Il capo ha la pelle abbronzata e la camicia bianca. Ha appena compiuto 66 anni, ma conserva la verve di quando correva e di ogni battaglia delle ultime 30 stagioni. Tanti sono gli anni della squadra di Patrick Lefevere, come si legge anche sulle tazzine personalizzate in cui i corridori stamattina hanno bevuto il caffè al Bar Velo, roulotte della Quick Step-Alpha Vinyl posizionata lungo la strada a uso dei fotografi e per finalità di marketing.
Nell’accogliere la stampa al raduno di Calpe, Patrick (in apertura nella foto di Sigrid Eggers) ha tracciato un rapido bilancio 2021 del team e poi, con un ruggito d’orgoglio, ha sottolineato che qualcuno se ne è andato, ma la struttura resta forte e non ci sono traguardi preclusi. E’ bastato guardarsi intorno e vedere nelle immediate vicinanze Alaphilippe, Evenepoel, Jakobsen, Cavendish, Morkov, Asgreen, Bagioli, Ballerini e Cattaneo per avere la sensazione del piatto ricco.
«Sono ottimista – conferma dopo averci raggiunto su un divanetto tondeggiante – abbiamo perso dei buoni corridori, ma abbiamo tirato a bordo dei giovani molto interessanti. Chi mi conosce sa che l’ho sempre fatto, da Pozzato e Cancellara alla Mapei, passando per Mas, Alaphilippe e Cavagna e anche quello là…».
Al Tour chi meriterà
Il gesto di sollevare il mento, orienta il nostro sguardo verso Remco Evenepoel, che sta seduto davanti alla telecamere di Sporza e si racconta come il reuccio nel giardino di corte. I temi sono tanti, Patrick ha voglia di parlare e il discorso parte da Cavendish, che mezz’ora fa si è trincerato dietro una sorta di mutismo selettivo per non dire quel che probabilmente pensa. Un ciclista professionista fa così, ha ripetuto più volte. E adesso le parole del manager del belga diventeranno benzina.
«La storia di Mark e la mia – dice Lefevere – è ben conosciuta. Andò via per un fatto di soldi, io non potevo tenerlo e lui giustamente accettò la proposta. Quello che mi disse quando venne a parlarmi alla fine del 2020 mi ha spezzato il cuore, così ho deciso di correre il rischio. Non sapevo come sarebbe stato riaccolto, ma la squadra lo ha assecondato, lui ha lavorato sodo e i risultati si sono visti. Non era nei piani che andasse al Tour, ma è stato bravo a sfruttare l’occasione. Per cui anche adesso è presto per dire cosa succederà a luglio, ma non mi va che tutti questi discorsi vengano strumentalizzati. Al Tour andrà chi meriterà di andarci».
Durante l’uscita del mattino, sosta al Bar Velo della Quick Step (foto Wout Beel) Trenta, come gli anni di vita della squadra di Patrick Lefevere (foto Wout Beel)
La grinta del pitbull
Quando però si parla di Jakobsen e di tutto il baccano che si fece dopo la caduta al Polonia, il capo prova a fare una marcia indietro rispetto alle dichiarazioni che gli furono attribuite e che a suo dire venero mal tradotte.
«In alcuni casi le traduzioni non sono state oneste – dice – per cui è uscito che secondo me Groenewegen abbia voluto uccidere Fabio. Io non l’ho mai detto, posso aver detto che con certe condotte si rischia di uccidere qualcuno. Ma prima di scrivere una cosa del genere, non vuoi almeno chiamarmi? Mi hanno attaccato quasi fossi un criminale. E’ venuto fuori un profilo Facebook a mio nome, ma io non ho un profilo Facebook. Ho provato a farlo chiudere, ma sembra sia impossibile. Capisco che ci sia tanta pressione. I giornali non vendono più come prima, ormai si gioca tutto su titoloni e foto. Ma io sono un pitbull, se tocchi i miei corridori, io ti assalto. Sono corretto se lo sei nei miei confronti».
Porte aperte
Con lo stesso carisma si è imposto sui dottori del team, pretendendo di aprire il ritiro alla stampa. Per farci entrare hanno richiesto due tamponi, ma per gli sponsor e per il pubblico (ovviamente soprattutto quello belga per cui il ciclismo è una religione) c’era bisogno che il team ci mettesse la faccia. E lo hanno fatto.
«La squadra non è più debole – dice – ma non è il tempo di fare esperimenti. Julian (Alaphilippe, ndr) metterà da parte l’idea del Fiandre. Ha provato, è caduto due volte e si è convinto di tornare al programma di prima. Tre anni fa ci potevamo permettere di giocare, ma ora ci sono Pogacar, Roglic e gli altri e bisogna concentrarsi bene sugli obiettivi. Lui c’è sempre e quando attacca la corsa prende la svolta decisiva. Adesso bisogna che troviamo il modo di vincere noi certe corse».
Il valore di Remco
Nel frattempo Remco si è alzato. I due si sono scambiati uno sguardo d’intesa. Le interviste si succedono, la pedalata del mattino è stata volutamente blanda.
«Nel 2021 – dice indicandolo – ha imparato tanto. Ha avuto finalmente un buon inverno, anche se hanno cancellato l’Argentina. Il rientro al Giro non è andato bene, ma parlarne dopo o dal divano è troppo facile. Davanti alla tivù, vincerei tutte le corse. Una volta presa la decisione, abbiamo fatto il nostro meglio. E tutto sommato, ha avuto un giorno storto a Montalcino e nonostante dicessero che non sia capace di guidare, lui è passato illeso nel punto in cui sono caduti Nibali e Ciccone, ma qualcuno lo ha tirato giù colpendolo da dietro. Per Remco sarà un anno importante. Può vincere classiche e corse a tappe, il punto con lui però sono quelle di tre settimane. La Vuelta servirà per capirlo. Per cui faremo prima una stagione normale, con la Tirreno e le Ardenne. Ci sarà uno stop dopo il Romandia, quindi Delfinato o Svizzera e poi altura durante il Tour. E quel punto Vuelta e finale di stagione. Se tutto andrà liscio, alla fine di un anno come questo, potremo capire che corridore sia Remco Evenepoel».