L’addio da leader di Morkov, che indossa la giacca di cittì

25.10.2024
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Con la medaglia di bronzo conquistata nella madison dei mondiali, Michael Morkov ha chiuso da par suo la sua lunghissima carriera, iniziata da professionista nel 2009. A 39 anni il corridore di Kokkedal appende la bici al chiodo con 6 vittorie al suo attivo, tra cui 3 titoli danesi e una vittoria di tappa alla Vuelta di Spagna. Ma è soprattutto su pista che sono arrivati i suoi sigilli, tra cui un oro olimpico a Tokyo 2020 nella madison (ma anche l’argento nell’inseguimento a squadre in quella palpitante finale con l’Italia) e 4 titoli mondiali.

Se su pista Morkov è stato un leader, su strada ha elevato a questo rango il ruolo forse più subordinato di tutti, quello di ultimo uomo, divenendo per acclamazione planetaria il migliore interprete. Un maestro che lascerà un vuoto. Morkov però non resterà inattivo: per lui è già pronta l’ammiraglia di responsabile della nazionale danese su strada. Una nuova sfida, alla guida di una delle Nazioni più forti del momento.

Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Domenica hai chiuso la tua carriera con l’ennesima medaglia, oltretutto davanti al tuo pubblico. Che sensazioni hai provato nel tagliare l’ultimo traguardo?

Sono davvero orgoglioso di aver concluso a un livello molto alto. Nei miei ultimi campionati mondiali stavo ancora lottando per la medaglia d’oro e, naturalmente, non è mai piacevole perdere, ma sono comunque felice che abbiamo ottenuto la medaglia di bronzo e abbiamo fatto felice il pubblico danese. Non potevo chiudere meglio.

Tu hai vissuto due carriere parallele: maestro nell’aiutare i velocisti e grande specialista del ciclismo su pista. Quale delle due ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Beh, penso che sia una combinazione perché in pista ho ottenuto le mie soddisfazioni, i miei obiettivi e i miei grandi risultati. Sulla strada, ero completamente determinato ad aiutare i miei compagni di squadra, quindi penso che sia stato il giusto mix.

La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
L’ultimo uomo del treno dello sprint: per chi interpreta questo ruolo, che cosa significa vedere il leader vincere?

E’ come vincere la gara da soli, perché tu come uomo di testa sei molto concentrato per vincere la gara con il tuo velocista e per tutto il giorno lavori duramente per organizzare l’intera squadra e fare che tutto funzioni fino a quegli ultimi 200 metri, quando sarà lui a giocarsi la vittoria e devo metterlo nella posizione migliore. Bisogna avere fiducia in se stessi e guidare gli altri come leader. Posizionare il mio velocista e vederlo alzare le braccia è come una mia vittoria. Quindi questa è la sensazione migliore.

Qual è la più grande emozione che hai vissuto in bicicletta?

La risposta è semplice: vincere la medaglia d’oro olimpica a Tokyo. In quella madison c’erano grandi campioni tanto è vero che ce la giocammo tutta sugli sprint, senza guadagnare giri. C’erano grandi interpreti come Hayter e Thomas, eppure io e Lasse Norman Hansen ce la facemmo per tre punti. Penso che sia la medaglia più bella che puoi vincere come atleta. E sì, è stato molto emozionante.

La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
Hai lavorato con tutti i migliori velocisti dell’ultimo decennio, chi è stato il migliore ma sopattutto quello che hai sentito più vicino?

Credo di aver stretto un rapporto molto stretto con tutti i velocisti con cui sono cresciuto e penso che questo rapporto umano sia anche una parte importante del successo che ho avuto con ognuno di loro. Direi sempre che il mio migliore amico è Cavendish: i suoi risultati parlano da soli, ma ha anche una conoscenza incredibile dello sprint, della tecnica pura. Sa esattamente cosa fare, il suo istinto e il suo tempismo sono perfezione pura. Ma c’è un corridore con cui ho un legame speciale…

Chi?

Viviani. Ora posso guardare indietro e vedere che forse i due migliori anni che ha avuto come professionista sono stati quelli in cui l’ho aiutato a vincere dappertutto, nel 2018 e 2019. Abbiamo vissuto un biennio speciale e penso che Elia sia il corridore che è riuscito a ottenere il massimo dal suo talento sapendo sfruttare una squadra molto forte. Aveva dei compagni di squadra molto bravi intorno a lui e quando i compagni di squadra facevano un buon lavoro per lui, riusciva sempre a concludere con una vittoria. Molti dei successi con Elia sono speciali, di cui sono orgoglioso.

Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Ora passerai sull’ammiraglia della nazionale danese: quali sono i tuoi obiettivi nel nuovo lavoro?

Battere i miei amici italiani – dice ridendo – No, a parte le battute, sono davvero motivato per questo nuovo incarico. Soprattutto per trasmettere tutta la mia esperienza ai giovani corridori danesi e spero davvero di poterli aiutare a crescere e diventare buoni professionisti e vincere gare in futuro. Quindi la mia ambizione è quella di poter gioire di altre vittorie non personalmente mie, ma nelle quali sento di averci messo qualcosa.

Oggi la Danimarca è uno dei Paesi leader nel ciclismo professionistico, ma non ha un suo team WorldTour: pensi che sia un problema?

Io non penso, corridori danesi bravi ci sono e sono riusciti a firmare con tutte le migliori squadre del WorldTour. Quindi non penso che sia strettamente necessario avere una squadra danese al massimo livello. E’ invece fondamentale avere è una squadra Continental o Professional, per tutti i ragazzi che hanno bisogno di imparare. Ci sono corridori capaci di entrare subito nel WT, ma tanti altri hanno bisogno di più tempo, di avvicinarsi con più calma, maturano più lentamente. Questo possono farlo se hai una squadra Continental molto buona. Poi abbiamo la Uno-X che è sì norvegese, ma con una forte componente nostrana ed è molto importante nello sviluppo dei talenti danesi.

Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Che cosa c’è dietro i Vingergaard, Pedersen e gli altri big del ciclismo danese?

C’è molto lavoro sui talenti, esattamente come dicevo prima. Provengono da un livello molto alto di squadre Continental in Danimarca con un livello molto, molto alto di professionisti. Hanno un grande fisico e capacità non comuni, ma sono frutto di un ottimo programma di sviluppo per i giovani corridori.

In prospettiva vedi Albert Withen Philipsen come un altro grande campione del WorldTour?

Andiamoci piano. In tutti gli anni in cui sono stato coinvolto nel ciclismo, ho visto molte volte corridori estremamente talentuosi da junior che poi non riescono a trovare gli stessi guizzi quando le cose si fanno serie. Albert è un corridore molto promettente, ma deve ancora migliorare molto per diventare il prossimo grande nome del World Tour. Io ovviamente non vedo l’ora di supportarlo e spero che diventerà presto quello che sogna di essere lui e tutti noi danesi.

Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Rispetto a quando hai iniziato, che ciclismo ti lasci alle spalle?

