«Vuole davvero sapere – chiede Valentino Villa – chi sia Elisa Balsamo? Glielo dico. Lei magari non vorrebbe, ma mi ascolti e scusi se mi commuovo. L’anno scorso salta fuori un grosso sponsor. E’ la svolta. Invece dopo un po’ mi chiamano e dicono che salta tutto, perché sono stati acquisiti. Rischiavo il tracollo e ho trovato giusto dirlo alle ragazze. Eravamo in mezzo alla strada. Io parlavo e loro piangevano: mi chiedo che cosa abbia pensato la gente che passava. Forse avrei dovuto chiudere, ma a quel punto Elisa prese la parola. “Valentino – disse – se ti può essere utile, visto che mi hai dato la possibilità di entrare nelle Fiamme Oro, prendi pure il mio stipendio”. Sul momento mi sono sentito gratificato. Poi mi sono rimboccato le maniche. Prendo energia da queste cose, come fai a tradirle?».
Prima la persona
Valentino Villa è un brav’uomo. Cominciamo facendogli notare il bene che Elisa Balsamo ci ha detto sul suo conto e già basta perché si commuova ancora (i due sono insieme nella foto di apertura, datata 2016).
«Ho sempre pensato che per avere un buon rapporto con l’atleta – dice – devi creare un legame con la persona. Avere questa squadra mi è servito tanto. Ho quattro figli e ho capito di non averli ascoltati abbastanza. Grazie alle mie ragazze, anche nei momenti difficili, ho scoperto che dentro questi ragazzi c’è tanta roba. E allora ho imparato a starmene zitto ad ascoltare…».
Strade di Bergamo
La Valcar-Travel Services è una delle più forti squadre italiane, che spesso le suona agli squadroni WorldTour. Iniziano dalle esordienti e arrivano alle elite: 31 ragazze in tutto. E lassù, fra coloro che lasciano il segno, ci sono campionesse d’Europa e del mondo. Da Elisa Balsamo a Chiara Consonni, da Martina Alzini a Marta Cavalli, da Vittoria Guazzini a Miriam Vece passando per Elena Pirrone.
Valcar fa da trent’anni fresatura e tornitura di metalli a Bottanuco, in provincia di Bergamo. Travel & Service effettua noleggi con conducente, ugualmente nella bergamasca.
Come mai il ciclismo?
Ho corso da ragazzino. A 14 anni ero tornitore e frequentavo la scuola serale, ma due volte a settimana riuscivo ad allenarmi. Poi ho capito che non si può fare tutto e mi sono buttato sul lavoro. A 21 anni mi sono sposato e guardavo le corse in tivù, ragionando sulle tattiche come i grandi diesse. Seguire una corsa dalla macchina è l’unica cosa che invidio al mio direttore sportivo.
Poi cosa è successo?
Avevo due sogni. La mia squadrettina di esordienti e allievi. E seguire una Roubaix sull’ammiraglia della Mapei. Finché mia figlia, la più piccola, cominciò a correre. E lì mi si aprì il mondo. Andai a seguirla nella prima gara a Bologna, che fu vinta da Elisa Longo Borghini. Non credevo che fra le ragazze ci fosse quella serietà e quel bel clima. Così di ritorno chiamai mia moglie e il mio socio davanti alla macchina del caffè, chiedendo che mi permettessero di esaudire il mio sogno nel cassetto. Loro accettarono, era il 2009. La prima ammiraglia la comprammo usata dalla Lampre e la verniciammo.
Parlano di lei come un padre.
E loro sono le mie figlie. Ho la fortuna di essere sempre presente. In tanti anni ho perso a dir tanto 7-8 gare. Per seguire tutte le categorie, mi è capitato di fare fino a 1.350 chilometri nello stesso giorno.
Poi è arrivata una certa Elisa Balsamo…
Vivendo il vivaio, vedo il cammino delle ragazze. Vado a conoscere i genitori. Chi si perde è solo perché non trova le condizioni giuste. Vidi Elisa, era il 2014. Aveva ancora 16 anni e le dissi: “Tu sei come Ronaldo”. Sentivo il peso di questa responsabilità, perché avevo già in mente di fare la squadra elite e sapevo che al primo anno da junior avrebbe corso da sola.
E lei?
Capì benissimo. Le dissi che avrebbe dovuto fare goal da sola. Vennero tanti piazzamenti, ma a fine anno vinse il mondiale nello scratch. Il primo lampo di Ronaldo.
Cosa fa Valentino nella squadra?
Sono quello che le chiama quando sono in crisi. Nel ciclismo sono l’ultimo arrivato, ma credo che la loro tensione sia soprattutto psicologica. Non mi piacciono le pressioni eccessive, quando vanno forte non serve incalzarle. Quando le ragazze arrivano alla gara, devono essere felici.
Felici?
La gioia di vivere deve far parte del gioco. Sono una bella banda, a volte anche a me è capitato di tenerne a bada l’esuberanza. Una volta in Belgio ho dovuto chiedere che abbassassero la voce al ristorante, con Chiara Consonni direttrice d’orchestra. Ma se l’atleta è felice, se il suo sguardo è felice, ti dà il 100 per cento. Va bene tutta la tecnologia, ma è fondamentale che ogni ragazza sia in armonia con la squadra.
Un po’ manager e un po’ psicologo, insomma?
Se ne vedo una pensierosa, prima faccio una battuta, poi la invito a fare due passi e parlare. Si confidano. L’uomo puoi insultarlo e motivarlo, la donna va ascoltata e capita. Ci dicono che le viziamo, ma si confidano più con noi che con i genitori.
Valentino, come va con gli sponsor?
Sono spesso in ufficio a ragionare. Chiamo il sabato, anche la domenica o alle otto di sera. Chiedo scusa sempre a tutti, è il mio limite. Spero capiscano. Valcar ha un significato, ma se ci fosse la possibilità di un grosso nome, non sarebbe un problema. Vedo le cifre che offrono alle nostre ragazze, io non ci arrivo. Così già da tempo ho deciso. Ma se dovessi trovare un grosso nome, basta chiamarsi Valcar, ma ugualmente vorrei carta bianca. E’ quella la nostra forza.
Teme che dopo le Olimpiadi arriveranno gli squadroni con i soldi?
Se sei ricco e le vuoi tutte, non riesci a prenderle. Se il nostro gruppo non c’è più, il giocattolo si frantuma. Siamo noi il collante, per quello sto provando di tutto per tenerle insieme. Ho avvicinato dei team manager dei pro’. Ho chiesto un incontro per ragionare, non sapendo che opinioni avessero del ciclismo femminile. E l’incontro è stato addirittura rifiutato. Che modi sono? Questa gente non è mai stata nel mondo del lavoro.
Qualcuna andrà via?
Capisco la scelta di Marta Cavalli, che ha scelto di andare alla Fdj in Francia. Non posso e non sarebbe giusto trattenerle, è la loro vita. Quello che chiedo scherzando sarà semmai che mi invitino al matrimonio.
Perché non la vediamo mai in giro, signor Valentino?
Non voglio essere fotografato. Alle gare sono sempre defilato, l’apparire non mi appartiene. Poco prima di sposarmi, dissi a mia moglie che era il giorno più brutto della mia vita. Lei per poco non svenne, poi capì. Non volevo essere al centro dell’attenzione. Qualche foto di squadra l’ho fatta, ma poco più.
Che cosa è cambiato?
Ho scelto di farmi vedere. Prima ho rifiutato le interviste, ma per il bene della squadra ora le faccio. E’ d’obbligo per un manager, d’obbligo per le mie ragazze.