Tenersi dei margini per quando si è pro’. Ne parliamo con Basso

08.07.2022
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«Non andiamo in altura per tenerci una “cartuccia” in più per quando passeremo pro’. Ne ho parlato anche con Basso». Così aveva detto Davide Piganzoli (in apertura foto Istagram – Adn Photo), della  Fundacion Contador, team giovanile della Eolo-Kometa. Lasciarsi la “cartuccia” dell’altura, come la chiama lui, garantirebbe un margine di miglioramento in ottica futura.

Margini che sono sempre più ridotti. Tante volte parliamo di ragazzi che passano e sono già al limite. Piganzoli ci aveva detto che avevano parlato in squadra di questa scelta di non andare in quota.

Parador de las Canadas del Teide: uno dei luoghi simbolo dell’altura per pro’ e anche molti under 23
Parador de las Canadas del Teide: uno dei luoghi simbolo dell’altura per pro’ e anche molti under 23

Margini e tutela

Il manager varesino segue da vicino l’atleta valtellinese. Crede moltissimo in lui. E di certo il discorso di Piganzoli non è affatto banale.

«Oggi – dice Ivan Basso – soprattutto in Italia abbiamo il problema dei giovani: sono pochi, passano presto, passano al limite… In questo campo della preparazione c’è una narrativa enorme. Ci sono tante persone che dispensano consigli di tutte le salse. Credo che ogni opinione vada ascoltata ed elaborata, ma chi ha una squadra ha delle responsabilità, deve prendere delle decisioni. Gli altri no».

«Non abbiamo abbastanza certezze che questa esasperazione in età precoce sia un valore. Non abbiamo certezze che porti a risultati anche a lungo termine, che sia funzionale alla crescita. Sappiamo però che la crescita graduale funziona.

«Penso al progetto giovani della Liquigas. Io ero in quella squadra e ho visto i Nibali e i Viviani arrivare da ragazzini e diventare campioni che dopo 12-15 anni di professionismo, vincenti, sono ancora in gruppo. Ed è lì che voglio arrivare con i miei ragazzi. Gli under 23 devono avere i requisiti e i margini per passare: questo conta per me. Ed è quando sono passati che devono vincere».

Alla Liquigas Basso ha visto passare molti giovani, tra cui Nibali (alla sua ruota). E ha fatto tesoro di quanto osservato da vicino
Alla Liquigas Basso ha visto passare molti giovani, tra cui Nibali (alla sua ruota). E ha fatto tesoro di quanto osservato da vicino

Gli esempi del passato

Il discorso di Basso su base teorica è certamente corretto. E soprattutto è coerente con quanto sta facendo. Però la realtà dice che sin da U23 il livello è molto alto e alcuni di questi ragazzi potrebbero magari pagarne le spese. Tradotto: non faccio di tutto e di più, non vinco, non passo.

«Che sia giusto o sbagliato non lo so – riprende Basso – Io, come detto, faccio le scelte per la mia squadra. E so che che questo modello ha funzionato in Liquigas per Nibali, Viviani, ma anche per Pozzato anni prima col progetto Mapei Giovani».

«Il miglior Piganzoli, tanto per restare sull’esempio, lo vedremo più avanti. Posso garantire che questo ragazzo ha dei margini molto alti. Può essere molto più forte di così. Ma per questo devo ringraziare i suoi team giovanili che non lo hanno spremuto, la sua famiglia. Davide non ha un padre che vuole realizzare i propri sogni sulle spalle del figlio. E’ un insieme di cose che per esempio riscontro anche in Montoli».

«Ripeto, preferisco insistere su questo modello di crescita collaudato, tanto più che è gestito da Zanatta. Stefano ebbe il primo Nibali già alla Fassa Bortolo, poi se lo ritrovò anche alla Liquigas. Ha avuto Sagan, Formolopotrei andare avanti fino a stasera».

Davide Piganzoli in azione al tricolore crono U23, da lui vinto qualche settimana fa
Davide Piganzoli in azione al tricolore crono U23, da lui vinto qualche settimana fa

Strada spianata?

Quando a Basso facciamo notare però che i suoi ragazzi U23 tutto sommato sono già in una posizione di “agio” e di tranquillità, visto che hanno meno bisogno di dimostrare qualcosa a suon di risultati in quanto c’è pronta la squadra la professional che li aspetta, Ivan ribatte con certezza.

«Vado controcorrente. In Italia ci sono dei team dilettantistici che lavorano bene. Penso alla Zalf o alla Colpack-Ballan. Penso alla squadra di Milesi. Marco è un diesse eccezionale. Parlo con loro, esploro i loro vivai».

 

«La vostra osservazione è giusta: qui i ragazzi hanno la professional “pronta”. Ma posso dire che ci sono stati degli under 23, e persino degli juniores, che hanno rifiutato la nostra offerta e il nostro modo di lavorare. Per me decisioni folli».

«Altura o altri margini, come un’alimentazione super controllata, possono incidere sul rendimento: è vero. Ma siamo sicuri che un ragazzo di quella età possa sopportare certi sacrifici? Perché poi cambia tutto in poco tempo. A 20 anni non hai la testa che hai a 23. A 23 anni non hai quella che hai a 28. E a 28 anni non hai la testa che hai a 32. Tutto ha un suo tempo».

«Io non sono contrario all’altura. Io sono contrario all’esasperazione. Se poi il confronto con gli stranieri è spietato, se per stare davanti è necessario fare tutto ciò allora io guardo altre cose. A me che Piganzoli vince dieci corse da under 23 non me ne importa molto. Mi importa che quando passa ne vince 2-3.

«E quindi cosa guardo? Guardo che Piganzoli ha fatto tanti piazzamenti, osservo i suoi test, vedo che va forte quando la strada sale e a crono. Guardo che ha la capacità di esprimere gli stessi watt in salita e a crono. Ditemi chi altro c’è che ha tutte queste qualità? Eppure Piganzoli ha vinto poco».

Ivan Basso (classe 1977) sul bus dei pro’ (foto Borserini)
Ivan Basso (classe 1977) sul bus dei pro’ (foto Borserini)

E sui procuratori…

Infine, una battuta sui procuratori, che molto spesso incidono sul futuro dei ragazzi.

«In cinque anni di gestione del team – conclude Basso – io non ho mai avuto un problema con i procuratori. Anzi, con alcuni ho anche trovato l’accordo per farli restare un altro anno là dove erano. Quando trattiamo un giovane e parliamo del suo futuro io mi siedo al tavolo con l’atleta, con il suo procuratore e a volte anche con i suoi genitori e ne discutiamo. Deve esserci un rapporto leale e onesto fra le parti. Nessuno mi ha mai preso per la camicia».

«E poi il fatto è semplice. Di fronte ho un ragazzo di 20 anni al cui fianco c’è un procuratore che gestisce molti altri campioni affermati. Di certo non è su questo ragazzo che guadagnerà bene. 

