Comunque si voglia vederla, la colpa è del Tour e delle squadre che l’hanno eletto a punto di passaggio obbligato: il PPO della stagione. Per questo Javier Guillen può permettersi di dire che il Giro ha più storia, ma dopo il Tour come importanza viene la Vuelta. Certo non dirà mai che alla Vuelta si ritrovano soprattutto i corridori rimandati, quelli che il Tour ha respinto con perdite. E dato che al Tour vanno tutti i più forti, è chiaro che anche gli sconfitti di Francia costituiscano un parterre di tutto rispetto.
Podio di ripiego
Roglic che vince tre maglie rosse consecutive (in apertura, la vittoria 2021) è certamente un grandissimo campione, che però per un motivo o per l’altro al Tour finora ha sempre dovuto accontentarsi dei bocconi più amari. E alle sue spalle, con tutto il rispetto per chi si è sobbarcato quella fatica immane, non sono arrivati i grossi nomi schierati al via, ma corridori di belle speranze che, con l’eccezione di Mas (già secondo nel 2018), finora non erano mai riusciti a conquistare il podio di un grande Giro.
Spesso ci vanno perché vengono mandati, ma non hanno condizione e motivazione e in questo ciclismo selettivo ed estremo, un 5 per cento in meno basta per essere condannati. Forse nel 2022 balleremo una musica diversa, se in Spagna deciderà di andarci anche Pogacar, con tutte le incognite di vederlo all’opera nel secondo grande Giro dell’anno: argomento già discusso nei giorni scorsi con Adriano Malori.
La dimensione del Tour
La colpa è del Tour e di dirigenti che probabilmente allettano i loro sponsor, sempre più internazionali, promettendo un risultato sulle strade francesi. E’ talmente forte il richiamo del Tour, che il UAE Team Emirates si è reso conto dell’edizione femminile e per vincerlo o provarci s’è comprato la squadra nuova, annunciando alla ex Alè-BTC che il focus dell’anno prossimo sarà la maglia gialla.
Finché passa il concetto che una tappa vinta in Francia basta per salvare la stagione, il Tour avrà sempre ragione e Guillen, da buon venditore del prodotto con le spalle coperte da Aso, potrà continuare a sostenere la sua tesi.
Ricordate quando Geox ruppe il contratto con Gianetti perché, non avendo ottenuto la licenza ProTour per il 2012, capì che non avrebbe partecipato al Tour? Più in grande, è lo stesso problema che si crea da noi quando i dirigenti delle professional lusingano nuovi finanziatori promettendo di correre il Giro. E quando l’invito non arriva, ne devono fronteggiare l’ira e la minaccia di rottura.
Il Giro non è per tutti
Ma il Giro è più duro. Volendo fare un po’ di statistica, è più facile che un vincitore del Tour venga l’anno dopo a vincere il Giro, mentre è altamente improbabile che nello stesso anno vada a vincere la Vuelta. Anzi, evita proprio di andarci. Persino Contador, che pure avrebbe avuto i suoi motivi per tenerci, dopo la vittoria del Tour è mai andato alla Vuelta.
Tolto il super Froome del 2017, la doppietta Tour-Vuelta è stata centrata solo da Hinault e Anquetil, quando però la Vuelta si correva ad aprile. La doppietta Giro-Tour, che si sono sempre corsi nella stessa data, appartiene a Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain e Pantani. E tanti altri, a partire da Contador, l’hanno provata.
Quando a un grande campione parli di accoppiata, ha in testa la rosa con la gialla. Alla roja, dopo aver vinto la gialla, fa proprio fatica a pensarci. E se viene al Giro, avrà di sicuro il coltello fra i denti: magari non sarà al massimo, ma proverà a vincerlo. Tuttavia è proprio la paura di spendere troppo e arrivare stanchi in Francia a tenere lontani i top riders, che alla Vuelta possono permettersi invece di andare… disarmati.
Presidenti e prime pagine
La colpa del Tour è di avere… tanti meriti, non ultimo quello di far vivere le tre settimane di corsa come un evento planetario. I Presidenti sfilano sull’ammiraglia di Prudhomme. Le città sono piene di giallo e di biciclette. La gente fermata sulle strade, scende dall’auto e dal camion e si dispone per applaudire la carovana. I programmi televisivi grondano ciclismo, dalle storie in bianco e nero alle indagini più contemporanee. La prima pagina de L’Equipe è da testa a piedi per il ciclismo almeno tre giorni a settimana. Quando entri nella dimensione del Tour, che tu sia squadra, corridore, sponsor o semplice spettatore, percepisci di esser dentro qualcosa di immenso.
Da noi solo calcio
Al Giro d’Italia, nonostante gli sforzi della Rai, per finire sulla prima pagina del quotidiano organizzatore devi morire o vincere la rosa finale. Per il resto sei condannato a fare da puntello alla foto del calciatore di turno. Nelle strade ti bestemmiano in faccia, perché li rallenti e intanto teorizzano di raderti al suolo con ironie da codice penale. Perché dovrebbe piacerci, potrebbe chiedersi uno sponsor straniero, se non va giù nemmeno agli italiani?
In altre parole, abbiamo poco da lamentarci e tanto da fare per diventare migliori. Già solo per capire che il ciclismo professionistico è una cosa seria. Che alle corse si dovrebbe accedere per meriti sportivi e non per gli investimenti che si possono fare. E che se scegli i tuoi corridori per la dote e poi qualcosa va storto, magari se ne accorgono che provi a rientrare sotto altre spoglie e ti segnano due volte. Lo faranno anche all’estero? Chissà, magari andiamo a vedere.