Rivera correva anche a Natale per tornare in Europa

03.01.2023
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C’è chi il Natale lo ha passato a tavola, circondato dai parenti e dagli affetti più cari. Poi c’è Kevin Rivera che il 25 dicembre si trovava in gruppo e al posto delle posate aveva in mano il manubrio della bici. Il giovane corridore era alla Vuelta Ciclista a Costa Rica, la corsa di casa, conclusa in quinta posizione nella classifica generale. 

«A Natale abbiamo corso l’ultima tappa – Rivera risponde da casa sua a Cartago – è andata bene. Mi sono sentito via via sempre meglio, sia nella condizione che nel morale».

Kevin Rivera, a destra: Natale alla Vuelta Ciclista a Costa Rica (foto Vuelta a Costa Rica)
Kevin Rivera, a destra: Natale alla Vuelta Ciclista a Costa Rica (foto Vuelta a Costa Rica)
Da quanto tempo sei tornato a casa, in Costa Rica?

Sono qui da molti mesi, non ci ero quasi più abituato – ride in maniera contagiosa – da molto tempo a questa parte il massimo periodo che ho trascorso a casa era stato un mese. 

Sei riuscito a fare qualche gara oltre a questa?

Sì. A giugno ho corso i campionati nazionali, poi il Tour de Panama e la Vuelta a San Carlos. Sono contento, mi mancava correre con continuità, da quando la Gazprom ha chiuso ho sempre cercato di tenermi allenato e di dare il massimo. 

Ti manca l’Europa?

Molto, l’Italia la considero la mia seconda casa. Non posso nascondere che il mio obiettivo è quello di tornare in Europa a correre. Lì il livello è altissimo e voglio tornare a confrontarmi con i grandi. 

Rivera, a destra in maglia blu, si è messo alla prova su salite lunghe ed interminabili (foto Ernesto Chacon)
Rivera, a destra in maglia blu, si è messo alla prova su salite lunghe ed interminabili (foto Ernesto Chacon)
Com’è il modo di correre che c’è in Sud America?

Davvero molto, molto differente. Non ci ero più abituato, non correvo qui da quando ero junior. E’ stato come se mi mancasse la testa per correre su queste strade. Le gare sono molto frenetiche, non c’è il controllo che si ha in Europa, questo perché mancano le squadre forti che tengono la corsa in mano. 

Queste sono corse più brutali?

Urca! Capita che va via una fuga di tre o quattro corridori e uno potrebbe pensare: “Adesso ci mettiamo a controllare e recuperiamo”. Invece no! A 80 chilometri dall’arrivo ci si inizia a scattare in faccia. Devi essere sempre pronto e stare con gli occhi aperti, è una “locura”. Una follia!

I percorsi come sono?

Un continuo su e giù, per tutto il giorno. Non esiste pianura. E’ molto allenante, la cosa che mi ha fatto più piacere è che sono riuscito a vincere una tappa in salita al Tour de Panama e alla Vuelta a Costa Rica. Vincere è sempre bello, andare alle corse e passare per primo sotto il traguardo mi mancava.

Rivera è arrivato in Europa all’Androni nel 2017. Vi è rimasto fino al 2020. Nel 2021 è passato con la Bardiani
Rivera è arrivato in Europa all’Androni nel 2017. Vi è rimasto fino al 2020. Nel 2021 è passato con la Bardiani
E le salite?

Sono simili alle classiche colombiane – riprende a raccontare con un’altra risata – belle toste. E poi, la cosa ancora più complicata è che ti trovi spesso sopra i duemila metri. Alla Vuelta a Costa Rica, nella tappa con arrivo a Perez Zeledon, abbiamo scalato il Cerro de la Muerte: 23 chilometri con la vetta a 3.324 metri. Prima si erano fatte altre due salite, in totale nella tappa abbiamo fatto più di quaranta chilometri di salita. 

Completamente diverso dall’Europa…

Da voi si possono trovare tante salite, ma difficilmente si sale tanto in alto. Quello che crea molta differenza è la pianura, cosa che in Sud America non c’è. La più grande difficoltà in Europa l’ho avuta in pianura. Si andava a sessanta all’ora ed arrivavo finito prima della salita. Per farvi un esempio: l’organizzazione della Vuelta a Costa Rica segnalava le prime tre tappe come pianeggianti: io di pianura non ne ho vista. 

Ora però dal tuo primo arrivo in Europa sono passati sei anni.

Quando ero venuto da voi la prima volta ero un bambino di 18 anni, ora ne ho 24. Ho incontrato tanti corridori forti dai quali ho imparato: Masnada, Visconti, Bernal. Per questo voglio tornare a correre in Europa, ho avuto tanti momenti difficili, ma ora sono maturato ed ho molta voglia di crescere e vincere. 