«Voglio dire che se un ragazzo non passa, o non viene preso in considerazione non è sempre colpa degli altri. Proprio perché parliamo tutti quanti onestamente, mi è capitato che un giovane che doveva passare pro’, non era pronto ed è restato tra gli U23 un altro anno, con l’accordo di tutti».

Richiamare la forza d’estate (e in altura). Sentiamo Cucinotta

02.07.2022
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In questo momento della stagione alcuni atleti, la maggior parte a dire il vero, sono alle prese con lo stacco estivo. Chi non è al Tour de France è in altura o sta già riprendendo a pedalare in vista della seconda parte di stagione. C’è da ricostruire parecchio. A partire dalla forza, come ci spiega Claudio Cucinotta.

Cucinotta è uno dei coach dell’Astana Qazaqstan e con lui parliamo in modo specifico proprio di questa importante componente. Come ci si lavora in questa fase? E come in altura?

Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana

Forza, altura e intensità

E la risposta non può che essere complessa. «Come si lavora per la forza in questo periodo? Dipende – dice Cucinotta – dipende da com’è la condizione dell’atleta, da che gare ha fatto sino a questo momento, da quanto tempo ha staccato, da quanto ha ripreso.

«Un conto è chi si presenta in altura già con un mese di preparazione, un conto è chi ricomincia in quel momento. E dipende soprattutto dalle caratteristiche dell’atleta, molto varia infatti se si tratta di uno scalatore o di un velocista».

«Per la forza in altura si lavora un po’ come a casa, ma tenendo conto dell’intensità, che è più bassa rispetto al livello del mare. E poi bisogna vedere anche che tipo di altura si fa: si dorme e ci si allena in quota (come chi va a Livigno, ndr)? O si dorme in quota e ci si allena in basso (come chi va sull’Etna, ndr)?

«Per chi si allena in alto l’intensità è più bassa di un 5% o poco più. E questo vale sia per la forza in bici, come le SFR, in parte per gli sprint… Sia per la forza in palestra. Mentre per chi si allena in basso non cambia nulla».

Soprattutto fino a pochi anni fa, gli scalatori (qui John Gadret) escludevano la parte di forza a secco e puntavano tutto sul peso minimo
Fino a pochi anni fa, gli scalatori (qui Gadret) escludevano la forza a secco e puntavano tutto sul peso minimo

Intensità minore

Gli esercizi di forza, sia in bici che “a secco” sono molto simili. Tuttavia qualche differenza c’è.

«Abbiamo detto – spiega Cucinotta – che varia l’intensità. Pensando alle SFR appunto, si lavora con un po’ meno di potenza. Ma se si fanno esercizi di forza massima, come sprint o partenze da fermo, l’intensità è la stessa. Questo perché nel primo caso si va a coinvolgere il sistema aerobico e nel secondo no, o in minima parte, e il discorso dell’altura viene meno».

«C’è poi da valutare la componente del tempo a disposizione. Perché in teoria serve una fase di adattamento. Ma questo adattamento corrisponde quasi al periodo dell’intero ritiro, quindi tante volte si tratta di fare più un lavoro di “reclutamento” delle fibre muscolari, che della forza vera e propria».

Per la forza in altura bisogna abbassare i parametri d’intensità di circa il 5% rispetto ai propri valori
Per la forza in altura bisogna abbassare i parametri d’intensità di circa il 5% rispetto ai propri valori

Esercizi specifici

«Rispetto alla forza fatta a novembre-dicembre – spiega Cucinotta – quella dell’estate è più specifica. Magari i velocisti o i biker, che fanno dei richiami tutto l’anno anche in palestra, possono riprenderla in modo più generale, e hanno una fase di adattamento molto ridotta, ma tutti gli altri lavorano principalmente sulle gambe».

A conti fatti dunque se un corridore, tipo un passista veloce o uno scalatore potente, d’inverno fa 3 serie di squat da 10 ripetizioni ciascuna con 100 chili (numeri a caso, ndr), in questo periodo farà sempre tre serie ma con 70 chili. «Magari però facendo qualche ripetuta in più», precisa Cucinotta.

I velocisti curano la forza tutto l’anno. Fanno dei richiami anche per la parte superiore del corpo
I velocisti curano la forza tutto l’anno. Fanno dei richiami anche per la parte superiore del corpo

Forza tutto l’anno

«La tendenza – riprende Cucinotta – è quella di fare dei richiami durante tutto l’arco della stagione. E se questo prima era prerogativa dei velocisti, adesso vale sempre di più anche per gli scalatori. Per i velocisti i richiami sono importanti. Loro hanno esigenze di forza dalle quali non possono prescindere.

«Però può succedere che facciano un grande Giro, seguito da una settimana di riposo, ed ecco che per un mese non hanno fatto richiami neanche loro».

Il core stability diventa ancora più importante in questo caso.

«Questo tipo di esercizi ormai sono assodati e sono mantenuti da tutti per tre, anche quattro, volte a settimana. Vengono fatti al pari dello stretching o dei massaggi. Il corridore è più forte nel suo insieme: a livello di schiena, di addominali, di postura.

«Il lavoro specifico invece, come accennato, riguarda soprattutto le gambe. La parte degli arti superiori, velocisti a parte, serve a poco. Alcuni atleti poi sono molto propensi all’ipertrofia: con poca palestra mettono massa. Ma questa non serve, specie sulle braccia e in questo momento. Bisogna evitare di mettere un chilo in più sulle braccia o la parte alta del corpo. E’ un chilo in più che non dà propulsione».

Il biker Mattia Longa in palestra presso il centro sportivo Aquagranda di Livigno ad oltre 1.800 metri di quota
Il biker Mattia Longa in palestra presso il centro sportivo Aquagranda di Livigno ad oltre 1.800 metri di quota

Pochi esercizi

E allora quali sono gli esercizi per la forza in questo periodo? Se la differenza con l’altura sta soprattutto in quella percentuale di intensità, per il resto di cosa parliamo di concreto?

«Si fanno principalmente tre esercizi: squat, affondi e split squat jump, cioè degli affondi più dinamici con un saltello nel cambio gamba in fase di atterraggio». 

«La leg press, meglio della leg extension, che è un esercizio più generalista. La leg press ripara da eventuali infortuni. In questo momento infatti un corridore benché con la forza in calo è molto forte, pertanto è in grado di sollevare con le gambe 100 chili, per dire, ma la sua schiena magari no. Ebbene, con la leg press si evitano questi rischi».

E a proposito di forza. Sapete quanta se ne ha in meno in questa fase? Mediamente il 5%. «Ma se non si sono mai fatti dei richiami, c’è chi è arrivato a perdere anche il 10%. Ed è un bel problema recuperarla.