Un ciclismo molto professionale, molto più di quando iniziai vent’anni fa. Molte cose che si facevano allora, oggi sono considerate superate. In termini di allenamento, alimentazione, altitudine, sonno, campi di allenamento, equipaggiamento, dinamiche… Sono tutti aspetti che incidono molto. Per questo il ciclismo attuale corridori molto più talentuosi rispetto al passato, forse allora era più difficile diventare professionisti. Forse ora è più facile trovare i grandi talenti.

Uscendo dai confini danesi, c’è un altro Morkov, un corridore nel quale rivedi la tua storia e le tue capacità?

Oh, ci sono un sacco di grandi corridori in giro per il mondo, penso che la bellezza del ciclismo sia che siamo tutti diversi e veniamo da realtà differenti. Naturalmente ho uno spazio speciale nel cuore per i corridori che corrono in pista e che arrivano con le abilità della pista. E anche per quelli molto bravi nel gruppo. I ragazzi che hanno il potenziale per aiutare i migliori velocisti a diventare i più veloci. Quindi è lì che terrò gli occhi per il futuro.

Parigi, la caduta di Consonni e una scheggia nel muscolo

08.10.2024
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La caduta di Consonni a pochi giri dalla fine della madison olimpica. Le parole di Simone nel racconto successivo a far capire che non fosse stata una scivolata come tante e dare una dimensione anche più grande a quell’argento che sapeva già di oro. Che cosa è successo al bergamasco in pista il 10 agosto? E in che modo gli uomini della nazionale gli hanno permesso di ripartire e lo hanno curato nelle ore successive?

Lo abbiamo chiesto a Fred Morini, uno dei fisioterapisti della nazionale. Un passato da atleta e poi una vita che varrebbe il racconto di un bravo scrittore. L’umbro ascolta e annuisce. Ha ben chiaro quel che è accaduto, a partire dalla caduta. L’impatto di Consonni con il legno della pista è stato così fragoroso che, pur con tutto il rumore del palazzetto, si è percepito come il suono di uno schiaffo.

La foto dopo con Viviani e Morini mostra nello sguardo di Consonni certo la gioia, ma ancora i postumi della caduta
La foto dopo con Viviani e Morini mostra nello sguardo di Consonni certo la gioia, ma ancora i postumi della caduta
Che cosa è successo, dal tuo punto di vista?

La caduta può accadere, ma nessuno se l’aspettava, soprattutto perché eravamo alla fine. Cominciavamo già ad assaggiare più l’oro che l’argento. Erano abbastanza al limite e i portoghesi per certi versi stavano correndo un po’ meglio nella parte finale. Però per come si era messa, i nostri potevano riuscire a contenerli. Era chiaro che facessero corsa su Leitao e Oliveira, perché erano gli unici in grado di incrementare. La caduta è stata una grande botta, ce ne siamo accorti subito.

Che cosa avete visto?

Eravamo il meccanico Giovanni Carini ed io. Quando siamo arrivati, Consonni aveva il pantaloncino girato e uno strappo molto grande. Ma la prima cosa che ho visto era il casco completamente ruotato, tanto che l’ho tirato da dietro e lui subito se l’è rimesso a posto. Quindi sicuramente ha battuto anche la testa, per questo sembrava un po’ rintronato. La testa, la gamba e la spalla. E comunque è risalito su, non ci ha pensato un secondo. Un po’ per la foga, un po’ perché noi lo incitavamo, poi i fischi, il rumore, la gente. Non ha guardato più niente, ha fatto la sua corsa. Ma il grande shock che ha accumulato si è visto appena è arrivato.

Che cosa si è visto?

Appena è sceso giù dalla balaustra si è messo seduto e ha scaricato la tensione, come a Tokyo dopo il quartetto. Sembrava dovesse svenire da un momento all’altro. E così ho fatto le stesse manovre di tre anni prima. Sono intervenuto sulla parte cervicale, dove ci sono dei punti neurologici che di solito si attivano sulle persone che rischiano di perdere i sensi o che effettivamente svengono. Ho cominciato a premere forte e sembrava che si riaccendesse. Poi si è alzato, perché lo chiamavo alle interviste. E’ andato, solo che nei primi 4-5 minuti non sapeva nemmeno dove si trovasse. Era in crisi di zuccheri, perché nella madison è arrivato proprio al limite del limite. Allora gli ho dato un gel, ha bevuto qualcosa, poi si è incamminato verso la tv. E a me a quel punto è caduto l’occhio sul pantaloncino.

Cosa c’era?

Una scheggia del parquet del velodromo, che sarà stata di due centimetri, che usciva fuori dal muscolo. Dritta come uno spillo. Allora sono andato da lui e gli ho detto: «Dai Simo, bevi qualcosa» e gli ho passato una lattina di Fanta. Lui l’ha accettata e mentre la guardava, ho preso la scheggia con le mani e l’ho tirata via. Non l’avessi mai fatto… Ha imprecato, ha sentito come un coltello che invece di entrare, usciva dalla sua gamba. C’era la telecamera e Stefano Rizzato per qualche istante ha abbassato il microfono, chiedendomi cosa fosse successo. E allora gliel’ho fatta vedere e gliel’ho detto: «Avevi una scheggia di legno di due centimetri infilata nella gamba!».

E’ possibile che nel momento in cui si è ritrovato per terra abbia avuto anche un crampo?

Certo. Si è alzato di colpo e sicuramente era già parecchio provato. Il crampo l’ha avuto perché quando ha dato la botta, è rotolato e rialzarsi ha richiesto la massima contrazione muscolare. Un po’ era stanco, un po’ disidratato e di fatto è partito il crampo. Anche dietro la coscia, non dove c’era la ferita, ma tra coscia e polpaccio. Anche il senso di svenimento è connesso a una reazione adrenalinica. Il nervo vago comincia a scaricare, aveva comunque dato una bella botta. Passavano le ore e lui peggiorava, anziché migliorare. Il giorno dopo si è alzato e sembrava un novantenne che camminasse a quattro zampe, perché cominciava a sentire la botta. Aveva più segni addosso l’indomani che dopo la caduta. Ha dormito male tutta la notte, si è goduto male anche la medaglia. Anche la sera che abbiamo fatto il brindisi, era molto dolente.

Come lo hai trattato?

Un lavoro manuale, decontratturante, ma non un vero massaggio. La sera stessa e il giorno dopo. Poi un trattamento osteopatico a livello cranio-sacrale, per allentare un po’ la tensione. Il terzo giorno abbiamo lavorato sulla mobilizzazione: sempre lavoro manuale, ma anche attivo. Qualche piccolo esercizio sul bacino, sulla parte bassa della schiena, per recuperare la mobilità. Dopo due giorni già stava meglio, ma il giorno dopo è stato veramente male.

Finita la madison, Consonni torna alla balaustra. E’ frastornato e dolorante
Finita la madison, Consonni torna alla balaustra. E’ frastornato e dolorante
E’ andato in ospedale? La botta alla testa lo richiedeva?