Nel 2022 doveva ripartire con la Gazprom alla ricerca di una riscatto ma la chiusura della squadra ha scombussolato i suoi piani
Nel 2022 doveva ripartire con la Gazprom alla ricerca di una riscatto
Cosa ti piacerebbe fare: una classifica generale o cacciatore di tappe?

Mi piace andare forte in salita, cercare di fare la differenza nelle tappe quelle dure. Sono migliorato tanto in pianura negli ultimi anni e questo può essere quel gradino che mi mancava per cercare di fare classifica. Per questo voglio tornare in Europa, ho un conto in sospeso e voglio crescere ancora, perché posso migliorare sempre. 

Squadra cercasi

Rivera, scalatore puro di 165 centimetri per 56 chili, è ancora alla ricerca di una squadra per il 2023. Il suo nome, come ci ha detto lui stesso, era stato accostato ad alcune squadre, anche WorldTour. Il tutto però si è concluso in un nulla di fatto.

«In estate – conferma Paolo Alberati suo procuratore – eravamo vicini a firmare con la AG2R Citroen, i francesi avevano chiesto tutti i test ed i dati di Kevin ma poi la trattativa si è arenata. Si era interessata a lui anche la BH Burgos ma anche lì la cosa è naufragata. La speranza è di trovare squadra verso febbraio quando si può trovare qualche spazio in più nelle varie formazioni. Rivera è un profilo interessante e con dei valori notevoli ed un corridore così può fare davvero comodo, soprattutto in squadre che cercano un cacciatore di tappe che può resistere con i migliori in salita».

Ecco un altro superstite Gazprom: Rivera pronto a ripartire

14.07.2022
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Abbiamo raccontato spesso dei corridori della Gazprom-RusVelo, di quelli che hanno trovato squadra e di quelli che non ci sono riusciti. A questa seconda schiera appartiene anche Kevin Rivera (in apertura foto @yasdvni). Appena arrivato era già uno dei pupilli dei tecnici, che su di lui puntavano molto.

Forse qualcosa potrebbe cambiare a breve per il talentuoso scalatore costaricano, che proprio in questi giorni si trova nella sua bellissima terra in Centro America.

Rivera (classe 1998) era approdato quest’anno alla Gazprom-RusVelo
Rivera (classe 1998) era approdato quest’anno alla Gazprom-RusVelo

WorldTour in vista

«La situazione – racconta uno dei suoi manager, Paolo Alberati – non è delle migliori, visto il caso Gazprom. Tuttavia proprio un paio di giorni fa, tramite Maurizio Fondriest (l’altro procuratore di Rivera, ndr) che è al Tour ci è arrivata una proposta di una squadra WorldTour che è in cerca di uno scalatore. Un posto ce lo hanno».

Qualcosa si muove dunque. Rivera non ha contratto e quindi può essere preso. «In questo momento Kevin ha una tessera da dilettante rilasciatagli dalla sua Federazione, pertanto può essere tesserato. Se tutto va bene già dal 1° agosto, sfruttando la possibilità di fare lo stagista. Non abbiamo mollato! E per noi non sarebbe male dopo Conci sistemare l’altro dei nostri che era in Gazprom».

Nei primi test di Rivera in Costarica nel 2017, Alberati credeva che il macchinario fosse sballato tanto erano elevati i valori
Nei primi test di Rivera in Costarica nel 2017, Alberati credeva che il macchinario fosse sballato tanto erano elevati i valori

Sempre sul pezzo

Neanche Rivera però ha mollato. In Costa Rica, si è allenato, ha preso parte a delle gare e persino ai due campionati nazionali, quello a crono e quello su strada.

«Aveva vinto una corsa qualche giorno prima del campionato nazionale – riprende Alberati – una corsa che arrivava in salita a 3.200 metri su uno dei vulcani centrali. Mentre la gara per il titolo che si svolgeva verso Nord, verso il Nicaragua era ben più piatta e veloce. E’ arrivato con il drappello dei migliori, ma nulla di più».

Non sono certo le volate il pane di Rivera. Lui è uno scalatore puro. E tra l’altro uno dei più forti a sentire Alberati e anche altri che lo hanno avuto sottomano.

«Sapete – riprende Alberati che è anche un coach – un Vo2Mx di 95 e passa non capita sempre. Ma quando ci dicevano questi dati dal Costa Rica li prendevamo con le molle. Se poi glielo misuro io ed è 95. Glielo misura Bartoli ed è 95 allora vuol dire che è quello per davvero. E’ fuori dal normale.

«Poi si sa, non contano solo i test. Il corridore è un’altra cosa. Rivera si allena bene. E lo fa volentieri. Seguiva le tabelle alla lettera sia quando lo seguivo io, sia quando lo seguivano i tecnici del team russo.

«Uno scalatore di 55 chili alla fine di una tappa dura di 5-6 ore ci deve arrivare. E prendere le salite più fresco. Ma sta migliorando».

