In Spagna con Bramati, parlando di uomini e programmi

18.01.2022
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Il “Brama” è inquieto. Se da una parte con i corridori è il solito amicone, capace di trasmettergli grinta anche solo per bere un caffè, dall’altra ha lo sguardo vigile su ciò che accade intorno. L’attenzione estrema per tutto ciò che è igiene e attenzione ai protocolli Covid lo tiene ben sveglio. Quando vedi che a causa della cancellazione della Vuelta San Juan se ne va a monte l’altura colombiana dei corridori che sarebbero partiti dall’Argentina, capisci che basta un niente per compromettere settimane di lavoro. Per questo le squadre si stanno chiudendo a riccio. Per questo Bramati è così circospetto. Tutto intorno, la Quick Step-Alpha Vinyl che si avvia al debutto con buone sensazioni, forte dei suoi tanti uomini capaci di vincere.

«Qualcuno è andato via – conferma Bramati – ma siamo ancora forti su tutti i terreni. Lo zoccolo duro è rimasto, manca solo Almeida. Gli italiani sono cresciuti e speriamo che crescano ancora. E poi con Jakobsen, Alaphilippe ed Evenepoel possiamo fare davvero delle belle cose».

Bramati è certo che Evenepoel sia un’eccezione: sbagliato volerlo imitare (foto Wout Beel)
Evenepoel è un’eccezione: per Bramati è sbagliato imitarlo (foto Wout Beel)
Remco sembra aver ritrovato la verve di prima dell’incidente…

E’ incredibile quello che può fare. Non voglio neanche parlare delle vittorie, ma avete visto cosa ha combinato al mondiale? Giusto o sbagliato, la tattica l’ha fatta il Belgio. Ma vedere un ragazzo di vent’anni che si porta il gruppo sulle spalle per 180 chilometri è stato una dimostrazione di forza incredibile.

E questo conferma la sua eccezionalità…

Come lui, c’è lui… Noi avevamo visto le sue potenzialità, ma sappiamo che è merce rara. Con l’Adispro, l’associazione dei direttori sportivi in Italia, si è parlato di questo aspetto. Fare più attività fra gli U23 non è male, ma Remco è stato subito forte.

A proposito di mondiale, anche Alaphilippe sembra ben consapevole di quel che lo aspetta.

La seconda maglia iridata peserà meno. Non è stato facile portarla in giro l’anno scorso, ma non si può negare che sia stato sempre protagonista. La maglia si è vista, l’ha onorata e per quest’anno vuole puntare bene alle Ardenne. La Liegi è la prova Monumento che più gli si addice, chissà che questa non sia la volta buona.

Sarà facile gestire il dualismo fra Jakobsen e Cavendish?

Fabio e Mark vanno d’accordo e questa è già una buona cosa. Cav ha dimostrato di non essere un atleta da pensionare, con quattro tappe e la maglia verde al Tour. Jakobsen invece è tornato capace di vincere grandi corse. Credo che non serva assegnare dei ruoli sin da adesso, è meglio partire e vedere come andrà la stagione.

Nel 2021 Cavendish e Jakobsen corsero assieme al Turchia: gara del rientro per Fabio, di 4 vittorie per Mark
Nel 2021 Cavendish e Jakobsen corsero assieme al Turchia: gara del rientro per Fabio, di 4 vittorie per Mark
E’ del tutto improponibile che corrano insieme?

Non so a cosa servirebbe, soprattutto al Tour. Quest’anno è molto diverso rispetto al solito. C’è la crono e subito una volata che però con quel lungo ponte potrebbe spaccare il gruppo. Alla quinta tappa c’è già il pavé e poi si riparlerà di una volata vera alla 18ª tappa. Davanti a un disegno come questo e dovendo partire con 8 corridori, è normale che si debbano fare delle scelte.

Gli italiani possono crescere?

Hanno fatto vedere tanto. Masnada nel finale di stagione ha colpito. Ballerini ha fatto un grande inizio, poi ha aiutato e ha chiuso in crescendo. Bagioli è rientrato dall’infortunio e ha fatto una grande Vuelta. Cattaneo può migliorare ancora. Lo dico a bassa voce sennò mi accusano di essere tifoso, ma secondo me faranno tutti un bel salto di qualità.

Loro hanno Remco, noi aspettiamo Bagioli

17.01.2022
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Sette vittorie al primo anno da junior, otto al secondo. Uno come Bagioli oggi passerebbe dritto al professionismo: c’è chi lo ha fatto per molto meno. Andrea invece scelse di crescere per due stagioni con il Team Colpack, cogliendo 2 vittorie al primo anno (e altri 11 piazzamenti nei 10, fra cui il 2° posto alla Liegi) e 9 al secondo (con altri 5 piazzamenti nei 10).

«Non sarei mai passato direttamente – dice lui oggi – ho preferito finire la scuola e fare le cose nei tempi giusti, prima di arrivare qui alla Quick Step».

Trofeo Laigueglia 2021
La caduta di Laigueglia ha spezzato il bel feeling con cui era iniziata la stagione 2021 di Bagioli
Trofeo Laigueglia 2021
La caduta di Laigueglia ha spezzato l’ottimo avvio di 2021 di Bagioli

Dannata caduta

Lo incontriamo a Calpe, proprio durante il ritiro della Quick Step-Alpha Vinyl. Il 2021 era nato sotto i migliori auspici con la vittoria in Francia alla Royal Bernard Drome Classic, poi la caduta di Laigueglia e i conseguenti problemi al ginocchio (risolti con un intervento il 16 aprile) hanno fermato tutto. Il rientro alle corse alla fine di luglio dopo un periodo a Livigno ha offerto altri lampi di talento, ma è chiaro che anche lui non possa essere troppo soddisfatto di come sono andate le cose.

«Ogni anno – dice – si parte da un livello più alto. All’inizio andava bene tutto, adesso ho pretese superiori. La squadra non mi chiede niente di particolare, ma io so che posso dire la mia e vorrei farlo. Ho corso poco (38 giorni nel 2021, ndr), ma al mondiale mi sono sentito veramente forte. E’ stato bello essere lì davanti a fare la mia parte. In questi due anni ho maturato una bella esperienza, ma non mi sento ancora un corridore esperto. E’ vero che tutti cercano il nuovo Evenepoel, ma credo che sia dura trovarne un altro così. E io comunque devo ancora compiere 23 anni…».

Che cosa hai chiesto a Babbo Natale per il 2022?

Di vincere una tappa al Giro, magari entrando in un gruppetto ristretto e poi giocarmi la volata. Per il momento mi trovo a mio agio più nelle corse di un giorno o di poche tappe. Per i Giri più importanti non mi sento ancora pronto, soprattutto sul fronte delle crono, ma mi piacerebbe. E’ un capitolo che spero di scrivere, perché le potenzialità potrebbero esserci.

