Il Covid di Ayuso e quell’analisi velocissima prima del via

07.09.2022
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Prima Majka al Tour, ora Ayuso alla Vuelta. Due casi di positività al Covid per le quali l’atleta è rimasto in corsa, grazie alla bassa carica virale. Sicuramente un passo avanti rispetto all’intransigenza dei primi tempi, quando per il virus di uno si mandava a casa la squadra. La conseguenza, probabilmente, di una migliore conoscenza del problema e di strumenti che hanno permesso di arrivarci. Del resto i medici, i manager e tutti quelli che a vario titolo hanno voce in capitolo nel grande circo del ciclismo hanno iniziato da tempo a dire che con il Covid bisogna rapportarsi come con l’influenza.

Bennett e Majka: il primo ha dovuto ritrarsi dal Tour per Covid, il secondo ha corso ugualmente: differenze di carica virale
Bennett e Majka: il primo ha lasciato il Tour per Covid, il secondo ha corso ugualmente: differenze di carica virale

Il quinto tampone

Ayuso ha iniziato ad avere qualche avvisaglia dopo la cronometro di Alicante, affermando di aver avuto sintomi compatibili con il Covid la notte prima. I tamponi sono scattati in automatico: ne ha fatti tre e tutti negativi. Il mattino successivo altro controllo prima del via da ElPozo Alimentación: ancora negativo. Il giorno dopo è arrivato infine il test positivo: al quinto tampone, come raccontato allo spagnolo AS da Adriano Rotunno, medico del UAE Team Emirates, che avevamo contattato ai tempi della Parigi-Nizza per la commozione cerebrale di Trentin.

«Secondo i nostri protocolli interni – ha spiegato – Juan Ayuso si è sottoposto di mattina al test del coronavirus ed è risultato positivo. E’ asintomatico e dopo aver analizzato il suo test PCR abbiamo scoperto che ha un basso rischio di infezione, simile ai casi che abbiamo visto quest’anno al Tour. Abbiamo deciso di continuare la gara dopo aver consultato i rappresentanti medici della Vuelta e dell’UCI. Continueremo a monitorare il quadro clinico di Juan e seguire da vicino la sua situazione».

Ayuso ha raccontato di aver avuto i primi segni di malessere alla vigilia della crono di Alicante
Ayuso ha avuto i primi segni di malessere alla vigilia della crono di Alicante

La macchina PCR

Il dettaglio non è sfuggito. In passato, sottoposto a un tampone molecolare, il corridore sarebbe stato comunque fermato, in attesa che di conoscere la carica virale del suo campione. Sarebbe servito del tempo e difficilmente Ayuso, testato di mattina, sarebbe partito per la tappa di lì a un paio d’ore. L’accelerazione, esemplare per quanto riguarda la gestione delle risorse, è dipesa dalla scelta della squadra di Gianetti di dotarsi di uno strumento preposto all’uso.

«La situazione è complicata – ha confermato il team manager Matxin, riferimento per Ayuso – per cui testiamo tutti ogni due giorni, in aggiunta ai test effettuati dall’organizzazione. Abbiamo una macchina PCR dove possiamo controllare tutto, per avere sotto occhi prima di tutto la salute del corridore, quella del gruppo e poi il rispetto del regolamento di corsa. Nel caso di Ayuso, la luce era verde. Significava bassa carica virale».

Le prove successive di Ayuso hanno dimostrato che le sue capacità atletiche sono rimaste invariate
Le prove successive di Ayuso hanno dimostrato che le sue capacità atletiche sono rimaste invariate

Doppio verde

Assodato questo, il medico del team ha parlato con Xavier Vidart dell’UCI, gli ha spiegato i numeri e gli ha inviato tutti i dati. Una volta ottenuto il via libera, lo stesso Matxin si è messo in contatto con Javier Guillen, organizzatore della Vuelta, che ha dato a sua volta il benestare.

«Quando abbiamo avuto numeri rossi come nei casi di Laengen, Bennett, Trentin o Almeida al Giro – ha spiegato ancora Matxin – che mostravano rischio di contagio, non c’è stato da discutere. Avevamo già predisposto che Juan tornasse a casa, ma una volta scoperto che non sarebbe stato contagioso, abbiamo deciso di farlo continuare».

Ayuso ripartirà stamattina per una delle tappe più importanti della Vuelta al quarto posto della classifica generale, a 4’49” da Evenepoel. Le sue prestazioni in apparenza non hanno risentito del virus: per essere alla prima partecipazione in un grande Giro, il giovane spagnolo se la sta cavando davvero bene.

Matxin: «Vi spiego perché Ayuso farà la Vuelta»

16.08.2022
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«Ayuso non farà un grande Giro quest’anno», ci aveva detto Joxean Fernandez Matxin, il tecnico e diesse della UAE Emirates, solo qualche settimana fa. Poi la squadra di Mauro Gianetti ha divulgato la formazione che prenderà parte all’imminente Vuelta Espana e guarda chi c’è? Juan Ayuso.

Così abbiamo sentito di nuovo Matxin. Dal suo discorso non è emersa una contraddizione, ma una lucida spiegazione. Il tecnico spagnolo con chiarezza e passione, ci ha elencato il perché di questa “inversione di marcia”.

Ayuso Getxo
Ayuso vince il Circuito de Getxo. In quel momento l’ipotesi Vuelta era già concreta
Ayuso Getxo
Ayuso vince il Circuito de Getxo. In quel momento l’ipotesi Vuelta era già concreta

Cambio di rotta

«Vero, Ayuso non doveva fare un grande Giro in questa stagione – spiega Matxin – Questo argomento è stato frutto di un’evoluzione in corsa. Juan ha fatto quinto alla sua prima corsa a tappe WorldTour (il Catalunya, ndr) e quarto alla seconda (il Romandia, ndr) e pur uscendo dal Covid, non ha mostrato alcun cedimento.