No, l’ha visto il dottor Angelucci. Non c’erano i sintomi di fratture, per cui il dottore ci ha detto di trattarlo. La cosa in più che abbiamo fatto sono state delle medicazioni con il Duoderma, perché c’erano anche delle belle abrasioni. Abbiamo anche ripulito la ferita con delle pinzette. Per il colpo alla testa, il dottore l’ha valutato. Ha fatto anche dei test di risposta neurovisiva e neurobiologica, ma non c’era nulla di particolare. Però ci ha raccomandato di osservarlo e segnalare se avessimo visto qualcosa di particolare. Ma Simone non aveva lo stimolo di vomitare, non aveva giramenti di testa improvvisi o mancamenti. Per cui abbiamo proseguito così.

Quanto è durata la fase… novantenne?

Due giorni, poi ha cominciato rimuoversi degnamente. Ha fatto un po’ di rulli ed è uscito su strada. E devo dire che la sua caduta è stato il solo problema di queste Olimpiadi, a parte i classici problemi del quartetto, che vanno sempre in sofferenza con la schiena perché la partenza con quei rapporti è impressionante. Hanno sempre la solita patologia al fondo della schiena soprattutto a destra dove fanno l’attivazione per la partenza. E poi per il resto tutto bene, ordinaria amministrazione. Null’altro da segnalare.

L’estate full gas di Consonni, ai mondiali dopo l’oro di Parigi

06.10.2024
5 min
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Viene da pensare a quando chiamammo suo fratello Simone pochi giorni dopo l’oro di Tokyo. Eravamo curiosi di sapere come fosse cambiata la sua vita e rimanemmo colpiti dal fatto che il bergamasco avesse resettato tutto. Si era rituffato subito nell’attività su strada, con la maglia della Cofidis che vestiva tre anni fa. Allo stesso modo, quando dall’altra parte del telefono la voce di Chiara Consonni arriva sorridente come sempre, abbiamo la stessa sensazione. La bergamasca è in pista preparando i mondiali di Copenhagen che inizieranno il 16 ottobre.

Fratelli Consonni, tre medaglie in due. Qui Chiara con il suo oro. L’indomani arriverà l’argento di Simone nella madison
Fratelli Consonni, tre medaglie in due. Qui Chiara con il suo oro. L’indomani arriverà l’argento di Simone nella madison

Un mazzo di fiori

Il 9 agosto sul far della sera, Chiara Consonni è diventata campionessa olimpica della madison assieme a Vittoria Guazzini. Il racconto della toscana lo avevamo fatto a caldo e lo abbiamo ripreso pochi giorni fa a Zurigo. Mancava all’appello la bergamasca, alle porte di un cambio di squadra e di una stagione in cui rendere più concreti i suoi sogni di stradista.

«E’ la stessa storia – ride – non è cambiato niente. Ci sono stati un po’ di impegni ufficiali, due mesi full. Ho capito che ci fosse qualcosa di diverso perché sono venuta per due volte a Roma, ma vi giuro che per strada la gente non mi riconosce. E’ stata diversa l’accoglienza in gruppo alla prima gara e quelle dopo. Mi hanno accolto bene e ogni volta che sul palco chiamano il mio nome e dicono che sono campionessa olimpica, un po’ mi fa effetto. Una volta mi hanno anche dato un mazzo di fiori…».

GP d’Isbergues, una settimana dopo Parigi: sul palco Consonni presentata come campionessa olimpica
GP d’Isbergues, una settimana dopo Parigi: sul palco Consonni presentata come campionessa olimpica

Riscattare Parigi

Chiara è un concentrato di allegria e tigna. Passa con identica naturalezza da foto da copertina glamour al ghigno feroce della campionessa in caccia. E quando dice che ai mondiali pista vuole andarci per rifarsi del quartetto di Parigi, bisogna credere che già nella testa il piano ha preso forma. Perché il quarto posto di Parigi è un boccone rimasto indigesto.

«Non sarà la rivincita olimpica – dice – ma vogliamo riscattarci. Ci motiva fare un bel quartetto e personalmente, è bello fare un mondiale da campionessa olimpica. Ci arriviamo un po’ sparpagliati. Facciamo tutte il Simac Ladies Tour, tranne Martina Fidanza e la Vittoria Guazzini che farà con la squadra la Chrono des Nations. Non so ancora invece quali saranno i programmi di Elisa Balsamo. Siamo state al matrimonio, è stato bellissimo. Correrà anche lei in Olanda, ma non so i mondiali».

Incredulità, felicità, stupore, aggiungete pure voi il resto: a Parigi, Consonni conquista l’oro olimpico
Incredulità, felicità, stupore, aggiungete pure voi il resto: a Parigi, Consonni conquista l’oro olimpico

La madison in extremis

Proprio grazie a quella tigna, Parigi ha portato l’oro della madison. Per non andarsene a mani vuote. Senza il senso che la fatica e l’impegno profuso nell’ultimo anno, con un piede su strada e l’altro in pista, fossero caduti nel vuoto.

«Ho saputo tre giorni prima che avrei corso la madison – ricorda Consonni – perché inizialmente non era nei miei programmi, ma in quelli di Elisa Balsamo. Sapevamo però che a causa della sua caduta, sarebbe potuta esserci una sostituzione e per questo avevo cercato di prepararla. Assieme a Vittoria (Guazzini, ndr) ho corso e vinto a Gand ai primi di luglio. E’ vero che lei ultimamente aveva corso sempre insieme a Elisa, ma ricordo che nel 2018 avevamo fatto due o tre Coppe del mondo, cavandocela bene. Non abbiamo problemi di compatibilità come carattere, anche per via del tanto tempo passato insieme. Mentre tecnicamente l’equilibrio è lo stesso. Lei è forte nel passo, io sono veloce».

Giro d’Italia 2024, 2ª tappa a Volta Mantovana: 1ª Consonni, 2ª Kopecky, 3ª Balsamo. Una volata regale
Giro d’Italia 2024, 2ª tappa a Volta Mantovana: 1ª Consonni, 2ª Kopecky, 3ª Balsamo. Una volata regale

Anno nuovo, vita nuova

Il prossimo sarà un anno di maglie e compagne nuove. Si aspetta l’ufficialità, non si entra nei dettagli, ma è un fatto che Chiara Consonni sia sulla porta di un altro cambiamento netto, come quando dalla Valcar-Travel&Service lo scorso anno passò al UAE Team Adq.

«Finora ci ho pensato poco – dice – ho avuto la testa sulle gare e non ho metabolizzato la decisione, che spero sia quella giusta. Spero di trovare un bel gruppo di ragazze e un bello staff, che mi permetta di vivere le corse sempre col sorriso. Sono soddisfatta della mia stagione. Non ho vinto una classica del Nord, ma il terzo posto alla Gand-Wevelgem è un bel risultato. M’è rimasto il rimpianto per la Roubaix, perché ho bucato nel punto sbagliato. Penso che dal prossimo anno, visto l’aumento di distanze e dislivelli, dovrò continuare ad aumentare il lavoro su strada. Ho visto che al Giro soffrivo le tappe più dure, perché lavorando in pista probabilmente mi mancava il fondo. Ma la pista non la abbandono. Perciò adesso testa ai mondiali e poi quest’anno niente Cina, la squadra ha deciso così. Sarà un inverno diverso, in cui avrò tante cose da ricordare, su tutte il fatto di aver potuto condividere l’oro con mio fratello e la mia famiglia. Fra tanti premi di questa estate così fitta, questo è stato sicuramente il più bello».