Sei in una squadra che sul fronte delle classiche è piena di potenziali vincitori…

Non ci si può sedere un attimo. Quando si fa la riunione pre gara, c’è comunque un capitano, ma tutti possono giocarsi le proprie carte. Alla Primus Classic, che poi ha vinto Senechal, eravamo in 7-8 di noi nel gruppetto dei 15 che ha deciso la corsa. Al Lombardia c’erano altri capitani. Alaphilippe e Almeida, soprattutto. Invece alla fine è uscito Masnada.

E’ stato operato al ginocchio il 16 aprile in Belgio, poi sono servite 4 settimane di stop
Operato al ginocchio il 16 aprile in Belgio, poi 4 settimane di stop
Ballerini ha raccontato di aver imparato tanto da Morkov…

Io cerco di spiare Alaphilippe. Si impara tanto dai compagni, da quello che fanno sul bus e poi fino a sera. Da Julian cerco sempre di raccogliere qualcosa. E’ sempre calmo, non mette mai pressione. Prima della Liegi, cui arrivava dopo la beffa dell’anno prima, era tranquillissimo.

E tu sei tranquillo?

Prima di una gara, un po’ di pressione c’è sempre. E’ la corsa stessa che te la mette. Per stemperarla, magari cerco di leggere un giornale o guardare un programma che mi distragga.

Nella cronometro, Bagioli ammette qualche limite: di prestazione e di pratica
Sulla cronometro, Bagioli vuole lavorare in ottica Giri
Quanto leggi? Quanto incide su di te quello che viene scritto?

Se sono a casa tranquillo, leggo, ma non do tanto peso a quello che viene detto su di me. Alle corse è diverso. Prima del mondiale ad esempio ho letto molto, ma dipende da persona a persona. Se arrivano critiche o commenti, ci ragiono, ma non mi condizionano. Per altri di sicuro è diverso.

Tuo fratello Nicola alla fine ha deciso di smettere…

Mi dispiace, ma un po’ si poteva capire. Anche quando era fuori negli ultimi tempi era sempre con la testa sulla nuova attività. Vedevo che era più contento quando parlava del lavoro che della bici. Mi dispiace perché ci scambiavamo consigli e ci allenavamo insieme, ma sono contento per lui. La bici ad ora non l’ha più presa. Magari la prossima estate, lo costringo a farmi compagnia per qualche uscita (sorride, ndr).

Ai mondiali di Leuven si sentiva forte e ha lavorato sodo: lo hanno fermato i crampi
Ai mondiali si sentiva forte e ha lavorato sodo: lo hanno fermato i crampi
Programma 2022?

Saudi Tour, Ruta del Sol, Ardeche. Quindi altura sul Teide, poi classiche e Giro.

Si debutta in Italia, dunque?

E’ sempre stato il mio sogno sin da bambino. Il primo ricordo che ho del Giro è del 2008 con Contador in maglia rosa e poi ancora lui, ma nel 2015, per quello che fece sul Mortirolo. Alberto è il mio idolo, quando lo vedevo partire da lontano mi esaltavo. Non sarò come lui, ma di certo posso prenderlo a riferimento.

Il nuovo Alaphilippe: nervi saldi, meno errori e il sogno Liegi

16.01.2022
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Alaphilippe si accinge a vivere il secondo anno da campione del mondo con una flemma mai vista. Il corridore spiritato che in certi giorni era difficile da seguire anche nelle dichiarazioni ha ceduto il posto a un uomo calmo e riflessivo. Sarà la paternità oppure la serenità di non dover dimostrare altro, pensiamo che se il francese riuscirà a portare questa flemma in corsa, diventerà il cecchino che tanti aspettano. Si è visto a Leuven, in fondo, quando ha messo il naso fuori una sola volta e ha vinto. Oppure forse si tratta di semplice necessità, dovendo fronteggiare avversari più forti di lui fisicamente.

Molto più pacato, Alaphilippe ha spiegato che la Liegi sarà il primo obiettivo
Molto più pacato, Alaphilippe ha spiegato che la Liegi sarà il primo obiettivo

«Il risultato più bello del 2021 – dice – è stato essere diventato padre, il più grande cambiamento nella mia vita. Non si può comparare con i risultati del ciclismo, ma in qualche modo sento che vi è connesso. Sono contento dell’ultima stagione, perché ho raggiunto i miei obiettivi. Ho vinto nuovamente la Freccia Vallone. Ho provato l’emozione di vincere al Tour e prendere la maglia gialla dieci giorni dopo la nascita di mio figlio. E poi è arrivata la maglia iridata per il secondo anno consecutivo, che è stata più di un sogno. Quest’anno voglio godermela (dice toccandola con il palmo della mano, ndr) senza rincorrere traguardi troppo lontani».

Tutto sulla Liegi

Per certi versi è come se non avesse ancora metabolizzato la seconda vittoria iridata e in qualche momento di questa conversazione sarà lui per primo ad ammetterlo.

«Credo che questa mentalità – dice – possa essere la chiave della mia carriera. Vuoi vincere, ma è difficile essere sempre a livelli altissimi e questo può diventare un pensiero che ti schiaccia. Io invece voglio stare bene. Mi spiego. Ho rincorso le classiche fiamminghe, il Fiandre soprattutto. Potrebbe essere alla mia portata, ma la prima volta mi è costato una frattura e un lungo stop, mentre l’anno scorso sul Kruisberg mi si è spenta la luce. Ma soprattutto mi ha portato lontano da quelli che sono i miei obiettivi principali. Sono molto motivato per la Liegi, la corsa che più mi si addice e che finora mi è sfuggita per i miei errori e per l’arrivo di avversari nuovi».

La lezione di Valverde

I suoi errori. Impossibile dimenticare il 2020, quando proprio nel finale della Doyenne (che si corse d’ottobre) buttò via forze a profusione, poi chiuse Hirschi in volata e alla fine alzò le braccia troppo presto permettendo a Roglic di passarlo, con la squalifica come mazzata finale. Oppure il 2021, quando è arrivato a ridosso dello sprint ancora in testa al gruppetto, ha dovuto inventarsi una manovra da pistard per tornare in coda e poi ha lanciato la volata con troppo anticipo, permettendo a Pogacar di rimontarlo.