«Poi al Delfinato è andato davvero forte. Se un giorno non avesse avuto un mal di testa fortissimo, che lo ha costretto al ritiro, avrebbe lottato per la vittoria».

E’ passata qualche settimana, il canonico recupero di metà stagione, e al rientro Ayuso si è mostrato ancora, subito, competitivo.

«Ad Ordizia, nella Prueba Villafranca, si è trovato a lottare alla pari con gente del calibro di Simon Yates. A Getxo ha vinto. In tutta questa fase non solo ha mostrato una buona condizione, ma numeri davvero importanti e soprattutto un recupero eccellente. Abbiamo valutato tutto questo e anche il desiderio del ragazzo».

Al Romandia il catalano ha chiuso al quarto posto nella generale
Al Romandia il catalano ha chiuso al quarto posto nella generale

Obiettivo Madrid

Alla luce di tutto questo bisognava prendere una decisione. Qualche giorno fa Matxin stesso aveva scritto sulle sue pagine social: “Il talento non si può fermare”. E se un esperto conoscitore dei giovani come lui decide di prendere questa decisione e addirittura di ribaltarla, la motivazione deve essere a dir poco valida.

«Abbiamo così deciso di anticipare quel che sarebbe stato il 2023 – riprende Matxin – crediamo che Juan sia pronto. Ha fatto i passi necessari ed è il momento giusto per farlo esordire. 

«Lui poi voleva farla. E’ stato contentissimo. Ne abbiamo parlato tutti insieme: Juan, il preparatore Inigo San Millan, lo staff, io… abbiamo deciso che si poteva provare senza pressione, ma al tempo stesso con il concetto di non fermarsi».

E questo è un passaggio chiave in tutto ciò. Matxin è sempre stato coerente quando ha parlato dei pezzi da 90 della sua squadra. E in particolare di Ayuso. Due sue frasi ci tornano in mente. «Ayuso non è un giovane. Ayuso è un campione e noi come tale lo abbiamo sempre trattato». E ancora: «Non si va alle corse per fermarsi o per allenarsi, specie un campione». Tutto torna.

«Questo – continua Matxin – non vuol dire che debba fare chissà cosa, parte comunque senza pressioni. La Vuelta per Auyso è un importante test per vedere come reagisce il suo fisico alle tre settimane. Come sarà la sua fisiologia, il suo recupero, come reagirà a sforzi ripetuti con corridori di livello mondiale». E anche per imparare: gestire pressioni, rapporti con la stampa, momenti di difficoltà, vittorie…

Al Delfinato solo il mal di testa lo ha battuto. Ayuso va forte anche a crono (quel giorno fu decimo)
Al Delfinato solo il mal di testa lo ha battuto. Ayuso va forte anche a crono (quel giorno fu decimo)

Cuscinetto mediatico

Matxin ripete più volte che Ayuso non doveva fare la Vuelta, che i programmi non erano questi, ma che sono state le circostanze a far pensare di cambiare le carte in tavola.

«Nella sua e nella nostra testa – dice Matxin – questa idea ha iniziato a frullare dopo il Delfinato, perché davvero ne è uscito benissimo. Ma tutto è rimasto volutamente sopito, anche perché dovete pensare che in Spagna c’era già una certa pressione mediatica. Lo volevano alla Vuelta».

Pensate, Ayuso spagnolo, classe 2002, alla Vuelta. Attesissimo, coi riflettori puntati su chi cerca l’erede di Contador. Il dualismo con Carlos Rodriguez. La “bomba perfetta”.

«Ma posso anche dire che dopo Ordizia (il 25 luglio, ndr), siamo anche andati a vedere qualche tappa. Ma non abbiamo voluto dirlo. Abbiamo pensato di far uscire la notizia comunicando la formazione e non con un comunicato specifico per Juan, proprio per attutire la pressione».

Matxin con Almeida all’Aprica. Un paio di giorni dopo il portoghese lascerà la corsa per Covid. Ora punta deciso alla Vuelta
Matxin con Almeida all’Aprica. Un paio di giorni dopo il portoghese lascerà la corsa per Covid. Ora punta deciso alla Vuelta

Almeida capitano

Con Matxin si parla di Ayuso, ma anche della squadra. La UAE Emirates alla Vuelta schiera una signora formazione, anche senza Pogacar. Joao Almeida parte con i gradi del leader, ma conoscendo la cattiveria agonistica e la forza di Ayuso, Juan finché potrà lotterà come un campione. Fa parte del suo Dna. E come ha scritto Matxin stesso: il talento non lo puoi fermare.

«Abbiamo una gran buona squadra – conclude Matxin – Almeida chiaramente è il leader. Soler conosce bene la Vuelta e sono convinto che potrà fare dei grandi numeri, così come McNulty. Poi c’è Juan appunto. E ci sono corridori di supporto come Polanc e Oliveira. Senza contare che abbiamo Molano come apripista di Ackermann (da vedere dopo la caduta all’europeo, ndr). E’ una squadra equilibrata».

«Joao è in crescita di condizione. Ha vinto a Burgos, contro nomi importanti, ha preso fiducia e soprattutto sta ritrovando il ritmo gara, che è ciò di cui aveva bisogno dopo il Giro d’Italia».

A bocce ferme, con Matxin il punto su Pogacar

29.07.2022
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Il secondo posto di Tadej Pogacar continua a far rumore. Non c’è niente da fare: è il destino dei campioni. Ma a noi più del rumore interessa la sostanza. Interessa capire cosa non abbia funzionato. Interessa sapere come ha reagito lo sloveno. E chi se non Joxean Fernandez Matxin poteva aiutarci in questo cammino?