«In tutto, questo lavoro di richiamo della forza dura un paio di settimane (o poco più, ndr). Si fa 2-3 volte a settimana, più gli esercizi in bici. Tutto insieme è un bel blocco di lavoro».

Tra Giro U23 e Valle d’Aosta: Piganzoli si gestisce così…

28.06.2022
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Tra il Giro d’Italia U23 e il Giro della Valle d’Aosta passano 25 giorni. Un lasso di tempo non facile da gestire. Troppo breve per staccare del tutto, troppo lungo per insistere a spingere. Uno dei ragazzi di maggior spicco che prendono parte ad entrambe le corse è Davide Piganzoli.

Il corridore della Fundacion Contador, la formazione U23 della Eolo-Kometa, è stato il miglior italiano nella corsa rosa dei giovani: decimo. Qualche giorno dopo si è anche andato a prendere il titolo nazionale a cronometro, sempre tra gli under 23 chiaramente.

Vediamo come gestirà questo intervallo fra le due corse a tappe. Tappe che, ricordiamolo, sono state sette al Giro (con un giorno di riposo) e saranno cinque al Valle d’Aosta.

Piganzoli è uscito benissimo dal Giro d’Italia U23, tanto da vincere il tricolore contro il tempo
Piganzoli è uscito benissimo dal Giro d’Italia U23, tanto da vincere il tricolore contro il tempo
Davide, Giro e Valle d’Aosta: erano già programmate ad inizio stagione?

Sì, lo avevamo deciso questo inverno. Ci eravamo detti che avremmo valutato il Valle d’Aosta in base a come fossi uscito dal Giro. Ne sono uscito bene e quindi ci andrò. Altrimenti avrei fatto una pausa più lunga. L’italiano a crono invece lo avrei fatto in ogni caso. Poi mi sarei fermato. Invece per come sto, posso lavorare.

Partiamo da qui. Come hai gestito i giorni che dal Giro ti hanno portato all’italiano?

Con molto relax. In tutto, considerando anche il campionato italiano su strada, ho fatto tre giorni di riposo totale e tre di scarico. Il giorno dopo il Giro sono uscito un’ora e mezza con la bici da crono. Poi riposo assoluto e ancora un’ora con la stessa bici prima del tricolore. La crono. Riposo. E una sgambata alla vigilia della prova su strada.

E come procede?

Per questa settimana si va avanti così: tre giorni di riposo assoluto e tre di scarico, molto blandi. Poi si riprenderà a fare qualcosa di più.

Cosa?

Sostanzialmente per una decina di giorni si faranno alcuni allenamenti più intensi. Non troppi chilometri, perché ormai il fondo lo abbiamo, tanto più che abbiamo fatto il Giro. Puntiamo soprattutto sulla qualità.

Di che tipo di allenamenti parli?

Allenamenti di due, tre ore al massimo. Con esercizi intermittenti fino al fuorisoglia. Penso ai 20”-40” o ai 30”-30”, alle progressioni dietro moto, utili anche per velocizzare i lavori. Magari faccio due serie di 20”-40” con nel mezzo una salita al medio e poi proseguo con il dietro moto. In questi allenamenti mi aiuta il mio ex allenatore di quando ero più piccolo, Maurizio Damiani, anche lui è di Morbegno. 

Ti allenerai da solo o con la squadra?

Qui dalle mie parti non ci sono molti ragazzi con cui allenarsi. E poi preferisco farli da solo certi lavori. Bisogna essere precisi.

E non sono previste gare nel mezzo fra Giro e Valle d’Aosta?

No, nessuna gara. Era previsto così.

E’ una programmazione molto da pro’… L’avete tirata giù solo col team U23 o anche con Ivan Basso?

Anche con Ivan e tutti gli altri. Diciamo che io e Tercero, che abbiamo dimostrato di andare un po’ meglio nelle corse a tappe, avevamo il Giro under 23 e il Valle d’Aosta nel programma e altre corse a tappe. Abbiamo corso meno sin qui. Abbiamo evitato le gare più veloci e in circuito, che ad uno scalatore non portano praticamente nulla, e abbiamo preferito le internazionali: Piva, Recioto, Belvedere… Insomma, abbiamo ragionato per blocchi.

Piganzoli e Tercero (seduto), sono i leader della Fundacion Contador per le corse a tappe
Piganzoli e Tercero (seduto), sono i leader della Fundacion Contador per le corse a tappe
Blocchi?

Sì, periodi di una o due settimane culminati con gare o recupero.

E in questi blocchi è prevista anche l’altura, magari prima del Valle d’Aosta?

No, primo perché non ci sarebbe tempo. E poi perché, come ho accennato l’altra volta, con la squadra abbiamo deciso di tenerci questa “cartuccia” di miglioramento per quando saremo pro’.

In questo intermezzo è importante controllare anche il peso, come fai con tanto scarico e pochi chilometri?

Infatti è un po’ complicato. Però devo ammettere che avendo fatto dei sacrifici prima del Giro, un piccolo premio me lo sono concesso e una pizza l’ho mangiata. Ti fa stare contento. Per il resto cerco di uscire tardi la mattina. Me la prendo molto comoda. Magari parto in allenamento alle 11, torno per le 13-13,30. Sempre lentamente faccio la doccia e tutto il resto e cerco di mangiare il più tardi possibile, magari vero le 14:,0 così da ridurre la distanza con la cena.

E cosa mangi?

Normale. Ho ridotto un po’ i carboidrati, aumentato la verdura e la frutta. Ecco, di frutta ne mangio parecchia.

Scalatori puri in via di estinzione? Un fatto di preparazione

26.06.2022
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Come si fa sempre più dura i velocisti puri, anche per gli scalatori altrettanto puri non corrono tempi facilissimi. Da quel che ci disse Locatelli, circa lo sviluppo dei ragazzi qualche tempo fa, e da quello che ci hanno detto i direttori sportivi al Giro d’Italia U23, nell’inchiesta uscita ieri, di certo qualcosa si muove (in apertura Van Eetvelt, foto Isola Press).

Come nostra abitudine, abbiamo coinvolto due preparatori di estrazione diversa, sia per le epoche in cui hanno corso, sia per le caratteristiche fisiche che avevano. Stiamo parlando di Michele Bartoli e Alessandro Malaguti.

Michele Bartoli
Michele Bartoli (classe 1970) ha smesso di correre nel 2004, oggi è un preparatore
Michele Bartoli
Michele Bartoli (classe 1970) ha smesso di correre nel 2004, oggi è un preparatore

Bartoli sale in cattedra

«A mio avviso – dice Bartoli – la figura dello scalatore non sta sparendo, ma sta cambiando. Si sta evolvendo perché stanno cambiando le preparazioni. Oggi si hanno molte più informazioni, queste sono alla portata di tutti e tutti migliorano le performance. Vai a colmare i tuoi buchi, le tue lacune.

