Domenica si corre tutti per Jonathan Milan e la sua volata sul traguardo di Hasselt. Come si fa nelle nazionali che saggiamente pescano dai team anche i meccanismi vincenti, il cittì Bennati ha individuato in Simone Consonni il miglior leadout del friulano. Quello che lo ha lanciato verso la maggior parte delle vittorie 2024 e che meglio ne conosce i movimenti. Perciò ieri, nel giorno del suo trentesimo compleanno, anche il bergamasco è volato nel Limburgo, pronto a fare la sua parte.
Quel che più incuriosisce nei tempi recenti di Consonni è il tempo di mezzo fra Parigi e la ripresa dell’attività su strada. Lui che alle Olimpiadi ha preso il bronzo nel quartetto e poi l’argento nella madison, che più lo rileggiamo e più brilla come un oro sfuggito di mano. Per la caduta, soprattutto, e quei giri senza un filo che hanno portato la coppia azzurra a giocarsi l’ultimo sprint in affanno senza avere comprensibilmente un quadro chiaro della situazione.
Simone, quanto è durata la… decompressione olimpica?
Non tantissimo, dai! La verità è che grazie alla caduta, mettiamola così, ho dovuto riposare un po’ più del previsto e quindi ho fatto praticamente cinque giorni senza bici. Devo dire che mi sono bastati e sono ripartito con voglia e grinta. Ho ripreso al Renewi Tour e già fisicamente e mentalmente ero messo bene, meglio di quanto pensassi. Perciò ho ritrovato subito il piglio giusto.
Quindi quella caduta, da cui sei ripartito subito con una faccia da assassino, è stata una bella botta?
Decisamente sì. Praticamente ho fatto subito per rialzarmi, solo che avevo un crampo nel braccio destro, praticamente lungo tutto l’avambraccio e fino alle dita. La cosa che mi ricordo sono tutte le dita che avevano degli spasmi e si muovevano da sole. Quindi il braccio destro e anche il polpaccio sinistro con un crampo bello importante. Ho esitato un po’ a rialzarmi e poi sono ripartito. Sentivo che non riuscivo a spingere al 100 per cento, anche se ero completamente nel mio mondo. E dopo le interviste e il podio, all’antidoping ha iniziato a girarmi la testa, avevo un po’ di nausea. Sicuramente qualcosa anche a livello mentale, nervoso e tutto, però magari ho picchiato la testa e avevo un po’ di rintontimento. Quello che poi, quando passa l’adrenalina, viene fuori tutto insieme.
Se fosse stata una corsa normale saresti rimasto seduto per terra?
Se non era la madison e non ci fosse stato Elia da solo, mi prendevo tutti i cinque giri di neutralizzazione che mi spettavano. Invece appena il fisico mi ha dato la possibilità, mi sono ributtato subito dentro.
Come si fa a ritrovare la grinta adesso per andare a un europeo e poi magari ci saranno anche i mondiali su pista?
Alla fine, se fai questo sport e cerchi di farlo al 100 per cento, vivi di obiettivi. Cerchi sempre di trovare le sensazioni e le emozioni che quando ti metti il numero ti fanno andare avanti. Sicuramente non è sempre facile, certe volte il fisico ti dice di no, anche se la testa o la voglia sarebbero di andare avanti. Per cui devi anche dargli il tempo che richiede. Però la verità è che per tanti motivi questa Olimpiade è stata diversa da quella di Tokyo.
In cosa?
Là venivi da un periodo comunque molto delicato e particolare come quello del Covid. Il volo fino a Tokyo è lungo. C’è il fuso orario. Alla fine invece, la trasferta di Parigi è stata semplice proprio a livello logistico. Eravamo a un’oretta e mezza da casa. Hai la famiglia vicino, nel mio caso c’erano mia mamma e mio papà. E’ salito anche mio fratello, c’era mia moglie. Il fatto di sentire e vedere tutti i giorni Alice mi ha dato serenità e tranquillità per vivere le Olimpiadi quasi come una corsa normale. A Tokyo eravamo da soli e senza pubblico e così emotivamente, anche senza volerlo, già prima di partire sentivamo il peso di quelle piccole difficoltà. Qua tutto sommato è stata una trasferta facile, che ci ha permesso di tornare e riprendere subito a lavorare con appena un paio di giorni di stacco.