Lo spagnolo è una delle menti tecniche, ma anche psicologiche della UAE Emirates. Nessuno come lui conosce gli atleti, Pogacar incluso. A distanza di una manciata di giorni dalla fine del Tour de France e con la mente appena più fredda, si possono fare le prime considerazioni.

Matxin con Tadej Pogacar (foto Instagram – Fizza)
Matxin con Tadej Pogacar (foto Instagram – Fizza)
Matxin, che idea ti sei fatto dunque del Tour di Pogacar?

La mia idea è che Tadej fosse ad un buon livello. Un livello molto, molto simile a quello di quando ha vinto. Jonas Vingegaard non ha sbagliato neanche un attimo, Tadej non è stato al massimo per un solo giorno e ha commesso un “errore” che ha segnato tutto il Tour.

I suoi valori quindi erano buoni?

Sì, ripeto, molto simili a quando ha vinto. Dobbiamo dare atto a Vingegaard che è stato più forte. Il suo trionfo è meritatissimo.

Per te dunque un solo giorno, quello del Granon, ha inciso per tutto il Tour?

Quel giorno ha perso 3′, se ci pensiamo è un po’ come quando Pogacar battè Roglic nella famosa crono. Lui quel giorno tirò fuori una super prestazione e l’altro ebbe un momento negativo. Poi è anche vero che nel giorno del pavè se non c’era Van Aert, Vingegaard perdeva 3′ e sarebbe stata un’altra corsa ancora. Ma ripeto, Jonas ha meritato.

Tu che lo conosci, adesso Tadej si rimboccherà le maniche, lavorerà ancora di più? Magari l’anno prossimo lo vedremo super magro per andare più forte in salita?

Certo che lavorerà. E’ ovvio. Uno come Tadej deve pensare che può vincere il Tour de France. Quello che non capisco è che sino ad ora era un fenomeno che non doveva toccare nulla e adesso deve cambiare qualcosa. Io dico no. Io dico che va bene così in salita, in pianura, nell’atteggiamento nei confronti della sconfitta e dei compagni. Ci metterà più rabbia per vincere, ancora più voglia. Come poi fanno i veri campioni. Ma questo corridore è speciale così.

Nella tappa del pavè un mega lavoro di Van Aert per Vingegaard, che avrebbe potuto perdere moltissimo
Nella tappa del pavè un mega lavoro di Van Aert per Vingegaard, che avrebbe potuto perdere moltissimo
Voi di certo avrete analizzato la debacle del Granon: si è parlato di problemi di alimentazione, del fatto che Tadej sudasse più degli altri…

Teniamo sempre tutto sott’occhio e controlliamo ogni aspetto del corridore e della corsa sin dal chilometro zero. Per quanto riguarda la parte dell’alimentazione abbiamo Gorka Prieto-Bellver, che a mio avviso è il più bravo in assoluto, in questo settore. Lui ha la nostra fiducia e i ragazzi si fidano di lui. Poi ci sta che durante la corsa, in momenti di grande impegno e tensione come quelli che ha vissuto sul Galibier, Pogacar possa non essersi alimentato alla perfezione, non abbia assunto i carboidrati sufficienti.

La tensione c’era, quello è inevitabile. Ma come ha detto Gianetti la sera stessa del Granon, per crescere si passa anche da questi momenti…

Pogacar ha fatto otto volate, otto scatti per chiudere, ma anche gli altri che lo hanno attaccato hanno fatto degli scatti, non ha sprecato energie solo Tadej. Semplicemente Pogacar è umano. Lo era anche prima, solo che non aveva avuto “giorni no” in certi momenti e, come ripeto, ha trovato un grande avversario. Io non sono mica così convinto che il secondo posto sia da buttare. E neanche che fosse così scontato. Tanto più al termine di un Tour così combattuto che tanto piace alla gente.

Beh sì, se le sono date…

Van Aert, che per me è stato il miglior corridore del Tour, è stato super. Anche in questo caso però Tadej scatta in maglia gialla come Wout, vero. Solo che Pogacar lotta anche per la generale, Van Aert no. E gli scatti in giallo di Tadej hanno un altro significato.

Con Bennett e Majka (e un Soler in salute), Pogacar avrebbe avuto le spalle coperte in salita
Con Bennett e Majka (e un Soler in salute), Pogacar avrebbe avuto le spalle coperte in salita
Secondo te quanto ha inciso davvero il fatto di ritrovarsi con una UAE Emirates incerottata già prima del via?

Tanto, tantissimo. Avevamo uno squadrone. Avevamo la forza per lottare con tutti e su tutti i terreni in tutti i momenti. Nel giorno che ha vinto Jungels, George Bennet ha dimostrato di essere uno dei top scalatori del Tour. Erano rimasti in 15 quando tirava lui e aveva margine. Perdere uno così credo che conti, no? Majka: sul Granon prima che scattasse Vingegaard erano rimasti in quattro. Uno era lui, uno Tadej, uno Jonas e uno Thomas. Soler, poteva chiudere in almeno tre delle azioni che hanno cambiato il Tour, ma stava male. E poi Trentin. Ecco, non aver avuto un corridore capace, forte, che vede la corsa come Matteo è stata una grande perdita.

Di certo, e questo è un dato di fatto, le cose non si sono messe bene per voi…

Assolutamente no. Io sono convinto, anzi sono certo di quel che dico, che la UAE Emirates al massimo era più forte della Jumbo-Visma. Credo nei miei corridori, conosco perfettamente le loro capacità. E poi ho i dati per dirlo. E li difenderò fino alla morte.

Sembra che Pogacar abbia digerito bene la sconfitta, ma adesso? Cercherà il riscatto sin dalla Vuelta o è ufficiale che non sarà in Spagna?

