ALTEA (Spagna) – Un sole, che non diresti proprio essere di metà dicembre, scalda i lettini e la piscina dell’hotel dove alloggia la Bahrain-Victorious. Il riverbero è forte e spesso mentre Damiano Caruso parla dobbiamo chiudere gli occhi. Semmai ce ne fosse stato il bisogno, è facile capire perché le squadre vengono qui in ritiro.
Anche se proprio il siciliano, come vedremo, ci dirà che dalle sue parti, Ragusa, non è che le cose siano peggiori. Anzi…
Damiano Caruso, 37 anni, parlotta con il nuovo direttore sportivo, Sonny Colbrelli che, ironia della sorte, è anche più giovane di lui. Ma sappiamo come è andata. Sul volto e nel tono di Caruso quel che regna è la serenità. Lo stato di grazia di chi è qui e apprezza il fatto di esserci.
Damiano sedicesima stagione da pro’, se non erriamo…
No, non sbagliate. E’ proprio così!
Dal tuo primo ritiro nel dicembre 2008 ad oggi cosa è cambiato?
L’approccio. Ai miei inizi, il primo ritiro era più un incontro per conoscere i compagni, i nuovi membri dello staff. Adesso è un ritiro più curato, anche dal punto di vista atletico. E infatti ci si arriva più preparati. Ma questo è normale, è conseguenza del fatto che bisogna arrivare alle gare se non proprio competitivi, con una base più che buona. Una base che ti permetta di crescere durante la stagione, altrimenti il rischio è di dover inseguire per tutto l’anno.
Per esempio tu arrivi qui ad Altea con quanti chilometri e quanti giorni di allenamento?
I chilometri precisi non li so. Ho chiuso la stagione praticamente subito dopo la Vuelta. Ho continuato a pedalare per 15 giorni, poi mi sono fermato tre settimane del tutto. Avevo bisogno di staccare, di rigenerarmi perché ho finito con 30.000 chilometri. Ora sono di nuovo in preparazione e quindi chiuderò l’anno solare con 33-34.000 chilometri.
Che di questi tempi non sono pochi…
Ho cominciato a riprendere seriamente a metà novembre, anche aiutato dal fatto che abito in un posto che non ha niente da invidiare alla Spagna. Di maltempo, per esempio, non ne ho mai preso. Esco con la divisa primaverile e in salita, quando salgo verso Ragusa, metto le maniche corte. Ho lo smanicato per le discese perché si suda. La scorsa settimana è stato incredibile: soffiava scirocco pieno e mi sono dovuto fermare 2-3 volte a prendere l’acqua. Era veramente caldo.
Insomma procede tutto bene?
Sì, ho fatto anche un po’ di palestra quest’anno per mantenere il fisico più tonico. Sin qui tutto sereno e senza particolari intoppi. In questo periodo basta un banale raffreddore, che perdi delle settimane importanti. E il rischio è di ritrovarsi ad inseguire a lungo.
E che stagione sarà quella di Damiano Caruso?
Una stagione che voglio vivere con la massima serenità. Chiaro, comincia una fase della mia carriera in cui bisogna navigare un po’ a vista. Ho già in mente dei periodi in cui mi piacerebbe essere competitivo. E non è un segreto, se dico che voglio farli corrispondere al Giro d’Italia. Ma devo fare i conti anche con la mia età. Insomma, prima o poi il fisico chiederà il conto. Però di questa stagione mi piace anche il ruolo che sto avendo con i compagni giovani. Non tanto per insegnargli qualcosa, non sono un maestro, ma magari per trasmettergli la mia esperienza. Se qualcuno ha voglia di ascoltare o di avere punti di vista differenti, lo faccio volentieri.
Hai parlato di Giro. Noi l’abbiamo già scritto: Tiberi – Caruso è una è una gran bella coppia per la corsa rosa…
Ho avuto modo di conoscere Antonio durante l’estate e questo inverno abbiamo ricominciato. Ha tutte le carte per ambire a traguardi importanti. Non dobbiamo dimenticare però una cosa fondamentale: ha solo 22 anni. Qualche giorno fa ho letto un articolo così titolato: “Antonio, lo vedremo al Giro, ci dirà se è un campione o meno”. Questo non va bene. Perché mettere così tanta pressione a un ragazzo? Magari in quell’appuntamento dove tutti lo aspettano, per un motivo o per un altro, non va bene e cosa facciamo? Lo demoralizziamo.
