori del ciclismo».
A Leuven il piccolo Paese europeo, in virtù del suo ranking Uci, ha schierato otto atleti come le migliori nazionaliA Leuven il piccolo Paese europeo, in virtù del suo ranking Uci, ha schierato otto atleti come le migliori nazionali
Evoluzione slovena
Un progetto corale dunque, a lungo termine. Qualche aiuto già era stato dato alla squadra di Ljubljana e lo stesso Mohoric sosteneva la piccola società nella quale era sbocciato. Ed evidentemente i lavori procedevano bene, visto che da un bacino così ristretto sono emersi corridori del calibro dello stesso Matej, ma anche di Pogacar, Roglic, senza dimenticare Tratnik o Polanc… Insomma, non male per uno Stato nato nel 1991 e che conta 2,1 milioni diabitanti (la Lombardia, la Regione più popolosa d’Italia, da sola ne conta quasi 10, per dare un’idea….).
Ma quanta differenza c’è fra il ciclismo giovanile sloveno di adesso e quello di Mohoric? «Penso – conclude Mohoric – che sia decisamente cambiato, ma più in generale è cambiata società. I club hanno più soldi ora, ma certo non sono ancora “benestanti”.
«Il movimento è più strutturato. Oggi devi lavorare in modo più specifico e più duro rispetto ai miei tempi. Io non lo farei, non molti di noi l’hanno fatto. Oggi invece è abbastanza normale, ci sono tanti pro’ che hanno 19 o 21 anni, per questo è importante aiutarli a crescere e riportare le nostre esperienze. La conoscenza degli allenamenti è più accessibile, tutti si allenano bene».
Colbrelli vince la tappa di Houffalize al Benelux Tour. Domai difenderà il primato e poi volerà a Trento per gli europei. Grande intesa fra lui e Trentin
Se tanti atleti sono ancora in vacanza, c’è invece chi ha già ripreso a pedalare. Per Damiano Caruso il 2022 è già iniziato. Della sua sosta più o meno lunga ne avevamo parlato anche con Paolo Slongo. Nella sua Sicilia, il portacolori della Bahrain Victorious ha ripreso ad accumulare i chilometri che lo porteranno al ritiro di dicembre. O quantomeno sta facendo quel tanto per farsi trovare pronto prima di andare ad Altea (Spagna).
Per Damiano si tratta della 14ª stagione da professionista, ma la voglia e la passione di pedalare, come vedremo, sono sempre le stesse. Quando lo raggiungiamo sta per prepararsi ad uscire. Dice che andrà con degli amatori e che gli tireranno anche il collo. Ma aggiunge anche che di questi periodi glielo concede!
Caruso in questo periodo è uscito spesso in MtbCaruso in questo periodo è uscito spesso in Mtb
Damiano ci siamo lasciati alla Vuelta. Poi che cosa hai fatto? Come è andato il tuo riposo?
E’ andato meglio del previsto. Sto bene, mi sono riposato. Dopo la Vuelta non mi sono fermato subito, ma ho continuato a pedalare fino ai primi di ottobre. Ho fatto una sorta di de-training. E vi posso assicurare che mi è servito per testa e gambe (una sosta troppo lunga comporterebbe problemi col peso, ndr). Dopo una stagione così lunga e intensa sentivo proprio il bisogno di mollare un po’.
E quindi poi ti sei fermato del tutto?
Sì, una decina di giorni completamente fermo. Poi ho ripreso. Lo senti quando è il momento di ripartire. Lo capisci dalle semplici cose. Ti svegli al mattino e hai voglia di allenarti. Vedi la bici e hai voglia di farti un giretto. Per fortuna il desiderio di far fatica è tornato anche quest’anno!
Abbiamo visto che ti sei dato da fare, sei andato anche in mountain bike. Hai fatto una gara…
Eh sì. In realtà di gare dovevo farne due, una delle quali era l’Etna Marathon (una delle marathon più importanti d’Italia, ndr). Solo che pochi giorni prima del via sono caduto e avevo una spalla dolorante. Così la settimana successiva ho preso parte ad una piccola gara amatoriale non lontano da casa. Mi sono buttato nel mezzo. In generale comunque ho fatto parecchi giretti con persone e tifosi che mi chiedono di uscire durante l’anno, ma che per gare o di allenamenti non posso accontentare.
