Tratnik 2022

Tratnik, altro che gregario! Un altro sloveno per vincere

09.04.2022
7 min
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Non ci sono solo Pogacar e Roglic. A ben guardare, ormai non c’è gara, in linea o a tappe, dove non ci sia uno sloveno protagonista e sì che nel panorama internazionale, il loro numero è ancora ben poca cosa di fronte ad altre scuole, anche quella italiana, come numero di corridori appartenenti alle formazioni WorldTour. Il fatto è che ogni sloveno però è una garanzia d’impegno al 200 per cento il che porta risultati. Nella Bahrain Victorious, ad esempio, Jan Tratnik è una vera colonna portante, non si limita solo a sostenere i vari leader, ad essere l’uomo di fiducia in salita, ma spesso e volentieri si prende anche le sue responsabilità.

All’ultimo Giro delle Fiandre, dove la squadra non aveva un leader dichiarato alla vigilia, con la sua azione iniziale Tratnik ha contribuito a far esplodere la corsa finendo comunque 12° dopo essere stato 9° alla Milano-Sanremo. Campione europeo U23 nel 2012, vanta 17 vittorie da professionista e nel movimento sloveno, con i suoi 32 anni, è ritenuto una sorta di “vecchio saggio”.

Tratnik Pogacar 2022
Tratnik e Pogacar all’inseguimento nella Attraverso le Fiandre. I due hanno ottimi rapporti fra loro
Tratnik Pogacar 2022
Tratnik e Pogacar all’inseguimento nella Attraverso le Fiandre. I due hanno ottimi rapporti fra loro

Innamorato della bici

La sua particolarità è di essere sempre in giro, disponibile, pronto a ogni evento. In partenza per l’Olanda e per un’altra classica da prendere di petto, l’Amstel Gold Race, Tratnik si è sottoposto di buon grado a un fuoco di fila di domande, partendo dalle sue radici.

«Ho iniziato con il ciclismo nel 2007. Prima praticavo molti altri sport (arrampicata su roccia, calcio, basket, corsa, sci…). Mi sono innamorato del ciclismo perché il maestro di scuola mi ha invitato a una gara di MTB e sono arrivato 3°. Dopo questa gara, ho provato a utilizzarla di più col risultato che mi sono innamorato della bici. L’anno dopo ho preso la licenza di corridore e ho iniziato con le mie prime gare».

Da quando sei in Bahrain Victorious, non sei mai stato protagonista come nelle ultime settimane, con la top 10 a Sanremo e Dwars door Vlaanderen e poi il Fiandre con la tua lunga fuga. Cosa è cambiato rispetto agli ultimi anni?

Penso che dipenda solo dal mio ruolo nella squadra. Le mie prestazioni ogni anno erano quasi le stesse, ma solitamente aiuto la squadra nelle gare più importanti. So che posso fare anche buoni risultati se ho le mani libere e quest’anno è capitato. Se si guarda alla mia storia, questo tipo di gare è perfetto per me. Quando ero leader nel team CCC, ho vinto la classica del Limburgo, 5° al Brabantse Pijl, ecc… Ma quando sono arrivato in Bahrain, c’erano leader più forti e mi sono adeguato. Quando ho l’opportunità, ho ottenuto anche risultati. Questo si può vedere da alcune tappe dove sono andato in fuga (3° al Tour de France, vittoria di tappa al Giro). Quindi quest’anno ho più libertà e posso giocare le mie carte.

Tratnik europei 2012
Un giovanissimo Tratnik campione europeo Under 23 nel 2012. Jan è del 1990, è alto 1,73 e pesa 67 chili
Tratnik europei 2012
Un giovanissimo Tratnik campione europeo U23 nel 2012. Jan è del 1990, è alto 1,73 e pesa 67 chili
L’assenza di Colbrelli ha cambiato gli equilibri nella squadra per correre in Belgio, dandoti più possibilità?

Sì, questo è corretto. Se Sonny non avesse avuto problemi, starei stato a casa per Dwars Door Vlaanderen e Giro delle Fiandre e non avrei potuto mostrare le mie qualità.

Quali sono i percorsi dove ti trovi meglio?

La mia specialità sono le salite brevi e ripide. Posso produrre numeri di watt molto alti da 1 a 5 minuti. Penso di progredire anche su lunghe salite e sono anche bravo a cronometro. Quindi penso di essere un ciclista abbastanza completo, ma le mie prestazioni migliori sono sulle brevi salite, quindi le gare del Belgio mi si addicono…

Sei tra i più esperti del ciclismo sloveno: da dove viene un numero così alto di corridori vincitori, non solo Pogacar o Roglic?

A dire il vero non lo so nemmeno io. Sappiamo che Roglic e Pogacar sono ciclisti eccezionali. Sono i migliori al mondo in questo momento. Di sicuro ci aiuta, perché li vediamo fare bene, sono sloveni e anche noi vogliamo fare progressi. Se lavori duro, ti alleni duramente, credi in te stesso, i risultati arriveranno. E quando arriva il primo risultato, sei anche mentalmente più forte e gara dopo gara è più facile. Quando ho vinto la prima volta nel WT, non potevo crederci. Ma poi ho capito che ce la potevo fare. Quindi credo di poter vincere di più e lavorerò ancora di più per farlo.

Tratnik crono
Lo sloveno della Bahrain ha una buona propensione per le crono: vanta due titoli nazionali
Tratnik crono
Lo sloveno della Bahrain ha una buona propensione per le crono: vanta due titoli nazionali
Rispetto a quando hai iniziato, ora c’è più attenzione in Slovenia per il ciclismo e il numero dei corridori è aumentato?

Sì, molto! Posso vedere sulla strada quante persone vanno in bicicletta. Dal giovane all’anziano. Gli automobilisti ci rispettano anche di più sulla strada. Anche nelle gare delle categorie più giovani ci sono più ciclisti e di questo sono orgoglioso. Siamo grati, perché possiamo aiutare i giovani con l’ispirazione, che magari diventeranno anche ciclisti professionisti. E sono sicuro che la nuova generazione sta arrivando.

Conosci entrambi bene, Roglic e Pogacar: quali sono le principali differenze in termini di carattere umano e con chi vai più d’accordo?

Vado d’accordo con entrambi. Ci sono differenze di età, quindi con Primoz sono amico già da molto tempo, prima ancora di diventare professionisti. Tadej è più giovane e lo conosco forse da 2-3 anni. Sono entrambi amichevoli e pronti ad aiutare, anche se sono le più grandi star del ciclismo. Primoz è più vecchio e forse ora la vita gli sembra diversa. Tadej è ancora molto giovane e penso che anche lui non sappia quanto sia bravo. Ho solo buone parole per entrambi e sono felice di far parte di questa storia slovena.

Tratnik Roglic
Jan con la famiglia di Roglic: la loro amicizia è di vecchia data, prima di passare pro’
Tratnik Roglic
Jan con la famiglia di Roglic: la loro amicizia è di vecchia data, prima di passare pro’
Quali saranno le tue prossime gare?

Il mio prossimo obiettivo è l’Amstel Gold Race, poi ci sarà la Freccia del Brabante. So di essere in buona forma e cercherò di fare buoni risultati anche lì. Poi ho circa 3 settimane per mantenere questa condizione per il Giro d’Italia. Dopo forse sarò al Giro di Slovenia, ma manca tanto tempo e dobbiamo vedere come ci arriverò.

Quali obiettivi ti sei prefissato da qui alla fine della stagione?