Julian Alaphilippe compirà 30 anni l’11 giugno (foto Quick Step-Alpha Vinyl)
Julian Alaphilippe compirà 30 anni l’11 giugno (foto Quick Step-Alpha Vinyl)

«E’ naturale a volte fare degli errori – sorride amaro – ma mi sono reso conto che alcuni di questi sono stati frutto della pressione. Il mio primo anno in maglia iridata in certi momenti è stato così e non voglio che si ripeta. Devo accettare che non posso vincere ogni corsa e devo smetterla di fare come qualche stagione fa, quando vincevo e subito guardavo alla corsa successiva. Sono sicuro che questo mi porterà a divertirmi di più. Devo imparare da Valverde. Sono certo che a 40 anni non sarò più in gruppo come lui, ma so anche che Alejandro è un esempio per il livello che riesce ad avere e la capacità di sorridere dopo ogni corsa. Che abbia vinto o che abbia perso».

Al Tour da cacciatore

Gestire la pressione e farsela scivolare addosso: proprio lo spagnolo è maestro. E questo gli ha permesso negli anni di accettare sfide pazzesche senza farsene schiacciare, vincendo classiche e conquistando podi nei tre grandi Giri.

«La sola pressione che accetto – dice Alaphilippe – è quella che metto a me stesso, nel non voler deludere la squadra e i tifosi. Una pressione da cui invece ho imparato a stare alla larga è quella del Tour. Per ora la mia presenza alla Grande Boucle sarà giorno per giorno, con l’impegno di andare a vedere le tappe in cui potrei vincere. Mi chiedono spesso se correndo in un’altra squadra, il mio atteggiamento sarebbe diverso. Forse sì, forse no. Tanti mi chiedono di fare classifica, ma io per primo so che i risultati del 2019 furono anche il frutto si situazioni e che ad oggi sarei il primo a sorprendermi se fossi capace di gestire tre settimane.

«Perciò, anche quest’anno sentite che cosa farò. Voglio il tempo per divertirmi sulla bici. Voglio portare in gruppo questa maglia, che è la più bella e tutti sognano e alla quale per certi versi devo ancora abituarmi. Ricordo quando nel 2019 mi passava accanto Valverde e io lo guardavo con ammirazione. Ecco cosa farò nel 2022. E non credo che cambierò idea».

Il signor Morkov, angelo custode dei grandi velocisti

16.01.2022
5 min
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Preferisci che si parli di te come del campione olimpico della madison o del miglior ultimo uomo del gruppo? Morkov ha gli occhi laser al pari di Viviani. Impiega un secondo a farci la radiografia ed elaborare la risposta, come quando in pista o nei finali di corsa si deve scegliere il varco ed entrarci senza rallentare.

«Nessuna differenza – dice – mi piacciono entrambi i ruoli. Bello vincere con la squadra, bella la medaglia d’oro. Se ci pensate, la madison è simile a uno sprint su strada, devi essere capace di prendere tempo e misure. Trovare la via più breve fino alla riga».

Quarta tappa del Tour 2021, Cavendish torna a vincere. C’è lo zampino di Morkov
Tour 2021, Cavendish torna a vincere. C’è lo zampino di Morkov

Solo quattro per sé

Michael Morkov ha 36 anni ed è nato a Kokkedal, comune 30 chilometri a nord di Copenhagen. Pochi capelli rasati, le guance scavate. E dato che si presenta all’appuntamento in bermuda, saltano all’occhio le gambe svenate e i quadricipiti già tonici.

Passò professionista nel 2009 con la Saxo Bank, come accadeva in quegli anni ai danesi più forti, ed è rimasto nel gruppo di Riis fino al 2015. Poi si è sparato due anni alla Katusha e a partire dal 2018 è approdato alla Quick Step in cui quell’anno correvano Viviani e Gaviria.

Squadra di velocisti in cui il danese si è trasformato nel miglior leadout del mondo. Le vittorie di Morkov su strada sono rare come quadrifogli: appena quattro, fra cui la tappa di Caceres alla Vuelta del 2013, per niente facile, quando precedette Richeze, Cancellara e Farrar. Ma se si volessero contare le vittorie sommate dai velocisti che Morkov ha pilotato, allora i numeri sarebbero parecchio superiori: un numero imprecisato fra 40 e 50.

Cavendish vince la quarta tappa al Tour 2021, era stanco: grande lavoro di Morkov, che arriva secondo
Cavendish vince la 4ª tappa al Tour, Morkov arriva secondo
Si può fare una classifica dei velocisti più forti con cui hai lavorato?

Difficile (sorride, ndr), tutti hanno la loro personalità. Quello che cambia per me è la distanza cui devo lasciarli.

Quando Viviani è passato alla Cofidis ha provato a costruirsi un treno, poi si è arreso al fatto che non aveva te…

Sono stato triste quando Elia se ne è andato. Oltre al rapporto di lavoro, siamo diventati amici. Avrei continuato volentieri a lavorare con lui.

E’ facile adattarsi al nuovo velocista?

Serve del tempo, anche se in realtà ci si può adattare in fretta. La prima volata che feci con Jakobsen ad esempio fu a Scheldeprijs nel 2018 e la vincemmo subito. Era giovanissimo e mi seguiva. Ma di solito prima di potersi giocare una volata, servono più corse per adattarsi. Fabio e Cavendish sono molto diversi tra loro.

In cosa consiste la differenza?

Dipende dal tipo di sprint, da come si muove il gruppo e da come si muove il velocista nel gruppo. Jakobsen al top è uno dei migliori, Mark ha dimostrato di esserlo ancora.

Come è fatto l’ultimo uomo di un velocista.

Negli anni ho visto che i vecchi sprinter, quando sentono di non essere più vincenti, provano a cambiare pelle, ma non sanno come si fa. L’unico che si è convertito bene è stato Lombardi, che veniva anche lui dalla pista ed era molto furbo.

Qual è la dote principale che bisogna avere?

Bisogna leggere la corsa. Non mi fisso sulle distanze, dipende da come il velocista si sente quel giorno. Posso lasciarlo ai 200 metri o anche prima. E a volte, se lui non ha la percezione esatta, deve fidarsi del suo ultimo uomo e partire comunque quando io mi sposto.

Come hai fatto a ritrovare il colpo di pedale della pista dopo il Tour de France?

Per prima cosa ho riposato per una settimana. Poi ho lavorato tanto dietro il derny per ritrovare la velocità di gambe. Sono uscito dal Tour con una grande forma, la miglior preparazione possibile.

Nel 2019, Viviani vince Amburgo per la terza volta: Morkov ultimo uomo super
Nel 2019, Viviani vince Amburgo per la terza volta
Ricordi tutti gli sprint che hai pilotato?

Tutti, tranne quelli che ho perso (ride, ndr).

Sei più orgoglioso di qualcuno in particolare?

