L’impresa (impossibile?) di dirottare Pidcock sul Tour

12.02.2023
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Bernal non si sa quando e se tornerà ai livelli migliori. Osservandolo da vicino alla Vuelta a San Juan, la sensazione che il colombiano abbia ancora tanta strada da fare è stata piuttosto netta. Tuttavia, considerando il punto di partenza e il fatto che abbia davvero rischiato di non poter più nemmeno camminare, è superfluo dire che gli vada lasciato il tempo necessario per riallacciare tutti i fili. Nel frattempo però, cosa fa il team Ineos Grenadiers? Nel gruppo si dice che forse solo Pidcock, 23 anni, potrebbe essere all’altezza di un’investitura.

Lo squadrone dei 7 Tour, 3 Giri e una Vuelta negli ultimi 10 anni per la prima volta l’anno scorso è andato in bianco e l’assalto deciso al contratto di Evenepoel fa capire che perdere altro tempo non è una delle opzioni più gradite. Ma Lefevere sa scrivere i contratti cui tiene maggiormente, così Remco non si è mosso e forse non aveva neppure l’intenzione di farlo.

Sfogliando l’organico della squadra e i programmi stilati per il Giro ed il Tour, vedremo Geraint Thomas e probabilmente Arensman, al Giro mentre Bernal, Martinez e Pidock andranno al Tour. Della Vuelta parleranno poi.

Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione
Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione

Pidcock e le distrazioni

Con Dario Cioni abbiamo provato a sbirciare nelle carte della squadra britannica, per capire quali considerazioni si facciano dietro le porte chiuse sui corridori che potenzialmente potrebbero diventare grandi nelle corse di tre settimane. Il punto di inizio è Pidock, per la sensazione che ci rimase addosso vedendogli dominare il Giro d’Italia U23 nel 2020.

«Tom – dice Cioni – è uno che se ci mette la testa, potrebbe far delle belle cose. E’ uno su cui si sta lavorando, ma è vero che dal suo punto di vista lui rimane quello un po’ eclettico che vuole far tutto. Stiamo studiando sul discorso dei Giri, quindi la vostra impressione è corretta.

«E’ uno che riesce a mentalizzarsi bene sul singolo appuntamento e comunque non rinuncia alle sue mille cose. Nel senso che continuerà a fare le varie altre cose, perché comunque questo fa parte del suo essere. Come scuola, siamo sempre stati favorevoli a non snaturare completamente le attitudini dei corridori, soprattutto se arrivano a un certo livello. Per cui il pistard continua a fare pista e nel caso di Tom ci sarà ancora la mountain bike. Senza scordarsi che da questo punto di vista, Ineos ha raddoppiato prendendo Pauline Ferrand Prevot. Comunque Grenadier è un prodotto offroad, quindi non è seguire un suo capriccio, perché alla fine lui è il campione olimpico».

I mondiali d’agosto

Il calendario di Pidcock diventa quindi centrale, alla luce delle necessità di chi corre preparando il Tour de France. In questo la coincidenza fortunata del mondiale in Scozia subito dopo il Tour sarebbe per Tom il lancio ideale.

«Il mondiale infatti – spiega Cioni – è il minore dei problemi, perché facendoli dopo il Tour, avrà piena libertà. In ogni caso, Pidcock avrà un calendario molto flessibile. L’anno scorso era partito con l’idea di fare il Giro, poi era finito al Tour. Quest’anno magari, mettendo più di enfasi sul discorso Tour, si può parlare di investimento sul futuro. Da quello che abbiamo visto nel 2022 pensiamo che possa avere buone possibilità anche nelle corse a tappe. Quindi se l’anno scorso era stato un primo approccio al Tour, quest’anno sarà più strutturato, ma accanto ci saranno comunque Bernal e Martinez».

Le dinamiche di squadra

Il problema di Pidcock è la sua ritrosia apparente di farsi ingabbiare nelle logiche di una sola specialità. Vince nel cross, pur avendo ammesso di non avere il livello di Van der Poel e Van Aert. Vince nella mountain bike, al suo attivo due mondiali e le ultime Olimpiadi. Sta imparando a vincere le classiche, con una Freccia del Brabante e il secondo posto all’Amstel. E l’anno scorso, al debutto nel Tour, ha vinto sull’Alpe d’Huez.

«Alla fine anche lui – dice Cioni con il necessario realismo – dovrà inserirsi nelle dinamiche della squadra. Lui va forte in salita, ma la crono sarà un elemento su cui lavorare. L’anno scorso è stata un po’ sottovalutata per i mille impegni. Però adesso, nell’ambito della sua crescita verso il Tour, è chiaro che acquisisca importanza. Alla fine però sono progetti lunghi, bisogna avere pazienza. Non puoi fare tutto in un colpo. Diciamo che la crono fa parte probabilmente del cammino per step che abbiamo impostato».

Thomas e Hayter

Accanto a Pidcock, la Ineos Grenadiers ha altri nomi su cui lavorare. Uno, Geraint Thomas, è quello più concreto, che per il 2023 – stimato come l’anno del ritiro – ha scelto il Giro d’Italia. Gli altri tre sono Leo Hayter, Geoghegan Hart e Arensman, di cui si parlava giusto ieri con Tosatto.

«Il piccolo Hayter – spiega Cioni – è uno su cui si può ragionare in chiave grandi Giri, ma diamogli tempo perché è appena arrivato, quindi non starei ora a mettergli pressione. Suo fratello invece è talentuoso, ma lo vedo più sul fronte delle classiche. E poi c’è Arensman, che è stato preso anche per questo. Al Giro abbiamo una garanzia come Geraint Thomas, che però in teoria è all’ultimo anno e anche questo devi tenerlo in considerazione. Il Giro è stato una sua scelta e noi tendenzialmente appoggiamo le scelte dei corridori, specialmente a quel livello. Poi gli altri magari proviamo a incastrarli nei vari progetti».

Con Tosatto nel debutto di Arensman: che cosa ha visto?

09.02.2023
6 min
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Alla Volta a la Comunitat Valenciana ha fatto il suo esordio tra le fila dei “Grenadiers” Thymen Arensman. Giovane e slanciato olandese che nel corso della passata stagione si è messo in mostra in più di un’occasione con il Team DSM. Dopo due anni e mezzi con la WorldTour olandese Arensman è passato alla corte britannica. Matteo Tosatto, diesse della Ineos, lo ha avuto tra le mani in questi primissimi assaggi di stagione. 

Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Che cosa hai visto in lui in queste prime uscite insieme?

Già dalla scorsa stagione – racconta il tecnico veneto – avevamo visto delle belle cose. E’ sempre stato un grande avversario, molto serio e preparato. Fin dalle prime pedalate dei vari ritiri invernali ho notato una grande professionalità ed un atteggiamento molto serio. 