Il guizzo, il genio, l’istinto e l’oro. Ritorno a Parigi con Guazzini

02.10.2024
6 min
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GOSSAU (Svizzera) – Un colpo di genio. Forse meno dell’attacco con cui Pogacar ha conquistato il mondiale, ma comunque un colpo imprevisto che ha portato all’Italia l’oro olimpico della madison. Roba seria, insomma. Il colpo di genio è l’attacco con cui in la sera del 9 agosto alle porte di Versailles, Vittoria Guazzini ha guadagnato il giro, gettando la base per la vittoria. L’ha fatto con l’istinto e in barba alle raccomandazioni con cui Chiara Consonni le aveva appena raccomandato una tattica meno aggressiva.

La crono di Zurigo è stata per Guazzini uno degli ultimi impegni 2024. Mancano i mondiali pista di Copenhagen
La crono di Zurigo è stata per Guazzini uno degli ultimi impegni 2024. Mancano i mondiali pista di Copenhagen

Tutti stanchi

Perciò, approfittando di un momento di attesa prima della cronometro di Zurigo 2024, abbiamo intercettato Vittoria, cercando di capire come nasca effettivamente un colpo di genio. Da quale combinazione di istinto e calcolo. Soprattutto avendo di fronte una cronoman e un’inseguitrice di valore internazionale, abituata a scandire le sue prestazioni con il ritmo del cronometro. Lei ascolta e sorride, è raro che la “Vitto” non sorrida. E forse questa leggerezza di spirito è stata la molla per l’attacco.

«Sicuramente la madison è una gara diversa dal quartetto e dalle crono – dice – perché lì è tutto un po’ più matematico, numeri, watt. Serve tanta intesa con la compagna e poi un po’ di estro, mettiamola così. Quella di Parigi è stata una gara tirata dall’inizio e già da un po’ mi ero accorta che quasi tutte facessero fatica. Non potevamo essere stanche solo noi. Avevo visto che le altre nazioni avevano fatto tutti gli sprint quindi a un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento. E mi sono detta: “Adesso attacco. E se va male, ricomincio come prima”».

Un attacco improvviso di Guazzini e l’Italia prende il Giro: la madison svolta all’improvviso
Un attacco improvviso di Guazzini e l’Italia prende il Giro: la madison svolta all’improvviso

Una trappola per Chiara

Sembra facile, non lo è affatto. La madison è un girare frenetico e per cogliere l’attimo giusto serve avere le gambe e la capacità di leggere nei movimenti degli avversari. Serve l’istinto del velocista e la rapidità d’esecuzione del chitarrista rock. Vittoria è più quella che improvvisa o quella dei secondi e dei millesimi?

«Dipende – ride – Vittoria si trasforma in base a quello che la gara richiede. Sicuramente in una crono come qui in Svizzera, non so quanta improvvisazione ci sia, soprattutto se il percorso è impegnativo e c’è da spingere. E’ stato bello vivere quelle emozioni a Parigi. Ed è vero che Chiara mi avesse detto di non fare colpi di testa, infatti io non le ho detto niente. Ho pensato: “Vedrai, quando sono lì, il cambio me lo deve dare!”. Però sapevo che aveva la gamba, quindi non l’ho detto solo per non turbarla mentalmente. Non avevo dubbi che ce l’avremmo fatta».

Ultimo cambio, sarà Guazzini a chiudere la madison di Parigi, quando la vittoria diventerà matematica
Ultimo cambio, sarà Guazzini a chiudere la madison di Parigi, quando la vittoria diventerà matematica

Tornare a mani vuote

Alla fine Consonni ha apprezzato, inevitabile che fosse così. Anche lei si era accorta dei movimenti delle altre coppie ed è stata ben contenta alla fine di assecondare il gioco della compagna, che intanto continua il suo racconto.

«Erano tante volate che le altre nazioni continuavano a buttarsi dentro – ricorda – e si era sempre tutti al limite, quindi era da un po’ già che ci pensavo. Dicevo fra me e me: “Sto qui, sto qui, sto qui e quando vedo, parto!”. E quando siamo arrivati che mancava una quarantina di giri, ho ritenuto che fosse il momento giusto e sono andata. Venivamo dal quartetto, una grande delusione per tutti, perché ci speravamo. Sono tanti anni che lavoriamo insieme, inutile dire che ce lo meritassimo perché penso che tutti i quartetti se lo meritassero. Nessuno arriva lì per caso. Però mi sembrava che non ci meritassimo di tornare a casa a mani vuote. Diciamo che quella delusione è stata una motivazione in più per dare tutto».

Fra Balsamo e Consonni

Il fuori programma, oltre l’attacco, è che l’abitudine della madison azzurra negli ultimi anni ha visto Guazzini in coppia con Balsamo più che con Consonni. Il rammarico di Tokyo forse fu proprio aver smontato la coppia che aveva appena vinto i campionati europei della specialità. Ma qui il discorso si innesta sui trascorsi comuni in maglia Valcar e gli anni nella nazionale sin dagli juniores, che hanno fatto di questo gruppo una banda molto affiatata.

«Diciamo che Elisa e Chiara – dice – sono molto veloci rispetto a me, che magari sul passo ho qualcosa in più. Quindi come caratteristiche ci completiamo. E’ vero che forse ho corso più con Elisa, soprattutto nell’ultimo periodo. Però con Chiara c’è una grande intesa sia su che giù dalla bici, quindi poi alla fine non è stato così difficile adattarci. Sono molto diverse anche per il carattere, Chiara è più estroversa. Però poi sulla bici, si tira tutti fuori la giusta cattiveria agonistica.

«Ho capito che avevamo vinto le Olimpiadi quando ho preso l’ultimo cambio. Eravamo lì con le olandesi, mentre le inglesi erano avanti e avrebbero preso gli ultimi dieci punti, ma ne avevano più di dieci di distacco, quindi a quel punto era fatta. Mi sono goduta veramente a pieno gli ultimi giri. Ho capito che avevamo vinto la gara, però da lì a realizzare di aver vinto le Olimpiadi è stato qualcosa di incredibile. Guardavo sugli spalti le ragazze, i ragazzi, i miei genitori che erano lì e pensavo che questa volta l’avevamo combinata grossa».

Olimpiadi di Parigi 2024, 9 agosto: Chiara Consonni e Vittoria Guazzini sono campionesse olimpiche della madison
Olimpiadi di Parigi 2024, 9 agosto: Chiara Consonni e Vittoria Guazzini sono campionesse olimpiche della madison

Ha rivisto la gara una sola volta, almeno finora. «La mattina con Chiara – ammette – perché siamo rientrate in hotel che era mattina. Abbiamo fatto una doccia e poi ci siamo dette: “Dai, guardiamo la gara, che non ci abbiamo capito niente”. Poi è capitato di vedere qualche spezzone che hanno mandato qua e là. Adesso per finire la stagione su pista mancano i mondiali di Copenhagen. Ma non saranno quelli che ci permetteranno di rifarci della delusione del quartetto. Quello potremo farlo solo a Los Angeles, ma è presto parlarne adesso».