Il costaricano si è sposato qualche mese fa con Cecilia (foto Instagram- @fabiancastellon777)
Il costaricano si è sposato qualche mese fa con Cecilia (foto Instagram- @fabiancastellon777)

Più maturo

Così come sta migliorando dal punto di vista umano. Rivera era passato giovanissimo, 18 anni. Veniva da una famiglia estremamente povera, a casa sua non c’era l’elettricità, e il suo titolo di studio corrispondeva alla nostra terza elementare.

Va da sé che per stare al mondo di oggi, per viaggiare, per frequentare ambienti competitivi e internazionali serviva un salto di qualità. E per Kevin è stato doppiamente duro adattarsi.

Al terzo anno ha vissuto anche un momento di crisi. Perché va bene i primi soldi, che seppur pochi erano comunque tanti vista la sua situazione di provenienza, ma un po’ di nostalgia della famiglia e qualche acciacco fisico lo aveva buttato un po’ giù.

«In questi cinque anni da pro’ però Kevin ha colmato questo gap culturale – dice Alberati – adesso ci fai i discorsi da adulto. Prima ci facevi discorsi da bambino. Ora parla inglese. Si è sposato. Maurizio ed io ci abbiamo lavorato tanto e questa sua crescita si riscontra in tutto».

Dopo quattro stagioni all’Androni è passato alla Bardiani e alla Gazprom. Dovrebbe finire in un team francese (o in alternativa spagnolo)
Androni, poi Bardiani e Gazprom. Ora dovrebbe finire in un team francese (o in alternativa spagnolo)

Pronto il piano B

Rivera aveva preso la residenza a San Marino. Nonostante il fattaccio Gazprom-RusVelo, pensando (e sperando) in un ritorno a breve, non l’ha mollata. E a livello fiscale non ci ha guadagnato nulla, essendo rimasto senza squadra in questi mesi. Anzi… 

Il suo ottimismo sembra aver avuto ragione. Se infatti non dovesse concretizzarsi l’ipotesi WorldTour c’è pronta una seconda possibilità.

«Abbiamo instaurato anche dei rapporti con una professional spagnola – ci confida Alberati – ma chiaramente se si fa avanti una WorldTour, questa passa in primo piano. Alla fine la Spagna con il suo ambiente latino è sempre una buona sistemazione per i sudamericani. Senza contare che ci sono voli diretti e anche sotto il periodo del Covid tutto era più facile e lo stesso vale per i documenti». 

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A tutto Konyshev: Rivera, i giovani della Gazprom e quelli russi

31.12.2021
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Procedono a tutta velocità i lavori alla Gazprom-Rusvelo. Il team russo, anche esso come l’Astana costituito da una forte matrice italiana, vede la presenza tra i suoi diesse di Dmitri Konyshev. L’ex grande professionista è uomo di ciclismo a tutto tondo. 

Con lui puoi parlare di tutto in merito alle due ruote a pedali. Stavolta ci siamo focalizzati soprattutto sui giovani. Quelli del suo team e, più in generale, su quelli della sua Patria.

Dmitri Konyshev (classe 1966) è oggi un diesse della Gazprom-Rusvelo
Dmitri Konyshev (classe 1966) è oggi un diesse della Gazprom-Rusvelo
In Gazprom avete un bel gruppo di giovani, Dmitri…

Vero, però i nuovi giovani del nostro team li ho visti ancora poco: tre settimane, durante il ritiro in Spagna. Ma poi io sono del parere che per conoscere davvero un corridore devi vederlo alle corse. Posso dirvi qualcosa di più su Scaroni che è cresciuto bene e che speriamo possa essersi tirato su di morale dopo il suo buon finale di stagione. 

E cosa ci dici di lui?

Che ha un bel potenziale. Si è allenato molto bene e l’ho visto davvero in buona condizione.

Nel gruppo avete anche un certo Kevin Rivera. Cosa puoi dirci su di lui?

Dico che dovrebbe imparare ad andare in bici! Scherzi a parte, se lo porti sotto la salita arriva con i primi, sicuro, ma ha dei problemi per arrivarci. Servirebbe una squadra fresca e forte per aiutarlo ad arrivare là sotto davanti. In questo modo può farcela.

Però si dice che questo ragazzo abbia dei valori molto alti…

Vero, ha valori eccezionali, ma non basta. Anche se è molto importante chiaramente. Kevin è un ragazzo serio, talmente serio che neanche sembra un latino americano. Di solito chi viene da quelle parti è molto più vivace.

Christian Scaroni è stato autore di un buon finale di stagione, eccolo alla Veneto Classic, chiusa al 10° posto
Christian Scaroni è stato autore di un buon finale di stagione, eccolo alla Veneto Classic, chiusa al 10° posto
Cosa ti ha colpito di lui?