E’ molto alto e slanciato, un fisico da corridore moderno…

Fisicamente è ottimo, si tratta di un atleta giovane e forte. La cosa più importante è che si tratta di un corridore completo, questo grazie alle sue caratteristiche. E’ molto bravo a cronometro ed in salita ha un bel passo, tant’è che ha vinto la tappa regina della Vuelta a Sierra Nevada. 

Il suo arrivo fa parte di quello che è un ricambio generazionale?

Beh sì. Con la partenza di Carapaz abbiamo deciso di prendere corridori giovani sui quali lavorare. Thymen (Arensman, ndr) ha tanti anni davanti dove può crescere e fare bene. 

Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Anche perché c’è il dubbio sulla ripresa di Bernal?

Lui è un punto interrogativo per tutti, fin dall’anno scorso ha lavorato molto per riprendersi e tornare ai suoi livelli. Sta facendo e farà delle corse che potranno darci delle risposte. Alla Vuelta a San Juan si è rivisto poi, vista la botta al ginocchio subita nella prima tappa, abbiamo deciso di fermarlo. Non deve avere fretta, ha davanti a sé un percorso da fare. 

Tornando a Arensman, come si è ambientato nel vostro gruppo?

Sono stato un po’ di tempo con lui. Due settimane nel ritiro di dicembre e poi a quello di gennaio. Più la sua prima corsa con noi, la Valenciana appunto. Si è visto anche dalla corsa a tappe spagnola la sua voglia di mettersi in mostra dando una mano anche ai compagni, come Geoghegan Hart.

Cosa gli manca secondo te?

Un po’ di consapevolezza in più sulla sua forza, è giovane ed ha paura di sbagliare, deve trovare un po’ più di coraggio. 

L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
E’ un corridore che ha ottenuto gran parte dei suoi risultati a cronometro, voi avete una tradizione importante in quella disciplina. 

Già da dicembre ha lavorato molto con dei test in pista e sulla posizione. Era presto per fare dei lavori specifici, ma ha preso dimestichezza con il mezzo ed i materiali. E’ molto contento della bici, ha trovato subito un buon feeling e questo per lui è molto importante per trovare la consapevolezza che dicevo prima. 

Avere Ganna al suo fianco sarà un bel vantaggio…

Quando hai il due volte campione del mondo ed il detentore del record dell’Ora al tuo fianco sai già di poter contare su un grande aiuto. “Pippo” potrà essere di grande appoggio a Arensman sia per guidarlo al meglio nella scelta dei materiali ed anche per quanto riguarda la preparazione.

Su strada invece che tipo di scalatore hai trovato?

Si vede che gli piacciono le salite lunghe, anche se alla Valenciana ha fatto bene anche su distanze più brevi. Di certo lavora un po’ più sulla regolarità, non è un corridore che fa dieci scatti in due chilometri. Ma forse non esistono più scalatori di questo genere. In salita gli manca qualcosa e lavoreremo per limare qualcosa senza snaturarlo. Alla fine quel che perde in salita lo guadagna con gli interessi a cronometro. 

Lavorare con Bardet gli ha dato una mano nel percorso di crescita…

Al Tour of the Alps si è messo in gran mostra, anche su salite durissime come quelle che trovi lì. E’ arrivato terzo nella generale alle spalle di Bardet e Storer, ed ha vinto la classifica dei giovani. 

Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
L’età è un fattore.

E’ un classe ‘99, fa parte della nuova generazione. Ricordiamo che Evenepoel è del 2000, Pogacar del ‘98. E’ sulla falsariga di questi corridori ed ha a disposizione tanti anni. 

Immaginiamo che l’obiettivo che avete con lui è quello di vincere.

Si tratta di un ragazzo sul quale si può fare affidamento, vincere dei Grandi Giri non è facile, soprattutto al primo anno in una nuova squadra, sarebbe sbagliato partire con questo obiettivo. Quel che giusto è prendere le misure, soprattutto quest’anno, si deve essere elastici.

Quest’anno che calendario farà?

Ora andrà alla Volta ao Algarve, poi la Tirreno-Adriatico. La Corsa dei due Mari potrà essere un primo banco di prova. Ci sono delle salite lunghe con l’arrivo a Sassotetto che potrà dire molto. 

Il Giro potrà essere un obiettivo al suo primo anno con la Ineos?

E’ un obiettivo di questa stagione. Non partiremo per vincere ma andremo alla giornata, il primo Grande Giro con una squadra nuova è sempre pieno di incognite. Credo, tuttavia, che Arensman possa fare due Grandi Giri in un anno. Non Giro e Tour, piuttosto Giro e Vuelta. Una volta prese le misure per tutta la stagione potremo alzare l’asticella in Spagna. 

Assomiglia molto a Thomas, vero?

Sì. Sono entrambi molto forti a cronometro, se devo trovare una differenza direi che Arensman è più scalatore di Geraint. Non è un segreto che il britannico sarà al via della Corsa Rosa e farli correre insieme è un bel modo per insegnare al giovane olandese qualcosa. Non è da escludere che le cose possano cambiare nel corso di una gara di tre settimane, lo insegnano la stessa Sky e Thomas (il riferimento è al Tour de France del 2018 vinto dal britannico quando il capitano designato era Froome, ndr). Sono convinto che si trovi nella squadra giusta al momento giusto.

Un viaggio curioso nei pensieri di Ganna

28.01.2023
8 min
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In vacanza dopo il mondiale su pista, Pippo Ganna era sparito dai radar. Il 2022 era iniziato a febbraio con l’Etoile de Besseges e si era chiuso il 14 ottobre con l’oro iridato nell’inseguimento individuale. Nel mezzo 67 giorni di corse su strada, il primo Tour, gli europei della crono a Monaco, i mondiali australiani, il record dell’Ora e l’argento del quartetto ugualmente ai mondiali.

Lo abbiamo ritrovato in Argentina, di buon umore, pronto per ripartire e senza più gli occhiali, spariti dopo l’intervento.

Contento di aver ripreso o si stava meglio in ferie?

Ho fatto 5 settimane e mezza di vacanza quest’anno, alla terza ero già in palestra a fare spinning per sudare, perché non riuscire a sudare non mi dava le endorfine che mi servivano, quindi ero un pochettino arrabbiato (sorride, ndr). Diciamo che siamo una categoria cui manca ogni tanto fare lo sforzo. Ti manca fare la fatica, ne hai bisogno. Magari uno da fuori pensa che sei stupido a essere in vacanza e pensi ad allenarti. Ma se mi vedo con la pancia, non riesco a guardarmi allo specchio, quindi era più uno star bene, mantenere la forma. Poi a casa ho ricominciato con i primi blocchi. Ero in ritiro con il team, facevo fatica in salita, mi staccavano e mi aspettavano in cima. Però non me ne vergogno, non era mica la prima corsa di stagione…

Ganna e i bambini: i piccoli tifosi argentini lo hanno cercato ogni giorno
Ganna e i bambini: i piccoli tifosi argentini lo hanno cercato ogni giorno
Infatti quella la stai facendo adesso.