«Mi spiego. Ai miei tempi, il passista faceva il passista, il velocista faceva il velocista, anche in allenamento. Entrambi non dico che se ne fregavano della salita, ma quasi. Invece oggi tutti, dai velocisti agli scalatori, limano il peso, curano ogni zona del copro al 100%, fanno core stability e di conseguenze le prestazioni si appiattiscono, ma si appiattiscono in alto.

«Pantani, che è il simbolo dello scalatore, non credo si sia mai davvero allenato a crono. Oggi lo scalatore che punta alla classifica prende due volte a settimana la bici da crono e questo gli consente di andare forte anche su altri terreni. Anche il velocista cura la crono, specie se c’è un prologo in vista e a seguire tappe piatte dove vincendo può prendere la maglia di leader».

In pianura velocità sempre più alte: lo scalatore puro e leggero fa più fatica (foto Isola Press)
In pianura velocità sempre più alte: lo scalatore puro e leggero fa più fatica (foto Isola Press)

Passisti-scalatori avvantaggiati

Carlo Franceschi, il manager della Mastromarco Sensi Nibali, ci aveva detto che dovendo inseguire le vittorie, il ragazzino scalatore rischia di restare nascosto. E serve un buono scouting per non perderlo. E allora ci si chiede: alla lunga anche lo scalatore giovane sta cambiando?

«Per me – riprende Bartoli – cambia perché è una necessità generale. Ma ritorno al discorso di prima. Tu oggi sai che certi esercizi ti fanno andare forte, a prescindere da che tipo di corridore sei. Il core stabity per esempio ha inciso molto. Ai miei tempi io ogni tanto negli allenamenti invernali inserivo un po’ di leg press, ma tutto il resto… zero.

«Ne guadagna il passista scalatore? Sì, questa teoria ci può stare. Magari un Van Aert venti anni fa non ci sarebbe stato. Lo avrebbero fatto correre “solo” per il Fiandre e qualche corsa veloce e invece te lo ritrovi a crono, in volata, nelle classiche e sul Ventoux. Ha lavorato sulla percentuale di grasso corporeo, sulla resistenza aerobica ed ecco che ti può vincere anche una Tirreno».

«Questa cosa, forse perché l’avevo intuita già all’epoca, la dicevo a Petacchi, compagno di tanti allenamenti. Gli dicevo di non mollare dopo la Sanremo, di non curare solo le volate che con quel fisico, e qualche lavoro diverso, avrebbe potuto vincere un Fiandre».

Alessandro Malaguti (al centro) con i ragazzi della #inEmiliaRomagna: segue loro e alcuni professionisti
Alessandro Malaguti (al centro) con i ragazzi della #inEmiliaRomagna: segue loro e alcuni professionisti

Ecco Malaguti

Da Bartoli passiamo ad Alessandro Malaguti. La cosa sorprendente è che sostanzialmente il discorso non cambia: contano le nuove preparazioni.

«Se nel ciclismo moderno resiste ancora la figura dello scalatore puro? Rispondo “ni”, ma più no che sì. Semmai – dice il preparatore romagnolo – è cambiata la tipologia delle gare. Sono aumentate le velocità e il classico scalatore colombiano fa più fatica. Anche perché molto spesso oggi non sanno guidare bene la bici (prendono aria, non limano, ndr) e in questo modo faticano di più in pianura e arrivano più stanchi ai piedi della salita».

E quest’ultimo aspetto tutto sommato ce lo ha confermato anche ieri il piccolo Juan Carlos Lopez.

«Il secondo punto principale riguarda le tecniche di allenamento. Tutti si allenamento al massimo e tutti prima di essere ciclisti sono atleti. Queste sono anche le direttive della Fci. E alla fine vediamo che nel tappone del Fedaia arrivano ai 10 chilometri dall’arrivo in 50-60 corridori tutti insieme».

Evenepoel è piccolo di statura (170 centimetri) eppure spinge fortissimo anche sul passo
Evenepoel è piccolo di statura (170 centimetri) eppure spinge fortissimo anche sul passo

La statura non conta

Anche a Malaguti poniamo il discorso sui giovani, ai quali è richiesta una maturazione sempre più precoce. E lo scalatore che di base dovrebbe essere il più piccolo e meno sviluppato resta nell’ombra.

«Che il piccolo resti dietro perché è meno sviluppato ci può stare – dice Malaguti – ma non perché sia scalatore o meno. Semplicemente perché è indietro. Da un punto di vista meramente tecnico deve continuare a lavorare su tutti i fronti. In particolare mi riferisco al rapporto potenza/peso, che è quello che più di tutti conta.

«E in tal senso dico: non facciamoci ingannare dalla statura. Guardiamo Evenepoel. E’ piuttosto basso e l’altro giorno ha vinto il campionato nazionale a crono stracciando i suoi avversari. E lo stesso vale per il giovane Martinez».

Tiberi: un giovane alle prese con il suo primo grande Giro

13.06.2022
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Dopo aver messo nel sacco la prima vittoria da professionista, Antonio Tiberi guarda avanti. Non si ferma e sul suo orizzonte si profila la Vuelta Espana, un’altra grande prima per il laziale della Trek-Segafredo.

L’iridato juniores a crono 2019 ha appena finito il Delfinato. Corsa che a quanto pare ha aggiunto un altro tassello alla sua carriera. E che in qualche modo fa parte del lungo cammino che lo porterà alla Vuelta. 

Ecco, vogliamo sapere in che modo sta andando incontro al primo grande Giro. 

Quest’anno la Trek-Segafredo ha deciso di alzare il livello delle corse a cui ha preso parte Antonio. Eccolo al Delfinato
Quest’anno la Trek-Segafredo ha deciso di alzare il livello delle corse a cui ha preso parte Antonio. Eccolo al Delfinato
E per questo, Antonio, partiamo proprio dal Delfinato: come è andata?

Un po’ stanco! Ma tutto sommato non male per il livello che c’era. Credo che proprio per la qualità media dei partecipanti sia stata la corsa più impegnativa che ho fatto, ma lo Svizzera e il Romandia dell’anno scorso sono stati più duri. Forse anche perché avevo una condizione più bassa.

Antonio, fra un paio di mesi inizia la Vuelta. Come l’approccerai? Stai cambiando qualcosa nella preparazione?

Direi che è cambiato molto quest’anno, a partire dalle ore di allenamento che sono aumentate e anche dalle gare di avvicinamento. Rispetto all’anno scorso ho fatto corse di livello maggiore e questo per avvicinarmi al meglio alla Vuelta. Per adesso non so se la farò tutta o solo metà. Questo credo che lo vedremo in corsa direttamente.

Ti spaventa l’idea di farla tutta?

No, no… io sono contento. Anche perché il mio obiettivo di corridore è quello di fare bene nelle grandi corse a tappe. Quindi sarà un modo anche per testarmi in ottica futura.