Lui stesso è stato una scoperta. Mi ha colpito il fatto che in ritiro ha avuto qualche problema intestinale, anche se per fortuna poi ha perso solo due allenamenti, ma nonostante tutto si è mostrato molto forte. E quei problemi debilitano molto. Lui invece ha espresso alti valori ugualmente. Sono curioso di vedere come andrà nelle corse.

Giusto poche ore fa Fusaz ci ha detto che spesso i ragazzi di oggi hanno motivazioni meno accentuate. Anche per te è così? Anche per i giovani ciclisti in Russia è così?

Non solo in Russia, in generale il mondo è meno affamato, anche se penso che chi ha passione ancora ci metta del suo. Quello che vedo è che la grinta arriva quando arrivano le corse. Quando attacchi il numero sulla schiena è tutto diverso. In tal senso noto una grande differenza in effetti, almeno per me era così. Ma oggi il ciclismo è diverso.

Cosa intendi per diverso?

Intendo che per i ragazzi oggi è più complicato allenarsi per certi aspetti. Io facevo da solo, quando dovevo fare tanto facevo 6-7 ore e via. Oggi hanno dei “papiri” sui quali sono scritti tutti i lavori che devono fare.

Rivera è considerato un vero talento per la salita. Ha corso nell’Androni (in foto) e per sei mesi ha militato nella Bardiani
Rivera è considerato un vero talento per la salita. Ha corso nell’Androni (in foto) e per sei mesi ha militato nella Bardiani
E sono svantaggiati?

Per me sì. Se gli togli il computerino, il potenziometro, la maggior parte di loro non sa cosa fare. Non sanno ascoltare se stessi.

Se dovessi fare un paragone tra i ragazzi russi del tuo tempo e quelli attuali che differenze noteresti?

Che sono più viziatelli. Oggi arrivano e hanno tutto pronto, tutto è più facile quando devono prepararsi per un viaggio o per una trasferta. Io già a 12-14 anni dovevo farmi la borsa da solo. Però non c’è scampo, sono loro che devono darci dentro. Resta difficile per i russi farsi davvero largo stando lì. E infatti alla fine oggi ce ne sono solo due che veramente sono forti, ma entrambi sono cresciuti altrove. 

A chi ti riferisci?

Mi riferisco a Sivakov, scuola francese, e a Vlasov scuola italiana. Loro sono cresciuti con una mentalità europea. Ma molti ragazzi che sono fuori vogliono tornare a casa perché c’è ancora un ambiente molto diverso. E in Russia ancora si fa fatica. Da noi ci sono poche strade e ormai sono tutte molto trafficate. Non è così facile. Una volta su cento famiglie, solo cinque avevano la macchina. Adesso tutte ne hanno una. Ma per andare da A a B c’è una sola strada, non è come in Italia che ce ne sono dieci. Va da sé che il traffico è aumentato.

Secondo te vedremo emergere nuovi talenti russi da qui a breve?

Non lo so, ma lo spero. Poi spesso le cose avvengono quando meno te lo aspetti. Io però ci credo poco perché vedo ancora troppe poche corse. E’ vero che adesso qualcosa si sta muovendo per i giovani, ma è lunga… E poi io ho notato che c’è un problema anche di percorsi.

Secondo Konyshev non è facile oggi fare ciclismo in Russia (foto Instagram)
Secondo Konyshev non è facile oggi fare ciclismo in Russia (foto Instagram)
Cioè, spiegaci meglio…

La prima volta che ho portato Alex, mio figlio, ad una corsa, ho visto che c’erano 180 corridori su un circuito di 5-6 chilometri, con curve e controcurve, salite... Da noi per fare una gara chiudi un tratto di strada di 25 chilometri tutto dritto e pianeggiante e fai avanti e dietro. E’ chiaro che quando i nostri ragazzi vengono qui si trovano in difficoltà, non sanno cosa fare e infatti in generale i russi non sono brillanti in gruppo.

Prima hai detto che in Russia qualcosa si sta muovendo…

Diciamo che c’è un movimento, non è ancora ufficiale, che inizierà ad organizzare le gare. Vediamo cosa verrà fuori. Quel che serve sono più team, più scuole. Ai miei tempi quasi in ogni città c’erano 5-6 club ciclistici, adesso non ce ne sono quasi più.

Tornando al discorso della “fame”, in generale non è facile per questi ragazzi. Russi e non…

Non è facile per chi vuole far fatica in effetti. Oggi i ragazzi sono attratti da altro, dalle comodità, dai video su TikTok, cose che hai pronte, facilmente a portata di mano. Andare in bici non è così. E per di più è anche costoso. Una volta se volevo fare ciclismo in Russia andavo da un club, mi davano l’abbigliamento, la bici e iniziavo a fare il ciclista.