Siamo qua e sono felicissimo della scelta. Ho fatto anche il punto con Dario (Cioni, ndr), ero indietro di circa 32 ore rispetto all’anno passato. Ho fatto l’operazione agli occhi che ha inciso. Ho lasciato una buona settimana di allenamento, vorrà dire che entrerò in condizione una settimana dopo, ma non credo che cambierà qualcosa.

Potrebbe essere un problema per gli europei di febbraio?

No, perché quelli sono sforzi brevi e intensi che ormai ho nelle gambe. Qui ho sofferto un po’ le ore, che mi erano mancate in una settimana fra viaggio e qualche problema di stomaco. Però nei giorni scorsi, quando s’è potuto siamo tornati in bici dopo la tappa e abbiamo preso un’altra mezz’oretta in più di allenamento, che è servita e servirà per il per il futuro. Stiamo lavorando bene.

Qual è stato il giorno più bello del 2022?

Eh, quando è finito il Tour (sorride, ndr). Finalmente ero tranquillo, non dovevo più limare, finalmente potevo rilassarmi un attimo. Come debutto è stato pesante, devo essere sincero. E sapendo poi che è stato il Tour più tirato della storia, ho capito perché ero stanco, perché partivo la mattina e sapevo già di avere mal di gambe. Non è stato bello.

Subito gli europei, poi le classiche, il Giro e i mondiali: tutto in sette mesi. Hai un programma già super definito?

Fino a metà stagione sarà una corsa a tappe continua. Questi europei, l’ho detto a Marco (Villa, ndr), li farò per i punti della qualifica olimpica, quindi arriverò su per fare il quartetto, poi tornerò a casa per concentrarmi sulla strada e stare anch’io un attimo più tranquillo. Perché il 14 riparto per l’Algarve e da lì diretto in altura. Poi Tirreno, Sanremo e classiche. Di nuovo altura e Giro. Mi hanno chiesto quanti giorni sia fuori casa, forse faccio prima a dire quanti giorni ci sono (ride, ndr).

Perché ti piace così tanto la pista?

Per la fatica e la sicurezza che puoi avere in pista. Per il gruppo che si è formato. E per l’ambiente che si crea nelle competizioni. Su strada, li vedi passare: schiocco di dita ed è finita la gara. In pista, hai le 3-4 ore dove vivi la gara fino alla fine. Il bello della pista è quello, che riesci a seguire la corsa in ogni minimo particolare. Per quanto anche la televisione possa farti vedere una corsa in linea, ma non è mai come viverla dal vero.

A gusto tuo, è meglio fare quattro ore su strada o quattro ore di lavoro in pista?

Quattro ore su strada. Quattro ore su pista non le consiglio. Le ho fatte, ma non le consiglio (ridacchia, ndr).

Alcuni colleghi, ad esempio Wiggins, hanno vinto le loro Olimpiadi e poi hanno mollato la pista. A te lo hanno consigliato…

Ci sono le Olimpiadi. Poi alla fine, quando vinci le Olimpiadi, sono tutti lì. Facciano quello che vogliono, a me ormai…

Invece il mondiale come lo vedi? Tu in teoria potresti fare una marea di specialità.

In teoria, ma il calendario è troppo fitto e devi fare delle scelte, che probabilmente ricadranno sul quartetto e sulla crono. Forse il calendario del mondiale è fatto così anche per simulare una futura Olimpiade, vediamo come sarà questa formula e le scelte da fare.

La tua ambizione è la stessa in pista e su strada? 

Sì, ogni volta che metto il numero sulla schiena non lo faccio per partecipare e a 10 chilometri dall’arrivo tirare i remi in barca. Lo faccio per esserci fino al finale. In supporto per il team o se ho carta bianca, per fare la mia corsa.

La Vuelta a San Juan per Ganna è stata l’occasione per recuperare ore e fare ritmo
La Vuelta a San Juan per Ganna è stata l’occasione per recuperare ore e fare ritmo
Senti di dover guadagnare un po’ di sicurezza su strada? Ad esempio per la Roubaix?

Più che sicurezza, parlerei di esperienza. Sapere dov’è il miglior momento per attaccare, dov’è il miglior momento per andare avanti. Faremo delle ricognizioni prima della Roubaix, anche per studiare questi aspetti. Tra sfortuna e mille inghippi, devi essere bravo a reagire. Forse l’anno scorso l’ho fatto con un po’ troppa cattiveria, quindi devo essere capace anch’io a stare più tranquillo in certi frangenti e magari risparmiare, perché nel finale torna tutto. Con il team ho la massima libertà, il massimo supporto. Vedremo cosa faremo in avvicinamento anche di questa gara.

Strada e pista sono due mondi diversi oppure comunicanti?

Il mezzo è abbastanza simile, ma sono mondi completamente diversi. Credo la pista sia un po’ più leggera. L’aria che si respira non ha troppi stress, quelli li ha Villa (ride, ndr). Invece su strada è come avere un fucile puntato con un bel tabellone grosso e rosso dietro di te. Quindi appena sbagli qualcosa, sono tutti pronti a puntare il dito.

Qual è la cosa più bella che ti sei portato via dal record dell’Ora?

Forse il calore della gente. Perché non si può dire che sia stata una bella gara, soprattutto negli ultimi 15 minuti. Ricordo il mal di gambe e al sedere. Però potendo rifarla, la farei uguale e forse più forte. So cosa mi aspetta ora. Potrei magari… Non lo so, non ci penso, non voglio pensarci. 

Nella tappa di ieri all’Alto del Colorado, Ganna ha aiutato Bernal poi ha preso per sé il secondo posto
Nella tappa di ieri all’Alto del Colorado, Ganna ha aiutato Bernal poi ha preso per sé il secondo posto
La fatica ha un buon sapore?

Non la fai con piacere, ma perché sai che serve. Non so a chi piaccia far fatica, devi essere un po’ autolesionista. Più di una volta sei a fare i lavori intensi, dove devi essere veramente vicino al limite, senti le gambe che bruciano, il cuore a tutta, il fiato corto e ti viene da rialzarti. Però dici: «No, mi serve. Perché quando sarò in quella situazione in gara e soffrirò allo stesso modo, sarò pronto, sarò là». Se non lo fai in allenamento, in gara molli.