Per prima cosa voglio fare bene nelle prossime due gare. Poi per il Giro cercherò di fare il meglio per la squadra e di aiutare i nostri ragazzi, ma di sicuro se ci sarà l’occasione cercherò di vincere una tappa come ho già fatto. Per le prossime gare forse mi concentrerò maggiormente sulle gare di un giorno (Plouay, Canada) e sul campionato del mondo. Se posso avere le stesse condizioni di adesso, penso di poter essere lì nel finale. Alla fine, se so di aver fatto di tutto per essere in gara al 100 per cento e anche se non c’è risultato, non mi biasimo. L’importante per me è fare tutto ed essere pronto per la gara. Se lavori sodo, i risultati arrivano.

Tratnik Giro 2020
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020, vittoria dopo una lunga fuga
Tratnik Giro 2020
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020, vittoria dopo una lunga fuga
Sei abituato a correre tanto ogni anno, nel 2019 sono stati addirittura 83 giorni: essere in gara così spesso per te è un vantaggio o pensi di poter ottenere di più riducendo i giorni di gara?

Penso che tu debba trovare un equilibrio. Devi anche ascoltare il tuo corpo. Se ti senti bene, forte, perché non correre e cercare di ottenere buoni risultati con una buona condizione? Se ti senti stanco, mentalmente distrutto, allora è un problema. Non ci sono grossi problemi a correre molti giorni di gara, il problema diventa se non sai come riposarti. Penso di avere un buon equilibrio tra corsa, allenamento e riposo. Se mi sento stanco, mi prendo uno o due giorni di riposo in più e poi continuo con gli allenamenti. Dopo tutti gli anni nel ciclismo, con alti e bassi nella mia carriera, ho imparato molto. Forse potrei avere qualche risultato in più ormai, ma ho una mentalità diversa. Alla fine la cosa più importante è che devi divertirti in allenamento, in gara e fuori dalla bici. Allora puoi durare ancora tanto.

La Sanremo di Mohoric e quel reggisella telescopico

19.03.2022
6 min
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Mohoric ha vinto la Milano-Sanremo. Caruso che lo abbraccia. Tratnik che non sta nella pelle. Attorno al pullman del Team Bahrain Victorious si respira la sbornia per il secondo Monumento consecutivo, dopo la Roubaix di Colbrelli.

Al settimo cielo

Matej arriva a parlare con la stampa un’ora e mezzo dopo l’arrivo, ma il suo sorriso non è per questo meno raggiante e in certi momenti incredulo. Ha vinto la Milano-Sanremo con un attacco nella discesa del Poggio e grazie a una di quelle intuizioni che fanno di lui un corridore speciale.

La gioia di Damiano Caruso, che ancora una volta ha lavorato per la squadra
La gioia di Damiano Caruso, che ancora una volta ha lavorato per la squadra

«Non dico che gli altri non siano lucidi – spiega Pellizotti al settimo cielo – ma lui sin da ragazzino ha sempre messo in ballo una grande capacità di analizzare le cose».

Accanto a lui c’è Volpi, alla sesta Sanremo vinta. Il diesse lombardo aspetta Mohoric impegnato nella conferenza stampa e ne custodisce gelosamente la bici.

«Ha fatto lui tutte le prove di questo reggisella – dice indicando il tubo telescopico – e io mi sento come Claudio Villa (ride, ndr) che vinceva sempre il Festival di Sanremo. L’ho vinta in ammiraglia con Petacchi, Nibali e Mohoric. Da corridore insieme a Bugno, Furlan e Colombo».

Il reggisella telescopico

Il reggisella telescopico sulla Merida, il segreto dell’attacco in discesa. E’ venuto di proposito su queste strade per provarne i settaggi e non si è fermato finché non ha avuto la certezza di aver trovato la giusta misura. Ha usato la Scultura, perché compatibile con il componente attualmente in commercio e dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’UCI.

«Era da tutto l’inverno che pensavamo a questo piano – spiega il vincitore – e i nostri partner Merida e Vision hanno lavorato perché fosse possibile. Un reggisella telescopico da mountain bike, niente di strano. Le prime prove le abbiamo fatte con escursione da 20, ma era troppo e siamo scesi a 16, anche se in tutto può abbassarsi di 6-7 centimetri. C’è un comando grip shift sul manubrio, con un colpo lo abbassi, con un altro lo alzi. L’ho abbassato in cima al Poggio e qualche volta l’ho rialzato, nei tratti in cui dovevo pedalare. Per un fatto di sicurezza, credo che potrà essere il futuro di tante corse.

«Lo abbiamo comprato su internet e lo abbiamo montato sulla Scultura perché ha il reggisella tondo. Nessuno lo aveva mai montato in gara, perché pensava che non servisse. E io che abito a Monaco, quest’inverno sono venuto qua decine di volte con la macchina e facevo anche 4 ore salendo e scendendo dal Poggio. L’avrò provata tremila volte ed è andata bene. Stamattina, scherzando, andavo accanto ai favoriti e cantavo la sigla di James Bond, dicendogli che avevo l’arma segreta e di non seguirmi in discesa. Mi hanno guardato come fossi matto…».

Dopo la discesa capolavoro, Mohoric non si è mai voltato
Dopo la discesa capolavoro, Mohoric non si è mai voltato

Un sabato importante

Non era sicuro che potesse correre ed essere brillante. La caduta alla Strade Bianche appresso ad Alaphilippe gli ha provocato una brutta infiammazione al ginocchio, che gli ha fatto saltare la Tirreno-Adriatico.

«Sono tornato a casa – dice – e sono rimasto per 3-4 giorni senza pedalare, ma andando tutte le mattine a fare terapia. Tanto che un giorno il fisio mi ha chiesto perché diavolo ci tenessi tanto e io sorridendo gli ho risposto che avrei avuto una corsa importante questo sabato. Ho potuto allenarmi bene per quattro giorni e alla fine è andata meglio a me di tanti ragazzi che hanno corso e si sono ammalati».

Una sola chance

Quando ha capito di avere le gambe per resistere alle bordate di Pogacar, Van Aert e Van der Poel sul Poggio, nella sua testa è scattato il piano.

All’arrivo con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
All’arrivo con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel

«Sapevo di avere una chance di prendere vantaggio – dice – e ho voluto fare la mia parte. Ho sprintato per la vita in ogni curva. Ero super concentrato. Scattavo a 450 watt e speravo che dietro si guardassero e non ci mettessero la stessa determinazione. In questa discesa ho messo a frutto tutte le acrobazie che facevamo da ragazzi in Slovenia quando costruivamo delle piste nei boschi e ci buttavamo giù. Questo, unitamente agli allenamenti sulla bici da strada, mi ha insegnato a spingermi oltre i miei limiti, imparando dai miei stessi errori.

«Ed è il motivo per cui dopo la brutta caduta del Giro scorso, non ho cambiato la mia mentalità. Non mi fermo per la paura, perché io so il motivo di quell’incidente. Il pedale che toccò e fece da perno. Non sono diventato più prudente, ma certo cerco sempre di essere nel mio limite. Anche se oggi in una curva a destra mi sono scivolate entrambe le ruote ed è stato difficile convincersi di essere in controllo (ride, ndr)».

Capolavoro Bahrain

La squadra ha fatto un capolavoro, senza Colbrelli con cui comunque non avrebbe corso diversamente.