Chiaro, serve il giusto equilibrio.
E noi abbiamo trovato un buon feeling. Ho cercato di spiegargli che il percorso di crescita, a meno che non sei Pogacar, più è regolare e meglio è. Gli servirà per la carriera, nel lungo periodo. Non deve avere l’assillo del risultato. Pensiamo a fare le cose per bene, poi eventualmente analizziamo gli errori e tutto il resto.
Damiano, parli proprio come un veterano e soprattutto con naturalezza. E allora ritorniamo al punto di partenza: chi era il Caruso di 16 anni fa al primo raduno? Come si sentiva dentro quel ragazzino?
Anch’io, come oggi tanti giovani, arrivavo al primo ritiro un po’ teso, ansioso, in punta di piedi. Ma anche con la voglia di far vedere che se ero lì, era perché avevo le qualità. Il mio primo ritiro da pro’ fu con la Lpr di Bordonali a Terracina. La sensazione era quella di un bambino che va al Luna Park. Cercavo di rubare con gli occhi. Oggi per me questo effetto sorpresa va a scemare. Però la voglia di venire al primo ritiro, di ricominciare, di conoscere i compagni… quella è identica. E poi anche perché questo primo ritiro ti lascia margine per fare due battute più del del normale. Questo fa sì che si senta meno il fatto che è il nostro lavoro.
Capitolo Giro d’Italia. Si profila una gran bella occasione. Hai dato uno sguardo al percorso?
Mi piace. Per il corridore che sono, che ha sempre pagato nelle salite estreme, è un Giro che mi si addice e mi stuzzica. E infatti questo inverno ero indeciso col Tour. Sapete che a me piacerebbe entrare nel club dei corridori che hanno vinto al Giro, al Tour e alla Vuelta. Mi manca appunto la tappa in Francia. Ma sono consapevole del fatto che non posso andare al Tour avendo corso il Giro: non sarei abbastanza competitivo. Pertanto mi sono trovato a scegliere. La squadra è stata super onesta con me. Mi ha detto: «Damiano è una tua decisione, sentiti libero di prenderla». Alla fine ho optato per il Giro perché sento che il progetto che c’è mi può dare di più sia a livello personale che di crescita delle nuove leve.
E poi comunque sei il nostro miglior uomo per le corse a tappe…
Col Giro c’è un feeling speciale. E’ la corsa di casa e riesco a tirare fuori il meglio di me. Ad avere la giusta motivazione e la giusta cattiveria. Vedremo se la mia scelta pagherà. Ma a prescindere dal risultato, torno a dire che a 37 anni quello che verrà, sarà tutto di guadagnato. Per esempio quest’anno ho fatto ancora quarto e per me è stato un ottimo risultato. Non potevo chiedere di più, anche perché i tre corridori davanti a me erano palesemente più forti.
Discorso chiaro…
Non è una scusa, ecco. E’ consapevolezza. Io darò il massimo. Sono nella situazione che se Caruso va forte, bene. Se Caruso va piano, io in primis magari sarò dispiaciuto, però è una cosa che devo accettare, perché prima o poi la parabola comincia. Ma questo non significa che mi senta già battuto o appagato. Fosse così, smetterei subito. E invece sento che ho ancora qualche cartuccia da sparare.
Perché la gente vuole così bene a Caruso?
Forse perché ho questo brutto vizio di dire sempre quello che penso. La gente non è scema, la gente percepisce quando una persona mente o parla col cuore. Quindi immagino sia per questa franchezza. Ed è così nelle interviste e nel quotidiano con chi mi sta attorno. Raramente in questi 15-16 anni ho avuto qualche problema con qualche compagno. Mi piace vivere sereno e mi piace pensare che riesco a trasmettere questa serenità.