E’ difficile da dire, forse la prima che mi viene in mente è la 13ª dell’ultimo Tour a Carcassonne. Perché vincessimo, doveva andare tutto alla perfezione. Mark era stanco, nel lanciarlo dovevo essere super graduale. E alla fine abbiamo fatto primo e secondo. E poi una con Viviani…

Quale?

La Prudential Ride di Londra nel 2019. All’ultima curva eravamo indietro, poi ho trovato un varco ed Elia si è attaccato alla mia ruota, ha rimontato e ha saltato Bennett. 

La volata di Londra vinta nel 2019 da Viviani, che Morkov mette fra le più belle
La volata di Londra vinta nel 2019 da Viviani
C’è qualche vantaggio se l’ultimo uomo e il velocista vengono entrambi dalla pista?

Di sicuro con Elia e Mark ci si capisce al volo ed entrambi hanno l’esperienza della pista. Hanno una migliore tecnica per muoversi nel gruppo.

Il prossimo Tour partirà dalla Danimarca…

Il prologo si svolge a 5 chilometri da casa mia, sarà fantastico essere al Tour. La seconda tappa invece è speciale, perché si finisce dopo il Pont du Grand Belt, che è lungo 17 chilometri e un po’ sale. Se c’è vento, il finale diventa duro. L’arrivo c’è 3 chilometri dopo il ponte, difficile prevedere come finirà. Ho in testa la 10ª tappa del Tour 2020 che finiva ugualmente dopo un ponte a Ile de Re e che vincemmo con Bennett. Questi sono il genere di ragionamenti che mi piace fare quando ci si avvicina a una corsa. Una delle cose che mi piace di più…

Mal di schiena risolto, Ballerini punta dritto su Roubaix

14.01.2022
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Pensando a Davide Ballerini, si fa fatica a capire se la prima immagine che viene in mente sia la vittoria all’Het Nieuwsblad oppure la caduta assieme a Trentin ai mondiali di Leuven, in cui la sorte s’è portata via le nostre chance di vittoria. Il 2021 del corridore di Como è partito a razzo, con due vittorie al Tour de la Provence e quella nella classica belga di apertura, poi è andato a scontrarsi contro il livello di corse pazzesche, cui Ballero ha iniziato a prendere le misure.

«In questa squadra si cresce un casino – dice – sto imparando tantissimo. Ho fatto il Tour in camera con Morkov, che mi ha spiegato milioni di cose. Stiamo scrivendo la leggenda di una squadra che ha nella Settimana Santa del Belgio il momento clou della stagione. Si sentono atmosfera e stress, perché lassù bisogna correre per vincere».

Fra i corridori del gruppo classiche, anche Ballerini ha raccontato le sue ambizioni per il Nord
Fra i corridori del gruppo classiche, anche Ballerini ha raccontato le sue ambizioni per il Nord

Se poi ti chiami Ballerini, hai l’attitudine per muri e pavé e ammetti che la Roubaix sia il tuo sogno, il destino è già scritto. Basta intercettare gli sguardi e le battute con cui Lefevere se lo coccola, per capire che la Quick Step-Alpha Vinyl creda parecchio in lui. In Spagna si lavora, ma l’ammissione è chiara: partirà più piano dello scorso anno. Al punto che Ballerini all’Het Nieuwsblad non ci andrà neppure.

Come mai?

Abbiamo archiviato il 2021 e fatto le nostre analisi. Ho la consapevolezza che posso fare bene, le aspettative sono alte. Per cui partirò con più calma per arrivare bene alla Roubaix. Le classiche sono tutte fantastiche, ma già l’anno scorso mi ero focalizzato su mondiale e Roubaix, solo che quella caduta li ha compromessi entrambi. Sono sempre stato indirizzato verso il Belgio per il mio fisico, ma non mi sono mai confrontato con i pezzi da 90. Vincere l’Het Nieuwsblad mi fa pensare che se ci credo e lavoro sodo, posso avvicinarmi a loro.

Sei nella squadra giusta?

La migliore, ma non sarà neanche facile perché in certe corse si va in otto e praticamente tutti possono giocarsi la vittoria.

La sosta al Bar Velò a metà allenamento nel giorno dell’incontro con la stampa (foto Wout Beel)
La sosta al Bar Velò a metà allenamento nel giorno dell’incontro con la stampa (foto Wout Beel)
In più da un paio d’anni ci sono in circolazione Van der Poel e Van Aert e tutto si complica…

Vero, però il Fiandre l’anno scorso l’abbiamo vinto noi. La cosa che dobbiamo cercare è il lavoro di squadra, perché loro sono forti, ma non hanno un gruppo come il nostro. Sulla carta abbiamo un collettivo più attrezzato. Dobbiamo cercare di isolarli, dandogli poi scacco matto. Si è visto al Fiandre. Nessuno avrebbe scommesso su Kasper (Asgreen, ndr), ma alla fine ha vinto lui. Ed è il bello di poter giocare di squadra.

Hai salito un altro gradino?

Ogni anno riesco a guadagnare qualche watt in più per resistenza ed esplosività. Non ho mai creduto nei progressi che arrivano troppo in fretta, preferisco crescere gradualmente. Le batoste fanno crescere se hai le basi solide, sennò possono anche farti smettere. Però allo stesso tempo, bene la gradualità, ma il tempo vola. Poco fa ero a mangiare con un gruppetto di juniores che passano dilettanti, mentre io vado per i 28. Bisogna concretizzare. Un uomo saggio mi ha detto che siamo come un serbatoio con un buchino. Con l’età che va avanti, il serbatoio si svuota.

Interessante lettura, chi è l’uomo saggio che te lo ha detto?

Mario Cipollini. Credo che abbia ragione, perché nel frattempo intorno il mondo va alla velocità della luce. Si sta abbassando tutto. Si diventa più metodici nelle squadre giovanili, anche per cose che avrebbe più senso fare da grandi. Come i rulli dopo l’arrivo oppure l’altura per preparare ogni appuntamento. 

Perché succede secondo te?

Prendono esempio da noi, purtroppo è così e non ci si può fare niente. Ricordo che un anno anche io andai in altura con la nazionale prima della Firenze-Empoli. In più la giovane età tiene bassa la soglia di rischio, per cui quelli che arrivano non hanno paura di buttarsi, mentre noi più grandi cominciamo a calcolare i rischi di certe manovre

Proprio nel ritiro di dicembre ha scoperto che il mal di schiena dipendeva da una microfrattura, ora completamente guarita (foto Quick Step)
Ha scoperto che il mal di schiena dipendeva da una microfrattura (foto Quick Step)
La Roubaix è il tuo sogno, che effetto ti ha fatto vederla vincere da Colbrelli?