«Avevamo una squadra forte – dice Pellizotti – ma di non avere un leader come la UAE. Sapevamo di giocarci le nostre carte in discesa e che in salita Matej non poteva staccare Pogacar e Van Aert. E’ già stato bravo se si pensa che non ha fatto la Tirreno a non staccarsi, perché oggi siamo andati fortissimo. Siamo venuti con la consapevolezza di non esser la squadra faro e di non doverci prendere la responsabilità della corsa come se ci fosse stato Sonny al cento per 100 e Matej stesso, che era un punto di domanda. Abbiamo aspettato dopo i Capi per sapere come stava. E comunque, anche con Sonny, avremmo corso così, perché Matej avrebbe giocato questa carta».

Simona Mazzoleni, l’addetta stampa sempre con il sorriso e l’Osmo che registra ogni cosa è al settimo cielo. Se tutto continuerà a girare a questo mondo, anche il 2022 promette di essere una stagione interessante.

Manubri stretti e attacchi manubrio (che vanno in pensione)

22.02.2022
5 min
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Nelle scorse settimane abbiamo affrontato il discorso dei manubri più stretti. Abbiamo sentito corridori e costruttori, stavolta sentiamo anche cosa ci dicono i meccanici. Perché c’è un’altra cosa che in teoria merita una considerazione, vale a dire la lunghezza degli attacchi manubrio.

C’è una relazione effettiva tra il restringersi delle pieghe e la lunghezza dell’attacco? In teoria sì, perché per mantenere gli stessi angoli d’inclinazione del busto, la stessa distanza fra le leve e la punta della sella, questi attacchi dovrebbero allungarsi un po’. In teoria… Perché la realtà è ben diversa. E il discorso dell’attacco semmai riguarda più la tipologia del manubrio che non la sua larghezza.

Il manubrio integrato Vision Team SL è uno dei componenti più ricercati in casa Bahrain Victorious
Il manubrio integrato Vision Team SL è uno dei componenti più ricercati in casa Bahrain Victorious

Demarin della Bahrain

E questa nostra osservazione è condivisa da Massimo Demarin, meccanico della Bahrain Victorious. «Vero – afferma – in teoria con le pieghe più strette, per mantenere le stesse misure bisognerebbe allungare l’attacco, ma che io ricordi non ci sono stati atleti nel nostro team che hanno cambiato la loro misura dell’attacco per questa motivazione.

«Semmai, i più giovani vanno alla ricerca del manubrio largo solo 40 centimetri centro-centro e vogliono anche queste leve ruotate verso l’interno. Che dire… si adattano»

Così come, spiega Demarin si adattano al manubrio integrato, che in casa Bahrain utilizzano tutti, all’infuori di Dylan Teuns

In questo team, il brand di riferimento per attacchi e manubri è Vision, la cui piega ha un avanzamento. Non è posta a 90° rispetto all’attacco. Anche chi non lo usava negli anni precedenti, sembra non aver cambiato la misura del suo attacco.

«No, perché alla fine questo offset è di circa 4 millimetri e ridurre l’attacco di un centimetro sarebbe troppo. I ragazzi sono bravi a trovare un compromesso».

In casa Astana c’è il manubrio integrato Wilier Filante, come la bici
In casa Astana c’è il manubrio integrato Wilier Filante, come la bici

Tosello dell’Astana

Gabriele Tosello, dell’Astana Qazaqstan ci dice proprio che: «La misura dell’attacco manubrio, non è cambiata per la sua larghezza quanto per il fatto che è integrato.

«Questa tipologia di piega è quella che va per la maggiore. Oggi all’interno di questo “blocco” passa tutto il cablaggio, anche quando si utilizza ancora il vecchio due pezzi. Noi abbiamo tutto made in Wilier e nel caso non dovessimo arrivare del tutto a certe misure, Fsa-Vision ci può fornire dei prodotti compatibili la misura richiesta».

Tosello dice che con l’integrato, specie per chi arriva da altri marchi, può esserci qualche differenza sulla profondità. In tal caso si interviene anche sull’attacco.

«Sulla base di questo ragionamento, qualche attacco l’ho cambiato – dice Tosello – ma parliamo di 5 corridori su una rosa di 30. Lo stesso Nibali è passato da un 120 millimetri ad un 110.

«E’ invece vero che si ha la tendenza a cercare pieghe più strette, però le richieste da parte dei corridori ci sono arrivate un po’ tardi e cercheremo di accontentarli al più presto. Per ora circa il 30% ci ha fatto richiesta di un manubrio da 40 centimetri centro-centro».

Il manubrio integrato di Most della Ineos Grenadiers, ci sono due versioni: il Talon Aero 1k Di2 (in foto) e il Talon Ultra Light
Il manubrio integrato di Most della Ineos Grenadiers, ci sono due versioni: il Talon Aero 1k Di2 (in foto) e il Talon Ultra Light

Cornacchione della Ineos

Il discorso appassiona anche Matteo Cornacchione, meccanico della Ineos-Grenadiers.

«Noi lavoriamo con la linea Most di Pinarello – dice – e per fortuna adesso abbiamo le misure “tonde”, 120, 130, 140… Un anno abbiamo avuto anche quelle intermedie, tipo le 125, 135… ma c’erano troppe pieghe. Ognuna con sei misure: era un bel caos. Ad un certo punto il team ha deciso di fare solo le misure “tonde”. 

«In squadra solo Adam Yates, che è piccolo, usa l’attacco da 140, altrimenti sono tutti sul 120-130, segno che si trovano bene con le misure delle bici. Yates invece ha voluto il telaio super piccolo e ha questa misura. Il che è un po’ paradossale se pensiamo che un gigante come Ganna ha un attacco da 130.

«Ormai i nostri corridori hanno tutti l’integrato. E devo dire che esteticamente mi piace molto. Non ci sono fili esterni e vi passano tutti i cablaggi. Tutto è molto pulito. Anche la messa del nastro con quello “scalino” termina para alla piega. Su 30 atleti solo Luke Rowe ha preferito restare fedele al doppio pezzo».

«Sul fatto della misura più stretta – prosegue Cornacchione – devo dire che anche i nostri hanno iniziato a dare uno sguardo, però la guida non è la stessa. In una corsa come l’UAE Tour può anche andare bene, ma in una tappa dei Paesi Baschi? Per dirne una…

«I nostri corridori per ora non hanno cambiato le larghezze ideali per le loro spalle, tuttavia è stato fatto qualche test in pista per verificarne i vantaggi. Qualcuno ha provato, i più giovani soprattutto. Chi è pro’ da 3-4 anni è rimasto fedele alla sua misura».

Yates con la sua bici piccola, “cade” molto in avanti con le spalle con l’attacco da 140 millimetri
Yates con la sua bici piccola, “cade” molto in avanti con le spalle con l’attacco da 140 millimetri

Attacchi classici addio

Ciò che emerge alla fine sono due elementi in particolare. Il primo: più che un cambio delle misure degli attacchi manubri in base a quelle delle piega, si assiste ad un abbandono dell’attacco tradizionale a vantaggio dei manubri integrati. Il secondo: i corridori si adattano molto più di quel che sembra, specie se devono utilizzare prodotti che li possono favorire… Anche se questo vantaggio molto spesso è psicologico e per assurdo certe scelte potrebbero penalizzarli.

Un manubrio integrato concede meno regolazioni. Questo vuol dire che tocca al corridore adattarsi.

La domanda allora è quanto guadagnano in termini di psicologici e quanto poi “perdono” in termini di biomeccanica? Insomma un corridore con spalle larghe che monta una piega da 38 centimetri centro-centro (perché ci sono state anche queste richieste) sarà certamente più aerodinamico, ma sarà altrettanto efficiente nella respirazione? E quanto potrà guidare bene?

