La carovana del Giro-E è arrivata a Roma ieri, dopo un trasferimento durato due giorni e partito direttamente dalle Tre Cime di Lavaredo. Tra coloro che si trovano a pedalare sulle strade del Giro-E e della corsa rosa c’è Sacha Modolo (foto Instagram in apertura). Il veneto ha chiuso lo scorso anno con il professionismo ed ora assapora un ciclismo differente.
Il ciclismo “lento”
«Una delle cose che mi ha colpito di più – attacca Modolo – è rendermi conto finalmente di quanto il pubblico sia appassionato di ciclismo. Mi è capitato di vedere, mentre attraversavamo il Passo Giau dopo la tappa di Val di Zogno, un sacco di gente appostata sui tornanti con il camper. Non lo noti quando sei professionista, certe cose non hai il tempo di vederle. In particolare mi ha colpito una coppia, erano abbastanza anziani, noi passavamo in macchina e loro erano seduti fuori dal camper che leggevano un libro. Fin da quando ero piccolo – continua – ho sempre corso e non sono mai andato sulle strade del Giro d’Italia».
Come ti ha fatto sentire?
E’ giusto che i professionisti siano a conoscenza dell’amore che le persone hanno verso i corridori. A volte, magari, prendi sottogamba tutto questo, soprattutto quando sei nella “centrifuga” della corsa.
Lo hai notato grazie al Giro-E, che esperienza è stata?
Mi sono divertito davvero molto, mi hanno già chiesto se il prossimo anno fossi disponibile a partecipare. Ho detto subito di sì. E pensare che all’inizio non ero sicuro di voler partecipare, ero titubante.
Hai sanato la ferita verso il ciclismo?
Sì, ho trovato un nuovo modo di vivere la bici, con più tranquillità. Il Giro-E mi ha permesso di conoscere tante persone e ciclisti di altre specialità. Mi sono reso conto che la strada è solamente una goccia nel mare del ciclismo.
E la bici elettrica? Era la prima volta che ci salivi?
Sì, devo ammettere che mi piace. La gente non capisce il grande potenziale di questo mezzo. Permette a tutti di pedalare ovunque, di farti godere della bici e di paesaggi che altrimenti non avresti modo di apprezzare.
La gente a bordo strada ti riconosce ancora, lo si vede dai social.
E’ bello e mi fa piacere. L’altro giorno eravamo in hotel a fare il check-in ed il proprietario mi ha guardato un paio di volte e poi mi fa: «Ma tu sei Modolo!». Per qualche anno ancora accadrà, poi forse non succederà più.
Vedere i pro’ da fuori, invece, che effetto ti ha fatto?
Vista la tappa delle Tre Cime li ho invidiati poco – ridacchia – mentre all’arrivo di Caorle mi ha fatto rosicare un po’. Proprio quella mattina mi avevano fatto notare che ero l’ultimo corridore veneto ad aver vinto una tappa del Giro nella sua Regione. Siccome era nell’aria che Dainese potesse vincere mi hanno chiesto se mi avrebbe dato fastidio. Ho risposto di no, assolutamente, è giusto che si vada avanti. Sono molto contento per “Daino” e la sera gli ho scritto i complimenti.
Della volata cosa ti manca?
L’adrenalina di quei 20 secondi dove scaricavo tutta la rabbia che avevo in corpo. Guardando da fuori mi rendo conto di quanto siano funambolici i ciclisti, sono emozioni che non nient’altro mi potrà dare.
Intanto hai trovato il modo di restare nell’ambiente, abbiamo visto che segui anche un ragazzo, e di recente ha vinto.
Si chiama Alessandro Borgo, uno junior (della Work Service, ndr). E’ un’emozione diversa, molto bella anche questa. Da qualche mese ho iniziato a collaborare con Mori e Piccioli, i procuratori che mi seguivano da corridore.
Ci avevi detto di voler lavorare con i giovani.
Sì, vorrei seguirli e dare loro quello che io non avevo quando ero junior. Ormai è una categoria fondamentale e mi sono reso conto che spesso sono soli. Il progetto è quello di seguire dei ragazzi della mia zona e creare uno staff o comunque una rete di persone che li seguano. Vi faccio un esempio.
Vai!
Borgo si era fatto male ad un ginocchio e doveva andare da un fisioterapista per farsi vedere. Non riusciva a trovare alcun appuntamento, così io mi sono messo in moto e gli ho trovato qualcuno.
Quando pochi giorni dopo ha vinto, che cosa hai provato?
E’ stato molto bello, averlo aiutato a superare un ostacolo per poi vincere mi ha emozionato. Io ho tanta esperienza nel mondo del ciclismo, ma non voglio fare io per primo, potrei, ma ci sono dei professionisti ed è giusto che ognuno faccia il suo lavoro. A me piace coordinare, mi viene bene, me lo ha fatto notare anche RCS al Giro-E e sono stati contenti. Tanto da invitarmi di nuovo.
Una stretta di mano e un abbraccio e ci accorgiamo subito che Modolo ha l’occhio lucido. Manca mezz’ora alla partenza della Sanremo e fra l’andirivieni attorno ai pullman, salta fuori questo profilo inatteso. Sacha è vestito come uno di noi, con i jeans e il piumino. La barbetta incolta e un’impellente voglia di scappare.
«Mi fa male stare qui in mezzo – dice – non credevo, ma è così. Devo andarmene. E’ passato troppo poco tempo…».
Poi si avvia verso altri pullman e altri incontri. Qualcuno lo riconosce, qualcuno ha occhi solo per i corridori, ma l’incontro ci rimane nella testa. E così ieri sera, dopo aver pubblicato l’ultimo pezzo, gli mandiamo un messaggio e lo chiamiamo.
Sacha Modolo è stato professionista dal 2010 al 2022 e ha smesso di correre dopo lo scorso Giro del Veneto, quando era ormai chiaro che l’allora Bardiani-CSF non gli avrebbe rinnovato il contratto.
Quanto ti è venuta l’idea di andare al via della Sanremo?
In realtà l’idea c’era già da un po’, perché adesso sto collaborando con Massimiliano Mori e Fabio Piccioli, anche se non ero ad Abbiategrasso proprio per lavoro. Ero là intanto per farmi rivedere un po’. E poi anche per vedere com’è l’ambiente da fuori. L’ho sempre vissuto da dentro, ero curioso…
Da quanto collabori con Massimiliano Mori?
Me lo hanno chiesto a fine dicembre, inizio gennaio, perché secondo loro sono adatto al ruolo. Io più che il procuratore vorrei aiutare i ragazzi della mia zona, non solo limitarmi a trovargli un contratto. Ecco, la mia idea sarebbe questa.
Stai cercando qualcosa da fare da grande?
Sì, perché è bello staccare per un mese, però poi ti ricordi che hai fatto una vita tra bici e valigie. E io dopo un po’ mi sono stufato e vorrei fare qualcosa. A casa non sto con le mani in mano, però sarei contento se riuscissi anche a rimanere nell’ambiente lavorando con i giovani.
Che effetto ti ha fatto stamattina il raduno di partenza della Sanremo?