L’ultima, poi ti lasciamo andare: come lo vedi Egan?

Bene da vicino, da lontano faccio ancora un po’ fatica (ride, ndr). Dopo l’intervento agli occhi devo ancora abituarmi a un modo diverso di vedere, in bici devo prenderci la mano, ma ci vedo benissimo. Tornando a Egan, sembra felice. Lo vedo felice, è tornato se stesso un anno dopo.

Bernal, il ciclismo è soprattutto un fatto di testa

25.01.2023
4 min
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Bernal ha le braccia sottili come quelle di un bambino e del bambino ha anche lo sguardo, che però in certi momenti lampeggia di fuoco e lava. Le gambe brunite dal sole sono un guizzare di muscoli: nulla guardandolo dal di fuori fa pensare all’incidente dello scorso anno. Egan è padrone della situazione. Accetta con disinvoltura di posare per le foto e di rispondere a domande spizzicate qua e là. In corsa, durante questi primi giorni della Vuelta a San Juan, lo si è visto spesso in testa a tirare per Elia Viviani, come dopo il rientro dello scorso anno si mise a disposizione dei compagni. La parola d’ordine è sempre la stessa: ricostruire. Il fisico, la mente e la fiducia. Perché il mondo nel frattempo è andato avanti, altri padroni si sono impossessati del gruppo e alla difficoltà della sfida si è aggiunto l’incidente.

«Penso di essermi ripreso molto bene – dice – e le mie sensazioni sono abbastanza buone. Finalmente sono riuscito ad allenarmi normalmente in questi ultimi mesi, moralmente è importante. Le mie ultime uscite di allenamento sono state soddisfacenti, ma ora bisogna vedere come andrà nelle prossime gare. Ciò che sarà importante è che ora potrò capire quali sono davvero le mie paure sulla bici. Sono stati mesi di sofferenza in cui ho dovuto essere paziente. Questo Vuelta a San Juan mi permetterà di sapere dove mi trovo realmente».

Egan Bernal è nato a Zipaquira, in Colombia, il 13 gennaio 1997. Ha vinto il Tour 2019 e il Giro 2021
Egan Bernal è nato a Zipaquira, in Colombia, il 13 gennaio 1997. Ha vinto il Tour 2019 e il Giro 2021
Alla presentazione di due giorni fa hai parlato di recupero psicologico più duro di quello fisico.

Ho passato lunghe ore a pensare, mentre lavoravo nella speranza di tornare almeno a una vita normale. Ero combattuto tra la voglia di bruciare le tappe quando le cose andavano bene e i dubbi quando qualcosa non andava. Molte volte mi sono chiesto se ne valesse davvero la pena. E’ stato difficile ricominciare tutto da capo, imparare di nuovo a camminare e persino a mangiare. Ma durante quei momenti, ho imparato che la famiglia è una delle cose più importanti.

Hai davvero pensato di fermarti?

Ad un certo punto ho detto ai miei parenti che avrei mollato tutto. Per settimane ho analizzato la situazione per capire se valesse ancora la pena tornare a pedalare con il rischio di cadere nuovamente. A parte le varie foto su internet, non sapevo se sarei stato in grado di tornare in sella a una bici in modo efficace, figuriamoci se sarei stato in grado di tornare a un buon livello. Ho pensato a tutto questo, ma come ho già detto: sono nato per essere un corridore e non riesco a immaginare la mia vita senza il ciclismo. E così sono ripartito.

E alla fine siamo ancora qua…

I consigli dei medici sono stati molto importanti e il supporto della famiglia anche di più. L’unione delle due cose mi ha permesso di rientrare anche più velocemente. Quando sono tornato alle gare in Danimarca, in Germania e in Italia, mi sono reso conto di quanto il gruppo andasse veloce e dei rischi che si corrono.

La Vuelta a San Juan servirà a Bernal per fare un primo punto della situazione
La Vuelta a San Juan servirà a Bernal per fare un primo punto della situazione
Poco fa hai parlato nuovamente della paura.

Quando sono tornato a velocità superiori ai 60 orari, la stessa velocità di quando ho avuto l’incidente, ho avuto paura. Anche al Giro di Germania e Danimarca i primi chilometri sono stati strani, ma poi è andata meglio. Credo ormai di essermi lasciato alle spalle quella sensazione.

Osservandoti, si capiva che qualcosa non andasse.

Mi sono rialzato più di una volta, ritirandomi per tre volte come non mi capita mai. Sentivo che poteva esserci un pericolo e temevo che mi potesse succedere qualcos’altro. Mi sono detto che avevo sofferto anche troppo, che avevo vinto Tour e Giro, quindi perché rischiare ancora? Per me il ciclismo è soprattutto un fatto di testa.

Perché hai scelto il Tour per rientrare?

Il Tour de France è sempre stata una corsa molto importante per me e ovviamente voglio tornarci. Amo questa gara e ho solo bei ricordi. Ma la strada è ancora lunga e bisognerà vedere come andranno le cose fino ad allora, restando sereni e senza farsi prendere la mano. Sono nella lunga lista dei miei compagni che progettano di andarci, starà a me dimostrare di essere pronto.

Remco ed Egan, due campioni rinati dal dolore

21.01.2023
6 min
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Due ragazzi diventati uomini alla svelta. Sono rinati dal dolore di cadute che potevano porre fine alla loro carriera e alla loro stessa vita. Ma mentre Remco si è rialzato e ha iniziato a vincere senza tregua, Egan è ancora alle prese con i mille dubbi del rientro. Come loro ci sarebbe anche Jakobsen, ma ieri sul palco dell’Hotel Del Bono hanno fatto salire Remco Evenepoel ed Egan Bernal affinché parlassero di sé.

Mezz’ora di domande per ciascuno alla vigilia della Vuelta a San Juan: alcune variopinte in pieno stile argentino, altre più puntuali. Remco con la cuffia per la traduzione e sorrisini ironici. Bernal più sulle sue, ma padrone della situazione. Il primo già in rotta per il Giro, con 2-3 chili da perdere e una grande leggerezza nel raccontarlo. Il secondo puntato sul Tour, per riprendere il cammino interrotto dallo scontro col bus.

Remco Evenepoel ha ascoltato le domande tradotte in cuffia e ha poi risposto in inglese
Remco Evenepoel ha ascoltato le domande tradotte in cuffia e ha poi risposto in inglese
Si ricomincia dalla Vuelta a San Juan…

EVENEPOEL: «Non aspettavo altro che iniziasse la stagione. Ho grandi attese, ma vincere non è facile. Proveremo ad aiutare il più possibile Fabio, ma io per primo proverò a rivincere la maglia di leader. Sono contento di essere qui, in una bella corsa e con dei bei paesaggi. Sarebbe stato bello avere ancora una crono, non sarà facile replicare il successo dell’ultima volta».