Storia di Ravaglia, scopritore di Kevin Rivera

23.12.2021
5 min
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Il nome di Piero Ravaglia è saltato fuori un paio di giorni fa, parlando con Paolo Alberati dell’intervista fatta a Calpe con Kevin Rivera. L’italiano che vive in Costarica aveva richiamato la nostra attenzione, a maggior ragione dopo le dichiarazioni nel momento in cui Rivera lasciò la Bardiani-CSF-Faizanè. Chi è il romagnolo che, al pari di Andrea Bianco in Colombia, allena i giovani corridori costaricensi?

«Vivo qui da trent’anni – racconta con grandi sorrisi in questa telefonata transoceanica – sono cose della vita. Andrea Bianco, come Alberati e Maurizio Fondriest, è un mio amico. Abbiamo un gruppo whatsapp in cui parliamo di ciclismo. Se non ci fosse la pandemia, Maurizio adesso sarebbe qui. Sono nato nel 1961 a Cesena e sono venuto in Costarica per giocare a calcio. Ho fatto la serie A, poi mi sono rotto una gamba. Ho studiato e sono diventato produttore televisivo e a un certo punto mi sono messo ad andare in bici. Ho vinto un sacco di corse e ho imparato molto. Il mio lavoro è importare macchine agricole, ma per il resto alleno corridori. La nostra squadra si chiama Scott-Shimano, una delle più grandi dell’America Latina…».

Rivera viveva in una casa malmessa ai piedi del vulcano Irazù
Rivera viveva in una casa malmessa ai piedi del vulcano Irazù

Accento spagnolo

L’accento romagnolo è sparito, sembra piuttosto un sudamericano che si sforza di parlare in italiano. Se la ride e dice che dopo tanto tempo, la pratica della lingua è un esercizio che ha un po’ abbandonato. Nel Paese del Centro America, il Covid va a rilento: le vaccinazioni hanno percentuali pari all’Italia, la media dei casi è di circa 50 al giorno. Il discorso poi vira su Kevin Rivera, su imbeccata di Alberati.

«Fatti raccontare a cuore aperto quando ha incontrato Kevin Rivera lassù sul Cerro de la Muerte. Piero merita tanto. E fatti dire cosa è il Velo di Veronica».

Non serviva altro. Ravaglia ride, la domanda arriva puntuale.

Ci racconti come hai conosciuto Rivera?

Una bella storia, parecchio complessa. Stavo scalando il Cerro de la Muerte, appunto, che si chiama così perché una volta ad arrivare lassù, quasi a 3.500 metri, si moriva. Era una domenica di fine stagione, pioveva e con la coda dell’occhio mi ero accorto già da un po’ di avere qualcuno a ruota. Io acceleravo e lui non si staccava, mi sono girato e ho visto che era un bambino di 12-13 anni. Un bimbo tutto strano…

Che cosa significa tutto strano?

Intanto sapeva chi fossi, ma io non sono famoso. Era piccolino, sembrava avere anche meno anni. Sulla maglietta e i pantaloncini non c’erano parti libere da cuciture. Era tutto rammendato, sembrava Arlecchino. Era tanto lontano da casa, pioveva, non aveva soldi e niente da mangiare. Quindi prima di tutti bisognava pensare alla situazione. Per cui ci siamo riparati, gli ho dato qualcosa da mangiare e poi siamo tornati verso casa.

La conoscenza è andata avanti?

Certo che sì. Da quel giorno ho cominciato a dargli cose per vestirsi. Aveva una vecchia bicicletta, ma va anche bene. Mi sta bene che i bimbi abbiano bici su cui imparare la fatica. E soprattutto ho conosciuto la sua famiglia.

Nelle foto la sua casa sembra parecchio umile…

Kevin viene da un’estrema povertà. Non ha potuto studiare, perché non c’erano i soldi per farlo. Non avevano frigo né televisore. Mangiavano una volta al giorno, il più delle volte era riso. Kevin lavorava. Andava assieme al padre, tagliando le erbacce col machete. La casa era una baracca alle pendici del vulcano Irazù e in quei primi tempi, diedi anche io una mano per metterla a posto. Gli regalai la televisione. Il padre di Kevin è un indio, carattere difficile e orgoglioso. Non c’è un rapporto facile tra padre e figlio, ma il Rivera di oggi è cresciuto tanto. Ora ha una moglie professoressa di inglese e fa discorsi che in quel tempo non sarebbe stato in grado neppure di immaginare.

Con Alberati e Ravaglia, nella sede della Scott-Shimano
Con Alberati e Ravaglia, nella sede della Scott-Shimano
Ci sono altri Rivera nel Paese?

Potenzialmente ce ne sono, effettivamente no. Qui ci sono la stessa popolazione e le stesse montagne della Colombia, dove però ci sono più gare. Qui la legge dice che le gare su strada non si possono fare perché disturbano il traffico. Puoi fare mountain bike, ma non andare su strada.

Cosa fate con la vostra squadra?