Non ci sarà, lo abbiamo detto e lo ribadisco. Da qui a fine stagione Tadej farà solo corse di un giorno, a cominciare da San Sebastian domani, poi correrà a Plouay, farà le corse canadesi, il mondiale e le classiche italiane di fine stagione.

Francia nel mirino. Matxin svela i piani della UAE Emirates

14.06.2022
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Tra Giro d’Italia e Tour de France. Un periodo sempre particolare per i corridori e anche per i team. Con Joxean Fernandez, al secolo Matxin, andiamo a vedere cosa succede in casa UAE Emirates. La società asiatica infatti al Delfinato, senza il suo leader Tadej Pogacar è quella che si è vista meno, tra gli squadroni.

Come è stato il loro dopo Giro? Come stanno approcciando il Tour? Sono i campioni uscenti e non possono passare di certo in secondo piano.

Matxin con Almeida dopo la tappa dell’Aprica. Due sere dopo il portoghese inizierà a stare male e lascerà il Giro
Matxin con Almeida dopo la tappa dell’Aprica. Due sere dopo il portoghese inizierà a stare male e lascerà il Giro
Matxin, partiamo dal post Giro. Qualcuno ipotizzava che non avendo finito la corsa rosa, Joao sarebbe andato al Tour. E così?

Assolutamente no. Nessuno di quelli del Giro, almeno inizialmente, è stato previsto per il Tour. E vogliamo mantenere questo planning annuale. Ad inizio stagione facciamo un programma personalizzato (calendario e di conseguenza la preparazione) con i singoli ragazzi. Li ascoltiamo, sentiamo cosa gli piacerebbe fare e insieme alle esigenze della squadra tiriamo giù un programma e cerchiamo di mantenere la parola data.

Così ognuno sa cosa deve fare e farsi trovare pronto…

Esatto. Ma la realtà è che con il covid alcune cose possono variare, ma quello è un altro conto. Può succedere che un ragazzo non sia in condizione, ma di base si rispetta il programma. Così da lavorare più serenamente e con le idee chiare.

Tornando a Joao Almeida: come sta?

Piò o meno si è ripreso. Ci ha messo un po’ per negativizzarsi. Ha iniziato a pedalare, ma prima ha dovuto superare il nostro protocollo che è abbastanza stringente. Sapete con tutti i problemi di cuore che ci sono stati. Sarebbe dovuto rientrare al Giro di Svizzera, ma non è il caso di fargli fare subito sforzi del genere. Per il resto non mi preoccupo di quello che dice la gente. Nel suo programma c’erano il Giro e la Vuelta. Se poi chiaramente si fosse fermato dopo tre tappe allora qualcosa poteva cambiare. E poi non è da noi far fermare un corridore per portarlo ad un altra corsa. E’ successo, ma per ben altri motivi.

A chi ti riferisci?

A Gaviria al Romandia. Lo abbiamo fermato prima delle due tappe finali, due tapponi di montagna, per portarlo al Gp Francoforte che invece è per velocisti. Ma prima ne avevamo parlato con l’organizzatore, in segno di rispetto.

Anche Hirschi è tornato a dare grandi segnali. Sarà al Tour o meglio avere più “gregari puri” per Pogacar?
Anche Hirschi è tornato a dare grandi segnali. Sarà al Tour o meglio avere più “gregari puri” per Pogacar?
E veniamo a Pogacar: come sta Tadej?

Bene. Sta seguendo il suo percorso di avvicinamento al Tour in modo corretto. Abbiamo stretto un accordo con Livigno per i suoi ritiri in altura. Ed è tutto come previsto dal suo coach, Inigo San Millan. Correrà al Giro di Slovenia (dal 15 al 19 giugno, ndr).

Ha cambiato qualcosina nei suoi lavori, magari più qualità o al contrario più resistenza?

Più che altro posso dire che sta testando la nuova Colnago da crono. Ci sta uscendo molto. E poi sta curando le cose di cui ha più bisogno, quelle nelle quali sentiva di essere più carente. La nostra idea comunque è di lasciarlo in quota il più possibile, in modo tale che questa altura se la ritrova nella seconda e nella terza settimana del Tour, quando serve davvero. In tal senso fare lo Slovenia è perfetto.

La squadra per il Tour l’avete fatta?

Per il 95% anche 97% direi… è stata fatta. Tra Delfinato e Svizzera la sveleremo, aspettiamo che tutti svolgano il loro programma, come detto all’inizio. Idem le riserve.

Anche loro si allenano come se dovessero andare in Francia?

Sì, anche loro saranno pronti. Però i nomi non posso dirli. Spetta alla squadra e poi vorremmo fare un bel lancio social. Poi è chiaro che ci sono ragazzi imprescindibili come Majka e Soler, così come McNulty più o meno… Già vi ho detto molto!

Pogacar (a destra) in allenamento sulle strade di Livigno con i suoi compagni Majka e Laengen (foto Instagram)
Pogacar (a destra) in allenamento sulle strade di Livigno con i suoi compagni Majka e Laengen (foto Instagram)
Certo, Matxin, che il Richeze visto al Giro sarebbe una manna nelle tappe di pianura e del pavé di inizio Tour?

E’ stata una scelta mia: al Tour non portiamo velocisti. Non c’è Max, ma abbiamo tanti altri corridori in UAE che possono fare bene sul pavé e col vento. Penso a Trentin, a Laengen.

Si è ritirato per febbre, ma visto come stava andando al Delfinato, Ayuso al Tour sarebbe stata una bella suggestione…

No – risponde secco Matxin – per nulla! Juan ha 19 anni. E lo dico io che credo in lui da quando era un allievo di primo anno. Il mio è un no, senza ombra di dubbio. Penso alla sua carriera. Juan ha davanti a sé 15 anni e se vuol crescere e avere una carriera a lungo termine, non solo quella in relazione al contratto con la UAE, deve fare le cose con calma e sbagliare poco. Sin qui la corsa più lunga che ha fatto è stato il Giro U23 lo scorso anno. E poi non porterei mai un campione, sentite: ho detto campione, per farlo fermare al secondo giorno di riposo. E lo stesso vale per la Vuelta. Discorso diverso per il velocista.