BERNAL: «Questa è la corsa che più mi conviene per iniziare bene. Ha una buona organizzazione e io ho moltissima voglia di correre. Sarà perfetta per prendere il ritmo. Mi sento bene. Ho fatto tutto quello che serviva, ma una cosa è allenarsi, altro è correre. Il percorso ha poche salite, ma con il caldo e i corridori che ci sono, sarà una corsa molto fisica, molto interessante per il pubblico».

Sono successe tante cose nell’ultimo periodo: in che modo ti senti diverso?

EVENEPOEL: «In tre anni sono sicuramente diventato più vecchio. Nel frattempo sono successe molte vittorie e cadute che mi hanno cambiato. Sono un nuovo corridore. E’ bello tornare con la certezza di non essersi fermati dopo quella caduta».

BERNAL: «Si impara molto da un anno come quello che ho passato, forse il peggiore della mia vita. Ho imparato ad avere pazienza e che la famiglia è tanto importante. Siamo esseri umani, siamo fragili. Pensiamo sempre che capiti tutto agli altri, invece questa volta è successo a me, compreso il fatto che mia madre abbia il cancro e anche mio padre non sia stato bene»

Egan Bernal ha raccontato spicchi della sua storia dolorosa degli ultimi 12 mesi
Egan Bernal ha raccontato spicchi della sua storia dolorosa degli ultimi 12 mesi
Come vivrai la corsa?

EVENEPOEL: «Noi siamo qui con Fabio Jakobsen, il corridore più veloce al mondo. Farò parte del suo treno, sarò il terzo uomo. Io proverò a vincere sull’Alto del Colorado, confrontandomi con i corridori colombiani che in questo periodo volano perché sono ad allenarsi qui in altura da tutto l’inverno. Mi ricordo dell’ultima volta lassù. Non ero ancora abbastanza sveglio, ero indietro e troppo rilassato. Non ero pronto per stare davanti, ma per fortuna sono riuscito a rimediare. Probabilmente per voi in televisione è stato un bello spettacolo».

BERNAL: «Sarà una corsa da vivere giorno per giorno. La tappa di montagna sarà dura, ma ce ne saranno altre con molto vento: sarà importante salvarsi dai ventagli. Abbiamo una squadra molto buona. Per le tappe veloci abbiamo Viviani, che è molto in forma. Proveremo a fare qualcosa con lui, poi ci saremo noi per le salite. L’importante sarà avere attorno la squadra per arrivare a giocarmi la montagna con chi ci sarà. Ma sono tranquillo, c’è Ganna, quando vuole è una vera macchina».

Come va la vita?

EVENEPOEL: «Procede bene, in Spagna si sta bene, grazie per avermelo chiesto. Essermi trasferito è stato un passo importante della mia storia personale. Calpe è un ottimo posto per allenarmi e lavorare per il mio futuro. L’importante per avere una buona forma è andare sempre per il massimo e poter lavorare nel modo giusto. Spero che continui tutto così, perché finora è andata benissimo».

BERNAL: «Sto facendo gli stessi allenamenti che ero capace di fare nei periodi migliori. Sono tranquillo. La parte più difficile del recupero non è stata quella fisica, tutto sommato, ma quella psicologica. Ci sono stati giorni in cui ho dovuto convincermi del fatto che volessi continuare a uscire mentre a casa mia madre e la mia fidanzata mi aspettavano con la paura addosso. Ma ho capito che la mia vita è sulla bicicletta e che tante persone non hanno avuto la mia stessa fortuna».

Stamattina tanti bambini vestiti da corridori ti hanno chiesto di fare una foto: come vivi il fatto di essere un’ispirazione?

EVENEPOEL: «Ai ragazzi posso dare pochi consigli, se non quello di godersi la bici, sempre e comunque. Gli dico di essere sempre concentrati sulla corsa che ancora deve venire, combattendo per quello in cui credono e che possono ottenere».

BERNAL: «Essere un riferimento per i più giovani è motivante. Mi ricordano quando avevo la loro età. Avevo 12-13 anni e sognavo di correre sulle strade del Tour. Vedere dei bambini che sognano di imitarmi fa pensare che presto arriveranno nuovi talenti. E forse anche quello che è successo a me può essere un’ispirazione per tante persone che proprio adesso stanno passando momenti difficili, perché davvero credo di aver vinto la corsa più dura».

E alla fine, dopo Bernal ed Evenepoel, sul palco sono salite tutte le stelle della corsa argentina
E alla fine, dopo Bernal ed Evenepoel, sul palco sono salite tutte le stelle della corsa argentina
Cosa potete dire l’uno dell’altro?

EVENEPOEL: «Con Egan abbiamo parlato per cinque minuti al buffet, ma non ci siamo detti molto. Lo seguo su Strava e vedo che pubblica a volte dei dati incredibili, ma mi dicono che a volte lascia dentro anche i tratti dietro moto. Comunque è bello rivederlo in sella e spero che possa tornare al livello del 2019, poi potrà correre nuovamente per vincere i grandi Giri».

BERNAL: «Remco è un’ispirazione, per la caduta che ha avuto e il modo in cui ne è venuto fuori. Non deve essere stato facile, soprattutto in un Paese come il Belgio in cui lo hanno subito paragonato a Merckx. Ma ha lavorato tanto e ha vinto. Ho ammirazione per lui».

Quella caduta di Pidcock all’esame di Franzoi

07.01.2023
4 min
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La caduta di Tom Pidcock all’X2O Trophee Baal merita di essere approfondita. E vista la particolarità, oltre alla spettacolarità, di quel capitombolo per farlo serve un occhio critico. Un occhio di spessore come quello di Enrico Franzoi, grande ex del ciclocorss italiano e non solo.

Riavvolgiamo il nastro per un momento. Siamo a Baal e il campione del mondo guida saldamente la corsa, quando su una serie di gobbe, piuttosto veloci, perde il controllo della bici e addirittura rovina fuori dalle transenne.

Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano
Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano

Concentrazione giù

Come mai quindi è caduto Pidcock? Come si può spiegare la dinamica? Lui è veloce e nella gobba prima aveva messo di traverso la bici, ma tutto sommato su quella gobba sembrava tutto normale.

«Vedendola da fuori – dice Franzoi – sembra una caduta banale con effetti molto importanti. Una caduta avvenuta in un momento in cui stava controllando il suo vantaggio. A mio avviso c’è stato un calo di concentrazione».

Per Franzoi alla base di questo incidente c’è in primis una questione di concentrazione, di tensione agonistica venuta meno. In effetti si era all’ultima tornata e Pidcock era saldamente in testa.