Una grande emozione, sono molto contento per Sonny. Credo anche che l’avrebbe vinta Moscon senza tutte quelle scivolate. Eravamo ai limiti, sembrava una gara di cross, non avevo mai corso in simili situazioni. Mi dispiace perché quel giorno ero ancora arrabbiato e dolorante per la caduta del mondiale e rialzandomi da quella fuga ho buttato un’occasione. Ma la schiena ha detto stop, ho dovuto fermarmi.

Gli strascichi della caduta di Leuven?

Pensavamo fosse solo una botta, ma dava fastidio. Così al primo ritiro abbiamo fatto uno scan e finalmente è venuta fuori la causa. Una microfrattura. Così mi sono messo l’anima in pace, perché c’era una causa. Ho riposato e adesso sono pronto per ripartire. Andrò al Saudi Tour, all’Oman e poi in altura pensando a Sanremo e classiche…

Cattaneo, storia di una dura risalita

13.01.2022
7 min
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«Il Tour mi ha portato a un livello altissimo – dice Cattaneo nel pomeriggio spagnolo – ho passato i dieci giorni successivi a rispondere al telefono. Se avessi fatto 12° al Giro, mi avreste chiamato forse voi. Per questo, quando me l’hanno chiesto, ho detto che avrei preferito tornare in Francia. E poi in Danimarca si comincia con una crono, un piazzamento nei primi 10 ci starebbe. Sognare non costa nulla, anche se ci saranno tutti i migliori del mondo».

Un anno importante

Lui l’ultima crono della stagione l’ha vinta, al Tour of Luxembourg. E al Tour de France ha aiutato la squadra, favorendo le vittorie di Cavendish e Alaphilippe e ritagliandosi però anche un bello spazio, nella forma di fughe che l’hanno portato al secondo posto di Tignes, il quarto di Quillan e due top 10 nelle crono. Alla Quick Step-Alpha Vinyl se ne sono accorti e hanno deciso di investire su di lui. 

«E’ stato un anno importante – conferma – e nel 2022 vorrei fare uno step ulteriore nelle crono, prendendo poi tutto quello che verrà nelle corse a tappe. La parte più difficile di questa risalita è stata ritrovare la testa per pensare di essere all’altezza. Nei primi anni da professionista ho commesso i miei errori e anche la squadra non è stata in grado di aiutarmi. Quando però sono arrivato all’Androni, sono riuscito a riprendere il controllo e devo a quegli anni il fatto di essere qui».

Cade il velo

Ci sono cose che si sanno. Guai scriverle, perché attengono alla sfera privata e i corridori meritano rispetto. A parte qualche caduta di troppo, si diceva che fra i problemi di Mattia ci fosse un rapporto complicato con l’alimentazione. Ne abbiamo scritto tanto, altri corridori da Aru a Cimolai ci hanno raccontato la loro storia, e ora per la prima volta affrontiamo con lui il delicato argomento.

«E’ vero – ammette – ed erano problemi che venivano da lontano. Li avevo anche da junior. Cominciarono a dirmi che per vincere dovevo essere magro. Leggevo sulle riviste articoli che parlavano della magrezza e alla fine mi convinsi che fosse l’unico modo per diventare professionista. Ti alleni e mangi poco, me lo portai dietro anche da dilettante.

«Facevo fatica, arrivavo già stanco alle salite. Da pro’ lo step successivo. Vedevo quelli che mangiavano di tutto ed erano sempre tirati. Non pensavo che magari avessero 10 anni più di me e fossero semplicemente più definiti. Io non mangiavo e loro andavano più forte. Entri in un circolo e non capisci più se il segreto sia nell’allenamento o nell’alimentazione, così mi focalizzai sull’essere sempre più magro.

«Poi passai all’opposto e mi ritrovai a correre con 3-4 chili di più. Era cambiata la prospettiva, ma il problema era lo stesso. In Androni finalmente ho trovato l’equilibrio. L’alimentazione non è più un problema, ma in certi giorni mi viene ancora da pensare a come andrei in salita se pesassi 2 chili di meno. La risposta l’ho avuta al Tour. Ci sono arrivato al peso forma e nell’ultima settimana mi mancava un po’ di forza. Quello è il mio peso limite, so che mi avrebbe fatto comodo mezzo chilo di più».

Operazione crono

La pagina è voltata. La maturità nell’affrontare il discorso fa capire tanto e aiuterà i ragazzi alle prese con gli stessi ragionamenti. Il nuovo Mattia, il ragazzo che da U23 vinse nello stesso 2011 il Giro delle Pesche Nettarine e poi quello d’Italia, è rinato nei due anni alla Androni, grazie al consiglio di Massimiliano Mori e all’umanità di Giovanni Ellena.

«Quello che c’è adesso – sorride – il riconoscimento da parte della squadra è davvero gratificante. Ho passato un bell’inverno, tranne una settimana di vacanza ho lavorato tantissimo sulla bici da crono e sul vestiario. Quando vedi che ti portano in America e ti fanno le protesi in carbonio su misura, capisci che ci credono e ti dà fiducia. Quando ti metti a sviluppare il nuovo abbigliamento, è lo stesso. Con Castelli abbiamo fatto un grosso step in avanti. Lo vedo soprattutto con i body da crono con cui avevamo qualche problemino e con i capi per quando piove. Stiamo parlando di una delle aziende più evolute al mondo, non voglio fare confronti con quello che c’era prima. Ma se devo andare da Calpe all’aeroporto di Valencia, posso farlo su una Panda o su una Ferrari. Sono entrambe auto, ma non sono uguali…».

Programma importante

Il riconoscimento della squadra porta anche a un calendario che Mattia definisce con modestia abbastanza importante.

«Partirò alla Valenciana – spiega – poi Algarve, Parigi-Nizza, Paesi Baschi, due corse nelle Ardenne e poi vediamo come proseguire. Non mi posso sbilanciare, ma sono nella lista lunga per il Tour e poi della Vuelta. Quello che mi dicono, io lo faccio. Mi conoscete da anni, non ho grosse pretese. L’obiettivo è tornare a vincere, ma ho il mio spazio e il mio ruolo. Sono consapevole che in squadra c’è chi va più forte e sono pronto a mettere il mio potenziale a sua disposizione.

La stagione di Cattaneo inizierà ugualmente dalla Spagna, con la Valenciana (foto Wout Beel)
La sua stagione inizierà con la Valenciana (foto Wout Beel)

«L’ultimo Tour è stato emblematico. Prima gli altri e poi me stesso. Qualcuno mi ha detto che se avessi fatto classifica dall’inizio, sarei arrivato più avanti, ma io non ci credo. Se fossi stato già davanti, non mi avrebbero permesso di andare in fuga e magari alla fine sarebbe venuto un decimo posto, che non avrebbe fatto troppa differenza.

