Una stretta di mano e un abbraccio e ci accorgiamo subito che Modolo ha l’occhio lucido. Manca mezz’ora alla partenza della Sanremo e fra l’andirivieni attorno ai pullman, salta fuori questo profilo inatteso. Sacha è vestito come uno di noi, con i jeans e il piumino. La barbetta incolta e un’impellente voglia di scappare.
«Mi fa male stare qui in mezzo – dice – non credevo, ma è così. Devo andarmene. E’ passato troppo poco tempo…».
Poi si avvia verso altri pullman e altri incontri. Qualcuno lo riconosce, qualcuno ha occhi solo per i corridori, ma l’incontro ci rimane nella testa. E così ieri sera, dopo aver pubblicato l’ultimo pezzo, gli mandiamo un messaggio e lo chiamiamo.
Sacha Modolo è stato professionista dal 2010 al 2022 e ha smesso di correre dopo lo scorso Giro del Veneto, quando era ormai chiaro che l’allora Bardiani-CSF non gli avrebbe rinnovato il contratto.
Quanto ti è venuta l’idea di andare al via della Sanremo?
In realtà l’idea c’era già da un po’, perché adesso sto collaborando con Massimiliano Mori e Fabio Piccioli, anche se non ero ad Abbiategrasso proprio per lavoro. Ero là intanto per farmi rivedere un po’. E poi anche per vedere com’è l’ambiente da fuori. L’ho sempre vissuto da dentro, ero curioso…
Da quanto collabori con Massimiliano Mori?
Me lo hanno chiesto a fine dicembre, inizio gennaio, perché secondo loro sono adatto al ruolo. Io più che il procuratore vorrei aiutare i ragazzi della mia zona, non solo limitarmi a trovargli un contratto. Ecco, la mia idea sarebbe questa.
Stai cercando qualcosa da fare da grande?
Sì, perché è bello staccare per un mese, però poi ti ricordi che hai fatto una vita tra bici e valigie. E io dopo un po’ mi sono stufato e vorrei fare qualcosa. A casa non sto con le mani in mano, però sarei contento se riuscissi anche a rimanere nell’ambiente lavorando con i giovani.
Che effetto ti ha fatto stamattina il raduno di partenza della Sanremo?
Brutto, onestamente. L’ho vissuta male, con un po’ di invidia, sono sincero, perché mi sarebbe piaciuto essere dall’altra parte. E’ bello quando la gente ti chiama e tu passi e ti fermi per la foto. Qualcuno mi ha riconosciuto ugualmente mentre passavo anche a piedi, però non è più la stessa cosa.
Anche perché la Sanremo è stata la corsa che ti ha fatto scoprire dal grande pubblico, no?
Eh sì, la corsa che ho amato e odiato. Quel quarto posto al primo anno da professionista, nel 2010, è stato un’arma a doppio taglio. Quando uno fa quarto così giovane, dicono: «Questo qua, la Sanremo la vince. Se non è il prossimo anno, sarà quello dopo». Invece il ciclismo per fortuna non è proprio matematica.
Ti è dispiaciuto che la Alpecin non ti abbia tenuto?
Abbastanza. A parte aver vinto anche io alla fine, mi ero ritagliato un posto come ultimo uomo e alla Vuelta l’avevo fatto anche bene. Non ho capito la loro scelta, ma sono rimasto in buoni rapporti. Li sento ancora, di recente ho parlato con Roodhooft. In effetti ci sono rimasto un po’ male, anche perché mi piaceva come squadra. Però non entro nel merito delle scelte, perché sono ponderate e i risultati gli danno ragione.
Quando la Sanremo è partita cosa hai fatto?
Sono rimasto ancora un po’ ad Abbiategrasso. Abbiamo bevuto un caffè insieme, poi si sono tornato a casa. Non so quando tornerò alla prossima corsa, anche perché è strano e la botta è ancora fresca. Soprattutto perché tanti colleghi che correvano con me sono ancora lì. Magari tra qualche anno, quando qualcuno di loro smetterà e arriveranno altri giovani, la vedrò in modo migliore.
La tua carriera sembra essere finita in Alpecin, cosa è successo lo scorso anno alla Bardiani?
Pensavo di andare di più, sono onesto. Probabilmente mi ero già ritagliato mentalmente e fisicamente quel ruolo da ultimo uomo, per cui tornare a fare il capitano non mi è riuscito bene. Forse non avevo neanche più la testa per esserlo. Allora da metà stagione ho provato a fare nuovamente l’ultimo uomo, ma era difficile.
Come mai?
In Alpecin, quando ero io l’ultimo uomo, davanti ne avevo minimo altri due che mi davano una mano, non ero da solo. Portare avanti Fiorelli non era semplice. Lo guidavo fino all’ultimo chilometro, ma non riuscivo a lanciargli anche la volata. Un po’ mi sono perso, ma alla fine ci sta. Mi è dispiaciuto. Avrei voluto fare anche un po’ di più per Reverberi. Tornare con una vittoria sarebbe stato bello.
A casa come hanno commentato questa tua giornata in visita?
Il periodo è stato duro anche per mia moglie. Si è andata a mettere sulla Cipressa e mi ha detto che quando li ha visti passare, sapere che io non fossi lì in mezzo è stato brutto. Anche perché non l’abbiamo deciso noi di smettere. Onestamente avrei continuato un anno, anche due. E se anche lo avessi deciso io, comunque non sarebbe stato facile dopo una vita.
Ti trovi bene in questo nuovo ruolo?
Mi piacerebbe soprattutto aiutare i giovani. Purtroppo in Italia, non avendo grandi squadre, il riferimento è la Bardiani. Ma Reverberi non può prendere 20 corridori all’anno, quindi secondo me stiamo perdendo tanti atleti. Ne ho visti tanti che da dilettante non erano chissà cosa e poi hanno fatto la loro carriera di 10-15 anni tra i pro’. Stiamo perdendo atleti che potrebbero trovare posto in gruppo.