Sei stato molto chiaro!

Guardate, portare il giovane ad un grande Giro e poi farlo fermare l’ho fatto una sola volta con Felline (il riferimento è alla Footon-Servetto del 2010, ndr). Ma all’epoca eravamo una squadra molto piccola, avevamo poche chance e neanche un programma di gare definito.

Mori 2022

Mori, qual è il segreto della “nuova” Uae?

02.04.2022
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Tadej Pogacar ma non solo. Le imprese dello sloveno non sono solamente frutto del suo immenso talento, ma vanno inquadrate nel contesto di una squadra, il Uae Team Emirates, che non è più un semplice corollario. L’andamento della prima fase stagionale dice anzi che la formazione degli Emirati ha un singolare primato: quello di avere il più alto numero di vincitori nel circuito. Si vince con Pogacar, certo, ma anche con tanti altri e ogni volta che ci si presenta al via, chiunque siano i selezionati si corre per vincere.

Sembrano così lontani i tempi del Tour 2020, il primo vinto dallo sloveno. Si disse allora che la grande impresa era stata tale perché Pogacar aveva vinto praticamente da solo, mandando in crisi la Jumbo Visma per superare alla fine Roglic. C’era del vero, ma forse si era esagerato e la disamina della prima parte di stagione, di quel primato importante non può che partire da allora. A farla è un uomo che da 5 anni vive la realtà del team, Manuele Mori prima corridore e ora nel gruppo dei diesse.

MOri 2019
Mori, empolese di 41 anni, ha chiuso la carriera nel 2019, dopo 16 anni fra i pro’
MOri 2019
Mori, empolese di 41 anni, ha chiuso la carriera nel 2019, dopo 16 anni fra i pro’
Allora, Manuele, la squadra attuale è figlia anche di quella controversa interpretazione del Tour?

Diciamo che su quel che è successo allora si è ragionato a lungo in seno alla squadra. Non va dimenticato, ad esempio, che a inizio Tour perdemmo Formolo che era una pedina fondamentale proprio per sostenere Tadej, inoltre pochi ricordano che la prima maglia gialla fu nostra, grazie a Kristoff. Si guardava all’esito delle tappe, ma nell’approccio alle salite Pogacar aveva sempre almeno un uomo con sé, l’imperativo era non strafare, riguadagnare quanto bastava per giocarsi tutto a cronometro. E’ chiaro però che da lì non ci si è fermati, ma si è ripartiti per fare una squadra molto più forte.

E’ pur vero però che dopo un anno e mezzo la situazione è profondamente cambiata…

Quando hai il numero 1 in assoluto può sembrare tutto facile e scontato, ma non è così. Matxin ha lavorato con grande attenzione, ha dato vita a una struttura che ha in Tadej l’elemento più importante, ma uno dei tanti. Mi spiego meglio: il principio alla base del team è che l’importante è che vinca il team. Ci sono quindi occasioni – e lo avete visto anche voi – nelle quali Pogacar si mette al servizio degli altri. Al Uae Tour, nell’ultimo giorno, Tadej stava correndo in supporto di Majka e Almeida, perché vincessero loro, poi l’attacco di Yates lo costrinse a rispondere in prima persona.

Di acquisti ne sono stati fatti molti.

Sono stati scelti corridori di spessore ma anche giovani di prospettive, perché non guardiamo al singolo anno, il nostro è un lavoro in proiezione futura. Ci permette di portare a ogni gara una squadra competitiva, sempre nell’ottica di correre per vincere, chiunque sia a farlo. Questo ha portato ogni corridore a far propria una condotta di gara aggressiva, non subiamo mai le iniziative altrui, che siano gare d’un giorno o corse a tappe.

Pogacar ha spesso affermato che “vincere aiuta a vincere”…

E’ una grande verità, si è visto dalla prima gara che le cose andavano bene e questo influisce sul morale, dà entusiasmo, consente ai giovani di crescere con calma, ad esempio Covi sul quale puntiamo moltissimo. Tutti devono avere i loro spazi: alla Sanremo Ulissi ha corso per Tadej all’approccio del Poggio, ma poi a Larciano ha finalizzato lui la corsa. Matxin ha lavorato per inserire i tasselli adatti a ogni situazione di corsa.

C’è una gara che può identificare al meglio questa filosofia di base?

La Vuelta a Murcia, dove ero proprio io in ammiraglia Uae: erano in 5, ma sembravano 8 per come coprivano ogni fase della gara, portando alla fine Covi al successo. Trentin aveva ottime possibilità personali, eppure si è messo a tirare per Alessandro e le cose sono andate al meglio. Matteo era contentissimo e quel morale gli è servito successivamente in Belgio.

Soler Tirreno 2022
Per Marc Soler nuovo team e nuovo ruolo, ma verrà anche il suo momento
Soler Tirreno 2022
Per Marc Soler nuovo team e nuovo ruolo, ma verrà anche il suo momento
Anche dal punto di vista strategico però si lavora per essere competitivi in tutti i grandi giri considerando che Tadej più di due non può farne…

E’ il discorso che facevo prima nell’inserimento dei giusti tasselli. Joao Almeida è un leader nato per le grandi corse a tappe, ci consente di avere un’alternativa valida sia che Pogacar sia presente, sia che debba svolgere il ruolo di capitano unico come al prossimo Giro. Ricordando sempre che quel che conta è il Uae Team. Tadej lo sa bene, è sempre il primo a mettersi a disposizione e se la classifica, Dio non voglia, si dovesse mettere in un certo modo, darà volentieri una mano.