Brutto, onestamente. L’ho vissuta male, con un po’ di invidia, sono sincero, perché mi sarebbe piaciuto essere dall’altra parte. E’ bello quando la gente ti chiama e tu passi e ti fermi per la foto. Qualcuno mi ha riconosciuto ugualmente mentre passavo anche a piedi, però non è più la stessa cosa.
Anche perché la Sanremo è stata la corsa che ti ha fatto scoprire dal grande pubblico, no?
Eh sì, la corsa che ho amato e odiato. Quel quarto posto al primo anno da professionista, nel 2010, è stato un’arma a doppio taglio. Quando uno fa quarto così giovane, dicono: «Questo qua, la Sanremo la vince. Se non è il prossimo anno, sarà quello dopo». Invece il ciclismo per fortuna non è proprio matematica.
Ti è dispiaciuto che la Alpecin non ti abbia tenuto?
Abbastanza. A parte aver vinto anche io alla fine, mi ero ritagliato un posto come ultimo uomo e alla Vuelta l’avevo fatto anche bene. Non ho capito la loro scelta, ma sono rimasto in buoni rapporti. Li sento ancora, di recente ho parlato con Roodhooft. In effetti ci sono rimasto un po’ male, anche perché mi piaceva come squadra. Però non entro nel merito delle scelte, perché sono ponderate e i risultati gli danno ragione.
Quando la Sanremo è partita cosa hai fatto?
Sono rimasto ancora un po’ ad Abbiategrasso. Abbiamo bevuto un caffè insieme, poi si sono tornato a casa. Non so quando tornerò alla prossima corsa, anche perché è strano e la botta è ancora fresca. Soprattutto perché tanti colleghi che correvano con me sono ancora lì. Magari tra qualche anno, quando qualcuno di loro smetterà e arriveranno altri giovani, la vedrò in modo migliore.
La tua carriera sembra essere finita in Alpecin, cosa è successo lo scorso anno alla Bardiani?
Pensavo di andare di più, sono onesto. Probabilmente mi ero già ritagliato mentalmente e fisicamente quel ruolo da ultimo uomo, per cui tornare a fare il capitano non mi è riuscito bene. Forse non avevo neanche più la testa per esserlo. Allora da metà stagione ho provato a fare nuovamente l’ultimo uomo, ma era difficile.
Come mai?
In Alpecin, quando ero io l’ultimo uomo, davanti ne avevo minimo altri due che mi davano una mano, non ero da solo. Portare avanti Fiorelli non era semplice. Lo guidavo fino all’ultimo chilometro, ma non riuscivo a lanciargli anche la volata. Un po’ mi sono perso, ma alla fine ci sta. Mi è dispiaciuto. Avrei voluto fare anche un po’ di più per Reverberi. Tornare con una vittoria sarebbe stato bello.
A casa come hanno commentato questa tua giornata in visita?
Il periodo è stato duro anche per mia moglie. Si è andata a mettere sulla Cipressa e mi ha detto che quando li ha visti passare, sapere che io non fossi lì in mezzo è stato brutto. Anche perché non l’abbiamo deciso noi di smettere. Onestamente avrei continuato un anno, anche due. E se anche lo avessi deciso io, comunque non sarebbe stato facile dopo una vita.
Ti trovi bene in questo nuovo ruolo?
Mi piacerebbe soprattutto aiutare i giovani. Purtroppo in Italia, non avendo grandi squadre, il riferimento è la Bardiani. Ma Reverberi non può prendere 20 corridori all’anno, quindi secondo me stiamo perdendo tanti atleti. Ne ho visti tanti che da dilettante non erano chissà cosa e poi hanno fatto la loro carriera di 10-15 anni tra i pro’. Stiamo perdendo atleti che potrebbero trovare posto in gruppo.
Bardiani e Gaerne consolidano la loro. collaborazione con un altro anno fianco a fianco. Per questa stagione le scarpe scelte sono le G.STL, una combinazione di prestazioni e comfort
«Il ciclismo è cambiato, ma è anche giusto che sia così. Solo che è successo tutto quando ero già over 30 ed è difficile poi adattarsi. Noi della generazione nata tra il 1987 e il 1990 abbiamo subito tanto questa cosa». Questa frase, che ci ha fatto riflettere parecchio, è di Sacha Modolo.Si parla non solo di cambiamento, implicitamente di stimoli, di generazioni. A quella fascia di età appartiene anche Gianluca Brambilla (in apertura foto Instagram).
Gianluca è uno dei professionisti italiani più esperti. Il vicentino va per i 36 anni ed è proprio un classe 1987. E con lui vogliamo approfondire e commentare questo tema.
Il corridore della Q36.5 dopo un ottimo inverno da un punto di vista della preparazione oggi avrebbe dovuto debuttare in vista della 15ª stagione da pro’, ma… «Ma è successo che sono venuto qui in Portogallo, super motivato, con una voglia pazzesca. Non correvo da agosto, ho iniziato ad allenarmi ad ottobre, ma ho preso la febbre e mal di stomaco».
Gianluca dalle tue parole e dal tuo tono di voce sembri avere ancora fame…
Fame di brutto! Ne ho tanta perché non correvo da agosto, perché sono in questa nuova squadra e in un ambiente nuovo. Avevo una gran voglia di dimostrare qualcosa. Anzi più che dimostrare qualcosa di aiutare la squadra.
Partiamo dalla frase di Modolo, cosa ne pensi?
Posso dirvi ciò che ripeto spesso ai giovani di questa squadra e non solo. L’altro giorno ero in bici con Covi e gli ho detto che mi dispiace che i giovani di oggi non abbiano vissuto il ciclismo che ho vissuto io all’inizio della mia carriera. Ai miei tempi il ciclismo andava oltre i numeri, i risultati…e parlo soprattutto del ciclismo fuori dalle corse. Vi faccio un esempio…
Vai…
Ricordo un Giro del Trentino. Io ero alla Bardiani. Per alcune sere capitammo in un hotel disperso non so dove dalle parti di Dimaro. E nello stesso hotel c’erano anche altre squadre, tra cui la Lampre. Passavamo le serate su un dondolo. Ma facevamo le undici e mezza, mezzanotte… tanto che ad un certo punto dovevamo quasi imporci di andare a letto! C’erano Scarponi, il meccanico Pengo, Stortoni… oggi queste cose non si vivono più. E’ impensabile.
E come è avvenuto questo cambiamento?
Io credo ci siano stati due grossi spartiacque.Il primo è quello dell’avvento di Sky e del metodo anglosassone. Loro hanno portato e sviluppato idee nuove, metodologie basate su recupero e un certo modo di correre. Da quel momento, con questo protocollo più rigido sono iniziati a sparire i corridori dagli hotel. Subito in camera con le calze a compressione, riposo, recupero, i film in camera…
E il secondo?
Il secondo spartiacque è stato la pandemia,da quel momento si è iniziato ad andare fortissimo, ma sinceramente non so perché, qualcosa di certo è cambiato. Per esempio, anche in questi giorni i miei compagni mi hanno detto che alla Valenciana hanno fatto numeri impressionanti, tipo 7 watt/chilo sulle salite. Roba da Tour de France. Credo li abbia pubblicati anche Tao Geoghegan Hart.Su una salita, quando si è messa a tirare la Bora-Hansgrohe ha fatto 7,3 watt/chilo… cose folli, tanto più se si pensa che siamo a febbraio. Io ricordo che Simoni riprendeva la bici a febbraio e poi vinceva il Giro.