Investiamo su juniores e U23. Corriamo in Mtb e nelle internazionali su strada. Tutto quello che si può per mantenersi a galla.

Che cos’è il velo di Veronica di cui parla Alberati?

Il mio amico Paolo… (ride di gusto, ndr). Il velo viene dalla Via Crucis, quando Veronica pulì il volto di Gesù e continuò a usarlo per guarire i feriti. Io ne ho preso spunto. La mia filosofia è che se tutti facciamo qualcosa per gli altri, è come se avessimo in mano il velo di Veronica. Scriverò un libro il cui titolo sarà “Il velo di Veronica” in cui racconterò le situazioni in cui abbiamo cambiato la vita di qualcuno.

Uno dei primi test sostenuti da Rivera in Costarica nel 2017
Uno dei primi test sostenuti da Rivera in Costarica nel 2017
Come si sta in Costarica?

Il clima è perfetto, la gente tranquilla, i paesaggi bellissimi, le spiagge stupende. Vivo a San Josè, la capitale. Giri per le strade e incontri i mapache, dei grossi procioni. Ti ritrovi con i boa sul tetto delle case e quando vai a fare benzina, ti ritrovi davanti intere famiglie di scimmie che chiedono cibo.

Tu vivi in Costarica, Rivera vive a San Marino: insolito scambio…

E infatti mi prende in giro parlando delle piadine. Divide la casa con Canaveral, li trattano da principi. Qua Kevin è popolare. Ha aiutato tanta gente facendo delle donazioni, è diventato super riflessivo. Ma ultimamente non rilascia più interviste, perché gli hanno attribuito cose che non ha mai detto. Non ha pretese. Vuole riscattarsi da quello che ha passato alla Bardiani. Adesso è qui, è arrivato dopo il ritiro. La Gazprom sta lavorando bene, dopo tante traversie, era proprio quello di cui ha bisogno.

Rivera è cresciuto e si toglie l’etichetta di dosso

20.12.2021
6 min
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Era per tutti il terzo gemello di Bernal e Sosa. Un altro fenomeno sudamericano in rampa di lancio, magari da mandare subito alla Ineos. Eppure Kevin Rivera di colpo si è trasformato da oggetto del desiderio in grana difficile da gestire. «Incostante. Caratterialmente instabile»: a sentire quello che dicevano di lui, si poteva pensare che averlo in squadra fosse una condanna più che un privilegio. Perché in questo ambiente funziona così: ti attaccano l’etichetta e te la porti dietro a lungo. E anche se lo scalatorino del Costarica ha il suo bel carattere (in apertura è con Scaroni, Conci, Canola e Fedeli, ndr), dopo averci parlato un po’ più a fondo, è stato bello rendersi conto che limitarsi alle etichette, qualunque cosa ci sia scritto, non sia il modo migliore per capire cosa ci sia nel pacco.

«Sono passato molto giovane – ammette con l’onestà che non tutti riescono a metterci – ed è stato uno sbaglio. Avevo 19 anni, potevo aspettare ancora, ma mi hanno fatto un contratto di 4 anni e l’ho visto come un sogno. Prendere o lasciare. Dopo la Androni, sono andato alla Bardiani. Delle buone squadre, ma prima ho avuto qualche problemino fisico e poi dovevo soprattutto fare esperienza. Mi serve una squadra che mi prepari bene, in cui mi trovi bene con i compagni, in cui possa stare tranquillo».

Come Zaccanti

Il profilo da giovane indio, la pelle olivastra, la parlata cantilenante fra l’italiano e lo spagnolo. La storia di Rivera alla Bardiani è parallela a quella che vi abbiamo già raccontato di Filippo Zaccanti: contratto rescisso per qualcosa che somiglia a scarso rendimento. 

«Avevamo concordato un ritorno per il mese di luglio – disse a suo tempo Roberto Reverberi – poi ci ha detto che non si sentiva e non è tornato. Il tempo gli è stato dato, ma i risultati non sono stati all’altezza».

Così, rescisso il contratto, Rivera ha incontrato Sedun e ha accettato l’offerta della Gazprom-Rusvelo. La sfida è importante, le occasioni a questo punto non si possono più perdere.

Era meglio aspettare cosa?

Il primo anno ho fatto tanta fatica. Era meglio farne uno da under 23 e imparare a stare in gruppo. In Costarica correvo fra gli juniores fra 60 corridori ed ero uno dei più forti. Sono arrivato qua e mi sono ritrovato in mezzo a 180 professionisti tutti più forti di me. Non era il passaggio giusto da fare.

Ti mettevano sullo stesso piano di Bernal e Sosa…

Ma non era giusto farlo. Serviva più pazienza, anche se ammetto che a forza di sentirlo dire, un po’ ci avevo creduto anche io. In salita sapevo e so ancora di avere un buon livello, ma loro in Colombia hanno sempre corso di più. Io correvo una volta al mese. Egan ha fatto i mondiali di mountain bike da junior, io non ero mai uscito dal Paese. E’ vero, ci ho creduto, ma quando mi ritrovavo in corsa, sentivo solo bisogno di imparare e crescere. Puoi anche avere motore, ma serve tempo.