Hai parlato di ore: puoi quantificare questo aumento?

Diciamo che le doppiette, i giorni di carico per intenderci, sono diventate triplette. Prima magari facevo nell’ordine 3-4 o 4-5 ore, adesso ne faccio 5-4-5, con un giorno di scarico nel mezzo.

Rispetto allo scorso anno sono cresciute le ore di allenamento per Tiberi
Rispetto allo scorso anno sono cresciute le ore di allenamento per Tiberi
E i famosi “fuorigiri”?

Anche quell’aspetto è cambiato. Faccio più lavori di qualità: dietro moto con volate uscendo di scia, i 40”-20”.

Percepisci questo cambiamento? Se avessi dovuto fare la Vuelta l’anno scorso pensi che saresti stato pronto?

Visto il livello delle gare che sto facendo quest’anno, posso dire che non sarei stato pronto. Magari un grande Giro lo avrei fatto e, chissà, anche finito, solo che poi avrei impiegato dieci mesi per recuperarlo. Io non so se questo approccio sia meglio o no, ma posso dire che quello graduale che stiamo facendo alla Trek-Segafredo con Josu Larrazabal per me è il modo migliore. 

Il Tiberi 2022 vede la differenza rispetto al Tiberi 2021 quindi?

La differenza non solo la vedo, ma la sento. La sento in gara soprattutto. Lo scorso anno c’erano delle corse in cui mi sentivo benino, ma erano di livello più basso e poi un’altra cosa che ho notato è la costanza. L’anno scorso non avevo un rendimento costante, quest’anno c’è tutt’altro feeling. Poi la giornata no ci può stare, come mi è successo anche al Delfinato, ma di base sono molto più regolare.

Riguardo ai lavori da fare in bici, pensi che in questi mesi che ti separano dalla Vuelta farai qualcosa di diverso?

Io non ho mai fatto un grande Giro e poi non è che debba puntare ad entrare nei primi cinque della generale, non ci sarà da fare chissà quale lavoro stratosferico nel complesso. So che mi aspetta un periodo nel quale cercherò di stare particolarmente attento al recupero e all’alimentazione. E mi piace tutto questo, sono curioso: vedrò come funziona un grande Giro.

Tiberi ha concluso la crono del Delfinato (31 chilometri) al 16° posto a 1’50” da Ganna. Una buona prova per lui
Tiberi ha concluso la crono del Delfinato (31 chilometri) al 16° posto a 1’50” da Ganna. Una buona prova per lui
Hai parlato di alimentazione: cambierai qualcosa?

Cambiare no, però cercherò di stare più attento a ridosso del grande obiettivo. Non sono uno che conta i grammi, però cercherò di scegliere cibi sani, guardando alla qualità degli stessi. Insomma niente schifezze. E poi a ridosso della Vuelta mi confronterò con la nutrizionista della squadra. Ma non adesso.

Invece qual è il tuo programma? Farai l’altura immaginiamo…

Intanto penso ai campionati italiani. Io farò sia la crono che la prova in linea.

Ti sei allenato parecchio a crono?

Abbastanza. C’era da preparare anche quella del Delfinato, che tra l’altro era molto simile per percorso e distanza a quella tricolore.

Ti abbiamo interrotto: continua con il programma…

Dopo l’italiano, osserverò 4-5 giorni di recupero. Sarà un recupero totale, senza bici. Semmai la prenderò un giorno… se ne avrò voglia. Non a caso sto cercando di organizzarmi con i miei genitori per restare in Puglia per qualche giorno di vacanza subito dopo il tricolore. Poi tornerò a casa e riprenderò ad allenarmi. Farò l’altura, ma non so ancora dove. E prima della Vuelta farò anche una corsa a tappe: credo il Giro di Polonia (30 luglio-5 agosto, ndr).

A tutta verso il cambiamento. I progetti della nuova Arzuffi

03.05.2022
5 min
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Non solo ruote veloci per la Valcar Travel & Service, di patron Valentino Villa. Storicamente le ragazze blu-fucsia le vediamo sfrecciare sugli arrivi di gruppo e molto spesso alzano le braccia al cielo. Tuttavia tra di loro c’è anche chi è un pelo meno veloce e molto più scalatrice: è Alice Maria Arzuffi.

La lombarda sta vivendo una stagione all’insegna del cambiamento. Lei, grande ciclocrossista, forse la più pura tra le italiane, sta guardando sempre più alla strada e in qualche modo al prossimo Giro d’Italia, in cui sarà la donna di classifica della sua squadra.

Alice Maria Arzuffi (classe 1994) è una delle atlete di spicco e più mature della Valcar Travel&Service
Alice Maria Arzuffi (classe 1994) è una delle atlete di spicco e più mature della Valcar Travel&Service
Alice, partiamo dai prossimi impegni…

Da sabato andrò in Spagna per tutte le corse iberiche di questo periodo. Dovrei saltarne una, poi testa bassa sull’estate.

Dicevamo: una stagione di cambiamento, di evoluzione, se vogliamo. E’ così?

E’ corretto, sì. Dopo tanti anni nel cross, fatto come l’ho fatto io, volevo puntare più sulla strada. E infatti il mio programma è iniziato prima del solito. Ho già una buona forma ma voglio migliorarla ancora. Voglio migliorarla proprio in Spagna, per arrivare al massimo nel periodo che interessa a me: l’estate, luglio, con il Giro e il Tour. E poi a fine stagione dovrò prendere una decisione.

Una decisione: se fare ancora il cross?

Esatto. A fine stagione si valuterà in modo definitivo. Magari qualche gara di ciclocross la farò lo stesso, ma non più nello stesso modo o con lo stesso impegno costante nell’arco dell’inverno.

A fine stagione la Arzuffi prenderà una decisone sulla sua attività nel cross, che l’ha vista protagonista negli ultimi anni
A fine stagione la Arzuffi prenderà una decisone sulla sua attività nel cross, che l’ha vista protagonista negli ultimi anni
Perché, Alice, questo desiderio di cambiare o almeno di provare a cambiare?

Ho fatto il ciclocross al top per molti anni. Sono arrivata ad essere la prima a livello nazionale e nel 2018 tra le migliori a livello mondiale, ma oltre non si va e le motivazioni non sono le stesse. All’inizio quando andavo in Belgio (la Arzuffi ha corso il cx con una squadra belga, la 777, ndr) c’era entusiasmo. I primi due anni tutto okay, tutto bello, alla fine era ciò che volevo, ciò che sognavo, ma nelle ultime due stagioni è stata molto dura.

Come mai?

Ero totalmente da sola, vivevo in una casa da sola e il clima belga, in ogni senso (persone e atmosferico), non aiuta. Alla fine io fatto qualcosa che neanche i Pontoni e i Bramati in passato hanno fatto. Loro venivano su, ma erano in compagnia, ogni tanto tornavano. Io, ripeto, ero sola, dovevo farmi tutto da sola: allenarmi, andare alle gare, sistemare la casa. Alla lunga era diventato uno stress.