Oggi sarebbe fuori dal mondo…
E’ cambiato tutto. Non so se sia la tecnologia, i materiali… Però il lato umano deve esserci ancora. E vedo che i ragazzi sono troppo legati ai numeri.
Come ha fatto Gianluca Brambilla ad adattarsi?
Credo dipenda dal mio carattere. Io vado d’accordo un po’ con tutti. Penso positivo e mi pongo in modo positivo anche se magari sono nero come il carbone… come in questo momento! Un inverno passato ad allenarmi e 24 ore prima del via mi ammalo. E poi anche a livello di comunicazione me la cavo. Ho un buon inglese e questo mi ha aiutato ad integrarmi. Alcuni miei ex colleghi non hanno avuto fortuna quando sono stati fuori anche perché non riuscivano ad integrarsi e, anzi, in alcuni casi non capivano cosa gli dicessero i diesse.
Tra un Brambilla classe 1987 e un corridore classe 2002 ce n’è di differenza. Quest’anno ci ha colpito per esempio vedere i ragazzi della Bardiani scendere a colazione con la App in mano che gli diceva le quantità da mangiare. Diciamo la Bardiani perché li abbiamo visti dal vivo, ma lo fanno anche altri. Non è una critica…
Forse lo fanno perché spesso ci sono atleti troppo giovani, in pratica degli juniores e non sanno cosa mangiare. Io non ho mai usato queste App, ma so che altri team lo fanno. Sono un po’ restio a questo genere di cose. Per me i ragazzi devono fare esperienza e conoscersi. E in questo molto conta anche la scuola (ciclistica, ndr) di provenienza, io ho fatto 4 anni da dilettante. E lì impari per esempio che quando sei alle corse se hai fame devi mangiare. Se vai in crisi di fame in allenamento, poco male, ma in corsa resti fuori dai giochi. Credo che certe App siano legate soprattutto ad un discorso di controllo da parte della squadra: “Facci sapere cosa mangi, vediamo come vai e acquisiamo dei dati”. Anche noi in Q36.5 siamo monitorati durante il sonno e poi tutti i dati vengono caricati su TrainingPeaks. Ripeto, io ho fatto il dilettante ed è lì soprattutto che ho imparato come si fa il ciclista. Poi è anche vero che d’imparare non si finisce mai. E non si deve finire mai.
Imparare dunque è uno stimolo?
Sicuro… ed è anche una necessità. Ma deve essere un cambiamento e non uno stravolgimento. Parlo di accorgimenti. Per esempio la posizione in bici. Ci sono nuovi materiali, mi adatto in un certo modo. Oppure i calendari con delle “corse nuove”. Quest’anno ho come obiettivo stagionale il Giro di Svizzera.E’ bello, è diverso, è nuovo. Prima ci si era sempre preparati per il Giro, la Vuelta…
Quelli della tua generazione hanno vissuto il “vecchio ciclismo” quello di trasformazione e quello super moderno: secondo te quando Modolo tirava in ballo quella specifica classe di età a cosa si riferiva?
Io credo che nel ciclismo di una volta il talento in qualche modo emergeva, veniva esaltato. E “Saka” era uno di quelli col talento. Se uno bravo era al 90% o faceva la vita del corridore al 90% ma aveva talento in qualche modo alle corse si toglieva qualche soddisfazione. E’ successo anche a me. Non eri costretto a soffrire in un certo modo in allenamento. Eri al 85-90% andavi alle corse e arrivavi al 100%. Oggi se vai alle corse e non sei al 110%, e badate ho detto 110, ti stacchi. Quando perdi 35” perché ti fermi a fare pipì per rientrare è un problema. E il risultato non lo cogli. Adesso è il contrario: se non vai alle corse super pronto vai sempre più piano, fai solo fatica perché non recuperi. Una volta andavi alle corse per migliorare, per affinare la preparazione. E c’è un’altra cosa che per me ha inciso parecchio.
Quale?
Oggi anche il gruppetto guarda i watt e va su in un certo modo e anche il gruppetto non va piano. E questo credo che nel caso di un corridore come Modolo ti faccia soffrire sempre. Faccio un ipotesi… non voglio criticare nessuno. Sia chiaro!
Rispetto a te i giovani che sono nati col ciclismo della tecnologia “soffrono” di meno questa vita?
Sì. Io ho iniziato che c’era il cardiofrequenzimetro. Ho iniziato ad usare il potenziometro al terzo anno da pro’, quando ero in Quick Step. Oggi ce lo hanno da allievi e questo è un vantaggio. Non è una brutta cosa perché comunque ti alleni meglio, hai le tue zone di riferimento. Sono loro che ci insegnano queste! In Q36.5 tengo molto ai giovani e cerco di tramandargli altri aspetti come la gestione della vita del corridore, perché sul fronte degli allenamenti sanno già tutto.
Cosa intendi?
Vedo che spesso vanno in confusione per le cose più semplici come la programmazione di un viaggio, l’abbigliamento da mettere in valigia… Oppure, per esempio, si sa che il cappuccino prima della gara non è il massimo allora gli suggerisco di prenderlo il giorno dopo. Ma la differenza maggiore è a casa: tra allenamenti e ritiri è più dura, perché alla fine quando sei in corsa fare un certa vita ti viene facile.
Quando qualcosa finisce, lascia un senso di vuoto dentro di noi. Ci si ritrova un po’ spaesati davanti a situazioni che prima non avremmo immaginato. Se la tua vita è sempre ruotata intorno alla bici e due pedali, quando te li tolgono fai fatica a ricalibrare il tempo. Sacha Modolo si è trovato in questa situazione: l’ultima gara è stato il Giro del Veneto e poi da lì è iniziata una nuova vita.
«Devo ancora abituarmi ai nuovi ritmi – ci racconta – sono cambiati e parecchio. La vita dello sportivo aveva un obiettivo, ti alzavi per allenarti e tutte le mattine andavi a guardare il meteo fuori dalla finestra per capire se potevi uscire in bici o meno. Avevo una spinta motivazionale, ora ne sto cercando una nuova. La mattina non ho più la bici, ma porto la bambina all’asilo. Poi torno e do una mano a mia moglie in casa».
Hobby e passioni
In questi primi giorni di febbraio, dove la primavera ha fatto incursione riscaldando le giornate, si respira un clima diverso, quasi investiti da un’inaspettata vitalità. Nel frattempoModolo cerca di ritagliarsi il suo spazio in questo mondo senza bici.
