Il ruolo del nutrizionista è diventato sempre più centrale nelle dinamiche di squadra e della gestione dei corridori. Attraverso questo aspetto entrano in gioco diversi fattori fondamentali per la buona riuscita di una stagione o il raggiungimento di un obiettivo. Qualche settimana fa Leonardo Piepoli ci aveva raccontato come il lavoro del preparatore si coordina con l’attività dell’atleta e l’alimentazione. Ora è venuto il momento di andare a chiedere a una nutrizionista esperta, come Laura Martinelli, come si coordina il suo lavoro all’interno dello staff performance di una squadra.
La veneta, che è all’interno dello staff del Team Jayco AlUla parte da uno scenario più largo, ma che serve per introdurre l’argomento.
«C’è bisogno – dice – di un cappello introduttivo nel descrivere lo scenario che si crea tra il nutrizionista e il preparatore. Ci sono due modi di lavorare: internamente alla squadra ed esternamente. Cosa vuol dire? Nel primo caso il nutrizionista e il preparatore sono entrambi del team, mentre nel secondo caso uno dei due è esterno, ovvero è scelto dall’atleta».
Piccole differenze, grandi cambiamenti
Sembra una cosa di poco conto, ma nel momento in cui ci si trova all’interno di staff sempre più grandi e al lavoro con gruppi di atleti sempre più numerosi, conta molto il tipo di rapporto che si crea tra queste due figure.
«Molte squadre – prosegue Laura Martinelli – vietano al corridore di lavorare con professionisti esterni al team. Noi in Jayco lasciamo maggiore libertà, anche se va detto che per noi dello staff è meglio avere tutto sotto controllo. Non è facile rapportarsi da esterno con i membri di una squadra, a livello di comunicazione non è semplice inserirsi e farsi dare i dati. C’è una sorta di segretezza anche con chi poi lavora con gli atleti del team».
Da voi come funziona?
In squadra ci sono dei Performance Manager, ogni corridore ha il suo. Questa figura si occupa di fare da tramite tra il preparatore esterno e la squadra. Il fine è fare in modo che lui possa curare la comunicazione e passare a noi i dati necessari per lavorare.
Tu come ti rapporti quindi con un preparatore esterno?
Di solito a inizio stagione mi presento e si fa una chiacchierata introduttiva. Meglio arriva subito che quando le cose vanno male, il rapporto di fiducia e di scambio di informazioni diventa più facile. Cerco di capire come lavora il preparatore, anche se ora quasi tutti utilizzano Training Peaks. Di solito mi pongo l’obiettivo di chiedere il programma di lavoro almeno con tre o quattro giorni di anticipo.
Nel caso, invece, in cui l’atleta sia seguito da un vostro preparatore?
Come detto tutto è più facile. Il mio lavoro diventa consequenziale. Il preparatore crea un programma di lavoro e di corse, da lì io mi inserisco e realizzo il piano alimentare. Ogni settimana, il martedì mattina, abbiamo una riunione interna dello staff performance nella quale ci scambiamo dati e opinioni.
Come funziona il piano alimentare?
Si coordina in base ai programmi legati alla performance, all’allenamento e agli obiettivi stagionali. Nelle visite mediche di novembre, che facciamo a Torino, parliamo con i corridori e in base al programma programmo un macro piano. Ad esempio: nei prossimi dodici mesi l’atleta vuole imparare a mangiare di più in bici per arrivare a fine gara con più energie. Oppure si vuole gestire meglio il periodo di riposo, quindi non prendere troppi chili quando ci si ferma.
Da questo piano stagionale come si gestisce la nutrizione e quindi il peso dell’atleta?
Se un corridore deve essere pronto per il Tour Down Under o per le Classiche cambia molto. Diciamo che una volta che si ha il Performance Plan si sa che ruolo avrà all’interno delle corse. Quindi se in Belgio deve andare in supporto e poi essere pronto per il Giro si gestirà il peso in modo che sia al punto giusto a maggio. Questa cosa si ha maggiormente con gli scalatori.
In che senso?
Loro hanno una definizione maggiore del trend di peso. Si programma una scala da seguire in modo che non sia troppo magro quando si è lontani dagli obiettivi stagionali.
Un ruolo di coordinamento comunque complicato.
Serve una grande visione d’insieme. La cosa più importante è ricordare che il piano viene creato ma poi ci si deve saper adattare. Si deve creare il giusto feeling tra coach e nutrizionista perché se non si sa lavorare in simbiosi tutto perde di valore.