«Mi piacerebbe vincere, ma bisogna essere onesti. E poi il mio sacrificio non è stato vano. Ho diviso la stanza con Mark (Cavendish, ndr) e l’ho aiutato a vincere. Stessa cosa con Julian (Alaphilippe, ndr). I direttori si sono resi conto che ho esperienza e che in certi momenti posso essere utile per trovare la posizione giusta. Già essere negli 8 della Deceunick-Quick Step per il Tour era una gran cosa, quello che è venuto dopo è stato ancora più grande. E alla fine davvero, il telefono non la smetteva più di squillare…».

E Lefevere a sorpresa riapre la porta sul Tour

12.01.2022
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Il capo ha la pelle abbronzata e la camicia bianca. Ha appena compiuto 66 anni, ma conserva la verve di quando correva e di ogni battaglia delle ultime 30 stagioni. Tanti sono gli anni della squadra di Patrick Lefevere, come si legge anche sulle tazzine personalizzate in cui i corridori stamattina hanno bevuto il caffè al Bar Velo, roulotte della Quick Step-Alpha Vinyl posizionata lungo la strada a uso dei fotografi e per finalità di marketing.

Nell’accogliere la stampa al raduno di Calpe, Patrick (in apertura nella foto di Sigrid Eggers) ha tracciato un rapido bilancio 2021 del team e poi, con un ruggito d’orgoglio, ha sottolineato che qualcuno se ne è andato, ma la struttura resta forte e non ci sono traguardi preclusi. E’ bastato guardarsi intorno e vedere nelle immediate vicinanze Alaphilippe, Evenepoel, Jakobsen, Cavendish, Morkov, Asgreen, Bagioli, Ballerini e Cattaneo per avere la sensazione del piatto ricco.

«Sono ottimista – conferma dopo averci raggiunto su un divanetto tondeggiante – abbiamo perso dei buoni corridori, ma abbiamo tirato a bordo dei giovani molto interessanti. Chi mi conosce sa che l’ho sempre fatto, da Pozzato e Cancellara alla Mapei, passando per Mas, Alaphilippe e Cavagna e anche quello là…».

Lefevere ha fatto gli onori di casa nell’hotel di Calpe, accogliendo 32 giornalisti da tutta Europa
Lefevere ha fatto gli onori di casa nell’hotel di Calpe, accogliendo 32 giornalisti da tutta Europa

Al Tour chi meriterà

Il gesto di sollevare il mento, orienta il nostro sguardo verso Remco Evenepoel, che sta seduto davanti alla telecamere di Sporza e si racconta come il reuccio nel giardino di corte. I temi sono tanti, Patrick ha voglia di parlare e il discorso parte da Cavendish, che mezz’ora fa si è trincerato dietro una sorta di mutismo selettivo per non dire quel che probabilmente pensa. Un ciclista professionista fa così, ha ripetuto più volte. E adesso le parole del manager del belga diventeranno benzina.

«La storia di Mark e la mia – dice Lefevere – è ben conosciuta. Andò via per un fatto di soldi, io non potevo tenerlo e lui giustamente accettò la proposta. Quello che mi disse quando venne a parlarmi alla fine del 2020 mi ha spezzato il cuore, così ho deciso di correre il rischio. Non sapevo come sarebbe stato riaccolto, ma la squadra lo ha assecondato, lui ha lavorato sodo e i risultati si sono visti. Non era nei piani che andasse al Tour, ma è stato bravo a sfruttare l’occasione. Per cui anche adesso è presto per dire cosa succederà a luglio, ma non mi va che tutti questi discorsi vengano strumentalizzati. Al Tour andrà chi meriterà di andarci».

La grinta del pitbull

Quando però si parla di Jakobsen e di tutto il baccano che si fece dopo la caduta al Polonia, il capo prova a fare una marcia indietro rispetto alle dichiarazioni che gli furono attribuite e che a suo dire venero mal tradotte.

«In alcuni casi le traduzioni non sono state oneste – dice – per cui è uscito che secondo me Groenewegen abbia voluto uccidere Fabio. Io non l’ho mai detto, posso aver detto che con certe condotte si rischia di uccidere qualcuno. Ma prima di scrivere una cosa del genere, non vuoi almeno chiamarmi? Mi hanno attaccato quasi fossi un criminale. E’ venuto fuori un profilo Facebook a mio nome, ma io non ho un profilo Facebook. Ho provato a farlo chiudere, ma sembra sia impossibile. Capisco che ci sia tanta pressione. I giornali non vendono più come prima, ormai si gioca tutto su titoloni e foto. Ma io sono un pitbull, se tocchi i miei corridori, io ti assalto. Sono corretto se lo sei nei miei confronti».

Con Alaphilippe sul podio del primo mondiale a Imola: Lefevere ha accolto il francese in squadra da neopro’
Lefevere ha accolto Alaphilippe in squadra da neopro’

Porte aperte

Con lo stesso carisma si è imposto sui dottori del team, pretendendo di aprire il ritiro alla stampa. Per farci entrare hanno richiesto due tamponi, ma per gli sponsor e per il pubblico (ovviamente soprattutto quello belga per cui il ciclismo è una religione) c’era bisogno che il team ci mettesse la faccia. E lo hanno fatto.

«La squadra non è più debole – dice – ma non è il tempo di fare esperimenti. Julian (Alaphilippe, ndr) metterà da parte l’idea del Fiandre. Ha provato, è caduto due volte e si è convinto di tornare al programma di prima. Tre anni fa ci potevamo permettere di giocare, ma ora ci sono Pogacar, Roglic e gli altri e bisogna concentrarsi bene sugli obiettivi. Lui c’è sempre e quando attacca la corsa prende la svolta decisiva. Adesso bisogna che troviamo il modo di vincere noi certe corse».

Lefevere si è prestato a tutte le interviste e ha parlato del team con grinta e grande determinazione
Lefevere si è prestato a tutte le interviste e ha parlato del team con grinta e grande determinazione

Il valore di Remco

Nel frattempo Remco si è alzato. I due si sono scambiati uno sguardo d’intesa. Le interviste si succedono, la pedalata del mattino è stata volutamente blanda.

«Nel 2021 – dice indicandolo – ha imparato tanto. Ha avuto finalmente un buon inverno, anche se hanno cancellato l’Argentina. Il rientro al Giro non è andato bene, ma parlarne dopo o dal divano è troppo facile. Davanti alla tivù, vincerei tutte le corse. Una volta presa la decisione, abbiamo fatto il nostro meglio. E tutto sommato, ha avuto un giorno storto a Montalcino e nonostante dicessero che non sia capace di guidare, lui è passato illeso nel punto in cui sono caduti Nibali e Ciccone, ma qualcuno lo ha tirato giù colpendolo da dietro. Per Remco sarà un anno importante. Può vincere classiche e corse a tappe, il punto con lui però sono quelle di tre settimane. La Vuelta servirà per capirlo. Per cui faremo prima una stagione normale, con la Tirreno e le Ardenne. Ci sarà uno stop dopo il Romandia, quindi Delfinato o Svizzera e poi altura durante il Tour. E quel punto Vuelta e finale di stagione. Se tutto andrà liscio, alla fine di un anno come questo, potremo capire che corridore sia Remco Evenepoel».