«Ho un piccolo garage, dove tengo delle Lambrette e delle Vespe d’epoca – mentre Modolo parla sua figlia sotto si fa sentire – ogni tanto mi metto al lavoro su qualche motore. Il mio migliore amico, che è anche il mio testimone di nozze, ha già un’attività avviata e pensavamo di fare qualcosa insieme con le moto e le auto d’epoca. E’ un mercato che ha tanta richiesta, soprattutto all’estero. Per il momento, però, collaboro con Marco Piccioli e Massimiliano Mori, i miei due procuratori. Mi hanno fatto una proposta e ho deciso di provare. Mi sono dato un anno di tempo per capire se questo mondo mi interessa, anche se, devo ammettere che mi piacerebbe fare qualcosa legato ai giovani ciclisti della mia zona (Conegliano, ndr).
«Nel ciclismo moderno ci sono poche squadre italiane e i giovani fanno fatica a entrare nel mondo dei professionisti. Le WorldTour sono tutte straniere e tendono a premiare i corridori locali, come da noi ai tempi facevano Lampre e Liquigas. Pensate che nel 2010 nella sola zona di Treviso eravamo 15 professionisti, tra i quali Ballan, ultimo campione del mondo. Ora sono tre: Vendrame, Cimolai e Gandin, arrivato quest’anno in Corratec».
Ora il tempo libero preferisce passarlo in sella alla sua moto da enduro, tanto sterrato ed altrettanto divertimentoModolo ha una grande passione anche per le moto d’epoca (foto Instagram)
Nuova vita
Il ciclismo per Modolo ha rappresentato gran parte della sua vita e ora che non c’è più il trevigiano ha più tempo per dedicarsi ad altro. La passione per le due ruote rimane, anche se motorizzate.
«L’ultima uscita in bici – ci confida – l’ho fatta alla vigilia di Natale, dopo un mese che non la toccavo. E’ stata dura mentalmente, dopo una vita dedicata al professionismo mi mancava la motivazione. Si è trattata di una passeggiata praticamente. Sono uscito anche sabato scorso, ma ho fatto due orette con dei amici amatori. Siamo andati a prendere un caffè al bar. Continuo a coltivare, anche con maggiore impegno, la passione per le moto. Se ho qualche ora libera preferisco passarla così, questa passione mi ha aiutato a staccare la spina appena smesso con il ciclismo.
«Avevo una mia visione del ciclismo, quasi non vedevo l’ora di smettere, ma quando arriva il momento pensi che uno o due anni in più li avresti fatti volentieri. Sono parte di un gruppo di enduristi e mi diverto molto, dopo una vita a spingere due ruote ora sono loro che spingono me. Abbiamo in mente anche qualche gita, magari in Umbria, vedremo. L’enduro è bello, mi ritrovo a percorrere parte dei sentieri che facevo in mtb, fare qualche salita sterrata senza fars è divertente».
Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra GattoIl podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto
Un viaggio nei ricordi
Sacha ultimamente sta rivivendo tramite foto alcune delle sue vittorie, il trevigiano è passato professionista nel 2010. Di acqua sotto i ponti ne è passata ed in tredici anni di carriera di cose ne sono successe, così Modolo ci guida nei suoi ricordi.
«La prima vittoria me la ricordo benissimo – dice – ero in Cina, è quella che mi ha sbloccato ed è arrivata al secondo anno di professionismo. Da lì in poi in quella stagione ho vinto altre nove corse. Nel mio primo anno da corridore ero arrivato quarto alla Milano-Sanremo ed ero finito sotto i riflettori. Non ero abituato ed ho fatto un anno senza vincere, quel successo in Cina è stato davvero molto importante.
«In quella stagione (2011, ndr) ho vinto la Coppa Agostoni – continua – forse la corsa più importante che ho portato a casa quell’anno. Il percorso era molto duro con il Ghisallo e tenere su quelle rampe è stato difficile. La volata nel gruppetto me la ricordo bene: non riuscivo a trovare spazio così mi sono appoggiato ad Oscar Gatto. Secondo arrivò Simone Ponzi con il quale ho corso due anni alla Zalf. E’ bello quando cresci insieme tra i dilettanti e poi ti ritrovi a battagliare in una corsa professionistica».
Nel 2013 al Tour de San Luis la vittoria davanti a Cavendish, uno dei velocisti migliori all’epocaL’anno dopo al Giro di Svizzera Modolo vince davanti a Sagan la quinta tappaNel 2013 al Tour de San Luis la vittoria davanti a Cavendish, uno dei velocisti migliori all’epocaL’anno dopo al Giro di Svizzera Modolo vince davanti a Sagan la quinta tappa
Le battaglie con i big
Sacha Modolo ha avuto tra i suoi rivali grandi corridori del calibro di Cavendish e Sagan e qualche volta è riuscito a mettergli le ruote davanti. Un motivo di grande orgoglio e soddisfazione per lui che è sempre rimasto con i piedi per terra.
«La corsa era il Tour de San Luis – ricorda Sacha – e la prima tappa arrivai secondo alle spalle di Cavendish, alla seconda volata sono riuscito ad impormi. Era uno dei primi anni che lavoravo con Rossato, mi sono trovato subito bene con lui. Quell’inverno, ricordo che andavamo due volte a settimana in pista e avevo sentito subito la differenza. La vittoria in Argentina ne è una grande testimonianza, perché mettersi dietro Cavendish ai quei tempi era difficile. Lui a fine anno era sempre in doppia cifra abbondante con le vittorie.
«La stagione successiva (il 2014, ndr) iniziai di nuovo forte con due primi posti in Spagna e una tappa alla Volta Ao Algarve. Uno dei successi più belli della stagione è arrivato alla Tre Giorni di De Panne, alla seconda tappa riuscì a battere in volata Demare e Kristoff. Mentre la vittoria più bella di quell’anno è arrivata al Giro di Svizzera, nella quinta tappa, che finiva in cima ad uno strappetto, ad esterno curva ho passato Sagan. Mi sentivo molto bene e uno degli obiettivi della stagione era provare a prendere la maglia gialla al Tour. La prima tappa, ad Harrogate, era prevista una volata. Purtroppo arrivai in Inghilterra, si partiva da lì quell’anno, con la febbre. Feci di tutto per recuperare ma al secondo giorno dovetti andare a casa».
Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017
La vittoria di “casa”
Nel palmares di Modolo si contano anche due tappe al Giro d’Italia, entrambe raccolte nel 2015. La prima al Lido di Jesolo e la seconda a Lugano.
«L’emozione più bella – dice con una lieve flessione della voce – è quella del Lido di Jesolo (in foto di apertura, ndr). Correvo in casa e volevo fare bene, solo che la mattina mi sveglio e piove, per di più le temperature non erano nemmeno troppo bonarie. Mi ricordo che ero parecchio infastidito, io con freddo e pioggia facevo prima a rimanere in pullman – ride – però quel giorno pescai una grande prestazione. Avevo la fortuna di trovarmi nel treno due uomini come Ferrari e Richeze che mi hanno pilotato benissimo. E’ la vittoria che tutti da queste parti si ricordano. Ogni tanto quando sono in giro, qualcuno la menziona ancora».
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin
Il grande cambiamento
Non è un caso che le vittorie raccontate dallo stesso Modolo siano arrivate tutte nello stesso periodo. Il ciclismo era molto diverso, nelle ultime stagioni c’è stato un bel cambiamento ed anche il trevigiano dice la sua.