Le madison e l’esempio di Viviani: un lavoro che non va sprecato

11.08.2024
5 min
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Le medaglie della pista sono tre e non è detto che la nostra avventura di Parigi 2024 sia finita qui. Aspettando Letizia Paternoster, il commissario tecnico Marco Villa si gode i successi nella madison, per certi versi inattesi, come magari ci si attendeva qualcosina di più dai quartetti, soprattutto quello maschile. Villa inizia con la madison.

«La vittoria di Consonni e Guazzini – dice Marco (in apertura con Viviani dopo la madison di ieri) – ha reso giustizia al settore femminile, che non ha preso la medaglia col quartetto per la sfortuna che ha avuto Elisa Balsamo».

L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
Quindi Elia Viviani e Simone Consonni hanno reso giustizia al settore maschile?

Credo proprio di sì. Elia sta benissimo, nell’omnium non lo avevo mai visto andare così forte. Ha cambiato modo di allenarsi. Ha visto che per correre queste gare vanno usati rapporti più lunghi. Non li avevamo nelle gambe, ma ci abbiamo lavorato, ci ha messo tanto impegno.

Dopo l’omnium c’era un po’ di delusione? 

Siamo andati in albergo la sera con la netta percezione che ci mancasse qualcosa. Nel primo scratch è capitata una cosa che a noi non capita mai, cioè Thomas che prende il giro così facilmente. Oggi (ieri, ndr) ci abbiamo provato anche noi. Addirittura Elia era pronto a provare a prendere il giro già all’inizio, come ha fatto l’Austria. Era una follia, ma dovevamo inventarci qualcosa.

Oltre alla testa, ha avuto le gambe per farlo.

Lui sta bene, lo ripeto. Dopo l’omnium non mi tornavano i conti. Meritava un risultato, che lo ripaga degli sforzi che ha fatto. Ugualmente Simone, è sempre andato vicino al grande risultato. Abbiamo lavorato poco specificatamente, ma ci siamo arrivati bene. Non è una medaglia da outsider.

La caduta ha tolto un oro?

Il Portogallo è rinvenuto forte negli ultimi 30 giri. Non li riconoscevo nei primi 160, hanno fatto un attacco che è durato poco e poi sono tornati indietro. Il ritmo era alto per tutti. Peccato per la caduta. Elia stava cambiando, Simone è caduto e lui è tornato su, facendo altri sei giri, con neozelandesi e portoghesi che attaccavano. Quello sforzo nel finale ci ha penalizzato. Peccato.

Il settore pista è in salute, ormai si può dire.

Il valore assoluto è sempre quello. Si è aggiunto il settore femminile, che ha imparato dal settore maschile. I talenti ci sono. Siamo arrivati qua con una grande esperienza, da campioni olimpici con i maschi e campionesse del mondo due anni fa con le ragazze su questa pista. Il livello è alto, queste medaglie non sono arrivate gratis.

La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
Gli inglesi si chiedono come sia possibile che a ogni edizione l’Italia si presenti con squadre forti.

Noi e gli inglesi abbiamo lo stesso modo di lavorare. Anzi, su alcune cose ci hanno copiato. Nel preparare Londra hanno costruito la Sky per vincere le Olimpiadi. Da lì sono usciti Wiggins, Cavendish, Thomas. Ora hanno Hayter. Il modello prestazionale è rimasto lo stesso. Il loro modo di lavorare è il nostro. Devi prendere quelli forti e quelli forti stanno su strada. Devi quindi trovare il modo di non far perdere loro l’attività su strada, che ti dà lo stipendio. Ma la pista ti dà le medaglie olimpiche.

E il futuro?

Mi piacerebbe avere una squadra di riferimento italiana che trattenga i giovani e gli faccia fare il percorso di Viviani, Ganna, Consonni e Milan. Speriamo che non rimanga nel cassetto. C’è stato un cambio di rotta da Londra. L’ho chiesto alla Federazione. Abbiamo perfezionato il sistema che vedete adesso e abbiamo trovato i campioni. Madre natura ci ha dato campioni. Mamma Consonni addirittura ce ne ha dati due. Da Londra abbiamo fatto sistema e questo è importante.

A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
Elia Viviani chiude un cerchio. 

A Londra eravamo solo io e lui. E lì ha perso un oro. Lo ha perso nel primo scratch, per una caduta. Hansen non era nei 7 che stavano prendendo il giro. Quella caduta lo ha fatto riposare e risalire. Se non fosse caduto, non avrebbe preso quella occasione e poi preso tutti quei punti che gli hanno consentito di battersi fino alla fine.

Un aggettivo per Elia.

Immenso. Incredibile. Si è allenato come un diciottenne. E’ un esempio e per fortuna altri hanno preso esempio da lui. Peccato che non lo prendano ad esempio tanti direttori sportivi o tanti manager. Pensano ancora che mandare i ragazzi in pista sia un handicap.

La rabbia e il sorriso, l’argento e il lieto fine, Viviani e Consonni

10.08.2024
6 min
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Quando si accascia a terra, è quello di Londra. Solo. «E’ arrabbiato», rivela la moglie Elena Cecchini. Voleva vincere. Quando si rialza, è quello di Tokyo. Fiero come un portabandiera, commosso perché i grandi non devono nascondere la loro sensibilità. Si mostrano per quelli che sono. E lui è ancora quello di Rio, un campione assoluto. L’Elia Viviani di Parigi scrive l’ultima pagina di una carriera olimpica speciale.

Tre metalli, lo stesso Elia

C’è tutto Elia, in tutti e tre i metalli che da oggi ha a casa. Ragazzo d’oro, lo conferma chiunque lo frequenti. Capelli che prima o poi saranno d’argento, il maledetto tempo passa anche per lui. Faccia di bronzo in pista, quando serve. Quando, ad esempio, c’è da cogliere il momento per prendere un giro al gruppo nella madison. Ha sempre avuto un’intelligenza superiore alla media, l’ha dimostrato anche ieri, nel momento chiave. Quando ha capito che si poteva prendere quel vantaggio che ha consentito di raggiungere il podio a lui e a Consonni.

Chissà come sarebbe andata senza quel cambio sbagliato prima dell’ultimo sprint che ha portato alla caduta di Simone.

«Il Portogallo ha vinto di 7 punti – analizza lui – con la volata saltata potevamo prenderne 5, non s’è perso l’oro per quello».

«Ci ha scombussolato i piani nel finale, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte», ribatte Consonni. Che si prende la seconda medaglia, la terza in una ideale cameretta con la sorella Chiara in cui magari già da piccoli sognavano le Olimpiadi.