In salita come loro?

Resto uno scalatore, credo di saperlo fare bene, così come credo di essere migliorato anche in pianura. In questi anni ho vinto il tappone in Malesia e la classifica del Sibiu Tour. Un paio di volte sono arrivato davanti fra i big, come alla Milano-Torino del 2019 (9° a 33 secondi da Woods, ndr) e alla Vuelta Burgos quando ho fatto meglio di Carapaz (5° nella 3ª tappa a 33 secondi da Sosa, ndr). Il 2020 poteva essere un anno da fare bene, invece è arrivato il Covid…

Coppi e Bartali 2021, si ritira nella tappa di San Marino: l’avventura Bardiani sta per chiudersi
Coppi e Bartali 2021, si ritira nella tappa di San Marino: l’avventura Bardiani sta per chiudersi
Perché dicono che sei difficile da gestire?

Non è vero, come anche il fatto che fossi discontinuo. Quando uno è giovane, alterna belle prestazioni a buchi clamorosi. Un giorno puoi avere la gamba, l’indomani no. Ho commesso errori, se anche dicevano che fossi un fenomeno, dovevano sapere che non sono Evenepoel.

Perché alla Gazprom sarà diverso?

Perché Sedun fa tutto per farmi stare bene e sentire parte di un progetto. Lavora tanto, non si ferma finché tutto non è a posto. Adesso quel che conta è arrivare nuovamente davanti, perché è tanto che non corro e anche in allenamento si percepisce la differenza dai compagni. Qualche piazzamento sarebbe cosa buona, la vittoria sarebbe fenomenale.

Chi è il tuo tecnico di riferimento?

Lavoro con Konychev. Scherza tanto, ma si vede che è stato un corridore molto forte e capisce che cosa significa. Ho bisogno di uno che mi capisca, perché so come fare per andare forte.

Nel ritiro della Gazprom, dando il calcio di inizio alla stagione 2022
Nel ritiro della Gazprom, dando il calcio di inizio alla stagione 2022
Sei stato in Costarica per tutto questo tempo?

Sono tornato a casa, laggiù con il Covid le cose vanno bene. E’ dispiaciuto a tutti vedermi tornare, ma nessuno ha provato a convincermi a rinunciare, al contrario vogliono tutti che torni. Comincerò dalla Valenciana, cui arriveremo dopo un altro ritiro. E poi vedremo cosa saprò fare. Piano piano sto arrivando. Questi ultimi mesi non saranno stati i più belli, ma di sicuro mi hanno fatto maturare.

Rivera, due contratti alle spalle e la Gazprom all’orizzonte

13.09.2021
5 min
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Kevin Rivera, classe 1998, 165 centimetri e 55 chili di talento puro, ma anche un bel punto interrogativo. In quattro anni di professionismo ha rescisso due contratti. Prima con l’Androni Giocattoli e qualche mese fa con la Bardiani Csf Faizanè. Adesso questo promettente scalatore è in attesa che arrivi gennaio, per poter vestire i colori della Gazprom-RusVelo.

Questa storia desta curiosità e così abbiamo sentito proprio le due figure che più gli sono state vicino, Giovanni Ellena, diesse dell’Androni, e Paolo Alberati, il suo manager.

Quando è arrivato all’Androni (2017) Rivera non aveva compiuto neanche 19 anni
Quando è arrivato all’Androni (2017) Rivera non aveva compiuto neanche 19 anni

Tanto motore, poca tecnica

«Kevin spiega – Ellena – è un ragazzo che dal punto di vista fisico ha doti eccezionali, ma deve ancora trovare il suo equilibrio psicologico. Almeno era così fino a quando era con noi. Nei suoi primi quattro anni da professionista ha sofferto un po’. Io lo conoscevo bene perché negli anni che è stato con noi ha vissuto vicino a casa mia. 

«Un altro problema, di natura più tecnica, è che non ha grandi capacità di guida. Lui viene dalla Mtb, ma forse prima di passare pro’ avrebbe dovuto stare un po’ di più tra gli under 23. In gruppo spende veramente tanto. Una volta feci una prova. Eravamo all’Adriatica-Ionica Race e presi i sui dati in un tratto pianeggiante senza troppe curve. C’era giusto un passaggio in un paese, ma non era  tecnico. Feci un paragone di quel segmento tra lui e Sosa, anche lui non un super limatore, e la differenza era abissale. Kevin aveva speso tanto di più, c’erano tantissime variazioni di ritmo. Se riuscisse a risolvere questo problema, probabilmente sarebbe un fenomeno.