Finora hanno vinto in tanti. Da chi ti attendi uno squillo fra quelli che ancora non hanno potuto alzare le braccia?

Mi piacerebbe vedere Soler vittorioso, si è approcciato al suo nuovo team e nuovo ruolo con molta umiltà e disponibilità, ma ha già dimostrato di essere maturo per un successo e io penso che sia solo questione di tempo. Poi Ayuso naturalmente, ha un talento enorme, ma il tempo gioca decisamente a suo favore vista l’età ancora tanto giovane. In generale tutti i nuovi si sono integrati bene e stanno rendendo al meglio, però un ultimo pensiero vorrei dedicarlo a Majka, è stato davvero un piacere vederlo vincere all’ultima Vuelta, io c’ero e so che cosa significava per lui, lo ripagò del grande lavoro svolto al Tour. Vorrei che questi tre mi regalassero una gioia a breve, sarebbe davvero come se vincessi io.

La solitudine del numero uno. Altra impresa di Pogacar

05.03.2022
6 min
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Cinquantuno chilometri all’arrivo. Tadej Pogacar è di nuovo solo, in fuga verso Siena stavolta. Alla Strade Bianche stupisce tutti, tranne se stesso. Persino Mauro Gianetti, il team manager della sua UAE Team Emirates si chiede: «Ma dove va? Manca tanto e in gruppo non sono 7-8. Sono tanti e certe squadre hanno anche tre, quattro atleti. Si possono organizzare».

Ma lui è Tadej Pogacar. Quando scatta neanche sembra faccia fatica. Cancellara, che qui ha vinto tre volte, quando attaccava si contorceva, faceva smorfie. Lui invece niente. Accelera quasi banalmente, eppure apre il vuoto

«E’ così scatta e sembra non fare fatica – dice Matxin tecnico della UAE che lo ha seguito in ammiraglia al fianco di Andrej Hauptman – Tadej è Tadej, non somiglia a nessuno».

Cavalcata solitaria

Ripercorriamo questi 50 chilometri in solitaria. Settore di Monte Sante Marie, uno dei più importanti. Pogacar forza e se ne va. Inizia la sua cavalcata. Ben presto prende vantaggio.

«L’attacco – riprende Matxin – non era stato programmato. Almeno non così… Sapevamo che quello era un punto decisivo e volevamo forzare. Ne avevamo parlato con Tadej, ma molto dipendeva dalla situazione della corsa. Poi si è ritrovato da solo. Tanto che ad un certo punto ci ha chiesto cosa doveva fare.

«Gli abbiamo detto: provaci, fidati di te. La corsa dipende da te, non da quello che fanno dietro. Se hai un minuto è perché dietro non sono brillanti. Ed è andato».

La fuga solitaria tutto sommato, da come racconta Matxin, è passata in fretta. «Andrej (Hauptman, ndr) lo ha gestito alla stragrande. Si parlavano in sloveno. Tutto è più facile così. Curva a destra, curva a sinistra, sterrato fra 300 metri, tratto al 3 per cento… gli fai compagnia, lo aiuti a far passare il tempo».

«Come si gestisce di testa una fuga del genere? Mi ricorda molto quella che fece nella sua prima Vuelta, quando partì a 46 chilometri dall’arrivo. Aveva già vinto due tappe, non aveva il podio, né la maglia bianca: gli dissi di “pensare solo avanti”, a sé stesso. Allora come adesso quindi non aveva nulla da perdere, doveva solo guardare avanti».

Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo
Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo

Pressione zero

Dalla Tv tutto sembra facile per Tadej. Ma tutti si chiedono se senta o meno la pressione. Se ha avuto almeno un dubbio quando Kasper Asgreen ha forzato e si è creato un drappello che aveva quasi dimezzato il suo vantaggio.

«Pressione? La pressione – dice Maxtin – ce l’ha chi sta in Ucraina. Chi deve arrivare a fine mese con 1.000 euro. Quella è pressione. Questo è un privilegio. Essere un ciclista professionista ed entrare in Piazza del Campo da solo e tutti che urlano il tuo nome: che pressione è? Questo deve essere orgoglio, prestigio».

A queste parole fa eco lo stesso Pogacar. «Avevo pressione zero stamattina – spiega lo sloveno – Se non me la mette il team, e in squadra nessuno me la mette, di quello che succede fuori, di quello che si aspettano gli altri non mi interesso».

Semmai un pizzico di nervosismo, Pogacar ce lo aveva prima di arrivare in Europa, visto che era rimasto tre giorni in più negli Emirati Arabi Uniti per determinati impegni. Non si era allenato come voleva (anche se ci dicono si sia “scornato” per bene con Joao Almeida nel deserto) e aveva ancora il fuso orario addosso. Ma come sempre lui guarda il bicchiere mezzo pieno.

«Alla fine – dice Tadej – mi sono riposato un po’ dopo il UAE Tour e non è stata una cattiva idea visto che la corsa è stata dispendiosa».

Anche Tadej soffre

La sua cavalcata continua. Passa uno sterrato, poi un’altro ancora. Pogacar alterna pedalate potenti in pianura ad altre più “agili” in salita (nel senso che gira velocemente rapporti duri per altri). Nel finale però mostra che è umano. Appena c’è una discesa, si stira la schiena, sgranchisce le gambe. Ha qualche dolore.

«Guardate – racconta lo sloveno – che ho sofferto molto anche io. E’ stata una volata di 50 chilometri. Già poco dopo che sono partito ero affaticato. Non ho potuto certo godermi i panorami. Però a quel punto ero fuori. Passavano i chilometri e io restavo concentrato su di me. Ero concentrato sul traguardo».

