Vincere una corsa con un attacco nel finale, ma al tempo stesso lontano dal traguardo. Farlo come un vero campione anche se sei uno juniores, scattando da solo, controllando e avendo tutto il tempo di alzare le braccia al cielo sull’arrivo. E’ quel che ha fatto il 2 maggio scorso Matteo Milan.
Quando ci risponde al telefono il friulano è a scuola. O meglio, è in Dad, la famosa didattica a distanza che tanto ha fatto impazzire i genitori degli alunni più piccoli. Per fortuna Matteo è sì giovane, ma non è così piccolo!
«Ho un’ora di buco, possiamo sentirci adesso», ci dice. Matteo è nipote, figlio e fratello d’arte. Suo nonno Eligio andava in bici e per un paio di anni ha anche corso, suo papà Flavio fu professionista per qualche stagione negli anni ’90 e suo fratello Jonathan che conosciamo bene in quanto pro’ della Bahrain Victorious e uno dei vagoni del quartetto delle meraviglie di Marco Villa.
Matteo, “sei a scuola” dunque, cosa studi?
Vado allo Stringher di Udine e studio enogastronomia. Ho da sempre la passione per la cucina e volevo specializzarmi in questo ambito.
Cucina e ciclismo possono non andare d’accordo o al contrario legare moltissimo se si sa come fare…
Saper cucinare aiuta, so quello che serve, ma non sempre ho tempo per mettermi ai fornelli. A volte dò qualche dritta a mia mamma per qualche abbinamento e magari le dico cosa cucinare prima di questo allenamento o di quella gara. Le dico le dosi tra carboidrati, proteine… e lei si regola di conseguenza.
Ma a tavola chi è più serio, tu o tuo fratello?
Io! Jonathan mangia di tutto, io sto più attento. Non che lui si alimenti male, ma diciamo che io sono più sensibile a quello che mangio.
Come abbiamo accennato, la tua è una famiglia di ciclisti. Per te è stato naturale salire in bici o ti ci hanno messo i tuoi?
Ho seguito le orme di papà. Prima però avevo provato a fare anche altri sport, judo, tennis. Però il ciclismo mi appassionava di più. Riusciva a tirarmi fuori quella grinta che avevo dentro come nessun altro sport. In casa è stato nonno Eligio a portare il ciclismo. Io ho iniziato da G0, con le garette a Buja e in zona. Avevo sei anni, quindi sono già 12 anni che corro.
Che cosa ricordi della prima gara?
Non è un ricordo della prima gara, ma mi piaceva il tifo del pubblico. Correvo ancora in Mtb e quando si passava davanti alla gente che ci incitava io spingevo di più.
Uscite mai insieme tu e tuo fratello?
Non tante volte, perché lui è spesso fuori e ha i suoi lavori da fare. Ma soprattutto perché ha proprio altri ritmi e fa più ore. Però se fa la sgambata ci vado. Anzi è lui che me lo chiede.
Beh, andare dietro a Jonathan non deve essere facile però sai che allenamenti… E’ come fare dietro motore!
Eh sì, magari se fa allenamenti lunghi faccio il finale con lui, ma se fa dei lavori sono “brutte esperienze”! Quando spinge forte fai fatica a stargli a ruota. E’ capitato anche di fare 3 ore a 40 all’ora. E io non ho questo passo.
Corri tra gli juniores (Matteo veste la maglia del Danieli 1914 Cycling Team, ndr): i tuoi compagni e avversari ti avranno di certo fatto qualche battuta sul fatto che sei “avvantaggiato” perché ti alleni con tuo fratello, un professionista del WorldTour…
Sì, è capitato qualche volta, ma io rispondo che ognuno si allena per conto suo. Le trenate di Jonathan servono per la valutare la condizione. Se fa una ripetuta forte e io riesco a stare a ruota allora significa che sto bene.
A casa parlate di mai di ciclismo?
Quando siamo in preparazione sì. E lo stesso se c’è una gara da fare. Jonathan mi dà qualche consiglio sulla tattica, sul percorso soprattutto se sono corse che ha fatto anche lui. Poi però capita anche che in gara le cose vadano diversamente o che non abbia la gamba per mettere in pratica quei consigli.
Qualche giorno fa hai vinto a Reda, ci racconti come è andata?
Mi sentivo molto bene già in partenza. Durante la gara sono rimasto tranquillo perché c’era un nostro compagno in fuga, quindi non avevamo la preoccupazione di dover recuperare. Così ho aspettato fino all’ultimo. Quando la fuga è stata ripresa, sono partito in discesa. C’erano da fare 8 giri e sono scattato al penultimo, quando mancavano 25 chilometri.
Beh, una bella distanza per stare fuori da soli. E come ti sei gestito? Hai controllato anche i nervi?
Sull’ultima salita credevo mi riprendessero e invece non è stato così. Mi davano il distacco e avevo ancora margine. Io ho cercato di mantenere sempre un ritmo alto, ma al tempo stesso di risparmiare qualcosina pensando alla volata nel caso mi avessero ripreso. Poi invece è subentrata l’adrenalina. Agli ultimi cinque chilometri mi hanno detto che avevo 35” di vantaggio e a quel punto ho detto: provo ad andare all’arrivo e ho spinto più che potevo. Era tutta pianura.
Che caratteristiche hai?
Non credo di essere un passistone come mio fratello. Sono alto un metro e 84 centimetri, quindi 10 centimetri più basso di lui. Tengo sulle salite corte e sono abbastanza veloce in volata. Ma sinceramente devo ancora scoprirmi.