«Era un ciclismo più abbordabile – replica – avevamo molto meno stress, lo ha detto anche lo stesso Sagan pochi giorni fa quando ha annunciato il ritiro. La stagione finiva ad ottobre e per un paio di mesi potevi rimanere tranquillo. Quando sentivamo che alcune squadre facevano già i ritiri a dicembre si rimaneva un po’ perplessi. Ora è la normalità. Ricordo che nell’inverno nel quale sono passato professionista era caduta una grande nevicata e per una settimana non ero riuscito ad allenarmi. Andavo a passeggiare lungo il Piave con altri corridori, ma vivevamo la cosa senza tensione. Adesso appena fa due giorni di pioggia, i corridori prenotano per le Canarie e ci rimangono due mesi tra ritiri individuali e di squadra. Il ciclismo è cambiato, ma è anche giusto che sia così. Solo che è successo tutto quando ero già over 30 ed è difficile poi adattarsi. Noi della generazione nata tra il 1987 e il 1990 abbiamo subito tanto questa cosa.
«Personalmente mi sono accorto di questo cambiamento quando ero in Alpecin, non ero abituato ad essere monitorato tutto il giorno. I risultati arrivano perché è un metodo più efficace, ma anche molto stressante. Non mi va di fare la parte del vecchio – ride – ma qualche anno fa se ti ritiravi in corsa non lo veniva a sapere nessuno. Adesso si ha una lente puntata addosso, costantemente, e i social non aiutano. I giovani sono abituati e, a mio modo di vedere, anche per questo sono avvantaggiati. E’ un ciclismo più veloce».
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Tra i protagonisti del mondiale gravel del fine settimana ci sarà anche Sacha Modolo. Saranno tanti gli italiani presenti alla sfida in Veneto, quel che differenzia un po’ la presenza della Bardiani CSF Faizané è il suo cammino di avvicinamento, privo di appuntamenti specifici a parte il tricolore di Argenta chiuso al secondo posto e passato continuando a fare quel che è il suo lavoro: le corse professionistiche.
Il veneto è reduce dal Cro Race, la gara a tappe croata dove non è certo stato una comparsa ma che gli ha lasciato anche un brutto ricordo: «Mi sono preso un brutto raffreddore che non è la cosa migliore da portarsi dietro a pochi giorni da un mondiale. Niente comunque che non si affronti, ma sarebbe stato meglio non ci fosse stato…».
Il podio tricolore di Argenta con Modolo terzo vicino al compagno di team ZoccaratoIl podio tricolore di Argenta con Modolo terzo vicino al compagno di team Zoccarato
Sei più salito su una gravel da Argenta in poi?
No, sia perché sono stato impegnato, sia perché avevo notato alcuni problemi alla corona e ai rapporti e così ho lasciato la bici al mio meccanico di fiducia, l’ho ritirata appena tornato dalla Croazia.
Come ti avvicini all’evento iridato?
Come a una gara normale. Se devo basarmi sul tricolore, mi aspetto una gara corsa più come una prova su strada, senza che ci sia selezione subito. Se non ci fossero salite, potrebbe anche esserci una soluzione con volata ristretta.
Ti sei già fatto un’idea di che gara sarà?
No, devo studiare il percorso, ma quando si parla di gravel è sempre un’incognita. Con sentieri stretti e single track sarebbe più simile al fuoristrada, tipo una marathon di mtb. Con strade più larghe è più difficile che la corsa sia subito all’insegna della selezione, che sia una sfida uno contro uno com’è stato ad Argenta.
Modolo sullo sterrato al Giro di Danimarca. La sua esperienza nell’offroad è molto limitataModolo sullo sterrato al Giro di Danimarca. La sua esperienza nell’offroad è molto limitata
Come sei arrivato a questa avventura, avevi esperienza nel fuoristrada?
Mai gareggiato nell’offroad. Avevo fatto un po’ di pista quasi dieci anni fa e ricordo che Villa in quelle pochissime uscite mi disse che avevo colpo d’occhio. Se rinascessi farei pista e strada come avviene ora. Ho a casa la mtb, la uso per qualche purtroppo rara uscita con gli amici oppure per allenarmi in alternativa alla strada, quando sento un po’ di rifiuto e quindi preferisco fare qualcosa di diverso.
La Croazia ha detto che la condizione c’è…
Effettivamente stavo bene, infatti me la sono giocata in ogni volata e mi spiace soprattutto per la prima tappa, ma ho trovato un Milan davvero monstre, non c’era nulla da fare. Prima per una ragione o l’altra non andavo mai, infatti mi sono messo a disposizione degli altri come con Fiorelli al Giro. La condizione è arrivata con l’estate, anche a Plouay avevo davvero una gran gamba ma ho forato due volte e non sono riuscito ad emergere e giocarmi le mie carte.
Modolo seminascosto dalla sagoma di Milan che lo precede nella prima tappa in CroaziaModolo seminascosto dalla sagoma di Milan che lo precede nella prima tappa in Croazia
Il campionato italiano gravel che sensazioni ti ha dato, al di là del risultato?
Puro divertimento. Non c’è tattica, non c’è grande gioco di squadra, entri sullo sterrato a tutta e te la giochi con gli altri sulla base di quello che hai. Si fa fatica, questo è sicuro, per questo spero che domenica non sia una gara tirata sin dall’inizio. E’ una specialità dove conta tanto la tecnica: ad Argenta mi sono ritrovato insieme a Colledani, che viene dalla mtb, in discesa la differenza era abissale e infatti recuperava molto.
La gravel secondo te è una specialità più vicina alla strada o alla mtb?
Con chilometraggi da 200 circa più per stradisti, perché alla lunga diventano fondamentali le doti di resistenza, i biker dopo un paio d’ore iniziano a soffrire e quindi quelle differenze tecniche si annullano ed emerge l’abitudine allo sforzo che noi acquisiamo. Dipende molto da che direzione si intende dare alla specialità.
Dopo un Giro d’Italia opaco, il veneto ha ritrovato verve e vuole chiudere l’anno con un buon risultatoDopo un Giro d’Italia opaco, il veneto ha ritrovato verve e vuole chiudere l’anno con un buon risultato
Da questo punto di vista che opinione ti sei fatto?
E’ da capire se s’intende mantenere l’impostazione attuale che è vicina a noi stradisti, se si scelgono distanze più corte per avvicinarle alle prove della mountain bike o se si sceglie una strada propria, come negli Usa con competizioni di oltre 300 chilometri con un sapore più avventuristico ed escursionistico. Io credo che in quel caso si accelererebbe un processo di specializzazione che alla lunga escluderebbe le altre specialità. C’è però un altro fattore…
Quale?
L’evoluzione dello sport insegna che si tende a generare gare sempre più brevi, perché siano più appetibili televisivamente e da parte di chi guarda. La gente, lo vedo anche per la strada, vuole gare che durino meno tempo e avere magari più passaggi dei corridori a cui assistere. Credo quindi che la crescita del movimento seguirà queste linee guida.
Moreno Moser è entrato a far parte del Team Cinelli Smith che si dedicherà al gravel. Ecco le sue sensazioni dopo i primi test su sterrato e su... acciaio
I due veneti erano cresciuti proprio nel Greenteam. Il loro ritorno dopo le esperienze nei grandi team, anche stranieri, era colmo di speranze ed entusiasmo. Ma sin qui si sono visti poco.