Come hai detto prima di fatto avevi toccato il tuo apice nel cross e gli stimoli per forza di cose non sono più gli stessi…

Esatto. E poi con la 777 non ci siamo lasciati bene. Loro mi hanno accusata di lasciare il mio ritiro, la mia casa in Belgio perché ogni 15 giorni volevo tornare 3-4 giorni a casa in famiglia. Mi dicevano: sei indipendente, hai la macchina. Sì, ma le olandesi ci tornavano a casa e al massimo dovevano fare un’ora e mezza di auto, io no.

Torniamo agli argomenti più belli e al futuro. Sarai la donna di classifica della Valcar Travel&Service?

Eh sì! Con Davide (Arzeni diesse e preparatore della Valcar, ndr) ne ho parlato ad inizio stagione e l’idea è di fare bene. Ci arriveremo con una bella squadra. Ho delle compagne forti. Silvia Persico sta andando molto bene e anche la canadese, Olivia Baril, ha le mie stesse caratteristiche.

La Arzuffi in questa stagione ha già 14 giorni di corsa, gli anni passati nello stesso periodo ne aveva solo 6-7
La Arzuffi in questa stagione ha già 14 giorni di corsa, gli anni passati nello stesso periodo ne aveva solo 6-7
Caratteristiche da…

Da scalatrice. O comunque vado bene sul passo, sulle gare lunghe e nelle corse a tappe mi trovo bene perché ho un buon recupero.

E per questo “obiettivo classifica” stai lavorando diversamente? Stai facendo più salita?

In questo momento specifico non troppe salite, visto che sono a casa del mio compagno (Luca Braidot, azzurro della Mtb, ndr) in Friuli a ridosso delle colline verso la Slovenia. E’ un posto bellissimo per pedalare, di sicuro molto meno trafficato. Giusto ieri ho fatto una salita di 20′ e non ho incontrato una macchina.

Invece a casa?

Vivo a Seregno. Sono a 30 chilometri da Lecco e a 30 da Como, in Brianza. Anche lì è molto bello. In pratica sono nel cuore del Giro di Lombardia. Spesso mi alleno sul Sormano.

E quindi dicevamo dei tuoi lavori: più salita? Più dislivello?

In parte sì. Quando faccio la distanza il dislivello non è mai meno di 2.000 metri, ma arrivo anche a 2.500 metri, specie quando vado in altura dove accumulare metri è più facile. E a proposito di altura ci tornerò tra fine maggio e giugno con la Polizia.

La brianzola a fine mese salirà ai 1.900 metri di quota del Passo San Pellegrino
La brianzola a fine mese salirà ai 1.900 metri di quota del Passo San Pellegrino
Come mai con la Polizia e non con la tua squadra di club?

Perché le Fiamme Oro ci danno questa opportunità di fare un periodo di ritiro e noi possiamo scegliere più o meno quando e dove. Io andrò al San Pellegrino.

Ah, dove andava anche Nibali! Un gran bel posto…

Esatto proprio nello stesso rifugio. Ormai sono di casa. E’ un posto ideale per allenarsi.

Quale potrebbe essere un obiettivo concreto per te al Giro?

Vorrei fare bene in una tappa, salire almeno sul podio in una frazione. Per la classifica, visto il livello che c’è, direi che potrebbe andare bene una top 15. Sarei soddisfatta. E poi per me è un po’ il primo Giro se vogliamo, ne ho fatti altri ma li sfruttavo già per preparare il cross dell’inverno successivo. Stavolta sarà diverso, anche per le motivazioni.

Chirico: debutto in Turchia a metà aprile, come si è preparato?

23.04.2022
5 min
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Luca Chirico ha dato il via alla sua stagione solamente al Giro di Turchia (foto apertura Getty Images), dopo più di due mesi rispetto al resto del gruppo. Tutto sommato non si è affatto comportato male, sempre davanti ed un 18° posto nella classifica finale. Il Giro di Turchia, il cui nome completo è Presidential Tour of Turkey, non è di certo una gara estremamente impegnativa, ma neanche Luca si sarebbe aspettato di andare così bene, perché sono stati mesi complicati.

«E’ da un po’ che non ho molta fortuna – dice con un misto di tristezza tra una risata e l’altra il corridore della Drone Hopper Androni – sei mesi fa, ad ottobre, mi sono rotto la clavicola. Ho dovuto rallentare la preparazione, riprendendo la bici solamente a fine novembre». 

Il Giro di Turchia è un’ottima gara per iniziare, il clima mite permette di correre e recuperare al meglio (foto Instagram)
Il Giro di Turchia è un’ottima gara per iniziare, il clima mite permette di correre e recuperare al meglio (foto Instagram)
Vi avevamo incontrati in ritiro in Spagna e tu stavi facendo dei lavori a parte.

Già, al ritiro di fine novembre con la squadra non avevo fatto grandi lavori di preparazione, mantenendo un ritmo più blando perché ero in fase di recupero. A dicembre avevo iniziato ad allenarmi con più intensità, ed il programma, in accordo con la squadra, era di fare un paio di corse a Mallorca per prendere il ritmo gara. Poco prima di partire, ho preso il Covid e sono saltate anche quelle.

Con il Covid quanto ti sei dovuto fermare?

In realtà poco, non ho avuto particolari sintomi, sono stato fermo 5-6 giorni e subito dopo mi sono negativizzato. Si era deciso di ripartire con il Gran Camino, ma il 25 febbraio in allenamento sono caduto e mi sono rotto il quinto metacarpo. La degenza è durata sei settimane, poi io in accordo con la squadra ho deciso di prolungare leggermente la convalescenza, decidendo di ripartire dal Giro di Turchia.

La condizione di Chirico è aumentata tappa dopo tappa (foto Instagram)
La condizione di Chirico è aumentata tappa dopo tappa (foto Instagram)
Una preparazione a “macchie” con tanti giorni di stop, come hai fatto a trovare la condizione?

Nonostante tutte le sfortune, ho avuto un bel mese di dicembre, nel quale i carichi di lavoro sono stati normali. Il Covid non mi ha destabilizzato molto, anche perché arrivavo da 4 giorni di carico, quindi è stato un “recupero” forzato.

E la frattura?

Quella mi ha tenuto fermo pochi giorni, solamente una decina, poi ho fatto un tutore apposito in una clinica di Lugano e sono tornato ad allenarmi su strada. Prima di andare in Turchia sono andato 15 giorni a Livigno, dal 23 marzo al 5 aprile, il giovedì siamo partiti. Mi ha aiutato molto mettere il focus su una gara, per gestire il rientro ed i carichi di lavoro.

Come hai lavorato?