Si lavora per obiettivi e nei giorni scorsi Milan ci ha detto che con Bennati parlava già da un po’ degli europei. E’ stato così anche per te?
E’ importante sapere che durante l’anno, dopo le Olimpiadi, ci saranno gli europei e quindi c’è già un’organizzazione. Non ti arriva nulla addosso all’improvviso, senza sapere quello che c’è. Va pianificato un po’ tutto ed è sicuramente importante, perché comunque riesci a programmare bene. In questo caso devo sottolineare nuovamente il fatto che la squadra ci ha lasciato tranquilli per tutti questi mesi dopo il Giro d’Italia e non è da tutti.
E’ il prezzo per tutti i team che hanno specialisti della pista, anche Ineos per Ganna…
Togliendo il campionato italiano, era dal Giro che non correvo con la maglia della Lidl-Trek. Per una squadra WorldTour, che comunque vuole sempre essere sul pezzo, è una defezione importante. Non tanto la mia magari (ride, ndr), ma quella di Johnny, quindi dobbiamo ringraziare tanto la squadra. Col “Benna” questa cosa era già nell’aria e la verità è che Johnny ci è arrivato e ci sta arrivando con testa, grinta e gamba al top. Ed è la dimostrazione ancora una volta che la pista, se fatta in un certo modo, non fa solo bene, ma ti può dare qualcosa in più.
Al Deutschland Tour è parso insaziabile…
Johnny sto iniziando a conoscerlo sempre meglio ed è veramente forte, ma soprattutto di testa. Ha una voglia di vincere, di alzare le mani e far vedere di essere il più forte che è qualcosa di incredibile. E il bello è che la passa a tutti noi. Penso che noi gli abbiamo dato una bella mano, ma anche lui da leader ha dato una grande grinta e un grande senso di appartenenza al nostro treno e al nostro gruppo. E questo ci ha portato tutti, sia lui sia noi, a fare una stagione spettacolare come quella che stiamo facendo.
Parlavamo con Bennati di quanto sia facile fare bene il treno in allenamento, ma che il vero test si fa in corsa…
E’ verissimo quello che dice, perché penso che Daniele abbia più esperienza forse di tutta la nazionale messa insieme, togliendo però “Trento” (Matteo Trentin, ndr). E’ verissimo, puoi provare il treno quanto vuoi, ma alla fine la verità è che guardando il gruppo che siamo, c’è gente abituata a lavorare con grandi capitani. Il “Ballero” è sempre stato in grandi treni, come di recente quello di Cavendish e prima alla Quick Step. Ha lavorato con Morkov, quindi ha un’esperienza che ci fa stare tranquilli. Trentin non va neanche nominato, solo a livello di esperienza può insegnare a tutti qualcosa. E quindi anche lì siamo tranquilli. Sappiamo cosa vogliamo e agli europei abbiamo una storia importante.
Per te è la terza volta, giusto?
Esatto. Ho corso poco su strada con la nazionale, però questo sarà il mio terzo europeo. Nel primo, era il 2017, venne il secondo posto con Elia in Danimarca. Due anni dopo abbiamo vinto proprio con Elia ad Alkmaar. Perciò mi fa super piacere tornare a far parte di questo gruppo. La cosa che mi fa un po’ sorridere è che dopo la gara di Amburgo parlavo con i miei compagni e ho realizzato che domenica ce li troveremo contro. Quelli che sono sempre stati insostituibili al nostro fianco saranno i nostri rivali. E anche rivali importanti. Dan Hoole sarà nel treno di Koij. Theuns sarà nel treno di Philipsen e Merlier.
Secondo te faranno due treni separati?
Non lo so e sinceramente avranno una bella gatta da pelare. Perché è vero che non c’è neanche più Van Aert, però hanno anche Jordie Meeus, che magari non ha la costanza degli altri due, ma è stato l’ultimo vincitore sui Campi di Elisi.
Belgio e Olanda saranno le squadre da marcare?
Da marcare neanche tanto. Io sono convinto che se inizi a marcare troppo, sei sulla difensiva. Invece devi partire per farti marcare, ma questo è un altro discorso. Dobbiamo essere bravi a gestirla emotivamente, ma abbiamo gli uomini per fare quel che serve. Per chi è abituato a gestire tutto in pista, in cui un errore anche minimo può costarti la medaglia, la gara su strada è uno stress, ma molto più gestibile.