A crono, dove i numeri sono ben più tangibili questo aspetto è “più superato”, con la bici da strada siamo un passo indietro. Alessandro Mariano, biomeccanico di grido, ce lo aveva detto: «Non avete idea di quanto incida l’aspetto psicologico da parte degli atleti».

Merida e Bahrain Victorious: avanti insieme

14.02.2022
2 min
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Il bike brand Merida è uno degli attori globali più strutturati per numero di biciclette prodotte e fatturato complessivo. Ultimamente ha annunciato l’estensione pluriennale del proprio impegno al fianco del team Bahrain Victorious di Sonny Colbrelli, Jonathan Milan e Damiano Caruso

Merida Bikes è al fianco della squadra sin dal 2017, stagione della propria costituzione, rappresentando in questi anni un vero e proprio partner integrale del team. Merida continuerà dunque a fornire al team Bahrain Victorious le proprie biciclette, ma anche ad apportare quel fondamentale “servizio” in termini di innovazione continua… Preziosissimo nel ciclismo di oggi: un’innovazione tecnica che Merida porta avanti con successo nel mondo del professionismo assieme a storici brand partner del calibro di FSA, Vision, Prologo, Continental e Shimano.

Sonny Colbrelli con Paolo Fornaciari, Presidente e CEO di Merida Italy
Sonny Colbrelli con Paolo Fornaciari, Presidente e CEO di Merida Italy

Una sfida tecnica vinta

«Sin dal nostro primo giorno di corsa – ha dichiarato Milan Erzen, l’amministratore delegato della squadra – Merida è stata parte integrante di questo progetto. Merida ci ha sempre fornito la migliore attrezzatura tecnica possibile, ed ha sempre avuto l’approccio ed il desiderio di innovare costantemente contando sui feedback dei nostri atleti. Abbiamo concluso una stagione incredibile, quella 2021, a testimonianza del nostro ottimo rapporto con l’azienda taiwanese. Siamo dunque entusiasti che il progetto possa continuare in futuro per poter ancora cogliere molte prestigiose vittorie assieme».

Dettagli della bici usata da Sonny Colbrelli per vincere la Parigi-Roubaix 2021
Dettagli della bici usata da Sonny Colbrelli per vincere la Parigi-Roubaix 2021

«Dal 2017 – ha ribattuto Wolfgang Renner, il CEO di Merida Europe – siamo stati in grado di entrare a far parte di questa grandissima squadra. E se guardiamo indietro vediamo con soddisfazione cinque stagioni di successo… Nel corso degli anni, siamo stati in grado di assistere all’eccezionale progresso del team unendoci a loro e celebrando numerosi grandissimi successi. Adesso un’altra stagione agonistica è appena iniziata, e noi siamo entusiasti di poter confermare il nostro continuo coinvolgimento nella squadra: continuando a lavorare a stretto contatto con personale esperto e fantastici corridori faremo senza dubbio del nostro meglio per consentire al team di raggiungere ambiziosi nuovi obiettivi».

Merida

Vincenzo Nibali corre verso il 2022, ce lo racconta l’amico Agnoli

15.01.2022
5 min
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Quando Valerio Agnoli parla di Vincenzo Nibali la voce si fa più vivace, come se si accendesse un interruttore. D’altronde hanno corso gomito a gomito per 12 stagioni, dal 2008 in Liquigas passando per Astana e Bahrain. I due oltre ad essere stati compagni di squadra sono tuttora ottimi amici. Si sentono spesso, un messaggio, una chiamata e… qualche pedalata insieme.

«Quando viene a Fiuggi dai suoceri ci vediamo sempre, quasi tutti i giorni – inizia Valerio – e spesso andiamo in bici. Lui ha il suo ritmo… andante (ride, ndr), una delle ultime volte che siamo usciti insieme, a ottobre, abbiamo fatto due ore di gravel e per stargli dietro sono andato a 175 battiti medi…»

Nibali ed Agnoli hanno corso per la prima volta insieme in Liquigas nel 2008: qui al Giro del 2010
Nibali ed Agnoli hanno corso per la prima volta insieme nel 2008: qui al Giro 2010

«A Natale è stato qui, mi ha detto che vuole portarmi a fare la Cape Epic (una corsa in mountain bike in Sud Africa che si corre a coppie, ndr). Gli ho risposto che mi aggrappo tranquillamente con le mani alla sella e lui mi trascina».

Vi sentite spesso?

Ci siamo sentiti dieci minuti fa. Mi ha mandato il link per una corsa gravel in Sardegna… Calcolate che siamo stati testimoni di nozze l’uno dell’altro, è un rapporto che è sempre andato oltre la bici.

Ecco, aiutaci a capire cos’è la bici per Vincenzo…

Tutto ciò che gira intorno alla bici per lui è passione: dal cambiare una ruota al sistemare i pedali. Lui è un perfezionista, cura tutto nei minimi dettagli. Quando correvo e dovevo montare delle tacchette, chiedevo a lui (ride di nuovo, ndr).

Hanno continuato in Astana, qui festeggiano la vittoria del Giro d’Italia 2013 insieme ai compagni ed allo staff
Hanno continuato in Astana, qui festeggiano la vittoria del Giro d’Italia 2013
Cosa spinge Vincenzo a continuare a questi livelli rilanciandosi sempre in sfide nuove?

Oltre alla sua passione immensa per la bici, ha quel dono innato che hanno solamente i fuoriclasse. Ci sono pochi corridori che hanno questa cosa: Contador, Froome, Valverde… Sono in eterna sfida con se stessi prima che con gli altri.

Quanto è stato difficile stare accanto a lui in questi anni?

Devo dire che ci siamo accettati, pregi e difetti. La cosa bella che c’è in un rapporto di amicizia è l’accettare l’altra persona per quella che è. Personalmente quando c’era da parlare o anche da discutere io mi ci mettevo, poi amici come prima. Ma è importante far valere le proprie ragioni.

Sono diventati molto amici negli anni, tanto da diventare testimoni di nozze l’uno dell’altro
Sono diventati molto amici negli anni, tanto da diventare testimoni di nozze l’uno dell’altro
Voi avete corso insieme in Astana, dal 2013 al 2016, cosa lo ha spinto a tornare?

L’ambiente. Negli anni che siamo stati lì, ci siamo trovati bene con tutto lo staff, ma soprattutto con Vinokourov e poi con “Martino (Giuseppe Martinelli, ndr). Lui, secondo me, ha giocato un ruolo chiave per il ritorno di Vincenzo. E’ tornato per continuare e concludere un progetto di vita iniziato anni fa.

E con i compagni come si trova?

Mi ha già parlato in maniera positiva del rapporto che ha con loro. Ha detto che se anche li conosce da poco, ride e scherza con Moscon e anche con Boaro.

Negli anni alla Trek come ti sembrava?

Male non stava, ma non mi sembrava molto sereno. In un ambiente così ci sono tante pressioni, ma Vincenzo è abituato. Non so, detto sinceramente, come mai non abbia continuato. Onestamente in una persona come Nibali ci avrei investito. Anche lo sponsor, Segafredo, avrebbe avuto piacere a continuare con lui…

Il loro legame si è consolidato anche al di fuori della bici
Il loro legame si è consolidato anche al di fuori della bici
Le dinamiche in una squadra sono tante e delicate…

Assolutamente, poi il corridore va seguito con attenzione, ricordandosi dapprima che è un essere umano. Quando a inizio stagione fai un programma, il corridore si immedesima in quello. Se inizi a cambiargli delle cose perché secondo te non rende come deve, ne risente. E’ difficile ricalibrare gli obiettivi ed avere nuovi focus.