E come hai ripreso? Cosa stai facendo?
Esco in bici. Non faccio chissà quali salite e neanche tutti questi chilometri. Piuttosto cerco di avere buone sensazioni in vista dei carichi di lavoro che verranno. Inoltre ne approfitto per fare esercizi di stretching, lavori a corpo libero, un po’ di palestra, uscite in Mtb. Ho ripreso a mangiare da atleta. Insomma ho ripreso con le buone abitudini. L’obiettivo per il momento è arrivare bene a fine novembre quando inizierò la preparazione vera e propria.
Damiano (a sinistra) sul podio del Giro 2021, un risultato grandioso che però non lo ha cambiatoDamiano sul podio del Giro 2021, un risultato grandioso che però non lo ha cambiato
E questi allenamenti già li trasmetti alla squadra?
Metto tutto ciò che faccio sulla piattaforma del team: uscite, peso, sedute in palestra. Tengo così un mio diario e qualora volessi andare a rivedere qualcosa, posso farlo.
Ti capita mai di farlo?
Ogni tanto sì. Rivedo quel che avevo fatto nello stesso periodo degli anni precedenti, cerco di ricordare come mi ero trovato ed eventualmente aggiusto il tiro.
Questo per te, Damiano, è un inverno un po’ diverso: hai vinto una tappa alla Vuelta e sei salito sul podio del Giro. E’ cambiato qualcosa?
Cambia che adesso ho qualche impegno in più. C’è più gente che mi vuole parlare, ho più inviti ad eventi… Sono impegni, è vero, ma fanno anche piacere. Certo, sono tanti e qualche no lo devo dire. Ma questa è anche la gente che mi ha spronato a dare di più durante l’anno.
E dal punto di vista della preparazione, cambierai qualcosa?
Ora ciò che è importante è capire che calendario farò. Se oggi mi chiedeste: «Fai Giro o Tour?», non saprei rispondere. Dovremo trovare un punto di accordo tra quello che vorrei fare io e quello che vuole la squadra. E a quel punto valutare la preparazione adatta. Se non dovessi venire al Giro avrei una primavera più impegnata e già a dicembre inizierei in un certo modo. Se invece dovessi avere un picco a maggio me la prenderei un po’ più comoda.
La vittoria sull’Alpe Motta al Giro…
E quella di Alto de Velefique alla Vuelta. All’appello ora manca una frazione del Tour
La vittoria sull’Alpe Motta al Giro…
E quella di Alto de Velefique alla Vuelta. All’appello ora manca una frazione del Tour
E tu hai qualche sfizio che vorresti toglierti? Cosa vorresti fare l’anno prossimo?
Vorrei chiudere un cerchio. Vorrei vincere una tappa al Tour per entrare in quel famoso club di corridori che hanno vinto tappe in tutti e tre i grandi Giri. Qualora decidessi di fare il Tour punterei ad una tappa, non penserei alla classifica. Insomma, credo che una frazione alla mia portata possa esserci.
Ma scherzi! Tanto più nel Tour del 2022 che sembra lasciare spazio agli attaccanti…
Il percorso si presta, è vero. Lo spazio poi secondo me c’è sempre. Basta arrivarci bene, motivato e convinto. Certe corse, certe tappe, anche se su carta non lo sono, possono diventare dure ed essere adatte a me.
Prima di lasciarti alla tua uscita, Damiano, toglici una curiosità: hai detto che ti sei allenato abbastanza regolarmente, ma col meteo come hai fatto? Abbiamo visto dei nubifragi in Sicilia, si è addirittura parlato di uragano nel Mediterraneo al largo della tua isola…
I danni ci sono stati, ma più nel catanese. A casa mia, nella zona di Ragusa, è stato tutto più tranquillo. In quelle giornate di maltempo sono uscito in Mtb e piovigginava appena. Era tutto sotto controllo.