«Però se non ci è riuscito dopo 4-5 anni ho qualche dubbio. Ohi, poi magari la Gazprom ce la fa e andremo tutti a scuola da loro!».

Per Rivera qualche difficoltà di troppo in gruppo
Per Rivera qualche difficoltà di troppo in gruppo

Lavoro da “limatore”

L’Androni ed Ellena ci avevano lavorato su un bel po’. Lo stesso Ellena ricorda quando, almeno per pochi chilometri, provava a stringerlo lui stesso quando uscivano insieme in bici. Cercava di “allenarlo” in qualche modo, come a simulare le dinamiche del gruppo. E lo stesso facevano i ragazzi nelle uscite di squadra.

«Anche per questo motivo – riprende il tecnico piemontese – lo abbiamo portato spesso in Francia a fare le corse di categoria 2.2, che in pratica sono quasi delle under 23: proprio per cercare di farlo migliorare. Quando fece nono alla Milano-Torino (2019, ndr) per tutto il giorno gli mettemmo al fianco due corridori, Ballerini e Cattaneo. Ma non sempre puoi mettere due corridori fissi su un uomo, tanto più due calibri del genere e su un corridore che poi non ti dà tutte queste certezze. Non siamo una WorldTour.

«Che poi lui non è che non ascoltasse, va detto, anzi… Ma un conto sono le parole e un conto è riportarle in bici».

Eccolo alla Coppi e Bartali di quest’anno (a ruota di Mareczko)
Eccolo alla Coppi e Bartali di quest’anno (a ruota di Mareczko)

E Alberati cosa dice?

Il manager umbro è sempre molto attento a suoi ragazzi. Li aiuta moltissimo, anche sul profilo tecnico, vista la sua esperienza da corridore e da preparatore.

«L’ultimo anno – spiega Alberati – è stato un po’ complicato per Rivera. Ha iniziato la stagione alla Vuelta al Tachira. Laggiù già aveva vinto proprio con l’Androni e così l’organizzazione lo voleva. Anche se non era in forma, in quanto a novembre si era operato al naso, ci è andato. L’ha presa come la classica gara per prepararsi. Il problema è che ci sono stati dei casi di Covid e lui è stato uno di questi. E’ rientrato in Europa e alla Coppi e Bartali non è andato bene.

«Perciò abbiamo fatto degli esami via, via più approfonditi. Va detto che l’anno prima Rivera aveva avuto il citomegalovirus. Nel frattempo il Comitato olimpico del Costa Rica voleva vederci ancora più chiaro. Kevin inizialmente era il prescelto per le Olimpiadi di Tokyo, per questo motivo il suo comitato olimpico aveva richiesto degli esami ulteriori. Ma alla fine proprio in virtù dei suoi problemi è stato portato Amador. Alcuni valori infatti non erano perfetti. Per lo staff sanitario della Bardiani invece tutto era nella norma.

«Così dal Costa Rica volevano che rientrasse e la Bardiani non era dello stesso avviso. A quel punto non si è trovata una soluzione e lo scorso maggio, dopo aver trovato un accordo, le due parti hanno rescisso il contratto».

Rivera proviene dalla bellissima zona di Cartago, centro della dorsale montuosa che separa Atlantico e Pacifico. Ora è lì… (foto Instagram)
Rivera proviene dalla bellissima zona di Cartago, centro della dorsale montuosa che separa Atlantico e Pacifico. Ora è lì… (foto Instagram)

Kevin, ragazzo in crescita

E un corridore con questo potenziale, una volta che la Gazprom ha saputo che era libero se lo è assicurato. Perché comunque i numeri li ha, eccome.

«Parliamo di un ragazzo che è nato a 2.600 metri di quota tra i Vulcani del Costa Rica – spiega Alberati – Che ha un Vo2Max elevatissimo: 96, con punte di 98. Quando va male si ferma a 93.

«Com è dal punto di vista caratteriale? Non viene da una situazione familiare facilissima e proprio per questo vanno apprezzati i suoi miglioramenti. Da che non sapeva compilare il modulo Adams al parlare inglese ha fatto un bel salto. Aiuta moltissimo la sua famiglia, è socievole, educato.

«E’ salito in bici facendo Mtb. Arrivò terzo ai giochi Panamericani, vinti da Bernal. E’ lì che lo notammo. Ha anche fatto bene da quelle parti, ma lì le prove su strada contano 70 partenti… E’ passato da juniores a pro’. Pertanto su strada ha corso poco e per questo ha qualche limite tecnico. So che l’Androni ci ha lavorato su e magari avrà fatto un piccolo step, come ha fatto con l’inglese».

«Nonostante abbia corso poco e nonostante le sue difficoltà, Kevin ha però vinto anche al Tour de Langkawi. Non è una corsa di prima fascia, ma lì c’era anche la Gazprom stessa… che lo ha notato e se lo è preso».