Se foste stati ai piedi del podio del team relay di Zurigo oppure nella mixed zone quando le azzurre sono passate per raccontare la loro prova, avreste notato sicuramente l’espressione malinconica di Soraya Paladin. La trevigiana aveva perso prestissimo le ruote delle compagne e sentiva di non aver dato il suo contributo. Non sentiva il bronzo come una sua conquista. Il risvolto molto bello della serata erano state le parole immediate di Longo Borghini e Realini che si erano affrettate a farle scudo, parlando di una giornata storta e dicendosi sicure che su strada sarebbe stato diverso.
Infatti così è stato. Nella prova del sabato, con il freddo e l’acqua, Paladin ha fatto degnamente il suo lavoro, contribuendo al bronzo di Elisa Longo Borghini, che dopo la corsa ha sottolineato la sua prestazione. Confermando il riscatto rispetto alla crono di tre giorni prima. Ma come ha vissuto Soraya Paladin (foto Borserini in apertura) quei tre giorni e con quale voglia di riscatto? Glielo abbiamo chiesto alla vigilia del mondiale gravel per il quale l’ha convocata il cittì Pontoni.
Che cosa era successo nel team relay?
Una giornata storta e il fatto che quando abbiamo preso la salita hanno esagerato un po’ con i watt. Ne avevamo parlato la mattina e io gli avevo detto che alla fine è matematica. «Se spingete più di un tot, non vi sono mai stata dietro tutta la stagione, non è che mi sveglio la mattina del mondiale e mi invento la prestazione della vita». Però magari si sono fatte prendere dalla foga e hanno un po’ esagerato in salita, mandandomi in crisi. Poi ne abbiamo parlato. Hanno fatto la salita 30 secondi più forte delle australiane. E parlando anche con loro, più o meno hanno avuto lo stesso problema. Hanno perso presto una ragazza, Ruby Roseman-Gannon, e anche lei si sentiva come me di non aver contribuito più di tanto.
Da quanto sapevi che avresti fatto il team relay?
Ne avevo parlato con Sangalli nel periodo del Tour. Mi aveva detto di andare un po’ con la bici da crono, perché poteva esserci questa possibilità. Poi Marco Velo mi ha chiamato una settimana prima e mi ha dato la sicurezza.
Come ci si sente quando viene a mancare il proprio contributo?
Alla fine, è una medaglia. Quello che mi dispiace di più è che era una medaglia mondiale e non me la sono proprio goduta, perché non l’ho sentita mia. Poi le ragazze in realtà sono state bravissime. Mi hanno detto: «Guarda Soraya, alla fine la squadra non è solo nella gara». Sapevamo che i secondi che avrebbero perso per aspettare me in salita sono quelli che poi avrebbero guadagnato con me nel resto del percorso. E’ ovvio che per me sarebbe stato meglio arrivare più avanti. Però alla fine mi hanno dimostrato di essere contente di avermi e mi hanno consolato subito dopo la gara. Anche se la mia reazione a caldo è stata quella che avete visto voi.
Come sono stati poi i tre giorni che hanno portato alla strada? Avevi voglia di rifarti?
Non i miei giorni migliori, ma erano due gare completamente diverse e sapevo di essermi preparata. Non avrebbe avuto senso mettermi a valutare la mia condizione su quella performance, facendomi condizionare nella gara su strada. Anche in questo caso la squadra mi ha dato supporto e più si avvicinava la gara e più avevo voglia di riscatto.
Quanto si percepiva quest’anno il fatto che avreste corso tutte per una, cioè Longo Borghini?
E’ stato bello, perché ha dimostrato da tutta la stagione di andare forte. Sapevamo che questa volta potevamo arrivare vicini alla maglia iridata o almeno io avevo questa consapevolezza. Quindi non c’è stata troppa pressione, ce la siamo vissute veramente bene. Sono stati giorni belli e secondo me non avrebbe avuto senso avere un’opzione B. Era tutto o niente: qualsiasi alternativa, per come è andata la stagione, non avrebbe dato il risultato che volevamo.
Come andare al Tour tutte per Kasia Niewiadoma e poi vincere oppure la corsa di un giorno è altra cosa?
Un po’ diverso. Alla fine il Tour de France è più logorante, perché devi soffrire per 8 giorni. E ogni giorno sei lì a lottare per i secondi, non è mai finita. Però a fine gara la soddisfazione è stata simile. Ovvio, con Kasia è diverso, perché ci passi tanti ritiri e tante gare. Vivi da vicino l’impegno che ci mette, la sofferenza nelle altre corse, quindi la vivi in modo diverso. Però so quanto anche Elisa ci lavori e si impegni e alla fine sono contenta. Siamo state parecchio affiatate. Per alcune era la prima esperienza, quindi anche loro magari erano un po’ agitate. Comunque il mondiale lo vivi sempre con un occhio diverso, perché hai la maglia della nazionale e la vuoi rappresentare al meglio. Però ce lo siamo vissute bene, ci siamo divertite e allo stesso tempo eravamo focalizzate sull’obiettivo.
Quanto è stata dura la corsa, visto anche il meteo?
A provare il giro una sola volta, ti dava già l’idea di essere impegnativo. Però con quel tempo e col fatto che il mondiale lo corri a tutta e tutte vogliono far bene, è diventato ancora più selettivo. Sapevamo che non avrebbe vinto una outsider e Lotte Kopecky ha stupito in così tante occasioni, che nessuno ha trovato strano che abbia vinto lei. Basta pensare al Blockhaus al Giro d’Italia o alle salite del Romandia.
Invece cosa diciamo della corsa delle olandesi?
Lì si entra in un discorso un po’ strano. Secondo me il loro punto debole è non saper far convivere più leader e si è visto. Sembrava che ci fossero squadre diverse all’interno della squadra. Avevamo messo in preventivo che potessero fare una corsa strana, ma non pensavamo così strana. Ci sarebbe da capire se magari gli manca un direttore tecnico capace di trovare la coesione che manca.
A fine corsa come ti sei sentita, facendo anche il confronto con la crono?
Molto soddisfatta e anche un po’ ripagata per quella delusione. Ero contenta, indipendentemente dal risultato. Abbiamo corso bene, sapevo che Elisa avrebbe fatto una grande gara. Se avessi dovuto finire la stagione con la cronosquadre, sarebbe stato completamente diverso. Magari avrei avuto tanti più punti di domanda, più dubbi. Invece dopo aver corso anche la strada e aver avuto delle buone sensazioni, ho visto che il lavoro in qualche modo ha pagato. E ho trovato le sicurezze per finire bene la stagione e pensare positivamente al prossimo anno.
La sera si è brindato al bronzo di Elisa?
Purtroppo no. Logisticamente eravamo organizzati in modo che non ci fosse tempo per fare festa. Dovevamo tutte rientrare, quindi abbiamo aspettato Elisa il più possibile, però lei è arrivata tardi e noi eravamo già andate. Io avevo sette ore di viaggio, quindi a una certa siamo dovuti andare, visto che abbiamo viaggiato in auto. Ma un brindisi ci stava e sono sicura che troveremo sicuramente l’occasione quando ci rincontreremo.
Stagione che si chiude con il gravel?
Con i mondiali e gli europei ad Asiago la settimana prossima. Lo sterrato mi piace, è un vecchio amore. Quando Pontoni mi ha chiamato, ho accettato volentieri perché mi diverte. Il mondiale in Belgio e poi Asiago, perché lo sento di casa. E poi su quest’anno, che è cominciato a gennaio in Australia, mettiamo finalmente il punto.