L’ultima vittoria al Giro di Sicilia, da amico, come l’hai vista?

Per lui è stata una scarica di super felicità, vincere è sempre bello per tutti, pensate per uno che è sempre stato abituato a farlo… Era l’iniezione di fiducia che gli serviva per rilanciarsi e approcciare la nuova stagione nel modo giusto. Appena superata la linea del traguardo mi ha mandato lo screen del ciclocomputer per farmi vedere i watt sull’ultima salita: 400 watt medi (sull’ultima salita della quarta tappa, Nibali ha ottenuto il KOM con una Vam di 1.700 m/h, ndr).

Insomma, per come ce lo hai descritto dopo quella vittoria avrebbe voluto incominciare la nuova stagione subito.

Per come è fatto lui, quella vittoria gli ha dato un morale incredibile per iniziare il 2022 e sono sicuro che ci farà vedere belle cose.

Vincenzo e Valerio hanno corso insieme anche in Bahrain fino al 2019, anno del ritiro di Agnoli
Vincenzo e Valerio hanno corso insieme anche in Bahrain fino al 2019, anno del ritiro di Agnoli
Vincenzo ha mosso una generazione di corridori e di tifosi.

Tanti giovani si sono ispirati a lui, ma anche gli appassionati gli vogliono bene. Questo perché è una persona gentile e alla mano, si è creato da solo. Noi che veniamo da giù avevamo poche opportunità per andare a correre, l’unica soluzione era fare trasferte chilometriche in Toscana, Veneto… Se ami davvero questo sport, non le vivi come delle difficoltà, ma come delle opportunità per far vedere quanto vali e lui lo ha ampiamente dimostrato.

Tu che lo hai visto da vicino, in cosa è cambiato di più negli anni?

E’ diventato più metodico, più perfezionista. Se quando era giovane era al 99 per cento ora è arrivato al 101. Mentalmente ha imparato a non staccare mai, cura sempre tutto nei minimi particolari.

Bugno 2021

Bugno, ci racconti quando disertasti il Giro?

09.01.2022
5 min
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Ci sono cose che nel ciclismo, pur in evoluzione, non cambiano mai. Le dichiarazioni di Javier Guillen a proposito del prestigio storico del Giro ma della maggior qualità che ormai la Vuelta (senza parlare del Tour) hanno nei confronti della corsa rosa continuano a far discutere e certamente scelte come quella della Bahrain Victorious, che ha già deciso la partecipazione di Damiano Caruso e Sonny Colbrelli al Tour disertando il Giro, attizzano il fuoco. Quando un italiano rinuncia al Giro per la Grande Boucle, si scatena sempre un putiferio e lo sa bene Gianni Bugno: nel 1992 la sua scelta riempì le pagine dei giornali per giorni.

Bugno, campione del mondo in carica, era stato vincitore al Giro nel 1990 e 4° nel 1991, ma dopo la corsa rosa fu protagonista di un eccezionale Tour de France, dove insieme a Claudio Chiappucci diede battaglia fino all’ultimo all’imperatore di allora, Miguel Indurain. Nel 1992 decise così di concentrare tutte le proprie energie per la prova francese: «Avevamo pensato che dovevo arrivare al Tour con più energie. Fra Giro e Tour non c’è mai stato grande spazio anche perché di mezzo c’erano altri impegni, al Giro della Svizzera come al Campionato Italiano. Allora la nostra stagione partiva con la Sanremo e finiva col Lombardia, eri sempre in gara, non ti focalizzavi su un appuntamento».

Bugno scelse di saltare il Giro per correre il Tour: finì 3° dietro Indurain e Chiappucci
Bugno scelse di saltare il Giro per correre il Tour: finì 3° dietro Indurain e Chiappucci
Venisti criticato per quella scelta?

Altroché, me lo ricordo ancora… Rinunciare al Giro era un sacrificio enorme, si scatenarono tante polemiche, molti lo videro come un tradimento, anche perché Indurain aveva fatto la scelta inversa, doppiare Giro e Tour, ma lui non puntava alle classiche… Era un modo per provare a ribaltare la situazione, ma le cose andarono diversamente, vinse ancora lui e io finii terzo. Era il più forte, non potevamo farci niente.

Ti sei mai pentito?

No, al tempo era quello che andava fatto proprio per provare a invertire la tendenza, avevamo fatto una preparazione puntata sul Tour. Ribadisco il concetto, io e lo spagnolo eravamo corridori diversi, lui puntava tutte le sue fiche sulle corse a tappe, io ero sulla graticola dall’inizio alla fine…

Bugno Gatorade 1992
Bugno e il suo team Gatorade in parata agli Champs Elysées (foto Flickr)
Bugno Gatorade 1992
Bugno e il suo team Gatorade in parata agli Champs Elysées (foto Flickr)
Secondo te dire che oggi il Giro ha più storia ma la Vuelta ha più importanza è vero?

Sì, perché il Giro è molto più compresso nel calendario, schiacciato tra le classiche e il Tour, col risultato che chi punta alle classiche del nord poi va al Tour. Su una cosa però dissento: la Vuelta conta di più non tanto perché è la rivincita del Tour, quanto perché è il trampolino di lancio per i mondiali, anche se rispetto ai miei tempi la corsa iridata ha perso molto del suo fascino e tanti non la pongono più come un obiettivo. Indossare quella maglia valeva un’intera carriera, caratterizzava ogni giorno di corsa, oggi non è più così.

Dal punto di vista tecnico il Giro ha perso peso?

Il Giro d’Italia è sempre stato impegnativo e la sua struttura non è cambiata, tecnicamente ha un grande valore. Allora chi andava al Giro voleva essere protagonista, c’era una partecipazione importante e si lottava per vincere, oggi coloro che realmente possono ambire al successo sono davvero pochi e vanno al Tour, così la corsa rosa perde parte del suo appeal.

Colbrelli Caruso 2021
Colbrelli e Caruso, il loro 2022 culminerà in estate col Tour, in base alle esigenze di squadra
Colbrelli Caruso 2021
Colbrelli e Caruso, il loro 2022 culminerà in estate col Tour, in base alle esigenze di squadra
Hai letto delle polemiche attorno alla scelta della Bahrain?

Certamente non parliamo di corridori che andranno per puntare al successo: Colbrelli può ambire alla conquista di qualche tappa, Caruso ha 36 anni, è stato secondo al Giro, può sicuramente far bene, ma quel che conta è la scelta della squadra che logicamente punta le sue maggiori forze sul Tour, perché è una vetrina planetaria, dà un’immagine unica. Io sono convinto che sia Sonny che Damiano avrebbero avuto piacere di correre in Italia, ma devono sottostare alle regole del team.

Cambierà questa situazione?

Non con il calendario attuale, con il Giro schiacciato in maniera tale da rendere pressoché impossibile la caccia alla doppietta che ha caratterizzato la storia di grandi campioni. Il Giro d’Italia non si può inventare, va preparato per tempo e con costanza e questo significa che bisogna sacrificare qualcosa della prima parte della stagione. Il Giro sconta un ciclismo più specialistico di quello che vivevamo ai miei tempi.

Vegni Giro 2021
Mauro Vegni, direttore del Giro, ha aspramente criticato la decisione della Bahrain
Vegni Giro 2021
Mauro Vegni, direttore del Giro, ha aspramente criticato la decisione della Bahrain
Bartali diceva «l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare…»

Tutto proprio no, perché a ben guardare quel calendario premia l’Italia a inizio stagione. Dalla Strade Bianche alla Sanremo, il meglio del ciclismo mondiale è qui, vediamo tutti i grandi campioni che poi caratterizzeranno la stagione e questa è una vetrina importantissima. E’ chiaro comunque che sul Giro bisogna fare riflessioni importanti per riportarlo ai fasti di un tempo.