E’ vero che la vecchia guardia ha pagato a più caro prezzo “l’effetto del Covid”, ma adesso è ora di far vedere di che pasta sono fatti. La classe comunque non gli manca. Parliamo infatti di due corridori dal palmares importante e con oltre dieci anni di professionismo alle spalle.
Bruno Reverberi lo scorso anno aveva riaccolto Modolo (classe 1987) nella sua squadra dopo otto stagioniBruno Reverberi lo scorso anno aveva riaccolto Modolo (classe 1987) nella sua squadra dopo otto stagioni
Su Modolo…
Di loro parliamo proprio con Bruno Reverberi. Il capo, vecchia scuola, non le manda certo a dire. «Come sono messi? Che vanno piano! Forse si stanno risparmiano per il Giro d’Italia, ma se vanno così finisce che non ce li porto».
«Il perché non vanno forte non saprei dirlo: mancano le motivazioni, magari c’è un calo fisico, non so. Eppure Modolo lo scorso anno una corsa l’ha vinta. Ero convinto che si fosse sbloccato, che avesse superato i suoi problemi. Che poi quali problemi? Magari è più un fatto mentale».
«Modolo in questa stagione non è andato oltre il 12° posto, mai nei primi dieci. Ma quel che mi dispiace è che non fa neanche più le volate. Dice che per un quinto o sesto posto non ne vale la pena stare lì a sgomitare. Vediamo cosa combina adesso in Turchia.
«Quello di non fare le volate per il piazzamento è qualcosa che faceva anche da giovane. Ma anche un quinto, un settimo posto servirebbero. Alla fine non lo abbiamo preso perché vincesse 50 corse, ma portare a casa qualche podio, qualche piazzamento sarebbe una buona cosa anche per gli sponsor. A volte ci si deve anche accontentare. E se non vuol fare le volate, magari potrebbe tirarle a Fiorelli».
Enrico Battaglin (classe 1989) in fuga quest’anno a De PanneEnrico Battaglin (classe 1989) in fuga quest’anno a De Panne
Su Battaglin…
Reverberi passa poi a parlare dell’altro suo big, Enrico Battaglin, atleta che in passato aveva avuto per ben cinque anni e che con la sua squadra aveva ottenuto i successi maggiori.
«Battaglin – riprende Reverberi – al di fuori del Giro non ha mai raccolto grandi risultati, anche quando ha militato in altri team. Il suo storico dice questo. Forse perché lui non è uno che sta lì ad ammazzarsi di allenamento e al Giro per forza di cose deve correre e pedalare come gli altri».
In effetti Battaglin ha colto tre delle sue quattro vittorie da professionista proprio nella corsa rosa: due alla corte di Bruno e una ai tempi della LottoNL-Jumbo. Come a dire che almeno la statistica gioca a suo favore e una sua attesa è più “giustificata”.
Battaglin (a sinistra) e Modolo erano passati e fioriti nella squadra dei Reverberi quando ancora si chiamava Colnago-Csf InoxBattaglin (a sinistra) e Modolo erano passati nella Colnago-Csf Inox
Calendari e professional
Ma come un buon padre, dopo le tirate d’orecchie, Bruno tende la mano. Spera che le cose possano tornare a girare bene e fa un’analisi corretta della situazione tra professional e WorldTour.
«Su 23 corridori in rosa – spiega – ne abbiamo 12 che sono neoprofessionisti. Nonostante ciò abbiamo già fatto 10 corse WorldTour, ma quando c’è un calendario così ristretto senza le corse in Asia e senza la certezza di partecipazione proprio perché non siamo una WorldTour, cosa succede? Succede che ad inizio stagione mandi tante richieste di partecipazione e se poi te le accettano cosa fai: non vai? E facciamo moltissima attività, ma con pochi spazi».
«Senza le corse in Asia – dice Reverberi – per noi è più difficile fare risultato. L’unico modo per raccogliere qualcosa è andare in fuga, farsi vedere. E guardate che questo vale anche per la maggior parte delle squadre WorldTour. Tolti quei sei o sette team più forti, pigliatutto, anche le altre WorldTour cercano le fughe.
«Mi piacerebbe però che i nostri due ci andassero in fuga. Battaglin ogni tanto ci va. Modolo no, ma giustamente aspetta la volata».
Attraverso le strade del Gran Premio Liberazione sono passati tre quarti di secolo di grande ciclismo. Sul circuito romano (un particolare nella foto di apertura di Simone Lombi) si sono visti molti dei big che poi hanno scritto pagine storiche delle due ruote, ma non è assolutamente detto che tutti siano usciti vincitori dalla gara capitolina. E’ questo il bello, la sua incertezza che ne ha sempre fatto uno degli eventi più attesi. Ogni anno la gara ha dato vita a una storia, ha messo in mostra personaggi, alcuni magari hanno ballato una sola estate mentre alle loro spalle c’era chi ha fatto del ciclismo la sua vita.
Prendete ad esempio l’edizione del 1988. Forse una delle più ricche di stelle prima della rivoluzione ciclistica che dal 1996 avrebbe portato i pro’ alle Olimpiadi. Il Liberazione è in in quell’anno olimpico che porta a Seoul la prova generale della sfida a cinque cerchi. L’anno precedente la nazionale russa aveva proiettato verso il successo Dimitri Konyshevdavanti al tedesco ovest (il muro non era ancora caduto…) Bernd Groene e il russo, oggi dirigente della Gazprom e vincitore di tante gare da pro ritiene ancora quella una delle vittorie più belle in carriera. Questa volta la sfida si ripete, ma il teutonico (che poi vincerà l’argento a Seoul e avrà una breve carriera da professionista alla Telekom) la spunta e Konyshev finisce terzo, preceduto pure da un certo Mario Cipollini…
Nel 2009 Modolo batte Matthews in volata (foto Primavera Ciclistica) Nel 2009 Modolo batte Matthews in volata (foto Primavera Ciclistica)
La grande avventura di Bugno
Qualche anno prima, nel 1985, un ragazzino monzese di nascita svizzera aveva fatto saltare il banco e sconvolto le tattiche delle squadre più affermate. Si chiamava Gianni Bugno, aveva viaggiato la notte in treno per arrivare in tempo, con la bicicletta vicino per non farsela rubare. La sua squadra aveva deciso di rinunciare alla corsa, non lui.
S’infilò in una fuga ripresa pochi chilometri prima dell’arrivo, ma seppe giocarsi la vittoria in una volata di una trentina di corridori. Quella fu la prima di una serie incredibile di successi, tra cui due titoli mondiali. Tra le squadre che rimasero beffate c’era quella di Luigi Orlandi, battuto allo sprint e per il quale aveva lavorato anche Claudio Terenzi, che 35 anni dopo sarebbe diventato l’organizzatore del GP Liberazione.