Dagli incubi ai sogni: in 47 giorni Mohoric è caduto, ha vinto e rivinto. Pellizotti, il suo diesse, ci racconta come ha recuperato l'iridato U23 di Firenze 2013
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Sembrava lontanissimo ma alla fine questo momento è arrivato: Eros Capecchi, 35 anni, appende la bici al chiodo e lo fa dopo 17 anni di elevato professionismo. Diciassette stagioni in cui il corridore della Bahrain-Victorious ha ottenuto grandi vittorie, specie con i suoi capitani, qualche sconfitta, si è sciroppato lunghe sgroppate sulle montagne, il caldo, il freddo, si è buttato in tante fughe…
Eros passò professionista nel 2006 alla Liquigas, ma fece già lo stagista l’anno prima, a soli 19 anni. Da lì andò alla Scott, poi Fuji-Servetto di Gianetti e Maxtin (che già aveva l’occhio lungo per quel che riguarda i giovani), quindi di nuovo alla Liquigas. Poi Movistar, Astana, Quick-Step, Bahrain: sempre squadre di primo ordine.
Eros Capecchi, stagista alla Liquigas nel finale del 2005 a soli 19 anni
L’umbro sognava di vincere il Tour quando è passato pro’
Capecchi sul Ghisallo, per tre stagioni (2013-2015) ha corso nella Movistar
Eros Capecchi, stagista alla Liquigas nel finale del 2005 a soli 19 anni
L’umbro sognava di vincere il Tour quando è passato pro’
Capecchi sul Ghisallo, per tre stagioni (2013-2015) ha corso nella Movistar
Insomma Eros, è tutto vero?
Sì, è tutto vero, era il momento giusto. Un po’ di anni li abbiamo fatti, no! È giusto lasciare spazio anche ai più giovani.
Ed è stato un momento che è arrivato in modo improvviso?
No, ci sono dei periodi in cui ti sembra che puoi proseguire normalmente, ma poi ti accorgi dai dettagli che è arrivato il momento di smettere. Ad inizio stagione mai avrei detto che avrei smesso…Poi però succede che gareggi un po’ meno, fai pause più lunghe… e qualcosa cambia. Quando ho annunciato il mio ritiro qualche giorno fa era un mese che non toccavo la bici e non avevo voglia di riprenderla.
Con la Bahrain poi non avevi rinnovato…
No, con loro no. Però una squadra l’avrei trovata. E in realtà c’era. Ne ho anche parlato con il mio procuratore. Gli ho detto di cercarla, ma senza tutta questa convinzione. Non me la sentivo di prendere un impegno sapendo che non avrei magari svolto il mio mestiere al 100%. Ci sarebbe stato il rischio di prendere in giro l’eventuale nuovo team e soprattutto me stesso.
Tu sei passato giovanissimo, non hai praticamente fatto i dilettanti, in un’era in cui tutto ciò non accadeva. Adesso invece sembra essere la normalità o quasi…
Oggi è molto diverso. In quell’epoca siamo stati io e Pozzato a non aver fatto i dilettanti. Solo che Pippo andò nella Mapei Giovani, che di fatto era una sorta di continental dell’epoca, mentre io iniziai direttamente con il WorldTour (all’epoca ProTour, ndr). E questa cosa fece scalpore. Oggi è più normale, magari non ancora tantissimo in Italia, ma all’estero succede di più.
Giro 2011: a San Pellegrino Terme vince Capecchi. La perla della sua lunga carrieraGiro 2011: a San Pellegrino Terme vince Capecchi. La perla della sua lunga carriera
Vero, si tende a buttare i ragazzi nella mischia. Quali difficoltà incontrasti?