Jonathan e Matteo: botta e risposta tra i fratelli Milan

12.12.2021
7 min
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I fratelli Sagan. Gli Yates e i Bessega, addirittura gemelli. I fratelli Bais e i due Consonni. Le sorelle Fidanza, per un po’ i Frapporti e tutti quelli che abbiamo sicuramente dimenticato. Quando il ciclismo diventa un affare di famiglia, è curioso andare a vedere in che modo condizioni le vite e il modo di pensare

Così questa volta mettiamo nel mirino i fratelli Milan: Jonathan, classe 2000, campione olimpico e del mondo nell’inseguimento a squadre che corre al Team Bahrain Victorious; Matteo, classe 2003, due vittorie nel 2021 fra gli juniores, in procinto di passare al CT Friuli da cui è sbocciato anche suo fratello. Il papà, Flavio Milan classe 1968, fece una bella carriera da dilettante, vincendo corse come il De Gasperi, il Trofeo Zssdi e il Del Rosso.

Con un po’ di fortuna e se Matteo continuerà a crescere come i tecnici pensano possa fare, i due potrebbero ritrovarsi a correre assieme tra i professionisti, dato che la continental friulana ha un rapporto di collaborazione tecnica con il team WorldTour del Bahrein.

Difficilmente i fratelli si somigliano in tutto, persino i gemelli Yates sono completamente diversi. Perciò proviamo a leggere i due ragazzi di Buja attraverso le risposte che daranno alle stesse domande.

Quando hai iniziato a correre in bici?

MATTEO: «Ho iniziato a correre in bici all’età di quattro anni, alla Jam’s Bike Team Buja».

JONATHAN: «Ho iniziato a correre da giovanissimo, avevo quattro anni».

Hai subito pensato che saresti diventato un corridore?

MATTEO: «Per me correre è sempre stato un divertimento e la passione è cresciuta piano piano, nel tempo».

JONATHAN: «All’inizio era molto un divertimento, ho iniziato con la mountain bike. Poi in età più avanzata sono passato alla strada e lentamente sono riuscito a scoprire le mie doti. Da lì piano piano ho iniziato a sognare di diventare un corridore forte e riuscire a passare professionista. E’ stata una cosa graduale».

Si diventa forti con le gambe o con la testa?

MATTEO: «Si diventa forte con entrambe, una cosa aiuta l’altra».

JONATHAN: «Avendo sia gambe che testa. Ci vuole molta testa per allenarsi e di conseguenza arriveranno anche le gambe».

Una cosa che hai imparato da tuo padre?

MATTEO: «Da mio padre la precisione nei dettagli e a dare sempre il massimo. Invece da mia madre ha imparato a cucinare».

JONATHAN: «La determinazione, cioè che comunque non bisogna mai aver paura di faticare, di rimboccarsi le maniche».

Due aggettivi per descrivere tuo fratello corridore?

MATTEO: «Io descriverei mio fratello come un grande passista veloce».

JONATHAN: «Determinato. Penso che determinato comprenda molte altre sue caratteristiche, quindi lo descriverei con una parola soltanto».

Sin da bambino la corsa dei sogni qual era?

MATTEO: «Sin da bambino la mia corsa dei sogni è sempre stata la Tirreno-Adriatico».

JONATHAN: «E’ sempre stata la Roubaix, ma adesso sinceramente sono molte. Però la Roubaix è una di quelle».

La prima volta che ti sei sentito orgoglioso di tuo fratello?

MATTEO: «Quando ha vinto il regionale in pista da juniores».

JONATHAN: «Ho sempre avuto orgoglio per mio fratello, qualsiasi obiettivo lui riuscisse a raggiungere. Quando si fissa una cosa e riesce a ottenerla con determinazione e impegno, questo è un orgoglio, perché vuol dire che ci sta mettendo del suo».

Siete sempre andati d’accordo?

MATTEO: «Tra noi c’è stata sempre una bella complicità. Ogni tanto è normale che litighiamo per stupidaggini, ma niente di che…».

JONATHAN: «Il nostro è un normalissimo rapporto fra fratelli. Ci sono volte in cui si discute, però mai discussioni accese. Magari i fraintendimenti ci stanno, ma abbiamo un bellissimo rapporto e sono contento di averlo».

Che cosa ti piace di Buja?

MATTEO: «Mi piace la posizione geografica, perché mi permette di passare da percorsi collinari a pianeggianti con facilità. E per quanto riguarda la popolazione, è molto presente sia quando si tratta di aiutare nel momento del bisogno, che quando c’è da festeggiare».

JONATHAN: «Mi piace la gente e mi piace soprattutto la città tranquilla. Ci si conosce più o meno tutti e mi piacciono le sue radici, la sua storia… Mi piace tutto di Buja, ecco!».

Che cosa è per te la fatica?

MATTEO: «Per me la fatica è uno stimolo a fare sempre meglio».

JONATHAN: «La fatica per me è quella soglia in cui iniziamo ad avvicinarci ai nostri limiti, che sono soprattutto mentali. Per me la fatica è questo».

Che cosa è per te la salita?

MATTEO: «La salita non è una discesa…».

JONATHAN: «La salita per me è fatica, in pratica avevo già risposto nella domanda precedente».

Che cos’è per te la cronometro?

MATTEO: «Per me la cronometro è una disciplina che… la lascio a mio fratello!».

JONATHAN: «In primis una gara contro te stesso. Poi ovvio, devi basarti su un tempo e sul tempo che ha fatto l’altro. E’ anche una gara contro gli altri, però in primis contro se stessi. Spingerti contro gli ostacoli mentali e fisici, quindi si torna al concetto di fatica».

Ti sei emozionato mai per una vittoria di tuo fratello?

MATTEO: «Sicuramente la vittoria che mi ha emozionato di più è stata quella alle Olimpiadi che finora è stata anche la più grande».

JONATHAN: «Mi emoziono un po’ quasi tutte le volte, però non glielo dico. E’ un segreto fra di noi…».

Tra i due fratelli ci sono tre anni di differenza e caratteristiche tecniche diverse (foto Instagram)
Tra i due fratelli ci sono tre anni di differenza e caratteristiche tecniche diverse (foto Instagram)
Una dote tecnica che lui ha e tu vorresti avere?

MATTEO: «Sicuramente la digestione veloce e boh… scherzo! La dote vera che vorrei avere la sua lucidità negli sprint».

JONATHAN: «E’ un ragazzo veloce, ma tiene molto bene anche sulle salite. In più sta iniziando a essere anche un bel passistone. A me piacerebbe tenere come lui nelle salite medio lunghe di 5/6 chilometri. Almeno fino a quest’anno è stato così, adesso farà il salto di categoria e si dovrà rivedere tutto, ma per me diventerà un ottimo corridore da classiche».

Una tua qualità che gli vorresti regalare?

MATTEO: «Saper cucinare!».

JONATHAN: «Non lo so, sinceramente è una domanda molto grande. Non lo so se ne ho… Sinceramente lo sprint un po’ più forte, ecco».

Piatto preferito?

MATTEO: «La pizza mozzarella di bufala e prosciutto».

JONATHAN: «Ce n’è più di uno. Il primo sono le lasagne e poi mettiamo dentro anche il tiramisù, sono veramente matto per questi due piatti!».