La bellissima vittoria di Bugno nell’85, dopo una notte in treno (foto Ansa)La bellissima vittoria di Bugno nell’85, dopo una notte in treno (foto Ansa)
Doppietta britannica
Se torniamo ancora più indietro, alla seconda parte degli anni Settanta, scopriamo che per qualche anno i corridori italiani furono quasi delle comparse. Non bastasse la presenza delle grandi nazionali dilettantistiche del blocco comunista, arrivarono anche Paesi che non avevano tradizione a dominare la scena, come la doppietta britannica realizzata da William Nickson nel 1976 e Bob Downs l’anno successivo. Allora il ciclismo britannico era un lontano parente di quello che abbiamo conosciuto in questo secolo, quello dei Wiggins e dei Froome, dei Thomas e dei Pidcock. Furono due vittorie che sorpresero tutti perché al tempo il ciclismo non era certo lo sport più seguito nel Paese di Sua Maestà.
Qualche anno dopo le cose sarebbero cambiate. Nel 1992 ad esempio il podio fu tutto italiano, popolato da corridori che curiosamente avrebbero trovato però spazi diversi da quelli del professionismo, durato poche stagioni. Terzo fu Simone Biasci, grande speranza del tempo che dopo 7 vittorie da pro’ è diventato dirigente sportivo, secondo fu Mauro Bettin, approdato alla mtb dove ha raccolto grandi successi ed è diventato apprezzato manager, mentre a vincere fu Andrea Solagna, che troverà la sua strada nelle gran fondo.
Nel 2012, la spunta Barbin che batte Fedi (foto Primavera Ciclistica)Nel 2012, la spunta Barbin che batte Fedi (foto Primavera Ciclistica)
Albo d’oro di grandi sconfitti
Se uno guarda l’albo d’oro della corsa romana, scopre che molti campioni sono passati per il Liberazione incamerando sconfitte che poi sono servite per crescere. Francesco Moser fu terzo nel 1972, stesso piazzamento lo aveva ottenuto Pierino Gavazzi due anni prima, Michael Matthews, australiano della BikeExchange ha collezionato addirittura due piazze d’onore, nel 2009 e 2010, anno nel quale avrebbe poi vinto il mondiale U23. L’attuale campione europeo Sonny Colbrelli fu terzo nel 2011, Alberto Bettiol trionfatore al Fiandre fu sempre terzo nel 2013. Due piazze d’onore anche per Simone Consonni (2014 e 2015), uno dei quattro olimpionici di Tokyo 2020 nell’inseguimento a squadre. Si sarebbe quasi portati a pensare che perdere il Liberazione porti bene…
Trentin e Nizzolo, entrambi nei 10, sono le due facce diverse degli italiani a Kuurne. Attaccante il primo, a inseguire il secondo. Si ritrovano a Sanremo
La stagione 2022 è appena cominciata, sono tante le novità che il team Bardiani-CSF-Faizanè ha presentato, a partire dal suo roster. I Reverberi sono però ripartiti da alcuni punti saldi, a partire dalle MCipollini di cui vi abbiamo parlato qualche giorno fa, per continuare con Gaerne e le sue calzature.
La casa trevigiana ha infatti firmato un accordo anche per questo anno, in virtù della sua presenza nel professionismo, ma anche in vista del 60° anniversario della fondazione dell’azienda. Le scarpe prescelte sono le G.STL, un concentrato di performance e affidabilità che ha convinto fin da subito subito anche due campioni come Giovanni Visconti e Sacha Modolo.
Gaerne nel suo sessantesimo anniversario rinnova la collaborazione con Bardiani CSF Faizanè
Gaerne consolida il suo impegno nel professionismo anche per la stagione 2022
Gaerne nel suo sessantesimo anniversario rinnova la collaborazione con Bardiani CSF Faizanè
Gaerne consolida il suo impegno nel professionismo anche per la stagione 2022
Parola ai pro’
La collaborazione appena rinnovata ha trovato un riscontro positivo anche dagli atleti che saranno i protagonisti di questa stagione appena avviata. Giovanni Visconti conferma il suo feeling con la G.STL: «Per me sarà la seconda stagione con questa calzatura, ma sappiamo bene che per i problemi fisici avuti lo scorso anno sarà come la prima. Con il vantaggio però di conoscere già molto bene tutte le caratteristiche tecniche della mia Cipollini Dolomia e delle mie Gaerne G.STL».
La calzatura è stata una piacevole scoperta anche per i nuovi arrivi, come Sacha Modolo: «Al mio ritorno in Bardiani-CSF-Faizanè ho trovato un ambiente familiare, ma materiali tecnici da top team. Abbiamo già testato varie situazioni, simulando sprint ad alta velocità, dopo molte ore di allenamento e la scarpa ha reagito alla perfezione. Prima comoda nelle lunghe ore di allenamento e grazie alla regolazione rapida, molto reattiva negli sprint con la tomaia che aderendo bene in tutti i punti, favorisce la spinta riducendo al minimo la dispersione».
Internamente l’imbottitura high-tech è perforata per una migliore traspirazione
Il Tallone Anatomic Heel Cup 1.0 rende la calzata avvolgente anche durante gli sprint
Internamente l’imbottitura high-tech è perforata per una migliore traspirazione
Il Tallone Anatomic Heel Cup 1.0 rende la calzata avvolgente anche durante gli sprint
Come sono fatte
Il design pulito e le caratteristiche tecniche, fanno di questa G.STL una calzatura adatta a ogni corsa, realizzata in un unico pezzo di microfibra con foratura a laser per garantire un’ottima ventilazione. Il Tallone Anatomic Heel Cup 1.0 dalla nuova forma anatomica, combinato con la tecnologia Tarsal Support System 1.0 garantisce la posizione perfetta del piede all’interno della calzatura, per una trasmissione e un controllo della potenza senza pari. Il sistema di chiusura Infit Closure System dispone di otto zone di fissaggio che forniscono infinite possibilità di regolazione e una chiusura precisa.
Il sistema di chiusura BOA a due rotori permette di avere una chiusura efficace in ogni condizione
E’ possibile arretrare la posizione della tacchetta di 9 mm rispetto allo standard precedente.
Il sistema di chiusura BOA a due rotori permette di avere una chiusura efficace in ogni condizione
E’ possibile arretrare la posizione della tacchetta di 9 mm rispetto allo standard precedente.
Dinamiche e leggere
Pronta ad affrontare le più difficili corse al mondo, la G.STL dispone dell’innovativo rotore BOA Li2, dotato di micro-regolazione progressiva. Facile, rapida e precisa, questa chiusura assicura un supporto dinamico per qualsiasi tipo di corridore della Bardiani CSF Faizanè. Analizzando la scarpa in ogni suo dettaglio infatti si percepisce una qualità costante in ogni particolare.
La linguetta Fit Tongue 1.0 utilizza uno spessore variabile nella sua sezione longitudinale e trasversale, ottenuto grazie alla tecnica di costruzione senza cuciture. La soletta EPS comfort Insole, garantisce una traspirazione ottimale in ogni condizione. Per tradurre tutte le caratteristiche tecniche di questa G.STL il non plus ultra è il Gaerne EPS light Weight Full Carbon Sole 12.0. La suola realizzata in fibra di carbonio intrecciato, leggera e ultra sottile, assicura il trasferimento di ogni watt di potenza sui pedali. Un connubio alla caccia di successi, quello tra Bardiani e Gaerne, pronto a battagliare in mezzo al gruppo fianco a fianco.