Tanti lavori di qualità

Quello di Londra è il Viviani che è arrivato qui. Quello che «si è allenato come un diciottenne», come racconta il Ct Marco Villa. E lui conferma. «Abbiamo fatto tantissimi lavori di qualità». Come se dovesse affrontare la prima Olimpiade. «Dovevamo alzare i watt, trovare rapporti più duri. Non ho lavorato più neanche col quartetto».

Poi però nell’omnium qualcosa non è andato nel verso giusto. Come a Londra, appunto. «Ci sono rimasto male, perché avevo lavorato tanto. Ho trovato avversari fortissimi, ma qualcosa non ha funzionato. La madison è una gara che non abbiamo preparato, ma che sappiamo correre. Ce lo hanno dimostrato anche le ragazze. Vederle da fuori ci ha aiutato. Serviva coraggio, l’abbiamo trovato, a costo di saltar per aria nel finale. Invece è andata bene, è stato bello, con un pizzico di follia». Come quando si è giovani, appunto.

Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa
Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa

L’ultima gara di un campione

Elia però è anche quello di Rio. Un esempio, come deve essere un portabandiera. «Ho corso con la testa, con il cuore e con le gambe di Elia», racconta Simone Consonni, che in testa aveva proprio il casco del suo compagno di squadra. «Perché ne avevo provati altri, ma era andata male». Il suo è un argento che «vale tanto, perché è la seconda medaglia». Per la sorella Chiara, che «mi ha detto che mi vuole bene e non ce lo diciamo spesso. E’ la cosa più bella».

Vale «per tutta la nostra squadra. Se anche i quartetti non sono andati come si sperava, siamo lo stesso una squadra forte». Con un leader vero. «Quando parti e sai che partecipi all’ultima gara di un campione che ha fatto la storia, sai che devi essere perfetto. E sono molto contento di essere stato sul podio con lui. E di aver messo in pista tutto quello che mi ha trasmesso lui in questi anni».

Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità
Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità

Il valore dell’argento

Elia è quello di Tokyo. Quello che sa cogliere il valore di una medaglia anche se non è del metallo più prezioso.

«In Giappone esultai di più – dice – perché me l’ero guadagnato con le unghie e con i denti. Qui l’oro era vicinissimo e anche per questo ho pianto. Per la rabbia. Ma poi analizzo tutto e so bene che è un argento guadagnato e importantissimo. Volevo chiudere la mia esperienza olimpica con una medaglia e ce l’ho».

Viviani con Amadio, team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas. Dietro il fratello Attilio
Viviani con Amadio, ora team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas

Con gli occhi di Elena

Quello di Parigi è l’Elia ormai sposato, che si fa guardare anche con gli occhi della moglie. «La medaglia era il suo obiettivo e l’ha raggiunto. E’ un campione. Siamo stati molto lontani in questi mesi, ora non vedo l’ora di passare del tempo con lui».

Il tempo dice che questa è l’ultima Olimpiade. Elia sarà alla cerimonia di chiusura, come è stato in quella di apertura. «Abbiamo chiuso un cerchio. Olimpico. Avrei firmato per una medaglia. Analizzando le cose, però, noi abbiamo preso un giro di astuzia, i portoghesi lo hanno fatto nel momento in cui è esplosa la corsa. E’ un segnale di gambe. Erano i più forti, probabilmente non potevamo farci niente. Mancava l’argento, lo mettiamo in collezione. E chiudiamo questa storia con il lieto fine».

Se ne va sorridendo. E lascia un dubbio. Forse Elia non è né quello di Londra, né quello di Rio, né quello di Tokyo, né quello di Parigi. E’ semplicemente quello di sempre. Una stella. E nella notte di San Lorenzo, a Parigi le stelle non cadono. Salgono sul podio.

EDITORIALE / I danesi a Parigi portano Morkov su strada. E noi?

15.04.2024
4 min
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Sarà un puzzle difficile da comporre. Con quale criterio saranno fatte le scelte dei corridori per le Olimpiadi, alla luce delle cervellotiche regole imposte dal CIO e recepite senza neanche un fiato dall’UCI? Mentre la nazionale della pista è di rientro dal Canada, una news rilasciata non troppi giorni fa dalla Danimarca a proposito di Morkov offre lo spunto per una riflessione.

La squadra danese, che ha chiuso il ranking 2023 al secondo posto alle spalle del Belgio, correrà su strada con quattro uomini. E siccome in pista anche loro puntano forte sul quartetto, si sono inventati uno stratagemma per consentire a Michael Morkov di difendere la sua medaglia d’oro della madison. La Danimarca ha infatti già dato le convocazioni per tre dei quattro stradisti, puntando su Mads Pedersen, Mathias Skjelmose e appunto Morkov. Il quarto nome verrà fuori ai primi di giugno dalle ultime corse utili.

«La selezione di Michael – ha spiegato a Cyclingnews il tecnico danese Anders Lund – si basa sulla considerazione delle ambizioni complessive della Danimarca per la medaglia olimpica in tutte le discipline del ciclismo. Ma detto questo, Michael ha anche delle ottime capacità su strada, di cui trarremo beneficio a Parigi. Negli ultimi tre campionati del mondo su strada, Michael ha svolto un lavoro di supporto esemplare per la squadra nazionale. La sua grande esperienza e la capacità unica di guidare il suo capitano attraverso una lunga corsa su strada saranno senza dubbio preziose per le possibilità di Mads Pedersen di vincere la medaglia che sogniamo».

Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni
Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni

Morkov e la madison

La Danimarca, come pure l’Italia, su pista affida delle grandi speranze al suo quartetto e questo fa sì che nelle scelte dei tecnici della pista ci sia stato un certo sbilanciamento verso il gruppo degli inseguitori. E Morkov, che pure ha fatto parte di quartetti vincenti in Coppa del mondo e nella specialità ha conquistato l’argento a Pechino 2008, probabilmente non dà le garanzie necessarie per puntare all’oro, neppure come riserva. Di conseguenza, non potendo essere selezionato per una sola disciplina (la madison di cui è campione olimpico assieme a Lasse Norman Hansen), si è ritenuto di portarlo anche su strada. Il suo avvicinamento alle Olimpiadi passerà per il Tour de France, dove scorterà Cavendish nel tentativo di battere il record di tappe detenuto da Merckx.

«Michael – ha detto ancora Lund – vuole difendere la sua medaglia d’oro nella madison. Tuttavia, possiamo selezionare solo quattro corridori per tutti gli eventi di ciclismo su pista, ovvero inseguimento a squadre, madison e omnium. Fortunatamente, i Paesi possono anche “prendere in prestito” corridori da altre discipline, quindi se Morkov viene selezionato come ciclista su strada, potrà competere in entrambe le discipline. In questo modo possiamo convocare un corridore in più in pista, in modo che i nostri corridori rimangano abbastanza freschi per completare tutti gli eventi».

Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto
Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto

La strada azzurra

La scelta danese apre uno spiraglio anche per le altre Nazioni? In che modo saranno distribuite le quote azzurre? A quanto si è saputo, uno stradista azzurro potrebbe essere chiamato a correre anche la crono, per affiancare Ganna che farà il quartetto e la prova contro il tempo. Sappiamo che Milan correrà soltanto su pista e non su strada, ma non potrebbe essere lui il secondo cronoman? Si è discusso e si continuerà a farlo dell’impiego di Elisa Balsamo anche su strada. I tecnici hanno davanti a sé ancora due mesi e mezzo per comporre il puzzle perfetto, sapendo che l‘Italia maschile correrà su strada con soli tre uomini (quattro invece le donne), a causa del ranking per nazioni che a fine 2023 ci ha visto in ottava posizione.

La pista è il settore che probabilmente dà le maggiori garanzia di medaglia con gli uomini e con le donne, al pari della cronometro individuale maschile. Stando così le cose, è immaginabile che fra i tre della strada approdi un pistard, che però non sia un inseguitore, consentendo a Villa di chiamare un uomo in più? E se così sarà, visti i risultati azzurri nelle grandi classiche, con quale potenziale arriveremo alla sfida di Parigi su strada? Come detto, sarà un puzzle difficile da comporre. Almeno su questo non ci sono dubbi.

100KM madison, a Copenaghen una sfida d’altri tempi

21.12.2023
5 min
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A Copenaghen lo chiamano l’appuntamento di Capodanno, è la 100KM Madison del 28 dicembre prossimo. Una prova pressoché unica, quanto affascinante. Cento chilometri in pista. Sembra un’assurdità, una follia… Adriano Baffi nella sua lunga carriera su pista ne ha fatte decine. «Dunque ho fatto 16 Sei Giorni di Zurigo, quindi come come minimo ne ho messe nel sacco 32…».

In basso Adriano Baffi (classe 1962). Il cremasco ha corso fino al 2001. La pista era la sua seconda casa
In basso Adriano Baffi (classe 1962). Il cremasco ha corso fino al 2001. La pista era la sua seconda casa

Evento unico

L’ex stradista e pistard, ora uno dei direttori sportivi della Lidl-Trek, ci guida nella scoperta di questa particolare prova su pista. Sede dell’evento, la Ballerup Super Arena, anello da 250 metri.

«Di certo – dice Baffi – è un evento un po’ anacronistico. Oggi siamo in un momento in cui tempi e distanze delle gare si stanno riducendo sempre più. In carriera ne ho fatte molte di 100KM, ma perché una volta si facevano nell’ambito delle Sei Giorni. E si facevano soprattutto nella seconda parte della settimana». 

A Gand, Sercu ci spiegava come oggi le gare siano tutte più brevi, ma la richiesta delle madison, o americane resta sempre forte. Solo che una 100KM non è facile da inserire nel programma ristretto e “schizofrenico” di una kermesse come la Sei Giorni. «Di 100Km ne ho fatte molte a Zurigo e spesso erano anche ad handicap». Insomma corse vere.

Ma quel che più ci ha incuriosito di questo format sono la preparazione e la gestione. Come ci si alimenta? Come si beve? Non è così scontato. Specie nel ciclismo di oggi che dà, giustamente, molta attenzione a questo aspetto strettamente legato alla prestazione.

«La gestione parte dalla scelta del rapporto – spiega Baffi con passione – dato che sei in pista, dunque hai il rapporto fisso, non puoi cambiare. Solitamente perciò si tende ad utilizzare un dente più leggero rispetto a quello che sceglieresti in una madison normale. Questo ti consente di durare più a lungo. Ma è in una 100KM che davvero emerge il più forte. E il più forte in una madison non è solo chi ha più gamba. Servono occhio e concentrazione fino alla fine. E non facile».

Il velodromo Ballerup Super Arena misura 250 metri. In gara 16 coppie, sia tra le donne che tra gli uomini
Il velodromo Ballerup Super Arena misura 250 metri. In gara 16 coppie, sia tra le donne che tra gli uomini

Dal biberon alle malto

Baffi parla poi dell’alimentazione. Lui è figlio dei suoi tempi e quasi “sminuisce” questo aspetto. Fa capire che ai suoi tempi ci si organizzava prima e che tutto sommato una gara così dura un paio d’ore, non moltissimo.

«Si sfrutta il supporto che si ha a bordo pista. Una volta c’era il biberon – dice Baffi – sì, avete capito bene, quello per dare il latte ai bambini. L’acqua non può stare dentro le borracce o nei bicchieri. Assolutamente non deve cadere sulla pista. Si prende quel sorso durante il “riposo”, cioè mentre si aspetta il cambio dal compagno. Oggi, che invece si usa l’alimentazione liquida tutto è un po’ più pratico. Con le malto bevi e mangi al tempo stesso».

E’ chiaro che un evento così unico e raro non possa prevedere una preparazione specifica. Semmai servono più delle attitudini. Baffi spiega come un pistard che fa velocità, non potrebbe mai fare una 100KM. E neanche una madison standard di un’ora o di 40′ come spesso durano oggi

«I candidati alla vittoria calano di molto. Se in una madison di un’ora possono esserci 10 pretendenti, in una 100KM ce ne sono cinque. Devi essere abituato a stare due ore su una bici da pista con rapporto fisso.

«Quindi a stare sempre in pressione con spalle, braccia, collo… qualcosa che si sviluppa con le ore di allenamento nel suo insieme. Però non è che senti quella stanchezza che ti fa crollare o ti fa male il braccio del cambio: c’è l’adrenalina della gara che ti sostiene. Almeno per me era così».

«Una delle Sei Giorni più belle e che aveva la 100KM madison era quella di Zurigo, come accennavo. Il velodromo era sempre pieno ed era una vera festa. Io venivo dalla strada e quando sapevo che c’erano da fare 400 giri non mi scomponevo, mentre altri pistard, più specialisti, prendevano un po’ di paura. C’era quel senso di avventura, si aveva la consapevolezza di fare qualcosa di diverso dal dal solito».

Qui, Scartezzini e Viviani in azzurro. Entrambi sono annunciati a Copenaghen. «Sto meglio che a Gand», ha detto “Scarte”
Qui, Scartezzini e Viviani in azzurro. Entrambi sono annunciati a Copenaghen

Italiani a Copenaghen

Nella 100KM madison di Copenaghen vedremo anche un po’ d’Italia. Ci sarà Michele Scartezzini, che correrà in coppia con il danese Matias Malmberg. E forse ci saranno anche Simone Consonni ed Elia Viviani, i quali dovrebbero correre insieme. E anche tra le donne sono annunciate Silvia Zanardi, in coppia con Karolina Karasiewicz, e Francesca Selva, in coppia con Amalie Winther Olsen.

«Qualche giorno fa – dice Baffi – abbiamo parlato con Marco Villa sul discorso dell’utilità di fare queste gare. Comunque danno qualcosa, sono un allenamento. In questo caso poi si va a correre in Danimarca, dove l’attività su pista è rinomata e fatta in un certo modo. E’ uno show diverso per la gente che sicuramente sarà presente in massa».

Per dare un’idea, i biglietti partono da 220 corone danesi, cioè 29,5 euro, e arrivano fino a 5.210 corone, cioè 699 euro. 

