La trasferta europea di Grenchen ha avuto molti momenti centrali, anche nella sua conclusione. La madison maschile era la prova conclusiva della rassegna e la meccanica della corsa, soprattutto la splendida conduzione tattica da parte della coppia italiana ha stupito tutti. Di fianco allo straripante Consonni, alla quarta medaglia della settimana, è stato posto Michele Scartezzini, in sostituzione del malato Elia Viviani ricostituendo la coppia argento iridata nel 2021. E i due hanno risposto presente, con un argento brillantissimo.
Sui social i commenti sono stati entusiastici anche, forse soprattutto nei confronti di quest’ultimo: “Ha portato tutti a scuola di madison” è stato uno dei giudizi più lusinghieri ed è un fatto che l’azzurro sia uno degli interpreti più esperti della specialità. In questi giorni già a Jakarta, impegnato per la prima di Nations Cup valida per le qualificazioni olimpiche, Scartezzini rivive non senza emozione quella cavalcata.
«E’ stata una delle madison più dure – ricorda – uno sforzo molto intenso. Mi fa piacere che il mio impegno sia stato notato sui social, a me questa specialità è sempre piaciuta perché si basa molto sull’esperienza che si acquisisce col tempo e la pratica. Ricordo la prima volta che mi hanno chiamato a farla, nella nazionale juniores, finii secondo e capii subito che quella prova così tecnicamente particolare poteva “prendermi”. Poi andai ai mondiali, Collinelli era il cittì e Villa suo collaboratore: di quella gara ricordo che gli australiani volavano, sembravano fare un altro sport…».
Come sei riuscito a impratichirti così tanto?
Gareggiando. E’ l’unico modo. I tecnici azzurri mi dissero che, viste le mie capacità dovevo investire sulla prova partecipando alle Sei Giorni, così iniziai il mio girovagare invernale. In quelle gare le madison sono fondamentali, si viaggia a ritmi folli. Inizialmente affrontavo le gare per espoirs, quelle che si disputano prima delle serate per professionisti. Sono state una scuola fondamentale.
Oltretutto si gareggia in velodromi sempre diversi…
Vero, prendiamo quella di Gand, la più dura. Pista piccola, cambiano tutti i parametri. E’ lì però che capisci come infilarti nel gruppo, come cambiare in ogni situazione, come tagliare le curve. Quando mi sono trovato a gareggiare su pista grande mi veniva tutto più facile.
C’è un segreto nell’affrontare le madison?
E’ la gara dove testa e gambe hanno un rapporto più equilibrato. Io dico sempre che dove le gambe non arrivano, puoi compensare con la concentrazione, la tecnica, la strategia. Si fa sempre tanta fatica, bisogna sapersi gestire nell’arco dell’intera gara, pensando anche che non ci sei solo tu, ma l’equilibrio deve esserci anche con il compagno.
Con Consonni l’affiatamento è ormai collaudato…
La prima gara in coppia che abbiamo fatto è stata ai mondiali 2021 e abbiamo conquistato l’argento. In 5 gare la peggiore è stata ai mondiali dello scorso anno, quando siamo finiti ai piedi del podio, quindi si può dire che siamo una coppia affidabile. Ci compensiamo bene.
Avete un ruolo definito?
Molti pensano che le volate debba farle tutte lui, ma in una madison non funziona così. Bisogna come detto equilibrarsi: io sono abbastanza veloce e posso alternarmi con lui. E’ il paradosso di questa specialità: su strada fra lui e me non c’è partita, vincerebbe 10 volate su 10, su pista invece sono in grado di alternarmi, soprattutto in certe situazioni, per questo bisogna sempre saper leggere la corsa.
Come vi siete gestiti a Grenchen?
Prima della partenza avevamo pensato di cambiare un po’ tattica rispetto alle altre volte, sfruttando anche la sua eccezionale condizione di forma. Di solito partiamo gestendo la gara, invece a Grenchen abbiamo subito cercato di fare molti punti nelle prime volate per poi gestire la situazione e attaccare nel finale, quando gli avversari sarebbero andati in crisi per la fatica. Simone infatti ha attaccato da lontano, prendendo gli avversari di sorpresa.
Il modo tattico di interpretare le madison è cambiato con il nuovo regolamento, che attribuisce punti al posto dei giri conquistati?
Moltissimo, sono gare completamente diverse. Ci sono ad esempio coppie che puntano tutto sulle volate, le fanno praticamente tutte, ma è molto dispendioso. Di regola bisogna comunque provare a farne un buon numero guardando però anche quel che succede, perché conquistare un giro può mandarti in fuga in classifica o rilanciarti. Bisogna sempre avere mille occhi.
Grenchen ha dimostrato anche che fra la prova maschile e femminile c’è ancora un gap tecnico, al di là del bellissimo bronzo conquistato dalle azzurre.
La madison femminile è una specialità ancora recente, deve entrare nel sangue delle ragazze e ci vuole tempo. La scelta di Villa di farci alternare in allenamento è la più sensata per farle crescere. In una madison femminile l’occhio attento si accorge che le ragazze sono meno spericolate in certe occasioni, ma ci sono anche ragazze che non valutano i rischi e si buttano rischiando tantissimo. Oltretutto c’è anche un fattore fisico diverso, legato alla spinta che ci si dà, quella delle ragazze è giocoforza meno vigorosa. Ma se guardiamo alle prime madison femminili, la differenza con il passato è enorme.
La formula olimpica non vi premia: c’è il rischio che coppie acclamate debbano restare a casa…
E’ un sistema che non mi piace. Portare a Parigi solo 5 componenti costringe il cittì a fare scelte dolorose. Dipende dagli obiettivi. La Francia ad esempio sembra orientata a spingere molto su omnium e madison, noi chiaramente siamo vincolati al quartetto detentore del titolo. Ha però ragione Villa nel dire che vuole la medaglia in tutte le prove: bisogna provarci, questi mesi saranno fondamentali per capire qual è la strada giusta per riuscirci.