Velocità alta

In quel punto, come tutti gli altri del resto, Tom ci era già passato più volte, dunque conosceva il fondo e le velocità con cui si affrontava.

«Sempre dalle immagini – va avanti Franzoi – sembra che dopo l’atterraggio finisca in una canalina e si sbilanci nel momento della decompressione. Lì perde l’equilibrio. Ma, ripeto, mi sembra più una sua leggerezza. A volte è capitato anche a me di scivolare quando ero in testa perché mi deconcentravo.

«Riguardo alla velocità, io conosco quel percorso e quel punto, ma ai miei tempi le gobbe non c’erano. La velocità però era alta, si tratta di una bella discesa che un po’ tende a portare in fuori.

«E poi – riprende Franzoi – essendo il percorso asciutto non è che cambiasse così tanto (come a dire che non c’è neanche questa giustificazione, ndr) e questo mi fa pensare ancora di più al fatto della distrazione. Magari essendo così avanti si è rilassato, ma di scivolare poteva succedergli anche in una normale curva prima o dopo quel punto».

Pidcock tecnica
Pidcock è un vero funambolo in bici e poco importa che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta
Pidcock tecnica
Pidcock è un funambolo in bici: che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta

Nessuna “bikerata”

Pidcock sa guidare bene, molto bene. Troppo bene secondo alcuni. In molti hanno detto che il folletto della Ineos-Grenadiers abbia pagato le sue “whippate”, cioè quelle messe di traverso della bici per dare spettacolo, qualcosa che i biker fanno spesso. E sappiamo che più volte Tom si è dichiarato “biker inside”.

Però a rivedere bene le immagini lui non cade quando whippa, ma sul dosso successivo, quando sembra essersi rimesso in assetto standard.

E infatti lui stesso ha detto che la caduta è stata stupida non tanto per le whippate, ma perché voleva fare forte l’ultimo giro e di essere andato volutamente forte in un punto veloce che sapeva essere pericoloso.

«Per uno del suo calibro – conclude Franzoi – fare certe cose è del tutto normale. Non rischia, ha controllo totale della bici. Anzi, per me è stato anche bravo a limitare i danni!».

Rosa, l’uomo che ha inventato i training camp in Kenya

16.12.2022
5 min
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La vittoria di Girmay alla Gand-Wevelgem non poteva essere fine a se stessa e anzi sta scatenando uno tsunami che investe tutto il continente africano. Se il Ruanda sta diventando meta di ritiri prestagionali e si lavora alacremente per i mondiali del 2025, c’è una notizia che sui media non ha avuto finora il risalto che meritava: la Ineos Grenadiers sta per lanciare la sua prima accademia ciclistica in Kenya.

Il camp permanente sarà gestito da Valentijn Trouw, uno dei tecnici della multinazionale britannica che ha già forti legami con il Paese africano, essendo tra l’altro sponsor del primatista mondiale e campione olimpico di maratona Eliud Kipchoge, direttamente coinvolto nel progetto. Il legame con l’atletica è fortissimo, perché è proprio nell’atletica che i training camp hanno iniziato a prendere piede in Kenya, di fatto trasformando il Paese almeno dal punto di vista sportivo.

Gabriele Rosa, 80 anni, con alcuni dei ragazzi che segue in Kenya, tra loro campionissimi di atletica
Gabriele Rosa, 80 anni, con alcuni dei ragazzi che segue in Kenya, tra loro campionissimi di atletica

Il primo che ebbe l’idea di creare un’accademia permanente in Kenya fu Gabriele Rosa, cardiologo e medico sportivo che aveva creato a Brescia una scuola di maratona capace di portare Gianni Poli al trionfo nella prova più famosa sui 42,195 km, quella di New York. Quello che aveva saputo fare nella provincia italiana poteva essere fatto in più grande stile in Kenya, Paese per antonomasia della corsa: «I kenyani erano già allora fortissimi, ma non correvano la maratona. Moses Tanui, che era uno dei grandi del mezzofondo dell’epoca, mi chiese se potevo seguirlo. Io gli dissi di sì a condizione che convincesse altri atleti del suo Paese a seguirlo. Nacque così il primo centro permanente in Kenya, era il 1990».

In tanti poi seguirono la sua idea…

Ebbe uno sviluppo clamoroso, basti pensare che dopo trent’anni il Kenya è padrone assoluto della specialità: nell’ultimo anno l’83 per cento di tutte le maratone internazionali sono state vinte da un atleta kenyano. Io iniziai con un piccolo gruppo, ora ci sono 13 nostri training camp sparsi per il Paese con oltre 200 ragazzi coinvolti.

La Ineos sarà il primo team con una base in Kenya, altri lo seguiranno (foto Krystof Ramon)
La Ineos sarà il primo team con una base in Kenya, altri lo seguiranno (foto Krystof Ramon)
Come funziona il loro lavoro?

Noi non seguiamo solamente la corsa, la nostra è un’operazione a 360°. Correre forte è solo l’ultimo risultato di un cammino che comprende lo stare insieme, il condividere il lavoro, affrontare le quotidianità della vita. E’ una crescita umana, non solo sportiva quella che i ragazzi affrontano e questo sistema sono convinto possa funzionare anche nel ciclismo.

Dal punto di vista ciclistico il Kenya che Paese è?

Partiamo dal discorso prettamente sociale: la bici è sempre stata un mezzo fondamentale nella vita dei kenyani. Quando arrivammo, vedevamo che utilizzavano bici cinesi con le quali facevano davvero di tutto, caricate come somari, servivano per spostarsi e spostar pesi. Ora si usano molto anche le piccole moto, che a 500 euro sono già disponibili, ma le bici sono ancora molto utilizzate. C’è però un aspetto molto importante che è cambiato rispetto ad allora: la Cina, che ha fortissimi legami con il Kenya, sta praticamente asfaltando tutte le strade e molto bene. Questo per noi che facciamo atletica è un problema per gli allenamenti, perché c’è bisogno di correre anche offroad per crescere, ma per il ciclismo sta diventando un luogo ideale.

Il training camp di Kaptagat, nei cui pressi sorgerà quello della Ineos
Il training camp di Kaptagat, nei cui pressi sorgerà quello della Ineos
Il Kenya non è mai stato un Paese con una tradizione…

No, la corsa a piedi è lo sport principale, ora affiancato dalla pallavolo femminile. In tutto il continente però c’è grande fermento e bisogna tenere presente che i corridori africani in genere – kenyani, ma anche etiopi, eritrei, burundiani ecc. – hanno una congenita propensione per gli sport di endurance. I risultati dei corridori eritrei non mi sorprendono, io sono convinto che lavorandoci sopra come farà la Ineos (e presto altre squadre e soprattutto aziende seguiranno la stessa via) l’Africa diventerà fortissima anche nel ciclismo.