Un altro Remco: punta sulla Vuelta e parla ai più giovani

12.01.2022
5 min
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Remco ha l’espressione fresca e voglia di far battute, però c’è in lui qualcosa di diverso che cercheremo di scoprire. La prima intervista da professionista con il giovane belga la facemmo proprio qui nel 2019 e fece seguito alla rapida conoscenza fatta a capo del 2018 da junior, quando vinse tutto quel che si poteva. Quella prima volta parve ugualmente fresco, ma un po’ troppo sicuro di sé. Oggi, sulla porta dei 21 anni (li compirà il 25 gennaio), il ragazzo appare più posato. Negli ultimi tre anni ha vissuto sulle montagne russe e dagli alti e soprattutto dai bassi ha imparato un diverso stile. Per il resto, la sicurezza non fa difetto, la caviglia è sottile e la gamba scopre qualche vena che a quel tempo era nascosta sotto il polpaccio da junior.

«Non vorrei cambiare nulla della mia vita – sorride Remco, in apertura nella foto Wout Beel – sto proprio bene così. Posso correre in bici. Ho la salute. La mia famiglia sta bene. Va tutto alla grande. Se proprio potessi cambiare qualcosa, chiederei un meteo migliore per il Belgio. Ma ho capito a mie spese che alcune cose non si possono cambiare».

C’è tanto nell’ultima frase, basta afferrarlo. Per cui il viaggio comincia leggero, cercando di capire dove lo porterà il 2022 iniziato già ad handicap: doveva partire dall’Argentina, per cui proprio in questi giorni si stanno rivedendo i programmi.

Sai che soprattutto in Italia è iniziata la caccia al nuovo Remco Evenepoel, per cui si fanno passare corridori di 19 anni sperando che facciano come te?

Davvero? Lo trovo strano (sgrana gli occhi, ndr), è sbagliato cercare di imitare quello che fanno gli altri, perché quello che sta bene a me, certamente non andrà per un altro e viceversa. Io faccio le mie cose, cercando sempre di dare il meglio. Nessuno cerca di farmi somigliare a qualcun altro. Credo che ogni corridore abbia la sua strada da seguire e un modo diverso di raggiungere il massimo livello, è sbagliato proporre confronti. Anche io ho una vera venerazione per Contador e Merckx, ma quando sono diventato professionista non ho mai pensato né mi hanno mai proposto di fare come loro. Questo è il mio piccolo consiglio per chi vuole diventare professionista: seguite la vostra strada.

Remco è passato dopo il 2018 trionfale fra corse a tappe, europei (crono e strada) e i mondiali (crono e strada, nella foto)
Pro’ dopo il 2018 trionfale con gli europei (crono e strada) e i mondiali (crono e strada, nella foto)
Qual è oggi la tua strada?

Intanto spero di avere una stagione normale, non come il 2021 in cui sono stato per metà anno ad allenarmi, poi sono caduto al Giro d’Italia, poi le cose non hanno funzionato a Tokyo… Voglio un anno normale, in cui punterò sulle Ardenne e sulla Vuelta. Spero di fare esperienza ad alto livello in un grande Giro. In Spagna sono sempre andato bene, dalla prima vittoria a San Sebastian alla Vuelta Burgos. La Vuelta mi piace, ha sempre tappe e arrivi speciali. Quest’anno ha una cronometro a squadre in apertura a nemmeno due ore da casa mia (a Utrecht, in Olanda, ndr) e una individuale piuttosto lunga (31 chilometri molto veloci, ndr) alla decima tappa, ad Alicante.

Alicante è a 60 chilometri da qui…

Infatti siamo andati a vedere il percorso, sarebbe stato stupido non farlo. Quello che spero di ottenere dalla Vuelta è fare un passo verso i più forti della classifica. E per il resto mi auguro di uscire dalla stagione con qualche bella vittoria.

Parli di anno normale, hai qualche rimpianto per il 2021?

Rimpianti forse no, ma alcune cose sarebbero potute andare diversamente. Sono andato male alle Olimpiadi, quello è stato il vero passaggio a vuoto. Abbiamo sbagliato l’avvicinamento, perché mi sono allenato molto bene, ma sono arrivato a Tokyo con la condizione in calando. Un grosso errore che non ripeteremo di sicuro. Quanto al Giro d’Italia, fino alla seconda settimana sono rimasto vicino ai migliori, poi mi hanno fatto cadere e a quel punto non aveva senso continuare. Il rimpianto può essere stato non aver mai lottato per la maglia rosa. Sarebbe stato un sogno. Per il resto sarò onesto: ho chiuso il 2021 con otto vittorie e parecchi podi di peso, a partire da europei e mondiali. Se potessi li baratterei tutti per una di quelle vittorie (sorride e allarga le braccia, ndr).

Hai parlato di Contador.

Era uno spettacolo vederlo correre, non era mai banale. Come dicevo, non accetterei mai di essere paragonato a lui sia per le sue tante vittorie sia perché non mi piacciono i paragoni. Avere degli idoli è importante, ma non per fare confronti. Semmai per trarne ispirazione.

Fabio e Mark, due storie intrecciate attorno al Tour

11.01.2022
6 min
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I segni della sua storia li porta in faccia. Fabio Jakobsen sorride e parla con argomenti profondi come le cicatrici che gli ha lasciato quell’orrenda caduta al Giro di Polonia. La faccia di Cavendish al confronto è un letto di rose, ma se si guarda nel fondo dei suoi occhi si intravedono ferite ugualmente profonde. Da un lato ci sono lo scampato pericolo e la vita che spinge per uscire, dall’altro la luce in fondo al tunnel e di colpo la sensazione che il viaggio stia per finire.

Media day della Quick Step-Alpha Vinyl a Calpe. Siamo gli unici dall’Italia, qualche collega fa capolino dallo schermo di un computer che viene fatto girare di tavolo in tavolo. Potere della tecnologia.