I corridori della Bardiani-Csf-Faizanè sono tornati in Italia. Il ritiro per il quale molti di loro si sono ritrovati a Benidorm (Visconti e Fiorelli sono invece rimasti a Palermo) ha dato ottimi frutti e così anche Modolo inizierà a breve ad alzare i giri della preparazione. Quando mancherà un mese al debutto di fine gennaio, quindi a ridosso di Capodanno, il trevigiano comincerà a puntare sulla qualità. E’ sempre affascinante seguire i progressi di un atleta di vertice, ascoltare il racconto delle sensazioni e della progressione della forma. E così con Sacha ci siamo avventurati nel racconto di questi giorni in cui si sta finendo di costruire la base, in vista del debutto.
«Le corse si vincono d’inverno – dice ripetendo l’adagio che appartiene alla storia del ciclismo – per cui al momento sto facendo soprattutto ore. Il numero è soggettivo. Quando arrivo a 4h30′ per me va bene, non mi serve di più e soprattutto nelle settimane dopo il ritiro arrivare a 4h va più che bene. Però ad esempio alla Vigilia e il 31 dicembre farò 5h30′ perché non sono mai uscito il giorno di Natale e nemmeno il primo dell’anno…».
Una risata e si parte, cercando di capire come sia strutturato questo periodo per il corridore tornato alla Bardianidopo la parentesi di ombre e luci alla Alpecin-Fenix.
Per Modolo intervista con Andrea De Luca (Rai Sport) durante le visite di rito presso Fisiocortiana (foto Codeluppi)Intervista con Andrea De Luca (Rai Sport) durante le visite di rito presso Fisiocortiana (foto Codeluppi)
Come sono organizzate le tue settimane?
Si fa doppietta e il terzo giorno si riposa oppure si mette la distanza o la palestra. Carico e scarico. Sino a fine dicembre si va avanti a questo modo. La palestra la tengo sino a fine inverno, poi con le corse la mollo. Si fanno le SFR e lavori al medio, poca soglia. Quella si comincia più avanti.
Lavorato tanto in Spagna?
Tanto e in modo diverso rispetto agli ultimi anni. Ho fatto molta più salita, ogni giorno la base erano almeno 2.500 metri di dislivello. Credo fossero due anni che non facevo SFR in modo serio. Alla Alpecin si lavora tanto sull’esplosività e alla Vuelta ero davvero brillante, anche se nella terza settimana mi è mancato il fondo. Io sono uno della vecchia scuola, le ripetute ci stanno sempre bene.
Come suddividi le doppiette?
Il primo giorno meno ore e più intensità e magari 20 minuti al medio. Il secondo giorno si allunga e di conseguenza calano i lavori specifici. Se poi capita di fare la distanza, in quelle 5 ore qualche lavoro lo metto sempre. Non mi piace portare a spasso la bici. Perciò metto sempre dentro la salitella da fare forte o la volata al cartello, se sono in compagnia.
Al ritiro di Faizanè anche la consegna delle Eevyebag per i cellulari degli atleti. C’è anche quella di Modolo (foto Codeluppi)Al ritiro di Faizanè anche la consegna delle Eevyebag per i cellulari degli atleti (foto Codeluppi)
Si fanno spesso le distanze con altri corridori?
Sempre meno, in realtà. Ormai ognuno ha la sua tabella ed è sempre difficile per non dire impossibile far combaciare i programmi. Quando uscivo da dilettante, partivamo fino a venti corridori, ora si riesce a stare insieme alla Vigilia di Natale e l’ultimo dell’anno, perché si può improvvisare. E’ il brutto delle tabelle.
E’ necessario seguirle così alla lettera?
Ho cominciato a farlo anche io, così ci chiedono e così almeno siamo sicuri di fare tutto al meglio. Come alla Alpecin lavoravo con il preparatore della squadra, anche qua ho cominciato con Pino Toni che segue la preparazione della squadra e riceve i file di tutti i lavori. Ma se vedo che un mattino la bici non la muovo, giro, torno a casa e gli scrivo per cambiare programma. Al momento sto facendo più salita di prima, sento che ne ho bisogno.
Come è stato il passaggio dalla Canyon alla Cipollini?
Rapido e facile. Ormai le geometrie sono piuttosto simili e la MCipollini che mi hanno dato è adatta alle mie caratteristiche. Un altro mondo rispetto a quella del 2006 che aveva i cavi tutti esterni e il cambio meccanico. Ora uso la Ad.One, molto aerodinamica, adatta a un velocista.
Battaglin e Modolo hanno lasciato la Bardiani per il WorldTour, poi sono tornati… a casa. A destra, TonelliBattaglin e Modolo hanno lasciato la Bardiani per il WorldTour, poi sono tornati… a casa
Come ti alimenti durante gli allenamenti: segui la routine delle gare?
Cerco di starci attento, di fare le stesse cose. Ho avuto i miei problemi di infiammazioni, quindi non mi discosto dalle abitudini che funzionano. Poser ha risolto il problema e mi ha dato le linee guida, guai cambiare.
Nelle distanze si mangia di più, ovviamente?
Diciamo che mediamente ho innalzato l’apporto calorico in tutti gli allenamenti. Quando ero più giovane, mangiavo molto poco e non avevo problemi di tenuta. Adesso se non mangio dopo un paio d’ore, mi spengo. Mi portavo questa brutta abitudine, che ora ho eliminato. Perciò ho sempre le mie barrette e solo in ritiro si mangiano le rice-cake che fanno i massaggiatori. Io non saprei proprio come prepararle.
E’ il periodo di stare attenti al peso?
Lo è per molti, io per fortuna sono abbastanza tranquillo. Risolte le infiammazioni allo stomaco, mi sono accorto che non ho grosse variazioni di peso. Dopo la Vuelta ero 68,5, ora sono 69,5. Finché parliamo di un chilo, si può stare tranquilli. Chi ne prende di più invece ha qualche problema…
Ti fermi al bar durante la distanza?
Adesso no, perché fa troppo freddo e fermarsi e poi ripartire non fa bene alla salute…
Fra Zana e Battaglin, Modolo presso Fisiocortiana per le visite pre stagionali (foto Codeluppi)Fra Zana e Battaglin, Modolo presso Fisiocortiana per le visite pre stagionali (foto Codeluppi)
Questa è anche la fase in cui si cura l’agilità, giusto?
Si dovrebbe fare anche dopo, ma adesso con più attenzione. Alla fine di un Giro, non riesci ad andare oltre le 85 pedalate e fai lavori per velocizzare. Adesso sulle salite cerco di stare sulle 90 e devo dire che si riesce bene.
Fra un po’ si alzeranno i giri?
Esatto, di solito a un mese dal debutto. Quindi più o meno la settimana prossima si comincia con l’intensità. E poi ci sarà il ritiro di Benidorm a partire dall’11 gennaio in cui andremo in cerca della brillantezza. E finalmente sarà il momento di attaccare il numero sulla schiena…