Quali sono i vantaggi nel costruire training camp in Kenya invece che Eritrea e Ruanda che hanno già più dimestichezza con il ciclismo?

Il territorio. Ci si può allenare a 3.000 metri di altitudine. Kaptagat, dove la Ineos costruirà la sua accademia, è anche la sede del nostro primo e principale training camp. Ci sono percorsi ideali per allenarsi, ma anche la gestione di questi centri è all’altezza, con cuochi specializzati, pulizie continue e quant’altro. Intorno poi sono sorti nel tempo piccoli alberghi molto caratteristici e confortevoli.

Valentijn Trouw, responsabile del progetto e l’olimpionico Kipchoge, coinvolto nell’iniziativa
Valentijn Trouw, responsabile del progetto e l’olimpionico Kipchoge, coinvolto nell’iniziativa
Nell’atletica il Kenya è diventato anche meta di tanti corridori, anche in Italia, per effettuare i loro ritiri in altura. Questo potrebbe avvenire anche nel ciclismo?

Io sono convinto di sì, ma non solo per le squadre professionistiche. Conti alla mano, potrebbe essere un ottimo sistema anche per le squadre giovanili, soprattutto under 23, per effettuare periodi di preparazione a costi molto più contenuti (chiaramente viaggio a parte) e potendo fare lavori molto più fruttuosi. Io ho già vissuto nel mondo del ciclismo, ad esempio seguendo i tentativi di record dell’Ora di Beppe Manenti e Gregor Braun negli anni Ottanta-Novanta e sto pensando a come le nostre strutture potrebbero anche essere allargate al ciclismo. I risultati d’altronde parlano per noi: la primatista mondiale di maratona è una nostra atleta…

Il diario di Cioni: l’Ora che non abbiamo visto (1ª parte)

16.11.2022
7 min
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Come è stato che Filippo Ganna abbia deciso di sfidare e abbia poi conquistato il record dell’Ora è il motivo per cui ci troviamo con Dario Cioni in uno dei bar più frequentati di Montelupo Fiorentino. Il tecnico toscano della Ineos Grenadiers è preso dal cogliere le olive in una stagione che sta andando piuttosto bene, ma questo è un giorno di riposo anche per lui. Un pranzo a Lari in mezzo a un’infinità di ex corridori e il pomeriggio con noi. La magica notte di Grenchen è indietro di quasi 40 giorni, ma ci sono altre cose da dire. Ci tiene Cioni, ci teniamo noi (in apertura, Ganna nella foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo).

Cioni ha seguito tutta la preparazione. Qui a Montichiari con un collaboratore (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Cioni ha seguito tutta la preparazione. Qui a Montichiari con un collaboratore (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Quando è nato il progetto?

Dopo il Giro del 2020, quando Moser gli fece la battuta che dopo le tre crono vinte, avrebbe potuto provarci. In quella corsa aveva fatto il salto di qualità, così sulla scia dell’entusiasmo si iniziò a parlarne. Soprattutto dopo il predominio nella crono del Prosecco, lunga 34 chilometri, con quegli strappi per quasi 43 minuti di gara.

Quando provare?

Nel 2021 era impossibile, con le Olimpiadi. E poi comunque c’era da lavorare. Il progetto è nato alla fine del 2020, pensando a materiali e linee guida. Serviva anche tornare alla condizione di quell’anno. Il programma era di vedere come si sarebbe mosso agli europei di Plovdiv 2020, che però non fece a causa del Covid. Già lì probabilmente avrebbe abbattuto il muro dei 4 minuti nell’inseguimento. In ogni caso la macchina era già in moto, con lo studio delle linee di sviluppo. Per questo forse è stato impreciso far coincidere tutto con il record di Bigham. Il progetto Ganna era partito ben prima.

Tutti i test in galleria del vento e poi a Montichiari, piccola base Ineos in primavera (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Tutti i test in galleria del vento e poi a Montichiari, piccola base Ineos in primavera (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Fra 2021 e 2022 è cambiato il fornitore dell’abbigliamento…

Infatti avevamo iniziato a parlarne con Castelli. Lo sviluppo del body da crono si faceva già in modo coerente fra crono e Ora, su velocità vicine a quelle del record. Lo sviluppo si è fatto sui 55 chilometri all’ora, mentre se si fosse ragionato sull’inseguimento si sarebbe dovuto lavorare probabilmente su una velocità di 65 all’ora. Poi siamo passati a Bioracer, con il punto di congiunzione che si chiama Luca Oggiano, un ingegnere aerospaziale che collabora con Ineos. In un primo momento collaborava con Castelli e poi si è spostato a Bioracer.

Ha continuato sulla stessa strada in un’altra azienda?

In pratica sì. Ci ha permesso di continuare a lavorare sugli stessi concetti. Alla fine immagino che in Castelli saranno stati dispiaciuti di non esserci stati sino in fondo. Con loro si continua a lavorare in nazionale, solo che col passare del tempo come Ineos saremo sempre meno informati sui loro studi.

Il calendario tanto pieno di Filippo ha rallentato lo sviluppo?

Abbiamo lavorato molto con la fluidodinamica, Luca sa farlo e anzi per certi versi ha sviluppato lui la tecnologia (Luca Oggiano infatti è Amminstratore delegato di NablaFlow, azienda specializzata in simulazioni fluidodinamiche, che ha curato il progetto di bici, tuta e occhiali, ndr). Era tutto avviato e in linea con le aspettative. Sapevamo che quanto già sviluppato con Castelli funzionava, per cui sul body si è cambiato poco.

Per tutto il resto?

Per il casco è nato il Protone più grande con le alette sulle lenti. Mentre non era previsto che Pinarello tirasse fuori la bici nuova: quella è stata un’evoluzione dell’ultimo momento. Nel 2021 erano tutti al lavoro sulla nuova Bolide Disc, non si sapeva se la bici per l’Ora sarebbe derivata da quella o sarebbe stata un progetto nuovo. Va detto grazie a Pinarello per aver sviluppato tecnologia e bici in così poco tempo, mentre prima eravamo tutti concentrati per completare la bici da crono da portare al Tour.

Luca Oggiano ha seguito lo sviluppo dei materiali: una figura chiave nell’Ora di Ganna (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Luca Oggiano ha seguito lo sviluppo dei materiali: una figura chiave nell’Ora di Ganna (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Perché l’idea di ricorrere alla stampa in 3D?

Non dimentichiamo che in questi ultimi tempi, a causa del Covid non è facile trovare il materiale. C’era il rischio di non poter fare la bici che volevamo, per questo si è ricorso alla stampa. E questo ha permesso a Luca di eseguire il progetto in modo perfetto.