Cavendish ha poca voglia di parlare, le domande sul Tour sono scomode
Cavendish ha poca voglia di parlare, le domande sul Tour sono scomode

Il Tour di mezzo

Il Tour li lega e li divide. A Fabio si può chiedere tutto, a Mark è meglio non chiedere del Tour. A un collega americano è stato detto chiaramente che se vuole intervistarlo non deve fare domande sulla corsa francese. Cavendish ha scritto il suo romanzo eccezionale nella scorsa edizione della Grande Boucle, ma il rinnovo del suo contratto sarebbe stato subordinato a una clausola ben chiara: al Tour ci va Jakobsen.

In realtà sarebbe stato così anche l’anno scorso, quando sarebbe toccato a Bennett e tutto sommato ai primi del 2021 il britannico aveva poco da avanzare pretese, grato per la maglia e la bici. Però quando entra nella stanza delle interviste ha la faccia di un funerale. E quando parla lui, tutto lo staff della comunicazione Quick Step si avvicina per sentire.

Le tre tappe e la maglia a punti della Vuelta sono stati la svolta per Jakobsen
Le tre tappe e la maglia a punti della Vuelta sono stati la svolta per Jakobsen

La svolta alla Vuelta

Jakobsen sorride spesso. Con le cicatrici ha imparato a conviverci e al confronto sembra più infastidito Cavendish se un obiettivo si sofferma troppo a lungo per scrutare le sue espressioni.

«Ho perso buona parte del 2020 – racconta Fabio – per il Covid. E poi, quando siamo tornati, ho perso il resto del tempo per quello che tutti sappiamo. La Vuelta mi ha dato la conferma che posso ancora vincere le volate. La domanda ha smesso di essere “se” ma è diventata “dove”. Il Tour è al centro del mio anno. Patrick Levefere (general manager della squadra, ndr) ha detto che sarò io il velocista designato, ma chiaramente dovrò stare bene, essere in forma, spingere i watt giusti. Questo è il primo anno normale. Sto facendo esperienza, ascolto quelli più esperti di me. Penso di essere nella giusta fase della carriera, posso vincere le volate e pensare alle classiche intermedie del Belgio. Proverò la Gand. La Vuelta e le vittorie mi hanno fatto fare lo step che mancava. Niente è sicuro. Il Tour è la corsa più importante del mondo, ma si tratta pur sempre di una corsa…».

Durante l’allenamento del mattino, sosta in un bar-roulotte, ecco Cavendish (foto Wout Beel)
Durante l’allenamento del mattino, sosta in un bar-roulotte, ecco Cavendish (foto Wout Beel)

Un ciclista professionista

Cavendish è accigliato e parla per monosillabi. Si capisce lontano un chilometro che eviterebbe volentieri le domande e che potrebbe dire ben altro. Ogni sua risposta inizia da una frase che ripete come un mantra.

«Sono un ciclista professionista – dice – l’anno scorso ero senza un lavoro, ora sono qui e sono contento. Proverò a vincere dovunque potrò. Ho iniziato ad allenarmi in ritardo dopo la mia caduta, perciò sto lavorando per recuperare la mia forma fisica. L’anno scorso cercavo soprattutto un’ispirazione e l’ho trovata nel Tour. Tutti i corridori vogliono andarci, ma io sono un ciclista professionista. Il mio obiettivo sarà essere forte in tutte le corse cui prenderò parte. Questo è il lavoro di un ciclista professionista. L’ho fatto l’anno scorso. Anche quando non conoscevo il mio programma, perciò continuerò a farlo perché è quello che ho fatto per tutta la mia carriera. Non guardo indietro. Non penso al record di tappe. Se guardi indietro, smetti di andare avanti. Questo è stato il motto di tutta la mia storia e lo è ancora adesso».

Fabio Jakobsen porta le sue cicatrici con apparente disinvoltura
Fabio Jakobsen porta le sue cicatrici con apparente disinvoltura

Una splendida rinascita

Jakobsen ha undici anni meno di Cavendish. Chi lo seguiva prima della caduta raccontava di numeri bestiali durante gli sprint, per cui c’è da capire che la squadra voglia investire su di lui. La stagione chiaramente è lunga, nessuno può dire in che modo i due si presenteranno a luglio. E non è sfuggito il fatto che al Tour 2021 Mark ha vinto quattro tappe senza confrontarsi con i velocisti più forti. E Jakobsen intanto racconta…

«Non c’è stato niente da dimenticare – dice – perché di quel giorno non ricordo nulla. Ho toccato il fondo e quando ho capito che cosa stavo per perdere, mi è scattato dentro qualcosa. Volevo tornare a vivere come un pro’, a fare la cosa più bella che ci sia. Rientrare però è stato difficile, ritrovare la fiducia. Ho capito di dover convivere con quello che mi è successo, facendo in modo che mi renda migliore anche come uomo. A volte penso a quando a 12-13 anni sognavo di correre il Tour. Quando penso a quel bambino, sono felice di avere questa chance e che la squadra creda in me. Se c’è uno sprint del Tour che ricordo? Ne parlavamo giusto ieri con Mark. Quello del 2009 quando mimò il gesto del telefono, dedicandolo allo sponsor che faceva telefonini…».

Quattro tappe nel 2021 e la squadra come una famiglia. Ci sarà un altro Tour per Cavendish?
Quattro tappe nel 2021 e la squadra come una famiglia. Ci sarà un altro Tour per Cavendish?

Amore per il ciclismo

Cavendish risponde e a un certo punto sembra di essere in una schermaglia, cercando un varco per entrare.

«Questa squadra è nota per essere una famiglia – dice parlando dei giovani – anche io ho impiegato poco per riambientarmi. Penso che sia importante che sia una famiglia oltre che una squadra. Se le persone si connettono a livello emotivo, le prestazioni saranno migliori. Non riguarda solo il ciclismo ed è quello che mi piacerebbe far capire ai più giovani. Spetta a ciascuno di noi. Ricordo come le persone mi hanno sostenuto quando ero un ragazzo e spero che loro domani possano fare lo stesso quando avranno la mia età. Sono un ciclista professionista, ho la fortuna di avere una bici da guidare. Non avrei mai pensato che il ciclismo sarebbe stato una scuola così grande quando ho iniziato. Oggi non è più uno sport di nicchia come quando ho iniziato. E’ super bello da testimoniare».

Quando il loro turno finisce, entrambi se ne vanno dalla stanza al primo piano del gigantesco Suitopia Sol y Mar di Calpe che da qualche anno ospita la squadra belga. Mark si ferma a parlare con Morkov, Fabio va a prendere un bicchiere d’acqua dopo aver parlato ininterrottamente per quasi 40 minuti. Il Tour li unisce e li divide. Uno è convinto di andarci, ma sa di doverselo meritare. L’altro non è per niente convinto di restarne fuori e sarà un diavolo su ogni traguardo. La loro sfida parallela meriterà di certo altri racconti.