Salita preferita?

MATTEO: «La mia salita preferita è Porzus, vicino ad Attimis».

JONATHAN: «Attimis, ci vado spesso. Una salita famosa dove si allenano anche Fabbro e De Marchi, quindi molto frequentata dalle mie parti. Ma di solito (fra virgolette e fra parentesi) non ne faccio molta di salita, essendo un passistone…».

Sognate in giorno di correre insieme?

MATTEO: «Sicuramente correre assieme è uno dei nostri sogni e, perché no, anche tirargli una volata qualche volta».

JONATHAN: «Mi piacerebbe un sacco correre insieme nella stessa squadra e quindi, dai, è un sogno che spero si realizzerà».

Tante novità, ma alla base è sempre il Cycling Team Friuli

04.12.2021
6 min
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L’estate e poi l’autunno del Cycling Team Friuli sono stati montagne russe. Avendo preso il giovane Milan dalla squadra di Bressan e Boscolo e avendolo gestito bene fra Artuso e Fusaz, capo del CTFLab, i manager del Team Bahrain Victorious a un certo punto hanno proposto alla squadra bianconera di diventare il suo vivaio.

Avrebbe significato sciogliersi e perdere l’identità che negli ultimi anni hanno fatto della squadra un riferimento fra le continental europee. Qualcuno era favore. Qualcuno era contrario. Qualcun altro era nel mezzo. Richiesto di un parere nel cuore dell’estate, anche Giovanni Aleotti era sembrato perplesso.

«Probabilmente – aveva detto – smetterebbe di essere la piccola famiglia che ha portato al professionismo tanti di noi e che è sempre stata la sua chiave. Ci sarebbe da valutare e capire se ne vale la pena».

Andrea Pietrobon, qui con Boscolo, correrà dal prossimo anno nella Eolo-Kometa continental
Andrea Pietrobon, qui con Boscolo, correrà dal prossimo anno nella Eolo-Kometa continental

Le voci d’estate

Fra cose non dette e cose che si dicevano, a settembre in giro la raccontavano come cosa fatta. Ne parlavano i direttori sportivi dei pro’, ne parlavano i corridori, anche se di definito non c’era nulla. Tra l’altro l’offerta della squadra guidata da Miholjevic, il cui figlio Fran corre proprio nel CTF, aveva nel frattempo permesso di capire che il regolamento tecnico legato ai Development Team dell’UCI poneva una serie di paletti molto stringenti sul rapporto fra la squadra WorldTour e quella prescelta per esserne il vivaio. E dato che il CTFriuli non voleva perdere la sua identità, alla fine, fra cose dette e cose che non si possono dire, sembrerà di rivivere la collaborazione che per un po’ legò la Lampre-Merida e il Team Colpack. La squadra bergamasca infatti mantenne colori e prerogative, corse con bici e materiali del team di Saronni e alla fine del 2016 fece passare nelle sue file Consonni, Ganna, Ravasi e Troìa.

Su bici Merida

Perciò, in attesa di vedere la nuova maglia, il Cycling Team Friuli riparte con bici Merida, un corridore dall’Oriente, ma la filosofia di sempre. Renzo Boscolo sull’ammiraglia. I ragazzi del CTFLab che sono ormai un pool tecnico di primissimo piano. E Roberto Bressan a dettare la rotta dall’alto della sua esperienza.

«Abbiamo fatto una bella campagna acquisti – racconta Boscolo – con una serie di giovani molto interessanti, fra cui Bryan Olivo e Daniel Skerl che arrivano diretti dalla Uc Pordenone, in cui li avevamo messi perché crescessero. Purtroppo la squadra ha chiuso, quindi è decaduto il discorso della filiera. Il Friuli si salva grazie al fatto che ha numeri contenuti, ma dovremo trovarci un’altra squadra juniores. Avendo gli allievi, il passaggio fra gli junior è decisivo».

Parlavi di Olivo, che è campione italiano juniores di cross, ma non sta correndo…

Per quest’anno abbiamo deciso di non fare cross. Lui non l’ha presa bene, ma ci siamo accorti che va forte anche in pista e non poteva seguire tre discipline, dato che ha anche la scuola. Per cui, visto che anche nel cross avrebbe accusato il salto di categoria, per il primo anno ci concentreremo su strada e pista. Il secondo posto al mondiale dell’inseguimento a squadre è stato un bel segnale e forse, se avesse fatto anche l’europeo, sarebbero arrivati alla finale con più esperienza.

Matteo Milan vince a Reda tra gli juniores con una lunga fuga. E’ il 2 maggio 2021
Matteo Milan vince a Reda tra gli juniores con una lunga fuga. E’ il 2 maggio 2021
Di Skerl cosa dici?

Vedrete se non sarà una rivelazione. Fino agli allievi ha corso in mountain bike, ora va su strada. Non ha vinto, ma ha nove piazzamenti nei cinque da marzo a ottobre.

Fra i nuovi c’è anche Matteo Milan, fratello di Jonathan?

Quest’anno ha vinto due corse in modo non banale. Una con 40 chilometri di fuga solitaria, l’altra partendo sin dai primi chilometri con un gruppetto. E’ completamente diverso da “Johnny”, più maturo in rapporto all’età. Proprio il fratello ci raccontava che tutte le mattine si alza e fa ginnastica, perché forse ha visto che Jonathan ha iniziato a fare seriamente la differenza quando ha iniziato a seguire alla lettera le indicazioni di Andrea Fusaz.

Chi altri arriva?

Longato e Andreaus, due bei corridori. Il secondo lo ha portato Fondriest e ci ha fatto una bellissima impressione. Poi sempre dalla scuderia di Maurizio arriverà un inglese che si chiama Oliver Stockwell. Nel 2021 era al primo anno, ha partecipato al Tour of Britain dei pro’ con la nazionale, segno che anche loro ci credono parecchio.

Donegà rimane?

Certo, perché non abbiamo voluto privarci di un pistard che abbiamo seguito molto, ma per lui sarebbe sicuramente meglio se riuscisse a entrare in un gruppo militare.

E poi c’è Miholjevic…

Credo che il 2022 sarà il suo anno. Ha finito la scuola e potrà dedicarsi al ciclismo a tempo pieno.

Invece Pietrobon?

Come forse pochi sanno, Andrea ha avuto qualche problema di salute, un’intossicazione virale che gli ha tolto la forza per parecchio tempo. Nonostante questo, nel 2022 correrà nella continental della Eolo-Kometa e poi diventerà professionista con loro. Il fatto che ci abbiano creduto depone a loro favore. Ho già degli ottimi report sul loro lavoro da parte di Davide Bais, sono contento se riusciranno a crescere ancora.

Un altro anno da Ct Friuli, dunque?

Il nostro modo di lavorare con i giovani è piaciuto. Abbiamo avuto carta bianca sui nomi da prendere e per il resto saremo sempre noi. Con una maglia particolare, ma sempre nel nostro stile. E il resto si vedrà dal 2022.

Kreuziger 2021

Kreuziger tra passato, futuro e i ricordi in Liquigas

18.11.2021
6 min
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Roman Kreuziger è alle Canarie, per godersi una settimana di relax con la famiglia prima di tuffarsi nel nuovo lavoro. Ha appena terminato i corsi per il patentino da direttore sportivo e già è pronto a tuffarsi nella nuova avventura nella Bahrain Victorious, ma vuole anche dedicare più tempo alla moglie e ai figli, che in questi anni ha potuto vedere poco. Le voci dei bambini che giocano fanno da corollario alla chiacchierata nella quale si sente che Roman sta entrando in una nuova dimensione.