Pippo ha fatto sorridere dicendo che la bici gli è parsa pesante.

Nel record il peso non conta. La bici deve essere super rigida. Magari gli sarebbe servita più leggera nell’inseguimento, ma quando poi l’ha lanciata, è venuto ugualmente il record del mondo.

Giovanni Carini si è preso cura da subito della bici di Ganna (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Giovanni carini si è preso cura da subito della bici di Ganna (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
In che modo entra in scena Bigham?

E’ stato utile per i test. Quando Pippo è salito per la prima volta sulla bici nuova, Bigham aveva già fatto il suo record. Era previsto che provasse, niente di strano. A fine 2021 aveva fatto il record nazionale, più dell’Ora di Wiggins, meno di Campenaerts. Non era stato omologato solo perché non era registrato sulla piattaforma Adams.

A un certo punto è parso però che Pippo abbia messo a frutto il lavoro di Bigham.

Ed è quello che vorrei chiarire con la massima serenità. Bigham era nel gruppo di sviluppo di Ganna, ma non è stato la svolta. Non ha indicato lui come modificare la posizione di Pippo, perché di fatto è la stessa da due anni. Di certo Daniel ha fatto delle personalizzazioni per sé. Ha partecipato allo studio della bici, ma le soluzioni che sono parse interessanti le abbiamo provate su Pippo l’ultimo venerdì del Giro. I lavori sui componenti, bici esclusa, erano finiti a maggio, anche se sono stati svelati al Tour. 

Bigham ha battuto il record di Campenaerts e ha lavorato per Ganna, in un progetto nato molto prima (foto Ineos Grenadiers)
Bigham ha battuto il record di Campenaerts e ha lavorato per Ganna, in un progetto nato molto prima (foto Ineos Grenadiers)
Quanto tempo c’è voluto per convincere Ganna?

In realtà ha detto subito di sì. Quello che invece avevamo sottovalutato è stato il tempo necessario per provare i materiali. Il Tour andava comunque fatto, perché il prologo di Copenhagen e la possibilità di maglia gialla, da conquistare partendo con quella iridata, era superiore al progetto dell’Ora.

Quindi cosa cambieresti?

Tornassimo indietro, non lo metteremmo a fine stagione. Seguiremmo strade diverse per avere un approccio più fresco. Magari all’inizio, usando poi il lavoro del Record per entrare lanciato nella nuova stagione.

Secondo Cioni, il mondiale crono e le critiche che lo hanno seguito hanno dato a Ganna la giusta determinazione per l’Ora
Secondo Cioni, le critiche dopo il mondiale crono hanno dato a Ganna la determinazione per l’Ora
Troppi impegni a fine 2022?

Poco tempo per preparare tutto al meglio, ma devo dire che nel suo cammino per il record, aver fatto il mondiale è stato fondamentale. Certi commenti gli sono bruciati dentro: sul chiudere subito la stagione, sull’aver fallito… E questo ha fatto scattare la determinazione giusta.

La seconda parte

La seconda parte di questa intervista con Cioni sarà pubblicata domani sera alle 19,30. Si parlerà di quello che non si è visto sulla preparazione della bici. Il calo di Ganna negli ultimi 10 minuti. Il team che ha lavorato per il record. E anche di un rumorino sulla bici (di cui Ganna non sa ancora nulla) che ha fatto impazzire i meccanici alla vigilia del Record…

Bioracer: il primo anno con Ineos è stato un successo

07.11.2022
4 min
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La stagione appena conclusa è stata la prima per il nuovo binomio BioracerIneos Grenadiers. Non è mai facile inserirsi in corsa, ma il marchio belga, uno dei più affermati nel campo dell’abbigliamento di alto livello, ha lavorato molto. Offrendo a Ganna e compagni una gamma di prodotti all’avanguardia e di ottima fattura. Ma com’è andato questo primo anno accanto al colosso britannico?

La collaborazione con la Ineos ha aperto a Bioracer anche il mercato sud-europeo
La collaborazione con la Ineos ha aperto a Bioracer anche il mercato sud-europeo

Nuovi orizzonti

Nel nostro incontro con Bioracer abbiamo parlato con Marco Pancari, Operation Manager Bioracer Italia. Il salto principale per l’azienda è stato soprattutto commerciale, come ci spiega anche lui.

«Questa collaborazione – spiega – ha permesso a Bioracer di entrare nel mercato italiano e nei vari negozi dalla porta principale. La nostra è un’azienda storica, perché sono 30 anni che è presente sul mercato. Siamo sempre stati però focalizzati sul custom team, con un fatturato molto importante, che supera i 40 milioni di euro. Tuttavia, nel mercato sud-europeo e soprattutto in quello italiano, era praticamente sconosciuta dal pubblico amatoriale».

L’operazione Ineos

Da queste prime parole di Marco Pancari emerge chiaramente come la collaborazione con il team britannico sia subito apparsa come una grande opportunità: tecnologica e commerciale.

«Bioracer – continua Pancari – ha aperto il bacino di utenza grazie al marchio Ineos. Parlando specificamente del mercato italiano possiamo tranquillamente dire che la presenza di corridori come Viviani e Ganna ha portato a far sì che il prodotto “replica” diventasse molto forte. Va detto che Ineos è uno dei top team per quanto riguarda anche tutto il contorno, dalle bici Pinarello, ai caschi marchiati Kask. Andare a posizionare Bioracer assieme a questi nomi ha dato decisamente una marcia in più. La presenza di un corridore come Filippo Ganna ci ha dato quella spinta ulteriore per creare nuovi prodotti e nuove tecnologie anche nella linea dei body».

Un marchio affermato

Trent’anni di storia non sono pochi, un lungo periodo che ha permesso a Bioracer di affermarsi già ad alti livelli. I successi ottenuti quest’anno sono molteplici, sia con Ineos, con il culmine massimo nel record dell’Ora di Ganna. Non è da sottovalutare anche il mondiale vinto da Evenepoel a Wollongong, infatti la nazionale belga vestiva capi firmati Bioracer.

«Oltre ad avere un fatturato importante – ci spiega nuovamente Marco Pancari – Bioracer ha cinque sedi produttive di proprietà. Di conseguenza ha sottomano tutta la filiera: aspetto fondamentale per far capire alla gente che alla base c’è una struttura importante. All’interno dell’azienda è presente una galleria del vento, questo particolare ha permesso a Bioracer di diventare uno dei leader del settore speedwear. Il passo fatto insieme ad Ineos ha permesso di sviluppare prodotti sempre più performanti. Un esempio è l’aver aumentato la traspirabilità dei capi visto il colore scuro del team, il lavoro però non finisce qui e stiamo già lavorando al 2023».

Bioracer