Matxin ci dice che Pogacar era sempre informato sui distacchi, che ha gestito questo sforzo da solo. La solitudine tipica del campione ciclista, dell’uomo solo al comando. «Ha la testa vincente», aggiunge Matxin.

L’ingresso in Piazza del Campo è un tripudio. Ci sono i suoi tifosi con le sue bandiere e c’è la folla comune. Ormai Pogacar inizia ad essere un nome anche oltre il mondo ciclistico. Tutti gli addetti ai lavori battono le mani. Lui si siede alle transenne. Ha faticato davvero.

E dire che era anche caduto. «Tadej – dice Covi – neanche lo devi aiutare. Fa tutto da solo!».

In realtà la squadra lo ha coperto e bene. Ed è stata anche rispettosa nel non infierire dopo la caduta di Alaphilippe. «Massimo rispetto – dice Matxin – oggi tocca a loro, domani a noi. Non è in questo caso che bisogna attaccare. Noi abbiamo solo coperto Tadej».

E gli altri?

Chissà cosa deve essere passato nella testa di Alejandro Valverde, secondo, che potrebbe quasi essere il papà di Tadej. Secondo come la sua compagna di squadra Van Vleuten. Al mattino il patron del Movistar Team, Eusebio Unzue, ce lo aveva detto: «Vedrete Annemieck e Alejandro come andranno. Sono sempre agguerriti. Alejandro non come Annemiek, perché lei è sempre “cattivissima”, ma andrà forte».

E non si sbagliava. Il murciano ha gestito lo sforzo alla perfezione. Probabilmente è stato colui che ha speso meno energie di tutti in gruppo. Come un gatto si è lanciato alla ruota di Asgreen nel contrattacco. E quello è stato l’unico momento in cui, per un istante, la corsa è sembrata riaprirsi. Contro Pogacar ci si deve accontentare di questo.

Rodriguez e Ayuso: Matxin disegna la Spagna di domani

23.01.2022
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«Li vedevo battagliare con personalità sin da quando erano juniores», racconta Joxean Fernandez, per tutti Matxin. Carlos Rodriguez e Juan Ayuso (in apertura, foto Real Federacion Espanola Ciclismo) i due gioielli che fanno sognare la Spagna. Ammesso che sognare sia il termine corretto. Con due così infatti tutto è già molto concreto. Anche se sono poco più che adolescenti, anche se hanno 39 anni in due.

Matxin, spagnolo, è uno dei talent scout più bravi dell’intero circus del ciclismo. Lui è anche uno dei dirigenti-tecnici del UAE Team Emirates e soprattutto Ayuso lo conosce bene. Ma meglio di chiunque può farci un paragone fra i due atleti.

La Spagna ride

Juan Ayuso è un catalano. Classe 2002, ha vinto il Giro d’Italia U23 e molte altre corse nelle categorie giovanili. Due volte campione nazionale juniores in linea e una a crono, ha già esordito nel WorldTour con il UAE Team Emirates. Una caduta nella quinta tappa del Tour de l’Avenir gli impedito di fare, chissà, la doppietta.

Carlos Rodriguez, invece, viene dall’estremo Sud della Spagna. Classe 2001, anche lui ha vinto dei titoli nazionali nelle categorie giovanili, specie a cronometro. E’ passato alla Ineos-Grenadiers. Lo scorso anno è stato protagonista fino all’ultimo metro (e anche dopo) al Tour de l’Avenir. Autore di un’azione di altri tempi sulle Alpi, ha perso per una manciata di secondi il “Tour baby” pur dominando l’ultima durissima tappa.

Joxean Fernandez “Matxin”, classe 1970, è team manager della UAE Team Emirates
Joxean Fernandez “Matxin”, classe 1970, è team manager della UAE Team Emirates
Maxtin: Carlos Rodriguez e Juan Ayuso ma che corridori avete in Spagna! Tu come li hai conosciuti?

All’inizio conosco gli atleti dai risultati, vedo cosa fanno nelle gare. Poi vado alle corse e li osservo da vicino. Sia Juan che Carlos li ho conosciuti allo stesso modo. Quando vado alle gare cerco sempre di seguire la corsa in moto. In questo modo aiuto l’organizzazione nella sicurezza della gara stessa, ma ho anche l’opportunità di valutare l’atteggiamento e il comportamento del corridore. E’ qualcosa che faccio molto volentieri, non solo per il mio lavoro di scouting, ma è una passione. E per questo ringrazio gli organizzatori che mi danno questa opportunità.

Hai conosciuto prima Carlos Rodriguez?

Sì, lui l’ho visto per la prima volta in una tappa della Coppa di Spagna juniores. In quell’occasione ho conosciuto anche la sua famiglia. Ayuso invece l’ho visto per la prima volta da allievo. Correva alla Bathco, una squadra con cui ho sempre un ottimo rapporto. Ebbi modo di vederlo poi nella gara più importante di Spagna, la Vuelta Besaya, e con lui ho stabilito subito un rapporto un po’ più profondo.

Sono due scalatori o c’è di più?

Sono molto più che scalatori. Entrambi hanno una mentalità vincente perché si adeguano ad ogni tipo di gara.

Secondo te qual è la principale differenza tra Juan e Carlos?

Ayuso è un po’ più veloce. Pensate, lui ha vinto il suo secondo campionato spagnolo juniores dominando la volata di gruppo. L’altro, Carlos, va molto bene anche a cronometro. Ma a seconda del percorso anche Ayuso si difende molto bene contro il tempo.

Prima hai parlato di mentalità vincente, dicci di più…

La classe, il talento non si comprano al supermercato. E’ un po’ come chi vuole essere bello ma bello non è. Sì, può migliorare un po’ se si cura, se si veste bene, ma bello non sarà mai. Per questo io dico che loro due non sono buoni corridori. Sono campioni.