Wiggins, l’oro e l’eredità. La confessione del figlio d’arte

09.09.2023
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Dire che le medaglie e i titoli sono la miglior medicina per sciogliere la tensione di un ciclista può sembrare cosa scontata, ma basterebbe avere vissuto l’ultimo mese sull’ottovolante di Ben Wiggins per capire che cosa significa, soprattutto quando sulle spalle ti porti un peso come quel cognome. Dopo l’oro conquistato nella madison ai mondiali juniores, tutto è sembrato più leggero, tanto che si è sentito libero di aprirsi di più.

Appena tornato dalla Colombia, Wiggins ha rilasciato un’intervista a Global Cycling Network nella quale emerge molto del carattere del 18enne figlio dell’ex vincitore del Tour de France. Anche perché quell’oro conquistato con il neodetentore del record del mondo dell’inseguimento, Matthew Brennan, lo associa fortemente al ricordo di quanto fece Bradley, iridato due volte nella specialità insieme a Cavendish.

Per il britannico un bellissimo argento a cronometro a Glasgow, a 25″ dall’australiano Chamberlain
Per il britannico un bellissimo argento a cronometro a Glasgow, a 25″ dall’australiano Chamberlain

Un oro contro la depressione

«Era un mio sogno da sempre – ha esordito il giovane Wiggins – non riesco quasi a descrivere quello che ha rappresentato per me, mi sembrava di vivere in un’atmosfera surreale. Avevo chiuso 8° l’omnium e 4° nell’individuale a punti dove avevo mancato l’ultimo sprint vedendo sfumare la medaglia. Ero molto depresso, mi sembrava che tutto quel che avevo fatto non aveva avuto alcun senso».

Si parlava all’inizio di un “ottovolante” e il britannico spiega bene che cosa si intende: «E’ stato molto difficile rimanere sul pezzo, finire la crono di Glasgow al secondo posto e il giorno dopo già lavorare in funzione di Cali. La sequenza di eventi mi ha un po’ frastornato, era dura restare concentrati. Diciamo che l’oro nella madison ha salvato il mio mondiale e svoltato in positivo tutta la mia stagione.

«Se guardo all’indietro, a quello che mi prefiggevo a inizio anno, posso dire di aver centrato tutti gli obiettivi salvo la Roubaix, ma quello è un terno al lotto, fallire devi metterlo in conto… Volevo vincere una corsa a tappe e l’ho fatto (il Trophée Centre Morbihan, ndr), volevo una medaglia su strada e l’ho presa, volevo diventare campione del mondo su pista e ci sono riuscito. Sono contento per questo e perché mi sento ora molto più ciclista di quanto ho iniziato da junior».

Bradley Wiggins ha appena vinto il Tour 2012, il piccolo Ben lo segue sulla sua bici (foto Getty Images)
Una foto d’epoca, Bradley Wiggins ha appena vinto il Tour 2012, il piccolo Ben lo segue sulla sua bici (foto Getty Images)

L’approdo all’Hagens Berman Axeon

In questo suo cammino, Ben Wiggins ha trovato vari mentori: «Giles Pidcock innanzitutto, che ha avuto un ruolo importante, ma anche il mio allenatore Stuart Blunt che ha seguito tutta la mia crescita negli ultimi due anni al Fensham Howes-Mas Design, il mio team. Ora però è tempo di cambiare».

Ben il prossimo anno correrà con l’Hagens Berman Axeon di Axel Merckx. Una scelta sull’onda di altri giovani di grande avvenire come Herzog e Morgado, ma nel suo caso, considerando anche le offerte arrivategli da svariati team Devo del WorldTour, un po’ stupisce.

«Per me correre su strada e su pista è una priorità – ha ammonito Wiggins con parole che dovrebbero risuonare nella mente a tanti ragazzi, ma soprattutto a tanti diesse italiani – con Axel parlo da oltre un anno, ma crescendo la cosa è diventata più seria. Loro hanno avuto dozzine di corridori approdati nel WorldTour, per me è il miglior team di sviluppo, ma poi è contato il suo background».

Ben Wiggins con il padre nei box di Glasgow. Bradley si tiene lontano dall’attività del figlio, non vuole influenzarlo
Ben Wiggins con il padre nei box di Glasgow. Bradley si tiene lontano dall’attività del figlio, non vuole influenzarlo

Il peso di un cognome

E’ qui che Wiggins riserva alcuni concetti per certi versi sorprendenti, che risuonano come una sua totale messa a nudo: «Con il padre che aveva, ha vissuto tutte le pressioni che vivo io, ma amplificate perché suo padre era “the greatest”. Chi meglio di lui può guidarmi? Non volevo un team Devo, non volevo entrare in una squadra come un semplice ingranaggio, cambiando tutto nella mia vita, andando a vivere chissà dove. L’Axeon è più flessibile, è il team giusto per me».

E’ chiaro che a questo punto il tema del rapporto con il padre Bradley emerge in maniera prepotente: «Il nome è qualcosa di difficile da portare addosso quando tuo padre ha vinto tutto quello che ha vinto il mio – ammette Wiggins – so che cambiando categoria, l’anno prossimo si tornerà al punto di partenza, a nuove sfide, a nuovi raffronti. Mio padre è molto esplicito nel volerne stare fuori, la gente mi chiede che consigli mi dà, ma la verità è che non lo fa e per questo gli sono grato. So che è orgoglioso di me e questo mi basta. Io voglio farmi un nome con le mie forze, magari un giorno non diranno che sono il “figlio di”, ma diranno che lui è il padre di…».

Il podio della madison agli europei juniores 2023. Wiggins e Brennan sono d’argento, si rifaranno a Cali
Il podio della madison agli europei juniores 2023. Wiggins e Brennan sono d’argento, si rifaranno a Cali

Alla Ineos da vincitore

Ben Wiggins ha le idee chiare sul prossimo anno: «Ammetto che mi piacerebbe se già alla fine della prima stagione da U23 arrivasse una chiamata da un team WT, ma altrimenti un altro anno non potrebbe che farmi bene. So che sta tutto a me, a quel che farò per meritarlo. Io ho segnato nella mia agenda il Giro Next Gen e il Tour of Britain come cardini del nuovo anno, solo questi perché non voglio mettermi troppa pressione addosso».

Giustamente il collega della testata britannica ha chiesto alla fine perché Ben non ha scelto di passare direttamente dalla Ineos, seguendo le orme del padre: «Per ogni ciclista britannico Ineos è qualcosa di particolare, quasi una nazionale – ha risposto Wiggins – anche per me vista l’esperienza di mio padre, ma molto è cambiato da allora. Io vivevo nell’autobus della Sky da ragazzino, nessuno più di me conosce quell’ambiente. A me però interessa un team dove possa farmi un nome. Se andrò alla Ineos lo farò da vincitore, non come uno qualsiasi. D’altronde Axeon ha un legame anche con Jayco AlUla, dove il diesse è Matt White che lo era anche per mio padre. Staremo a vedere».