Una volta c’era sempre un qualcosa da scoprire, da imparare nel corso degli anni. E la dovevi imparare da solo. Avevi i tuoi tempi: capivi come dovevi allenarti, come dovevi mangiare, come correre, l’osteopata lo vedevi una volta all’anno… Adesso invece tutti i team hanno: nutrizionista, preparatore, osteopata, psicologo… chi dimostra, dimostra subito. Non hai tempo, non fai la gavetta che secondo me non era sbagliata. Era una necessità. E inevitabilmente qualcosa nel tempo ti viene a mancare. Oggi sono molto più preparati sin dalle categorie minori. Lavorano con il potenziometro, sanno mangiare e tutto per loro è più facile al momento del passaggio.
Cosa gli viene a mancare?
Tante piccole cose. Ogni anno inserivi qualcosa di nuovo. Io alla mia prima stagione da pro’ ho fatto 40 corse e giusto un paio di corse a tappe di tre giorni. La stagione successiva ho fatto la prima classica. Quella dopo ancora la Parigi-Nizza. Poi un grande Giro. Già solo finirle certe gare era segno di crescita. Imparavi dagli errori che facevi. Oggi sbagliano meno, ma perché è il ciclismo che va più veloce. Se fai i primi due-tre anni male non trovi più squadra neanche se hai 24 anni. Io ai ragazzi in questi ultimi periodi davo sempre un consiglio: non fidatevi di chi vi dice che siete giovani. Se avete la possibilità, battete il ferro quando è caldo.
E tu col senno del poi passeresti di nuovo così giovane?
Io non ho rimpianti della mia carriera. La mia introduzione al mondo del professionismo fu graduale, adesso l’approccio è diverso. Faccio un esempio. Al Giro del Lussemburgo 15 anni fa c’erano 10 forse 15 corridori che andavano forte. Adesso ce ne sono 160. La gradualità che ho avuto io non esiste più… a meno che non vai a correre a Taiwan o giù di lì. Perché già in Australia, che addirittura è WorldTour, vanno fortissimo e in Argentina non è da meno. In generale il livello del gruppo è più alto. Ora passa chi va davvero forte. E quando passano sono preparati bene. Prima c’era sempre qualcosa che potevi non sapere. Magari ti allenavi bene, ma mangiavi male. Poi miglioravi anche quell’aspetto, ma intanto era passato un anno. Adesso sanno tutto.
Diciassette anni da professionista, cosa ti resta addosso di questo lungo viaggio?
Tutto. Giusto qualche giorno fa mi hanno chiesto quale fosse il ricordo più bello della mia carriera: sarebbe riduttivo dire la tappa del Giro d’Italia, che comunque è la più importante. Ma io davvero dico tutto, anche le sconfitte… che sono state più delle vittorie. Ho imparato due lingue (spagnolo e inglese, ndr), ho vissuto etnie e razze differenti. C’è gente che paga per girare il mondo, a me hanno pagato.
Una grossa fetta della maglia ciclamino di Viviani al Giro 2018 fu di Capecchi
All’Astana un solo anno, il 2016, ma quante risate in quel team…
Capecchi tira per la Bahrain: uomo squadra e riferimento in corsa, specie per i più giovani
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All’Astana un solo anno, il 2016, ma quante risate in quel team…
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In tanti anni sei stato vicino a tanti campioni, chi ti ha colpito di più?
Mi verrebbe da dire Vincenzo Nibali. Spesso si dà poco peso a quello che ha fatto e che ha vinto. Io sono cresciuto nel mito di Pantani che vinse un Giro e un Tour, ma Vincenzo ha due Giri, un Tour, una Vuelta, senza contare classiche e tante altre corse importanti. Però la classe di Valverde… La classe di quel corridore lì… E’ uno dei più vincenti di sempre e in Spagna uno così non lo ritroveranno presto. Lo vedi in bici: è stilisticamente perfetto. Vinceva a crono, in salita, in volata. Tu andavi alla Ruta del Sol, corsa piccola, lavoravi tutto il giorno ma eri sicuro di vincere. Un po’ come il Sagan degli anni migliori. Certo, lui adesso è un po’ calato ma ha fatto dieci anni fuori dal mondo. Ecco, Peter è uno di quelli che mi ha impressionato.