La sua decisione di chiudere a 35 anni era maturata da tempo: «Ci avevo pensato già nel 2020 quando la NTT si dissolse, ma poi la Gazprom mi offrì la possibilità di riprovarci ancora. E’ un bel team, mi trovavo bene e mi avevano anche chiesto di restare a livello dirigenziale, la mia decisione non è dipesa da loro. Solo che le gare non mi davano più quelle emozioni di prima, in questo ciclismo attuale non mi ci rispecchio più come corridore, posso fare altro, sempre restando nell’ambiente». 

Kreuziger Amstel 2013
Kreuziger in solitudine sul traguardo dell’Amstel 2013, con 22″ su Valverde e altri 14
Kreuziger Amstel 2013
Kreuziger in solitudine sul traguardo dell’Amstel 2013, con 22″ su Valverde e altri 14
Com’è nato il tuo sodalizio con la Bahrain?

Parlando in gruppo con Colbrelli e Consonni. Quando gli ho detto che avrei mollato e che alla Gazprom mi avrebbero tenuto come diesse, mi hanno detto che alla Bahrain cercavano qualcuno di supporto, mi hanno messo in contatto con Miholjevic, con il quale avevo corso negli anni d’oro della Liquigas.

In tanti hanno parlato dell’ambiente che si respirava in quel gruppo con enorme nostalgia: che cosa c’era di così positivo?

Amadio era stato bravo a costruire un team equilibrato, con leader e giovani che potevano crescere con calma. Io sono passato professionista con loro a 19 anni nel 2006 rimanendo per 5 stagioni e sono state emotivamente le più belle, c’era un ambiente familiare che ti spronava a impegnarti, quando vinceva uno vincevano tutti, si viveva in un clima di fiducia. Non è un caso se da quel gruppo sono usciti campioni come Nibali, Basso, Sagan

C’erano anche tanti che poi hanno continuato nel ciclismo a livello tecnico/dirigenziale, da Cioni a Gasparotto, dallo stesso Miholjevic a Pellizotti che ritroverai alla Bahrain. Pensi che ci sia un legame con quanto appreso allora?

Sicuramente. Io dico sempre che a quei tempi il mondo del ciclismo era fatto da gente che lo viveva con passione, senza paura dei sacrifici da affrontare. Ma la passione veniva prima di tutto. Oggi viene visto molto come un lavoro, ma c’è meno convivialità e questo pesa. Una volta si giocava a carte, si scherzava, si stava insieme, oggi appena in hotel tutti attaccati allo smartphone e non si parla più, non c’è contatto umano e su questo bisogna lavorare.

Kreuziger Nibali Liquigas
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per quella magica squadra
Kreuziger Nibali Liquigas
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per quella magica squadra
Come?

Bisogna fare gruppo. Questa era la forza di gente come Amadio e Rijs, sapevano creare il clima giusto, dal quale poi venivano i risultati. Avevi voglia di andare in ritiro, oggi molti ragazzi lo sentono un dovere e basta. Quelli che hanno lo spirito di una volta li riconosci. Pogacar non è un campione solo per il talento o le vittorie, sa fare gruppo, sa motivare i compagni, sta con loro. Se il leader appena finita la corsa si ritira in camera, qualcosa non va e lì deve essere bravo il manager a intervenire perché il collante fra i corridori è ciò che porta alle vittorie.

Facendo un consuntivo della tua carriera, sei soddisfatto?

Sono cosciente di aver dato tutto quel che potevo. Se guardo indietro, alle premesse dei primi anni, forse mi manca il podio in un grande giro, ma non posso certo dire di non averci provato. Ho avuto una carriera costante, che nel complesso non mi ha lasciato rimpianti.

L’Amstel del 2013 è il successo che ricordi con maggiore piacere?

La corsa olandese mi è piaciuta subito, ma quella che più ha influito su di me è stato il successo al Giro della Svizzera nel 2008: vincere a 20 anni una gara così prestigiosa, dopo essere stato secondo al Romandia, mi ha fatto capire quel che potevo fare, che ero uno scalatore adatto alle corse a tappe. Questo mi favoriva anche in un certo tipo di classiche, pian piano diventai anche un corridore da Ardenne, mi piacevano molto quelle corse e l’Amstel era fatta su misura per me, infatti vinsi nel 2013 e finii secondo nel 2018.

Kreuziger Svizzera 2008
Il ceko in azione al Giro della Svizzera 2008: in carriera Kreuziger ha vinto 15 corse
Kreuziger Svizzera 2008
Il ceko in azione al Giro della Svizzera 2008: in carriera Kreuziger ha vinto 15 corse
Che cosa ti è mancato per emergere anche in una corsa di tre settimane?

Non saprei definirlo con precisione, solo che se guardo me e Nibali, lui aveva quel qualcosa in più che gli ha permesso di eccellere, è quello che fa la differenza, non è solo questione di resistenza. Molti dicevano che avevo paura ad attaccare, ma io sapevo di che cosa ero capace e cercavo l’occasione giusta. Oggi per un diesse è molto più difficile capire come andrà la gara, come sarà impostata tatticamente perché si va sempre a tutta, è un modo di correre diverso.

Quando sei passato professionista eri giovanissimo, oggi è molto più comune passare a quell’età e molti dicono sia un male…

Perché oggi il ciclismo non ti dà i tempo di maturare con calma, io ho potuto proprio per quell’ambiente nel quale ho vissuto i primi anni da pro’. Guardate Evenepoel: è sicuramente forte, ma ha addosso una pressione enorme, tutta una nazione addosso e finora non riuscito a tener fede alle attese. Avrebbe bisogno di molta più calma intorno.

Pensi di aver influito con la tua carriera e i tuoi risultati sull’evoluzione ciclistica in Repubblica Ceka?

Io credo di sì, grazie a me e a Stybar il ciclismo da noi non è più uno sport di nicchia. Ma secondo me non bisogna neanche guardare al solo aspetto agonistico: oggi c’è molta più gente che esce in bici nel weekend, che affronta escursioni in gruppo, prima ci si dedicava al golf, ora si va in bici. Per me conta tantissimo.

Kreuziger Astana 2012
Kreuziger è passato pro’ nel 2006 dopo uno straordinario 2004: da junior vinse oro e argento su strada e argento nel ciclocross
Kreuziger Astana 2012
Kreuziger è passato pro’ nel 2006 dopo uno straordinario 2004: da junior vinse oro e argento su strada e argento nel ciclocross
La Federazione del tuo Paese, sapendo dei tuoi propositi di ritiro, ha pensato di coinvolgerti?

A dir la verità no, credo che lo abbiano saputo dai giornali… Io comunque già da tempo lavoro per conto mio per la crescita del ciclismo giovanile ceko, abbiamo un team di allievi e junior che seguo da qualche anno. C’è un responsabile e un preparatore che li curano, sono una decina di ragazzi. Prima erano di più, ma abbiamo visto che 18 erano troppi avendo poche persone e pochi mezzi a disposizione, io quando potevo uscivo con loro in bici perché so che pedalando si parla e ci si apre molto di più che a tavola. Li seguirò ancora, in base al tempo disponibile, ma ora prima viene la famiglia e il nuovo impegno con la Bahrain.

Inizia una nuova avventura…

Sì, è una bella sfida, già da quel poco che ho visto ho capito che gestire una squadra è qualcosa di molto diverso da quello che pensi quando sei un semplice corridore. Devo imparare tanto, ma sono pronto a farlo.