Nei giorni successivi alla frattura, ho fatto qualche sessione di rulli, dalla mezz’ora all’ora e mezza. Sono stati utili per non rimanere completamente fermo e mantenere un discreto ritmo.

Prima di partire per la Turchia, Luca Chirico ha affrontato un ritiro di 15 giorni in altura (foto Instagram)
Prima di partire per la Turchia, Luca Chirico ha affrontato un ritiro di 15 giorni in altura (foto Instagram)
In altura?

Lì mi trovo molto bene a lavorare, riesco a concentrarmi e fare la vita da atleta al cento per cento. Di base sono uno che si allena bene, non mi tiro mai indietro. Preferisco andare in ritiro, anche da solo. Ho visto che nelle gare di ritorno dall’altura riesco ad andare sempre bene.

Il ritmo gara ormai è fondamentale per entrare in condizione, come lo hai sostituito?

Con il mio preparatore, Michele Bartoli, ho fatto un piano di allenamento improntato su tante ore con degli allenamenti ad alta intensità. Su 5 ore di lavoro, allenavo molto la forza, ma soprattutto i cambi di ritmo.

Quelli li facevi in salita immaginiamo.

Sì, sceglievo una salita a lunga percorrenza, per esempio il Foscagno. All’inizio facevo i primi 20 minuti a ritmo medio. Poi, più vicino alla cima, inserivo i cambi di ritmo o le ripetute. Questo per avvicinarmi di più alla quota dei 2.000 metri e lavorare anche per massimizzare il consumo di ossigeno. 

Prima di partire per la Turchia si è allenato spesso con l’amico Diego Ulissi (foto Instagram)
Prima di partire per la Turchia si è allenato spesso con l’amico Diego Ulissi (foto Instagram)
Il confronto con Bartoli com’è?

Direi che è costante, siamo spesso in contatto. Lui ti fornisce la tabella con i lavori e poi ti chiama per discuterla insieme. Ci confrontiamo anche sui numeri e sui valori, io solitamente li faccio controllare a lui, ma poi mi piace curiosare. Vedevo che i valori corrispondevano a quelli degli altri ritiri in altura che facevo gli anni precedenti.

Sei arrivato con più certezze in Turchia?

Anche se sai di aver lavorato bene hai sempre il dubbio sul livello degli altri. I più grandi dubbi sono sulla resistenza e sul ritmo di gara nelle grandi distanze. Il Giro di Turchia però è stata la corsa perfetta per rientrare, 8 giorni di gara, di cui 2 sopra i 200 chilometri. Poi c’erano tappe di “recupero” con chilometraggio ridotto e poco dislivello (ad esempio la terza, 118 chilometri piatti, ndr). 

Quindi la condizione è in crescendo?

Considerate che la sfortuna non mi abbandona, sono tornato dalla Turchia e stavo poco bene, ho provato la temperatura ed avevo qualche linea di febbre. Per fortuna tampone negativo, è una forma di polmonite che sono riuscito ad individuare presto, evitando complicazioni. Ora sono ancora sui rulli, forse nei prossimi giorni parto per il Giro della Grecia, vediamo come sto.

Fare solo corse a tappe in vista dei grandi Giri. Giusto o sbagliato?

14.04.2022
5 min
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Allenarsi per un grande Giro facendo solo, o quasi, corse a tappe. E’ giusto? E’ sbagliato? Molti atleti stanno adottando questa strategia di preparazione. Perché? Rigoberto Uran per esempio è uno di quelli che sin qui ha preso parte solo a corse a tappe. E la stessa cosa vale per Mikel Landa: prima del Giro d’Italia farà, forse, solo la Liegi visto che è impegnato al Tour of the Alps. In pratica sarebbe come fare una tappa in più. Anche Primoz Roglic più o meno è sulla stessa lunghezza d’onda. E Daniel Martinez addirittura ha fatto solo una corsa di un giorno.

A tal proposito, fece quasi scalpore la richiesta dello sloveno di prendere parte ad una piccola corsa francese di un giorno prima della Parigi-Nizza dopo essere sceso dall’altura. Questo “abuso” delle corse a tappe è un argomento curioso di cui abbiamo voluto parlare con Michele Bartoli, coach di tanti pro’.

Michele, solo corse a tappe prima di un grande Giro: quali vantaggi e svantaggi ci sono?

Premesso però che Rigo farà anche la Freccia e la Liegi. Quest’anno è stato spesso malato, ed anche per questo ha iniziato solo alla Tirreno, dalla quale per altro ne è uscito con la febbre. Io non credo si debba parlare di svantaggi o svantaggi in questa scelta delle corse a tappe, quanto piuttosto di opportunità di risultato. Un Roglic ha minor possibilità di vincere un Fiandre, una Liegi o una Sanremo, piuttosto che una Parigi-Nizza o un Catalunya. E questo incide molto sulla scelte delle corse che si andrà a fare.

E sul piano strettamente legato alla preparazione cosa cambia?

La gara di un giorno porta con sé tante dinamiche utili, come sforzi massimali, ritmo, fuorisoglia… che le gare a tappe non hanno, dove invece è priviligiata la resistenza. Una corsa a tappe è molto più lineare: fuga, gruppo che va di passo e finale in crescendo. In una classica, con un giorno fai certe sollecitazioni massimali che in un grande Giro fai in tre settimane. Prendiamo la Freccia del Brabante di ieri: con decine e decine di rilanci dietro ogni curva, su ogni strappo, sui pezzi in pavè… e sono qualità che ti tornano utili a prescindere dalle corse a tappe.

Oggi con potenziometro, test continui, telemetria e dietro motore, si potrebbe preparare un GT quasi senza correre. Ma non una classica
Oggi con potenziometro, test continui, telemetria e dietro motore, si potrebbe preparare un GT quasi senza correre. Ma non una classica
E quindi non sei d’accordo nel preparare un grande Giro facendo solo corse a tappe?

Non sono in disaccordo se un corridore e un preparatore decidessero di fare così. Dico che la corsa di un giorno può fare bene, ma non è necessaria. Poi non vale neanche la regola contraria: cioè preparare un grande Giro facendo solo corse di un giorno. Corse a tappe e corse di un giorno insieme: sono due approcci utili entrambi.

Okay, ma potendo scegliere, potendo disegnare a tuo piacere il calendario come si regolerebbe il Bartoli preparatore?

Per esempio chi fa il Tour e punta alle Ardenne non sbaglia. Può puntare a migliorare le sue qualità atletiche e al tempo stesso può anche cercare il risultato. Prima del Tour de France l’avvicinamento standard ideale è Delfinato, altura e appunto Tour. Ma per quel che mi riguarda un atleta oggi dalla Liegi potrebbe andare direttamente al Tour. Questo ragionando per assurdo e dando per certo che si alleni bene.