In cosa per te uno è più bravo dell’altro?

Sul piano del carattere Ayuso è più aggressivo. E’ estremamente convinto di sé. Lui non dice mai: sono forte, o vado a vincere. No, lui parla con i fatti. Carlos invece è un ragazzo molto più tranquillo, più riflessivo, più introverso. Al tempo stesso molto determinato. Entrambi parlano molto poco, ma Carlos parla pochissimo!

Qual è il primo ricordo che hai di loro due insieme?

Carlos è del Sud della Spagna, io del Nord. Sentivo continuamente parlare di questo corridore. Tutti mi dicevano: c’è un fenomeno, c’è un corridore fortissimo. A un certo punto ebbi la necessità, il desiderio, di vederlo anch’io. E più o meno è stata la stessa cosa con Ayuso. Il primo confronto diretto che ricordo fra loro due fu al campionato spagnolo juniores. Juan era di primo anno e Carlos di secondo. Per tutta la gara si sfidarono, si controllarono. Corsero da protagonisti senza nascondersi. Alla fine Ayuso lo battè allo sprint. La cosa che mi colpì è che nessuno dei due voleva accontentarsi fino alla fine.

Due ragazzi fortissimi, ma secondo te hanno ancora dei margini?

Hanno tanto margine. Entrambi sono molto intelligenti, possono imparare ancora e stanno completando la loro crescita, non dimentichiamolo. Chiaramente io conosco di più Ayuso, visto che è nella mia squadra. Su Carlos posso dire un po’ di meno. Ma certo anche lui è in uno squadrone. Ho un buon rapporto con Carlos, ci salutiamo tranquillamente, ma su certi dettagli tecnici non posso esprimermi. Non so neanche il 5 per cento di cosa faccia realmente. 

E allora dici di Ayuso…

Ha compiuto 19 anni pochi mesi fa! Vi rendete conto solo 19 anni. Ancora non conosce il suo peso reale, perché il suo corpo ogni sei mesi cambia. La cosa che mi ha colpito è che lo scorso anno prima del Giro d’Italia Under 23 aveva delle gambe da allievo, invece dopo quel Giro e tutte le gare di avvicinamento, ne è uscito un corridore. Aveva gambe quasi da uomo!

Tu avevi provato a portare Carlos Rodriguez alla UAE, vero?

Sinceramente sì. Eravamo nel finale della Vuelta, dalle sue parti, e con me c’era Gianetti. Gli dissi: Mauro facciamolo firmare due anni. C’era anche la sua famiglia. Ma poi Carlos prese altre strade ed è finito alla Ineos.

Dove li vedremo battagliare nei prossimi anni? 

Anche qui posso parlare più per Ayuso. Ho fatto un programma per la sua carriera sportiva e non solo per il 2022. Ho fatto un piano a lungo termine. Io lavoro con i giovani affinché siano campioni. C’è una situazione fortunata da noi in UAE. Abbiamo buoni corridori affiancati ai campioni. Ma io ho sempre detto a tutti quanti: trattiamo Juan come un campione, anche se è solo un ragazzo molto giovane. Sono convinto che già alla Valenciana (2-6 febbraio, ndr) lui sarà protagonista. E non lo dico per mettergli pressione, ma perché ho fiducia in lui.

Torniamo a discorsi più tecnici, come li vedi quindi a cronometro?

Non so se Carlos sia più forte di Juan a cronometro. E non lo dico perché io voglia difendere Ayuso. E’ che senza un vero confronto diretto è difficile da dire. Quindi se mi chiedete chi è più forte a cronometro rispondo: dipende. Dipende dalla condizione dell’atleta, dalla tipologia del percorso, dagli obiettivi che hanno. Ripeto, dico questo non per eludere la domanda, ma perché veramente non ho dati. Di sicuro Carlos è uno specialista, ma anche Ayuso va molto forte contro il tempo.

Con chi paragoneresti questi due ragazzi ai tanti campioni spagnoli che avete avuto?

Ecco, questa è la mia lotta con tutti i giornalisti spagnoli! In Spagna abbiamo il grosso problema che dopo Indurain tutti cercavano e aspettavano il prossimo… Indurain. Senza contare che abbiamo avuto Valverde, Purito, Contador, Landa, Freire. Ad un certo momento avevamo sette corridori spagnoli nei primi dieci della classifica UCI. Tornando alla domanda quindi, dico che Ayuso non somiglia a nessuno. E lo dico sinceramente. Parliamo di un ragazzo giovanissimo, che a 18 anni è stato in grado di vincere nella categoria under 23, al quale è stato proposto un contratto di sei anni e lo ha accettato senza problemi, che sa stare in questo mondo del ciclismo, che parla un inglese fluente, che sa gestire la pressione. Ayuso somiglia ad Ayuso.

E Rodriguez?

Se pensiamo a Indurain, credo che Carlos sia più scalatore. L’altro ammazzava tutti a cronometro. Ma anche in questo caso non farei il paragone. Una cosa però che posso dire di Rodriguez è che lui ha classe. Carlos ha sempre classe: quando pedala in salita ha classe, quando pedala a crono ha classe… Semmai potrei dire che entrambi abbiano un qualcosa di Indurain e di Contador e degli altri campioni. Ma ripeto, sono due corridori che non sono paragonabili a tutti gli altri.

Domanda provocatoria, quanti Tour vinceranno?

Anche se ne avessi un’idea non lo direi! Ci sono tantissime situazioni intorno ad un corridore, che vanno di pari passo con la vita dell’atleta. Situazioni che determinano il risultato sportivo: un momento familiare particolare, i rapporti con gli sponsor, la condizione fisica… oggi c’è molta pressione attorno ragazzi. E tutto ciò incide.