E com’era Valverde fuori dalle corse?
Un compagnone. Simpatico, sempre con la battuta pronta. Una brava persona. Quando sono arrivato alla Movistar è stato il primo a venirmi a salutare. E poi è un vincente. E’ spettacolare nel modo di correre. Dove lo trovi uno che vince gli arrivi con 100 corridori e i grandi Giri?
Quando sei passato cosa sognavi?
Beh, quando parti punti sempre in alto. Io sognavo due corse: il Tour de France e la Sanremo. Non le ho vinte ma le ho fatte. Qualche giorno fa parlavo con una persona e gli dicevo che spesso si dà poco valore ai corridori professionisti. Quanti siamo nel mondo, 500? Pensiamo ai calciatori: sono 25 per squadra, per categoria e per ogni nazione. Molti di più quindi rispetto al ciclismo. Pensate cosa significa essere un pro’ ed esserlo per tanti anni. Mi dicono: tu non hai reso come si sperava. Allora gli riporto l’esempio di Guti, il biondino che giocava nel Real Madrid nel quale mi rivedo. A lui dicevano sempre: con la classe che hai dovresti rendere di più. E lui rispondeva: ho fatto per dieci anni il centrocampista titolare nel Real, ho giocato con Ronaldo, con Zidane… Arrivavano altri giocatori ma io giocavo sempre. Pensate se avessi reso tanto! Per quel che mi riguarda, a parte quest’anno e un’altra volta in cui però fui io a chiamarmi fuori, ho sempre fatto almeno un grande Giro a stagione.
Ma noi non volevamo arrivare qua Eros, massima stima per i corridori come te, gregari anche vincenti. Se per tanti anni militi in una squadra WorldTour un motivo deve esserci…
Non è facile. O ti leghi ad un campione e sei il suo gregario, o è molto difficile. E’ difficile anche quando le cose vanno bene. Ricordo l’anno in cui Lefeveremi fece firmare il 21 dicembre, nonostante in quella stagione fossi andato bene e avessi dato una grossa mano (in modo palese) in molte vittorie.
In questi anni Capecchi ha messo su un vivaio. Si occuperà di questa attività che è anche una passione
Ciclismo affare di famiglia: Eros e la sua compagna Giada Borgato, ex professionista anche lei e oggi commentatrice Rai
In questi anni Capecchi ha messo su un vivaio. Si occuperà di questa attività che è anche una passione
Ciclismo affare di famiglia: Eros e la sua compagna Giada Borgato, ex professionista anche lei e oggi commentatrice Rai
Hai girato il mondo, o meglio le migliori squadre europee, però alla Liquigas eravate una forza…
Alla Liquigas siamo stati bene. Davvero un bel gruppo, personale fantastico. Ma anche alla Movistar e alla Quick Step non sono stato male. E lo stesso vale per l’Astana dove il gruppo italiano è molto grande. C’era anche Scarponi e si facevano tante risate. Poi io riesco a ridere anche col mio nemico, figuriamoci. Però se penso alla Liquigas… il mio cuore è verde, bianco, blu.
E adesso cosa farà Eros Capecchi?
Beh, ho la mia attività. Ho il vivaio che ho messo su con mia sorella e la mia famiglia. Quella delle piante era una mia passione. Mi porta via parecchio tempo, si estende su 45 ettari di terreno. Molte piante le produciamo noi, dal seme o dalle talee. E poi c’è in ballo anche un’altra cosa, ma per quella vedremo.
In bocca al lupo caro Eros, consentiteci questo finale. Consentiteci un saluto per un ragazzo che in tanti anni di professionismo si è sempre mostrato disponibile ed educato come pochissimi altri. E’ stato un corridore vero. Perché non lo è solo chi vince, ma chi sa fare e conosce il suo mestiere. Senza contare che in più di qualche occasione ci ha fatto divertire con le sue azioni.
Colbrelli vince la tappa di Houffalize al Benelux Tour. Domai difenderà il primato e poi volerà a Trento per gli europei. Grande intesa fra lui e Trentin
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