Addirittura…

Sì. Quello che voglio dire è che sostanzialmente soprattutto oggi con gli strumenti che ci sono, un grande Giro lo puoi preparare anche solo con l’allenamento. Una corsa di un giorno no. Torniamo al discorso di prima, dei picchi massimali, del ritmo gara… che ti servono in una classica e che solo la corsa di un giorno ti dà. Mentre in un grande Giro lo sforzo è diverso.

Freccia del Brabante, come spiega Bartoli, ci sono moltissimi momenti di fuorisoglia e di sforzi massimali
Freccia del Brabante, come spiega Bartoli, ci sono moltissimi momenti di fuorisoglia e di sforzi massimali
Prima hai detto che l’avvicinamento standard al Tour è Delfinato e altura. Invece una corsa singola dopo l’altura, magari per velocizzare il lavoro fatto, per cercare un po’ ritmo, ci starebbe male?

Non ci sta male. E’ sempre un allenamento utile. In questo caso non sarebbe una corsa che toglie, ma un corsa che dà, tuttavia non è fondamentale.

Ma se un tuo corridore ti chiedesse di fare una corsa in più o di inserire questa o quella gara a tappe, tu cosa fai? Come l’esempio di Roglic all’inizio…

Per me il corridore va sempre ascoltato. Il bravo preparatore deve tirare fuori le potenzialità anche dalla sua testa. Anche perché se poi l’atleta pensa che quello che sta facendo non sia giusto, non va. Non va neanche se si allena. Deve essere convinto di ciò che fa.

Però ci sono dei corridori che preferiscono non pensare e lasciare fare tutto ai loro coach…

A meno che non siano automi totali… ma non ce ne sono molti. A me per esempio piace il corridore che prende decisioni, che dice la sua, che un giorno mi fa: “oggi mi sentivo che dovevo fare una salita a tutta e l’ho fatta”. Significa che ha personalità, che è sicuro, che ragiona. Certo, se poi fa così tre volte a settimana, allora il discorso cambia. Ma generalmente chi sa inserire qualcosa di suo, fosse anche una corsa, si conosce di più.

Giovani delle continental al Giro di Sicilia: e la preparazione?

11.04.2022
5 min
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Tra meno di 24 ore scatterà il Giro di Sicilia. Al via un parterre più che di qualità. Certo, non è lo stesso di un’Amstel o di un Giro d’Italia, ma di certo i campioni non mancano. Campioni, ma anche ragazzi, quelli delle continental.

Ebbene, viene da chiedersi come i ragazzi di queste squadre infarcite di giovani e con meno mezzi possano contrastare lo strapotere delle WorldTour.

Quattro tappe

Arrivare al meglio della condizione è quantomai vitale per questi ragazzi, per tenere le ruote del gruppo. Per resistere alla accelerazioni dei corridori più forti, per resistere bene alla distanza… Le quattro frazioni, la prima a parte, sono alquanto impegnative. In tutto 662 chilometri e 9.840 metri di dislivello.

Un impegno importante dunque per chi corre in una continental e magari ha appena compiuto 20 anni. Per questo motivo abbiamo interpellato tre preparatori (e diesse), di tre continental impegnate in Sicilia. Scopriamo come si sono preparati e come affronteranno questa corsa.

Alessio Mattiussi, giovane coach del Cycling Team Friuli (foto Instagram)
Alessio Mattiussi, giovane coach del Cycling Team Friuli (foto Instagram)

Mattiussi e il recupero

Alessio Mattiussi è uno dei preparatori del Cycling Team Friuli (in apertura foto PhotoRs). Più che preparazione, la parola chiave per lui è recupero.

«I nostri ragazzi – dice Mattiussi – vengono da ottimi training camp, soprattutto quello svolto in Spagna con il quale abbiamo gettato le basi dell’intera stagione. Hanno corso molto, spesso sia il sabato che la domenica, e più che di una preparazione ad hoc per il Giro di Sicilia dico che è importante programmare bene il recupero.

«In più si tratta di “solo” quattro tappe, come due giorni in più di quel che siamo soliti fare nel weekend. Semmai abbiamo allungato un po’ la distanza in qualche allenamento».

«Per noi si tratta di una vetrina importante ed è appunto importante arrivarci bene fisicamente e anche mentalmente. E se un atleta è stanco anche mentalmente è meno disposto a certi sforzi. E noi non vogliamo fare una corsa passiva».

Gianni Faresin, diesse e preparatore della Zalf (foto Instagram)
Gianni Faresin, diesse e preparatore della Zalf (foto Instagram)

Faresin e il dislivello

Dal Friuli passiamo al Veneto e andiamo in casa Zalf Euromobil Fior. Gianni Faresin oltre che diesse è anche un preparatore di lungo corso.

«Per noi – spiega Faresin mentre attende i ragazzi all’aeroporto in Sicilia – è già una grande soddisfazione essere presenti in questa importante corsa. Lo scorso anno ci siamo fatti vedere e quest’anno l’obiettivo è ancora quello. E per farlo non abbiamo modificato troppo la nostra preparazione».

«Non l’abbiamo modificata perché di base è buona e abbiamo già fatto corse dal chilometraggio importante come la Per Sempre Alfredo e l’Alpe Adria. In più si tratta di quattro tappe. Fossero state otto il discorso sarebbe cambiato parecchio.

«E’ vero quando le WorldTour aprono il gas la differenza si sente, ma in ogni caso abbiamo fatto corse di buon livello, come il Piva o San Vendemiano che danno qualità. L’unica cosa che semmai abbiamo implementato è stato il dislivello. In allenamento abbiamo allungato la durata delle salite proprio in ottica delle tappe siciliane, specie l’ultima (sull’Etna, ndr)».

Marco Milesi segue i ragazzi della Biesse Carrera
Marco Milesi segue i ragazzi della Biesse Carrera

La teoria di Milesi

Chi esce un po’ dal coro è Marco Milesi, preparatore e diesse della Biesse Carrera. Il tecnico bresciano fa una sorta di ragionamento al contrario.

«Per noi – dice Milesi – queste gare, così come la Coppi e Bartali sono importanti per fare la gamba e trovare la condizione per quelli che sono invece i nostri veri obiettivi, quelli alla nostra portata. Dobbiamo trovare condizione e ritmo. E infatti dopo le prime gare con i pro’ siamo andati molto bene. Noi dobbiamo pensare al Belvedere, al Liberazione…

«Poi è chiaro che ci tengono i ragazzi a fare bene, ci tengono gli sponsor».

«E per tirare fuori il meglio dai ragazzi in queste corse devo fare in modo di tirargli il collo il meno possibile, altrimenti se fanno troppi fuorigiri ne escono peggio di come ci sono arrivati. Per questo motivo, magari nei finali gli dico di mollare un po’. Ma non è facile convincerli!

«Questo discorso vale ovviamente per i più giovani. Garosio e Belleri invece, che sono più grandi ed esperti, devono tenere duro e cercare di fare risultato»